Motivare ALLA Conoscenza, Marcello Tempesta PDF

Title Motivare ALLA Conoscenza, Marcello Tempesta
Course pedagogia
Institution Facoltà Teologica Pugliese
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Riassunto ben fatto e molto chiare del libro di Marcello Tempesta...


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CAPITOLO 1: LEGGERE UN ASPETTO DEL DISAGIO GIOVANILE. Numerosi studi sociali mettono in evidenza la crescente disaffezione giovanile verso le pratiche scolastiche ereditate dal ‘900 e la crescente fatica del mondo adulto nell’assumersi il compito di aiutare i nati nel nuovo millennio a scoprire autonomamente perché valga la pena addentrarsi nel cammino della conoscenza proposto dalle istituzioni formative. Si tratta, naturalmente, di un fenomeno complesso che affonda le sue radici nel più ampio contesto socio-culturale e nelle transizioni che lo caratterizzano. Malessere, dispersione, insuccesso connotano la variegata galassia del disagio scolastico all'interno dell'universo problematico del disagio giovanile. Sempre più numerosi sono i ragazzi cosiddetti difficili, ossia che pur possedendo capacità cognitive nella norma, non riescono ad adattarsi ai consueti canoni di convivenza sociale che si instaurano nelle usuali agenzie formative, non si impegnano in maniera adeguata nello studio e manifestano in classe comportamenti non adatti alle esigenze relazionali della vita di gruppo e scadenti sul piano degli apprendimenti. Questi alunni spesso abbandonano la scuola prima della fine dell'anno; se non lo fanno, generalmente sono bocciati e, se questo non succede, sono sopportati affatica. In questo essere sopportati a fatica si cela il grande rischio di assuefarsi allo stereotipo omologante e pessimista della generazione perduta, senza lasciarci nemmeno inquietare dalla possibilità che una parte consistente di essa o anche uno solo di questi ragazzi si smarrisca, nella disattenzione del mondo adulto. Le dinamiche socio-culturali che stanno alla base del disagio scolastico sono antiche da un lato, e nuove per un altro. Il disagio scolastico infatti affonda le sue radici nei tradizionali fenomeni di marginalizzazione, esclusione urbana, precarietà economica (che trovano in particolare nelle periferie e nei flussi migratori contesti di riproduzione). Accanto a questi problemi si possono riscontrare nuove questioni. Un rapporto pubblicato dal Censis nel 2010 individua, infatti, alla radice della crisi sociale, economica e politica che l'Italia sta attraversando, un calo di desiderio che si manifesta in ogni aspetto della vita. Nonostante in passato siamo stati in grado di raggiungere importanti obiettivi, siamo in una società segnata pericolosamente dal vuoto e a un ciclo storico pieno di interesse e voglia di fare ne segue un altro segnato dal suo annullamento. Il Censis disegna i contorni di un tessuto umano che proprio nei contesti di maggiore benessere è segnato da una sazietà disperata, da una sorta di astenia generale, da un appiattimento della tensione desiderativa che genera smarrimento nei giovani e cinismo negli adulti. Alla radice della crisi sociale, economica e politica vi è, comunque, un problema antropologico: In questione è la concezione stessa della persona, la natura del suo desiderio, del suo rapporto con la realtà. Le forme del rischio scolastico non abitano più le periferie

degradate e marginalizzate, ma anche i quartieri benestanti delle nostre città. Siamo di fronte ad una problematica ambivalenza: per un verso gli studenti della nostra epoca valersi di una immensa quantità di informazioni; per altro i vissuti che accompagnano le pratiche scolastiche nei nostri contesti sociali appaiono segnati da una preoccupante e crescente povertà di tipo qualitativo. Dunque è necessario leggere questi fenomeni sullo sfondo della ipercomplessità sociale nei quali i giovani si trovano a vivere. In questa prospettiva, il disagio diffuso è la manifestazione presso le nuove generazioni della difficoltà di assolvere ai compiti evolutivi che vengono loro richiesti dal contesto sociale per il conseguimento dell'identità personale per l'acquisizione delle abilità necessarie alla soddisfacente gestione delle relazioni quotidiane. Il disagio giovanile va perciò inteso come una radicale difficoltà a gestire la complessità e, all'interno di questa, a far fronte alle contraddizioni dei processi di socializzazione, di identificazione e di maturazione complessiva verso l'età adulta. In primo luogo occorre rilevare che il quadro psico-sociale nel quale i ragazzi vivono e nel quale la scuola svolge il suo compito formativo è caratterizzato da una rottura dell'alleanza tra istituzioni formative e famiglie, professori e genitori. È una criticità che si può vedere ugualmente dal lato degli uni degli altri. Molti genitori sono rappresentati dai figli, vivono nei figli. Sono protesi a ricevere dai figli la loro immagine o una conferma di essa; vale a dire, sono più attenti cercare se stessi nei figli che aperti a sviluppare un agire donativo nei loro confronti. Quando vanno a parlare con i professori, allora, è molto difficile che si stabilisca un'alleanza educativa: Se il figlio va male, infatti, sono loro andar male; i genitori sono simbioticamente in questione nel l'andamento scolastico dei figli, si percepiscono vulnerati misurati dai successi; nel caso sentono denunciare le loro lacune, si difendono come se fossero personalmente attaccati e scaricano la responsabilità addosso ai professori o alla scuola Dall'altro, spesso, i professori ripetono la stessa dinamica. Sono essi stessi alla ricerca del consenso. Questo implica una certa modificazione nell'esercizio della loro autorità, del loro essere maestri. Il secondo elemento del quadro psico-sociale nel quale la scuola è immersa è il fatto che noi tutti viviamo ormai nell'età plurale, che è tale perché caratterizzata non solo dai processi migratori, ma anche dal flusso delle concezioni del mondo, degli stili di vita dei costumi. Nell'età plurale ogni realtà presenta tante indefinite interpretazioni, tutte ugualmente legittime. Il terzo elemento è l'età della tecnica in parte perché è aumentata la distribuzione mondiale simultanea dell'informazione, un certo modo far viaggiare le notizie, di superare i confini, in parte perché negli ultimi decenni abbiamo assistito uno sviluppo e a una

proliferazione vertiginosi dei dispositivi tecnici. Prendiamo ad esempio internet. Quando si naviga in rete, si verificano due tendenze contrastanti che si intrecciano: si è soli con se stessi e al tempo stesso si è circondati da una fantasmatica moltitudine di altri. Quindi la rete rende invisibili allo sguardo carnale dell'altro e rende visibili allo sguardo virtuale di tutti. In definitiva il disagio giovanile nella società ad alta complessità, caratterizzata da un eccesso di possibilità che esigono capacità di selezione, nasce proprio da questa frattura tra sistema psichico e sistema sociale e dall'assenza filtri simbolici, di valori guida, che attutiscono l'impatto con la realtà. Il giovane è costretto a vivere sempre più da solo, in condizioni di precarietà, non solo personale, ma anche sociale. Se il disagio viene letto come scostamento dalla norma, come incidente di percorso, allora l'atteggiamento che viene attivato è quello della ricerca del colpevole e della normalizzazione. In questa prospettiva i vari disagi sono considerati una parentesi da chiudere il più presto possibile per tornare a fare scuola. Se il disagio, invece, viene letto come una condizione che caratterizza il processo di crescita e come manifestazione di esigenze spesso inespresse, usciamo da una prospettiva di normalizzazione, intesa come adeguamento del minore, per leggere invece la relazione educativa in termini di accompagnamento di ogni soggetto, perché possa diventare se stesso e realizzare il successo formativo. Negli anni della scuola, infatti, ogni ragazzo è in un momento decisivo del suo sviluppo, perché impegnato a conquistare un suo volto personale. L'adolescente alla ricerca di sé in un mondo complesso e frammentato, e spesso è solo e poco equipaggiato per affrontarlo: la sua fragilità appare sintomo di altro, manifestazione di una muta domanda di essere, di un di più rispetto al contesto nel quale spesso si sente prigioniero e poco compreso. L'obiettivo si sposta, allora, dai giovani agli adulti, nella prospettiva di un approccio educativo al tema della motivazione alla conoscenza.

CAPITOLO 2: RIDESTARE IL DESIDERIO, OFFRIRE LE RAGIONI, PROPORRE I PASSI DELLA CONOSCENZA

Invece di puntare l'obiettivo sulla fragilità dei giovani, sul loro essere sbagliati e indifferenti, e di inseguire surrogati della motivazione, occorre chiedersi se sia adeguata la proposta del mondo adulto. Infatti il problema dell'educazione è sempre anzitutto, il problema di una proposta che compete all'adulto: a lui spetta la responsabilità della prima mossa nella partita del processo formativo. Appare dunque necessario un ripensamento responsabile del compito tradizionale della scuola come agenzia educativa alla luce del complesso universo giovanile. La nostra scuola segue un movimento un po' ondivago, in alcuni momenti quasi schizofrenico.

Per un verso si tende a presentarla come un luogo asettico di istruzione e di formazione, luogo di comunicazione oggettiva di conoscenze, che in qualche modo deve essere tenuto lontano dal compito dell'educazione. Per un altro verso questa attenzione educativa, espulsa dalla porta, entra dalla finestra: Le dimensioni di carattere educativo vengono in qualche modo reintrodotte, in maniera frantumata, attraverso tante educazioni che da qualche anno abbondano soprattutto nella dimensione extracurriculare e nei progetti di integrazione dell'offerta formativa (educazione all'affettività, alla legalità, intercultura, all'ambiente ecc.). Ognuno di noi, invece, sa per esperienza che non vi è sviluppo e apprendimento senza incontri e legami interpersonali nei quali si è accolti, stimolati a crescere, invitati a scoprire la realtà a partire da una testimonianza. La scuola che ci necessità è quella che comprende, custodisce e coltiva il nesso profondo che esiste qualità delle relazioni educativo-didattiche e qualità della conoscenza. Un ruolo fondamentale in questo processo è svolto proprio dall'insegnante. Lo studio è, per sua natura, un atto personale che necessita del protagonismo dello studente. Personale però non significa solitario: lo studio, infatti, vive all'interno di una trama di relazioni che si allargano da quella binaria tra chi insegna e chi apprende, a quella ternaria tra docente, allievo e disciplina, a quella quaternaria tra alunno, famiglia, insegnante, materia, per coinvolgere, infine, compagni, istituzione scolastica e comunità. All'inizio dell'applicazione dello studente c'è il gesto efficace dell'insegnante che indica e guida il rapporto tra conoscenza, interesse e studio, in modo gli allievi possano condividere e praticare lo studio come insieme sensato e finalizzato di attività che vanno dalla lettura all'ascolto, dalla comprensione alla memorizzazione, dall'applicazione alla verifica; è l'insegnante a promuovere un dialogo nel cammino di condivisione dei significati e dei passi dello studio, capace di provocare consapevolezza e iniziativa nello studente e nella classe: lo studio è, dunque, attività che si genera in risposta ad una attività che la precede, la accompagna, la attende. Per questo è impossibile comprendere e promuovere la conoscenza nella scuola sradicandola dall'educazione, che è iniziativa di un uomo nei confronti di un altro uomo, ansia per il destino dell'altro. In quanto esperienza di conoscenza mediata e guidata, lo studio è dunque atto personale che ha il suo fondamentale fattore di innesco nel gesto dell’insegnamento e nel porsi della relazione educativa didattica. L'insegnamento che promuove conoscenza e fa crescere la motivazione si presenta come interazione dinamica e complessa tra docente, studente e disciplina. L'insegnamento educativo non è, tuttavia, una forma di comunicazione unidirezionale che impone una fotografia delle cose da accettare e riprodurre, ma produce segni che muovono la soggettività, indicando in modo adeguato e comprensibile aspetti e

dimensioni della realtà dei quali lascia intravedere il rilievo culturale e il rapporto con le esigenze conoscitive ed esistenziali dello studente e provocando quest'ultimo all'avventura dell'interpretazione e della scoperta del significato. L'insegnamento educativo, quindi, provoca nel senso che chiama lo studente ad uscire fuori dalla caverna conoscitiva nella quale può rintanarsi l’io, invitandolo e guidandolo all'esperienza affascinante dell'incontro con l'essere in tutta la sua ampiezza e inesauribilità. Il mal di scuola che imperversa tra i giovani d'oggi ha a che vedere con quella rinuncia all'educazione da parte delle generazioni adulte che ha caratterizzato in maniera consistente l’esperienza sociale negli ultimi decenni. Questo profondo disagio culturale è tuttavia collegato ad un più generale mal di vivere che attraversa la nostra società che suscita proprio nei giovani una variegata sintomatologia. Galimberti ha individuato nel nichilismo la radice di questo male di vivere che si esplicita in una mancanza di senso e che porta a credere che lo studio e la conoscenza siano ormai privi di valore. Tuttavia i bisogni conoscitivi ed educativi non si possono soffocare perché ci sono. Questa dinamica desiderativa profonda dell'uomo esige quindi che l'evento educativo riaccada come relazione interpersonale che introduce al significato e al valore delle cose, alla scoperta di una realtà che esiste, ha una sua consistenza e merita che noi stabiliamo con essa un rapporto conoscitivo ed affettivo. Dunque ciò che permette che fioriscano nuove possibilità di formazione dell'umano convenienti sono incontri capaci di generare un ’attrattiva e una tensione. Solo gli insegnanti che sono catturati per primi dall'amore per ciò che comunicano, possono lasciare un segno negli altri. Le presenze capaci di generare una tensione sono presenze motivanti perché ancora interessate a ciò che insegnano e alle domande che propongono agli altri, interessate al destino proprio e altrui, capaci di paternità e perciò di lasciare il passo all'altro con pazienza pedagogica.

CAPITOLO 4: CONOSCERE LA MOTIVAZIONE. TRA DINAMICHE SCOLASTICHE E COSTRUTTI TEORICI

L'insegnante deve conoscere più approfonditamente le dinamiche della motivazione dal momento che è un aspetto trasversale dell'azione umana. La psicologia ha definito la motivazione come la spinta interiore che innesca, sostiene e indirizza tutti gli atti dell'uomo. La motivazione è un fenomeno complesso, dato dall'intreccio tra razionalità ed affettività. Infatti tutti i processi di istruzione scolastica e di esperienza dello studio sono inestricabilmente connessi al fenomeno affettivo. L’affectus è all'origine del processo

conoscitivo dell’intellectus e lo accompagna in tutto il suo svolgimento: di conseguenza l'educazione affettiva è parte integrante dell’educazione alla conoscenza. Nella scuola, da alcuni anni a questa parte, si parla diffusamente di sentimenti e affetti, motivazione e di interesse, di depressione e di aggressività generalmente interpretandoli come fattori di disturbo o elementi che riguardano in modo indiretto e marginale il lavoro dei docenti. Al contrario, emozioni, affetti, e passioni colorano e orientano l'agire, l'apprendere, il conoscere, il rapportarsi alle cose e a se stessi: non tenere conto vuol dire possedere una scarsa consapevolezza del fenomeno umano e della sua misteriosa ricchezza. Superando la concezione dell'affettività come elemento perturbatorio, possiamo riconoscere negli stati affettivi un'energia di regolazione, di segnalazione, di guida dei processi cognitivi, in particolare della memoria e del comportamento. Non è possibile conoscere alcunché senza coinvolgimento affettivo con ciò che viene conosciuto. L'intelligenza non vuole ridursi a una mera registrazione impersonale di dati, ma è sempre un’intelligenza affettiva. Per studiare, dunque, occorre uno sguardo in qualche misura caratterizzato da intelligenza e affezione: intelligenza come espressione della ragione, protesa a cogliere il dato e il nesso tra particolare e tutto e affezione come onda provocata dall'impatto con l'oggetto conosciuto. La motivazione, inoltre, parte sempre dalla percezione di un bisogno, dalla rappresentazione di una meta e dall'anticipazione di una serie di percorsi di raccordo tra i due. Perché la motivazione sia efficace è necessario distinguere tra motivazione intrinseca e motivazione estrinseca. Infatti ci sono compiti e attività piuttosto impegnativi verso i quali siamo più motivati ed altri invece meno impegnativi che svolgiamo con maggiore fatica. La motivazione intrinseca si configura come curiosità, interesse, spinta all'autodeterminazione. Berlyne la definisce curiosità epistemica, concepita come bisogno universale di conoscere e di apprendere, che si manifesta tramite l'esplorazione dell'ambiente, motivata solo dal desiderio di sapere e sentirsi competenti. La motivazione estrinseca appare meno forte e duratura e dipende da fattori esterni come premi, castighi , competizione, successo, approvazione sociale. Poiché la motivazione può indebolirsi, il mondo scolastico e quello familiare tendono a surrogare queste carenze della volontà individuale con moventi e motivi ricorrenti, ma non per questo educativamente meno discutibili. La pressione degli adulti prende spesso l'aspetto dell'esaltazione dello studio, della sua nobiltà ed eccellenza, proposta, però, in forme retoriche ed astratte senza quindi porre lo studio in relazione con i percorsi e progetti di vita dei ragazzi. Questa idealizzazione dello studio genera, al massimo, ossequio formale e rispetto, ma si dimostra incapace di muovere la persona. Una strategia motivazionale altrettanto improduttiva è quella che fa leva sul puro senso del dovere, senza dare ragioni concrete.

Questo approccio moralistico allo studio separa il rapporto tra conoscenza e desiderio, sacrificio e compimento, fatica e bellezza, con il risultato di una opposizione tra studio e vita. In famiglia poi vige il ricatto affettivo con il quale si chiede ai ragazzi studiare come dimostrazione d'affetto nei confronti dei genitori, per manifestare loro gratitudine per i sacrifici che compiono. In questo caso il risultato è quello di associare lo studio alla paura e alla necessità di senso. Tutte queste tipologie di motivazione non sono inefficaci, ma la loro efficacia non è profonda e duratura. La consapevolezza dell'importanza delle dimensioni affettive e motivazionali ha prodotto una vasta letteratura psicologica e pedagogica che tenta di chiarificare la natura della motivazione. La ricerca psicoanalitica situa la motivazione a livello inconscio dove le pulsioni sessuali e aggressive determinano i comportamenti. Il comportamentismo riconduce la motivazione al rapporto stimolo-risposta e pone il problema dell'influenza delle gratificazioni. Il cognitivismo mette in risalto il complesso intreccio che si realizza nella motivazione tra valori, aspettative, obiettivi, percezione di sé, percezione del compito ed equilibrio cognitivo. Il sociocognitivismo approfondisce il rapporto tra motivazione intrinseca, autostima, autoefficacia e attribuzione causale. Bandura dimostra che la motivazione è influenzata dalle convinzioni che l'individuo ha sul suo valore, le sue abilità, le sue competenze, gli obiettivi e le aspettative di successo o insuccesso, i sentimenti positivi o negativi che derivano dal processo di autovalutazione. La corrente umanista (rappresentata dagli studi di Maslow) sottolinea l’ampia sfera di bisogni che caratterizzano l'essere umano, stabilendo una gerarchia che conduce da quelli di base quelli superiori. La prospettiva socio culturale lega la motivazione al contesto sociale e culturale, che attribuisce senso alle attese e agli obiettivi individuali, mentre quella socio-relazionale richiama l'importanza della sinergia tra relazioni positive di fiducia e collaborazione. Secondo Boscolo, i risultati di questo cospicuo patrimonio di ricerca sembra aver inciso in maniera marginale sulla pratica didattica, almeno in Italia. Le ragioni di questa scarsa influenza sono essenzialmente due: da un lato, l'aggiornamento degli insegnanti ha privilegiato l'approfondimento degli aspetti cognitivi e la risposta a grandi urgenze quali quelle della disabilità; dall'altro, ci sono una serie di pregiudizi che influenzano negativamente la comprensione e la gestione della motiva...


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