La quiete dopo la tempesta PDF

Title La quiete dopo la tempesta
Course Letteratura Italiana Contemporanea
Institution Università di Bologna
Pages 6
File Size 88.9 KB
File Type PDF
Total Downloads 4
Total Views 180

Summary

riassunto della quite dopo la tempesta. riassunto preso da vari siti di internet, in classe e vari libri di testo....


Description

La quiete dopo la tempesta Parafrasi discorsiva La tempesta è passata: sento uccelli fare festa e la gallina tornata sulla strada ripetere il suo verso. Ecco il cielo sereno da ovest verso la montagna squarcia le nubi; si rischiara la campagna e il fiume appare luminoso nella valle.Ognuno si rallegra nel proprio cuore, da ogni parte riprendono i rumori, tornano le attività consuete. 11- L’artigiano si affaccia sulla porta cantando con il lavoro in mano ad ammirare il cielo ancora umido di pioggia; a gara esce la giovane ragazza a raccogliere dell’acqua della recente pioggia; e il venditore di ortaggi ripete, andando di sentiero in sentiero, il suo grido quotidiano. 19- Ecco il sole che torna, ecco che risplende attraverso le colline e le case. I domestici aprono balconi, terrazze e porticati: e dalla strada maestra si sente un lontano tintinnio di sonagli; il carro rumoreggia poiché il passeggero ha ripreso il proprio cammino. 25- Tutti si rallegrano nel proprio cuore. Quando la vita è così piacevole e gradita come in questo momento? Quando l’uomo si dedica alle proprie occupazioni con tanta passione? O ritorna alle consuete attività? O intraprende qualcosa di nuovo? Quando si ricorda meno delle proprie sofferenze? 32- Il piacere deriva dal dolore; è una gioia illusoria che nasce dalla paura appena passata, a causa della quale coloro che odiavano la vita si spaventarono e temettero la morte; a causa della quale le persone agghiacciate, mute e pallide per il lungo spavento sudarono e furono turbati, vedendo scatenati contro di noi per danneggiarci fulmini, nubi e vento. O natura generosa, sono questi i tuoi doni, questi sono i piaceri che offri agli uomini. Sfuggire a una sofferenza è per noi motivo di piacere. Distribuisci largamente sofferenze; il dolore ne deriva spontaneamente: e quella piccola quantità di piacere che per prodigio o per miracolo qualche volta nasce dalla cessazione della sofferenza è un grande vantaggio. Specie umana cara agli dei! Assai contenta se ti è permesso tirare un sospiro di sollievo dopo un dolore: felice se la morte ti guarisce da ogni dolore.

Commento La quiete dopo la tempesta è uno dei “grandi idilli” scritti da Leopardi tra il 1828 e il 1829. La parte iniziale della poesia è descrittiva, con l’alternarsi di sensazioni visive e uditive, ma non si tratta di una descrizione oggettiva, bensì tutta basata su elementi della poetica del “vago e indefinito”: compaiono, infatti, suoni lontani, spazi vasti e indeterminati, indicazioni paesaggistiche essenziali, in cui secondo la teoria della “doppia visione “, enunciata nello Zibaldone, al paesaggio reale si sovrappone continuamente quello creato con l’immaginazione. Questo paesaggio campagnolo

festoso e allegro, in cui è tornato il sereno dopo un temporale, è una chiara metafora delle gioie passeggere della vita. Nella seconda parte, caratterizzata da un ritmo più lento e dedicata alla riflessione concettuale e filosofica, invece, viene enunciata la teoria del piacere leopardiana, secondo la quale il piacere è “figlio d’affanno”, ossia può derivare solo dalla cessazione di un dolore, in quanto la natura, ormai considerata “maligna” porta agli uomini solo affanni. In questa chiave, viene anche valorizzata la morte come estrema e definitiva fine di ogni dolore, in quanto l’uomo è, per natura, destinato a soffrire. Il piacere, dunque, non può assumere connotazioni positive, bensì è solo l’illusione momentanea della cessazione delle pene. Le due parti della poesia sono strettamente collegate tra loro, poiché l’illusione della vitalità e della luminosità della scena descritta all’inizio è subito spenta dall’amara consapevolezza dell’impossibilità di conseguire una stabile felicità, pertanto tutta la poesia va letta in chiave filosofica. La struttura compositiva del componimento La quiete dopo la tempesta è simile a quella de Il sabato del villaggio: in entrambe le poesie ad una parte descrittiva, segue una parte di riflessione esistenziale, in cui il piacere appare qualificabile solo in negativo. Si può anche cogliere un influsso del filosofo coevo Shopenhauer, che affermava che «la vita è come un pendolo che oscilla tra dolore e noia».

Il passero solitario Parafrasi discorsiva Dalla cima dell’antica torre, passerotto solitario, continui a cantare rivolto verso la campagna, finché non termina la giornata; e si diffonde il suono attraverso questa vallata. Intorno, nell’aria brilla la primavera ed è nel pieno rigoglio nei campi, a tal punto che ad ammirarla il cuore si commuove. 7- Senti greggi belare, mandrie di buoi muggire; gli altri uccelli felici, tutti insieme a gara fanno mille giri nel cielo libero, festeggiando anch’essi il periodo migliore della loro vita: tu, invece, pensieroso in disparte osservi tutto ciò che ti circonda; non ti curi dei compagni, dei voli, di manifestare allegria, eviti i divertimenti; canti e così passi l’epoca migliore dell’anno e della tua vita. 17- Ahimè, quanto è simile al mio il tuo modo di vivere! Io non cerco, non so come sia possibile, il divertimento e il piacere, dolci compagni della giovane età, né te, amore, compagno della giovinezza, rimpianto amaro dei giorni dell’età matura; anzi quasi scappo lontano da loro; quasi solitario ed estraneo al luogo in cui io sono nato, passò la giovinezza, l’epoca più bella della mia vita. Si è soliti festeggiare al nostro paese questo giorno che ormai lascia il posto alla sera. 29- Senti attraverso il cielo sereno un suono di campana, senti spesso uno sparo di armi da fuoco a salve, che rimbomba lontano di casa in casa. La gioventù del luogo, tutta vestita a festa, lascia le case e si sparge per le strade; e guarda ed è guardata, e si rallegra nel cuore. 36- Io solitario, uscendo diretto verso questa parte remota della campagna, rinvio ad

un altro momento ogni piacere e ogni gioco: e intanto il sole, che, dopo un giorno sereno, sparisce nascondendosi dietro monti lontani, ferisce (=”mi fere” del v. 41) il mio sguardo che si estende nell’aria soleggiata, (=”guardo / Steso nell’aria aprica” dei vv. 39-40) e sembra avvertirmi che la giovinezza felice se ne sta andando. 45- Tu, uccellino solitario, quando sarai giunto verso la fine della vita che il destino ti darà, certamente non ti pentirai del tuo modo di vivere; perché è frutto di una disposizione naturale ogni vostro desiderio. 50- A me, invece, se non otterrò di evitare l’odiosa soglia della vecchiaia, quando questi occhi resteranno insensibili ai sentimenti altrui e per loro il mondo sarà vuoto, e il giorno futuro sembrerà più noioso e cupo di quello presente, che ne sembrerà di questo desiderio? Che me ne parrà di questi miei anni? Che cosa di me stesso? Ahimè, mi pentirò e mi volgerò spesso indietro, ma senza possibilità di consolazione.

Commento Anche se, nell’edizione dei Canti del 1835, è collocato prima dell’Infinito, come prologo agli idilli, si hanno molte ragioni per credere che questo componimento sia stato scritto nel 1829, nella stagione dei cosiddetti “grandi idilli”, anche se abbiamo un appunto del 1819, in cui “passero solitario” si trova in elenco di possibili argomenti di idilli. La collocazione indecisa è dovuta al fatto che la poesia presenta un tema tipico delle opere giovanili: il contrasto tra il reale e ciò che si desidera. Tutta la poesia Il passero solitario è costruita su una similitudine tra il comportamento del passero e quello del poeta: come il passero trascorre solitario la primavera, spandendo il suo canto per la campagna, così Leopardi trascorse, solo, incompreso e sentendosi estraneo nel suo luogo natale, la giovinezza. Ma il passero non avrà rimpianti, perché ha vissuto secondo natura, mentre il poeta sente che, se giungerà alla vecchiaia, rimpiangerà le gioie di cui non ha goduto. Anche la struttura della poesia è simmetrica: la prima strofa è dedicata al passero e alle sue abitudini di vita, la seconda al poeta, la cui condizione è assimilabile a quella del passero, mentre la terza svolge il confronto, opponendo la vecchiaia di entrambi: infatti, se per l’uccellino la vecchiaia è solo la parte finale della vita che il destino gli ha concesso, per il poeta, invece, è una “detestata soglia” (51), fonte di pentimenti e rimpianti. Si tratta di una lirica che nasce dalle più profonde contraddizioni (pessimismo vs gioia di vivere, vecchiaia vs giovinezza, dolore e rifiuto della vita vs amore per l’esistenza, folla vs solitudine / (“ tutta vestita a festa/ la gioventù del loco” al v. 32 e, di contro, “Io solitario” al v. 36). Il tema principale, che è quello della lacerazione tra la gioia di vivere e l’angoscia generata dalla riflessione sulla realtà, si articola principalmente proprio attraverso il contrasto tra la vecchiaia , vissuta come “detestata soglia” (v. 51) ed il rimpianto della giovinezza, considerata “il tempo migliore” (v. 11) e come tale associata alla primavera ( “dell’anno e di tua vita il più bel fiore”, v. 16). Al rimpianto si aggiunge la nostalgia del tempo perduto, di una vita straordinariamente ricca di emozioni lasciate, non vissute e quindi rimpiante: “ Ogni diletto e gioco/Indugio in altro tempo” (vv. 38-39). Leopardi, in questo suo autoritratto giovanile, non attribuisce la sua infelicità alla natura o alla società, ma alla sua insicurezza e al suo senso di impotenza che gli

impedivano di rapportarsi con gli altri e di partecipare alle gioie della vita. La giovinezza non è vista attraverso il filtro del ricordo, come in altri idilli, ma vissuta come se fosse ancora attuale. Anche in questo componimento sono molte le immagini “vaghe e indefinite”tanto care a Leopardi, perché permettono di evocare vastità e lontananze che stimolano l’immaginazione: i complementi di luogo indeterminati “alla campagna” e “per lo seren”, la “torre antica” (“l’antico produce l’idea di un tempo indeterminato dove l’anima si perde” leggiamo nello Zibaldone), il passero “solitario”, la campagna “remota”.

IL cinque maggio Parafrasi discorsiva 5- Egli (Napoleone) non c’è più, è morto. Come le sue spoglie senza memoria, dato l’ultimo respiro, rimasero immobili, prive di una così grande anima, così la terra rimase scossa e incredula alla notizia della sua morte, 10-pensando in silenzio all’ultima ora dell’uomo che ha segnato il destino; e non sa quando una simile impronta di un piede d’uomo verrà a calpestare la sua polvere insanguinata. 15- Il mio ingegno poetico lo vide trionfante sul trono e non si espresse; quando, con continui cambiamenti di sorte, fu sconfitto, tornò grande e fu piegato definitivamente, non ha mischiato la sua voce al suono di mille voci: 20- immune dalla lode servile e dalle offese vili, ora (il mio ingegno poetico) si risveglia commosso dinanzi all’improvviso scomparire di un raggio così luminoso; e innalza sulla tomba un canto che forse non morirà mai. 25- Dall’Italia (Alpi) all’Egitto, (Piramidi) dalla Spagna (Manzanarre) alla Germania (Reno), ogni progetto di quell’uomo mai esitante era seguito dalla sua realizzazione; si manifestò dall’Italia meridionale (Scilla) alla Russia (Tanai: è il fiume Don), dall’uno all’altro mare. 30- È stata una gloria reale? Lascio ai posteri la difficile decisione: noi ci inchiniamo a Dio, l’Alto Creatore, che volle imprimere in Napoleone un’impronta più vasta del suo spirito creatore. 35- La gioia tempestosa e trepidante di un grande progetto, l’ansia di un animo che, indomabile, obbedisce, pensando già al comando; e lo raggiunge e ottiene un riconoscimento in cui era folle sperare; 40- egli sperimentò tutto: la gloria, più grande dopo il pericolo, la fuga e la vittoria, il regno e il pesante esilio: due volte fu sconfitto (a Lipsia e Waterloo), due volte tornò sul trono.

45- Egli pronunciò il suo nome (si proclamò imperatore): due secoli (il 1700 e il 1800), armati l’uno contro l’altro, sottomessi si volsero a lui, come aspettando la sua decisione sul loro destino; egli impose il silenzio e si sedette in mezzo ai due secoli come arbitro. 50- E scomparve, e finì i suoi giorni nell’ozio, in un’isola così piccola (Sant’Elena), fatto oggetto di grandissima invidia e di profonda compassione, di odio implacabile e di amore incondizionato. Come incombe e si abbatte sulla testa del naufrago l’onda, la stessa onda su cui poco prima scorreva lo sguardo del poveretto, alto e proteso ad avvistare invano rive lontane; simile scese su quell’anima la grande quantità di ricordi! 70- Oh, quante volte cominciò a raccontare di se stesso e sulle pagine destinate a durare eternamente si posò la sua mano stanca! Oh, quante volte, al silenzioso terminare di un giorno ozioso, chinati gli occhi lampeggianti, incrociate le braccia sul petto si fermò e lo assalì il ricordo dei giorni passati! E ripensò agli accampamenti sempre spostati, alle trincee colpite, e al lampeggiare delle armi dei soldati, all’assalto della cavalleria, agli ordini concitati e all’immediato ubbidire. Ahimè, forse l’animo spossato si lasciò andare ad uno strazio così grande e si disperò; ma giunse dal Cielo una mano forte e, mossa a compassione, lo trasportò in un’atmosfera più serena; e lo indirizzò, attraverso i fiorenti sentieri della speranza, ai luoghi eterni, verso il premio (il Paradiso) che supera tutti i desideri dell’uomo, dove la gloria terrena, ormai passata, è dimenticata, non conta più. Bella immortale! Fede portatrice di bene, abituata ai trionfi! Scrivi anche questo trionfo, rallegrati; perché nessun uomo più grande di Napoleone si è mai chinato ad adorare la disonorante Croce (il Golgota è il luogo della crocifissione di Cristo). Tu, Fede, dagli stanchi resti mortali, allontana ogni parola cattiva; quel Dio che fa disperare e fa risorgere, che dà dolore e consolazione, sul letto di morte abbandonato da tutti, riposò accanto a lui.

Commento Il cinque maggio fa parte dei componimenti manzoniani di argomento storico e fu insolitamente scritta in soli tre giorni, ispirata da un evento contemporaneo e contingente: la morte di Napoleone, avvenuta il 5 maggio 1821 sull’isola di Sant’Elena. Nonostante i divieti della censura austriaca, l’ode ebbe grande diffusione e Goethe la tradusse subito in tedesco. Per Manzoni, dopo la conversione, la letteratura deve avere “l’utile per scopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo” e ciò si realizza pienamente anche nelle odi di argomento politico e civile come questa. I fatti contemporanei sono analizzati in chiave religiosa: è la prospettiva dell’eternità che dà pieno significato alla vicenda terrena di Napoleone, in cui si sono alternate continuamente gloriose ascese e

rovinose cadute. I due monosillabi isolati ed antitetici con cui si apre Il cinque maggio – “Ei” (“quel grande”, “quel famoso”) e “fu” (“è morto”) – racchiudono già tutta l’essenza della vita del personaggio, che non ha bisogno di essere nominato esplicitamente sia perché la sua identità si può dedurre dal titolo, sia perché il suo ricordo è ancora vivo nel pensiero di tutti: infatti, in tutta la poesia, non è mai nominato apertamente. Tutta la lirica si basa su una serie di antitesi: tra stasi e movimento, tra luce e tenebre, tra lo spazio immenso delle conquiste (“dall’Alpi alle Piramidi…”) e quello angusto dell’esilio. Nella prima parte dell’ode, fino al verso 54, è rievocata la vicenda terrena dell’eroe, del quale Manzoni non aveva mai tessuto elogi finché era in vita. La rievocazione storica è interrotta da una pausa di riflessione sulla gloria terrena (vv. 31-32). Nella seconda parte, è rievocato l’esilio a Sant’Elena, durante il quale l’eroe ripensa alla sua vita ed arriva alla disperazione più nera: ciò che poteva sembrare una grande impresa, nel ricordo resta solo un fallimento. Ma nella parte finale, i contrasti vengono superati grazie all’ingresso di una nuova dimensioni, fuori dallo spazio e dal tempo: l’eternità, dinanzi alla quale la gloria terrena si annulla nel silenzio e l’immobilità, inizialmente simbolo della negatività della morte, diventa conquista della pace per l’eternità. Il tema di fondo è la meditazione sull’eroismo dei grandi uomini e sul loro ruolo nella storia, guardato da Manzoni con grande pessimismo, in quanto cercare la gloria su questa terra può provocare solo dolore, sofferenza, morte. Secondo Manzoni, nella storia, o si è oppressi o si è oppressori: se si decide di agire e compiere il male si è oppressori, se ci si rifiuta di farlo, si è oppressi, anche Napoleone, nonostante la grandezza delle sue imprese, alla fine, è un oppresso: oppresso dai suoi ricordi, da se stesso, dal suo fallimento. Nella prospettiva dell’eterno, invece, si svela il vero significato della vita, che si può comprendere solo nel momento estremo della morte....


Similar Free PDFs