Le poste in gioco dopo la morte di Cesare: il racconto polifonico di Appiano PDF

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Author Chiara Carsana
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Les sons du pouvoir dans les mondes anciens, 359-377 Le poste in gioco dopo la morte di Cesare : il racconto polifonico di Appiano Chiara CARSANA Università degli Studi di Pavia Leggendo il resoconto degli avvenimenti successivi alla morte di Cesare riportato da Appiano di Alessandria nel libro II d...


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Le poste in gioco dopo la morte di Cesare: il racconto polifonico di Appiano Chiara Carsana

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Tre punt i di vist a sull'imperialismo romano: Polibio, Diodoro e il Libro Africano di Appiano Chiara Carsana Cassio Dione e i sovversivi. La crisi della repubblica nei framment i della “St oria romana” (XXI-XXX), Mila… Gianpaolo Urso Arist okrat ia e demokrat ia in Appiano, in QS 82, 2015, pp. 201-217. Chiara d'Aloja

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Le poste in gioco dopo la morte di Cesare : il racconto polifonico di Appiano

Chiara CARSANA Università degli Studi di Pavia

Leggendo il resoconto degli avvenimenti successivi alla morte di Cesare riportato da Appiano di Alessandria nel libro II delle Guerre Civili, c’è un aspetto della costruzione e dello stile della narrazione che salta subito all’occhio, anche a chi si avvicini a questo testo per la prima volta : le vicende convulse di quei giorni di marzo del 44 a.C., a cui l’autore dà notevole spazio nell’economia generale del racconto1, sono riferite soprattutto attraverso la filigrana dei discorsi di coloro che vissero gli avvenimenti in prima persona : protagonisti, personaggi secondari, interi gruppi che corrispondono alle parti politiche chiamate in causa. Riscontriamo dunque, in questa sezione finale del libro II, una concentrazione di discorsi diretti ed indiretti che è la più alta di tutta la Romaiké Historia ; ad essa fanno da contrappunto le reazioni, espresse prevalentemente in termini sonori, dei gruppi che assistono e partecipano al dibattito politico in corso. Questo racconto può dunque a buon diritto essere definito polifonico, anche e soprattutto se confrontato con quello di altre tradizioni che ci sono pervenute2. Nel costruire il suo lungo racconto Appiano utilizzò certamente – anche se non esclusivamente – una fonte contemporanea e autoptica, con buone probabilità

1

Egli dedica al 15-20 marzo ben 31 capitoli su un totale di 148 riguardanti l’arco di un ventennio. Vedi in particolare Cassio Dione (44.23-33 ; 44.36-49), che riporta due lunghi discorsi diretti di Cicerone e Antonio, senza registrare altre voci tutt’altro che secondarie nel dibattito politico di quel breve periodo. 2

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Asinio Pollione3. I numerosi riferimenti ad aspetti contingenti al dibattito politico del tempo (in particolare al problema dei veterani in attesa di vedersi riconosciute le concessioni di terre in Italia attribuite loro da Cesare4) conferiscono ai discorsi pronunciati dagli esponenti di entrambi le parti una dimensione di concretezza che fa pensare ad un testimone cui stanno a cuore i problemi dell’Italia5. Il racconto è dunque tanto più interessante in quanto, in larga misura, attendibile. Il problema che mi pongo in questa sede è però di carattere storiografico, oltre che storico. Che funzione ha questo racconto polifonico all’interno del disegno complessivo della Romaiké Historia ? In quale misura esso è il risultato di una precisa scelta narrativa e storico-interpretativa attribuibile all’autore ? Per rispondere a tale domanda è necessario allargare la prospettiva ad uno sguardo d’insieme che abbracci tutta l’opera, allo scopo di verificare se sia possibile individuare un metodo di lavoro, e dunque delle scelte consapevoli, dietro il ricorso ai discorsi diretti e indiretti come pure all’accentuazione delle espressioni sonore di gruppi più estesi di persone. La ricorrenza dei discorsi è fenomeno riscontrabile in larga parte dell’opera di Appiano. Secondo Hahn (l’unico ad avere realizzato uno studio globale sul metodo di ricorso alle fonti seguito per l’insieme della Romaiké Historia)6, la loro particolare concentrazione in alcune sezioni sarebbe del tutto casuale e determinata dalle fonti che lo storico aveva a disposizione. Goukowsky ha avuto di recente il merito di riconoscere una maggiore autonomia agli interventi di Appiano in questo ambito : alle radici della predilezione per i discorsi sarebbe stata la formazione retorica dello storico, nonché la sua adesione ad un modello di storiografia tragica7. Personalmente condivido questo punto di vista, come pure la ricostruzione del retroterra culturale in cui Appiano si sarebbe formato nella sua giovinezza ; facente capo alla scuola del retore Teone, attivo ad Alessandria tra il 50 e il 100 d.C.8. Vorrei però provare a fare un passo avanti e cercare di dimostrare che le scelte di 3

Vedi GABBA 1956, p. 146-147, 231-233 ; WEINSTOCK 1971, p. 352 ; HAHN 1982, p. 262-265 ; MORGAN 2000, p. 54-60 ; CARSANA 2007, p. 21-23 ; GOUKOWSKY 2010, p. CIX-CXIII. 4 App. BC 2.119 [501] ; 2.120 [507] ; 2.133 [557]-134 [559] ; 2.139 [580]-141 [591]. 5 GABBA 1956, p. 146, 230. 6 HAHN 1982, p. 252-255 ; sui discorsi nelle Guerre Civili di Appiano, vedi anche GOWING 1992, p. 225-245. 7 GOUKOWSKY 2002, p. XXIII. 8 GOUKOWSKY 2002, p. XXIV-XXXVII.

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ordine stilistico e narrativo operate da Appiano trovano una loro motivazione nella costruzione del disegno generale dell’opera e nella visione politica che ne ha originato la stesura. Le sonorità polifoniche del racconto appianeo potrebbero rispondere, secondo la mia ipotesi, non solo a finalità di tipo estetico e all’adesione ad un modello storiografico, ma sottenderebbero un’interpretazione politica degli avvenimenti che lo storico propone e mette in evidenza per i suoi lettori, inserendola in un quadro « globale ». Se consideriamo la tabella riportata da Hahn in « Appian und seine Quellen »9, dove le varie sezioni della Romaiké Historia sono classificate in base alla frequenza dei discorsi che vi compaiono, possiamo notare che il libro II delle Guerre Civili (che risulta al primo posto) è seguito dal Libro Africano10. Questa è una delle parti dell’opera che, come nota Goukowsky, permette di apprezzare il talento letterario di Appiano11. Un confronto tra queste due sezioni della Romaiké Historia può consentire di individuare alcune scelte metodologiche generali operate dallo storico di Alessandria. Il Libro Africano è diviso in due parti (che corrispondono alla II e III guerra Punica), per ciascuna delle quali Appiano utilizza una varietà di fonti differenti ; esso tuttavia si configura come una narrazione storica omogenea, grazie all’abilità dell’autore, che riesce a fondere diverse tradizioni in un disegno unico, strutturato per nuclei di discorsi e dibattiti che intercalano le azioni militari, alle quali è dedicato uno spazio decisamente secondario12. La funzione di questa costruzione narrativa di impostazione drammatica è quella di marcare un tempo forte della vicenda delle guerre di conquista di Roma. Che la sconfitta di Cartagine rappresenti un punto di svolta fondamentale all’interno dell’iter espansionistico dell’impero romano che intende descrivere con la sua opera, Appiano lo sottolinea a chiusura della Libyké. Dopo il racconto della distruzione di Cartagine egli riporta le riflessioni di Scipione l’Emiliano citando esplicitamente lo storico Polibio (« Ecco ciò che scrive Polibio, che intese 9

HAHN 1982, p. 253. Dalla tabella di Hahn i discorsi diretti del Libro Africano risultano 16 (numero equivalente a quelli del libro III delle Guerre Civili). Se si tiene conto anche del discorsi indiretti, il numero si raddoppia (vedi Appendice, 1). 11 GOUKOWSKY 2002, p. XXIV. 12 Vedi Appendice, 1.

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personalmente queste parole »)13. La meditazione di Scipione, che piange sulle rovine della città, riguarda la caduta progressiva (μεταβολή) di popoli, città e imperi che risponde a una necessità storica (δεῖ) voluta dalla divinità (δαίμων)14. Il passo trova un preciso riscontro non solo nel proemio delle Storie di Polibio15, ma anche nella prefazione alla Romaiké Historia di Appiano stesso, il quale rielabora e personalizza l’originale polibiano16. La fine dell’impero di Cartagine risponde dunque, secondo Appiano, ad un disegno divino e comporta come conseguenza l’imporsi sempre più inarrestabile di Roma. L’inquietudine di Scipione lascia inoltre presagire che anche Roma avrebbe conosciuto, a sua volta, una fase di declino17. Lo storico di Alessandria evidenzia però nello stesso tempo, nel corso del Libro Africano, l’esistenza di altre cause, più umane e politiche, sottese alla caduta dell’impero di Cartagine e lo fa appunto attraverso i discorsi e le notazioni sonore. L’impianto dialogico del Libyké, scandito da una serie di discorsi diretti e indiretti, alcuni dei quali di notevole respiro, segnala anche un atteggiamento di autonomia rispetto alla fonte polibiana. Polibio infatti all’inizio del libro XXXVI, nel quale intraprende la narrazione della III guerra Punica, intende spiegare ai suoi lettori, a mo’ di dichiarazione di principio di metodo, perché non ha riportato i singoli discorsi pronunciati in quel periodo, come la maggior parte degli storici. « Infatti – egli aggiunge – non si addice agli storici esercitarsi a spese dei propri lettori e fare con loro sfoggio della propria abilità » ma bisogna far conoscere solo le cose più importanti e soprattutto gravide di conseguenze18. Viene ripresa in questa sede la polemica rivolta contro Timeo e una forma di storiografia di impostazione retorica e drammatica19. 13

App. Pun. 133 [631]. App. Pun. 132 [628-630]. 15 Plb. 1.2 ; 1.4. 16 La successione Assiri-Medi-Persiani-Macedoni, che compare identica nel proemio della Romaiké Historia (par. 9), è una libera ripresa di Plb. 1.2 ; ma soprattutto il termine δαίμων è tipicamente appianeo, laddove Polibio parla invece costantemente di τύχη, parola che compare 4 volte nel solo cap. 4 del proemio del libro I (le ricorrenze nell’intera opera sono innumerevoli) ; vedi GOUKOWSKY 2002, p. XCIIXCIII. 17 App. Pun. 132 [630]. Sulla teoria dell’anaciclosi nell’opera di Appiano, vedi GOUKOWSKY 2008, p. LII-LXIII. 18 Plb. 36.1. 19 Plb. 12.25a-b. 14

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Appiano fa invece una scelta diametralmente opposta e persegue esattamente ciò che Polibio dichiara di non voler fare. Segue dunque per larga parte della seconda sezione del Libyké una fonte alternativa a quella polibiana da cui deriva il contenuto dei numerosi discorsi riportati ; una fonte con buone probabilità contemporanea e autoptica, rispetto alla quale Polibio si poneva in atteggiamento polemico. Goukowsky avanza l’ipotesi suggestiva che possa trattarsi di Fannio, testimone oculare e cognato di Scipione l’Emiliano, il quale secondo la testimonianza di Cicerone (Brut. 21 [81]) nei suoi Annales riportava volentieri dei discorsi20. Questo ricorso ai discorsi da parte di Appiano ha la funzione di rimarcare che alle radici della debolezza di Cartagine sta la mancanza di concordia tra le parti politiche della città. È questo il filo conduttore che unifica e rende omogenea la narrazione degli avvenimenti della II e III guerra Punica all’interno del Libyké e che, nello stesso tempo, scandisce le fasi del conflitto tra Cartagine e Roma in terra d’Africa : la lacerazione di Cartagine, spaccata in due tra popolo e senato. All’interno di questo quadro i discorsi stanno ad esprimere le motivazioni del logos, della ragionevolezza dei senatori, cui si contrappone l’irrazionalità senza freno del popolo cartaginese. Significative sono a tale proposito, le parole di Asdrubale, che Appiano è l’unica delle fonti a noi pervenute a riportare. Subito dopo la sconfitta di Zama egli si rivolge a Scipione l’Africano implorando clemenza e fornendo la seguente giustificazione alla rottura degli accordi stipulati in precedenza tra Cartagine e Roma : « Voi non dovete condannare in blocco i Cartaginesi […]. Infatti le città si volgono facilmente al peggio ed è sempre ciò che procura piacere a dominare sulle masse (παρὰ τοῖς πλήθεσιν). Anche noi lo abbiamo sperimentato, poiché non siamo stati capaci di convincere la folla e di trattenerla a causa di coloro che qui ci calunniano, mentre presso di voi è stata loro sottratta la libertà di parola (παρὰ δ᾿ὑμῖν τὴν παρρησίαν ἀφῃρημένους) [...]. Non si può domandare a una folla indisciplinata (πλήθους ἀσυντάκτου) e in condizioni difficili di dar prova di ragionevolezza »21.

In questo passo mi sembra che sia evidente, sebbene solo implicito, un richiamo alla teoria polibiana dell’anaciclosi e, in particolare, al differente stadio evolutivo

20 21

GOUKOWSKY 2002, p. C-CI. App. Pun. 49 [216-220].

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delle costituzioni miste di Roma e Cartagine22. Per Asdrubale è la παρρησία, la libertà di parola, nella quale Polibio identifica la qualità essenziale della democrazia achea 23, la causa della debolezza di Cartagine. Questa παρρησία, è stata invece sottratta al popolo romano garantendo a Roma l’equilibrio politico-sociale e la concordia interna : è per questo che la costituzione mista romana pende più verso l’aristocrazia ed è ancora alla sua akmé, mentre la costituzione mista cartaginese vive già uno stadio di decadenza in cui a prevalere è l’elemento democratico24. Nel racconto appianeo del Libyké la παρρησία del popolo cartaginese ha una sua voce propria attraverso una serie di parole-chiave ricorrenti : rumori, grida, minacce che ne qualificano, sonoramente, l’irrazionalità. Il suo peso era stato determinante prima di Zama, quando il popolo aveva rifiutato di consentire all’armistizio negoziato tra Annibale e Scipione : « A Cartagine il senato (ἡ βουλή) accolse con gioia questo accordo e pregò il popolo (τὸν δῆµον) di attenersi alle decisioni prese […]. Ma quello reagendo come una massa disordinata (οἷον ὄχλος), immaginava sconsideratamente che i generali stringessero questi accordi con i Romani nel proprio interesse, al fine di potere, grazie a loro, dominare sulla loro patria (ἵνα δυναστεύσωσι τῆς πατρίδος) […]. Un clamore (βοῆς) accolse la proposta e l’agitazione e lo strepito (θορύβου) s’impadronirono dell’assemblea (τὴν ἐκκλησίαν) »25.

Da notare, oltre che le parole-chiave di dimensione sonora, la terminologia tecnica a cui fa ricorso Appiano per rappresentare il popolo di Cartagine : il δῆμος riunito in assemblea (ἐκκλησία), nel pieno dunque delle sue funzioni istituzionali, reagisce in realtà come un ὄχλος, termine che Polibio utilizza per definire la variante degenerata della democrazia26. Ai senatori si contrappone inoltre la variante negativa dei δυνάσται, termine con cui Appiano indica nelle Guerre Civili i capoparte della tarda repubblica27. Medesima è la dinamica interna che si verifica a Cartagine quando Asdrubale riferisce i termini delle durissime condizioni imposte dal vincitore Scipione : mentre gli ἄριστοι sono ancora una volta dell’avviso di accettare per non rischiare di perdere 22 23 24 25 26 27

Plb. 6.51. Plb. 2.42.3. Plb. 6.51. App. Pun. 28 [157-159]. Plb. 6.4.6 ; 6.4.10 ; 6.9.5-9. App. BC 1.2 [7] ; cf. App. Praef. 6.

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assolutamente tutto, il popolo riunito in assemblea – definito questa volta, sociologicamente, ἀγοραῖον πλῆθος28 – « non considerava il presente più terribile della perdita, così notevole, di ciò che avevano […] e, stringendosi intorno a ciascun magistrato, li minacciava tutti di mettere a sacco e poi di incendiare le loro dimore »29. Nella seconda parte del Libro Africano, che tratta della III guerra Punica, gli sviluppi del conflitto romano-cartaginese vengono presentati in un crescendo drammatico di dimensione ancor più tragicamente sonora. L’evoluzione della politica estera di Roma nella direzione di un imperialismo sempre più aggressivo trova voce in una serie di discorsi con cui si chiude la II guerra Punica e si apre il conflitto del 149 a.C.30. Sul versante cartaginese il discorso di Bannone, in risposta a quello del console romano Censorino, presenta la posizione dei notabili cartaginesi, anche in questa occasione desiderosi di trovare a tutti i costi un accordo con Roma31. Quella del piccolo popolo, ancora una volta in conflitto con l’aristocrazia, trova invece espressione nelle reazioni emotive alla comunicazione, da parte degli ambasciatori, dell’ultimatum imposto da Roma. Inizialmente popolo e senato manifestano il loro comune sgomento di fronte alla notizia attraverso una sorta di vero e proprio psicodramma sonoro fatto di grida e silenzi : « Gli ambasciatori riferirono prima l’ultimatum dei consoli ; e subito gli Anziani proruppero in esclamazioni (βοὴ τῆς γερουσίας) e il popolo all’ esterno gridava all’unisono con loro (ὁ δῆµος συνεβόα). Quando poi gli ambasciatori esposero tutte le obiezioni che avevano formulato […] e la loro richiesta di inviare un’ambasceria a Roma, un profondo silenzio regnò di nuovo tra i membri del Consiglio (τῆς βουλῆς σιγὴ βαθεῖα), che attendevano di conoscere la fine, e il popolo si associava al loro silenzio (ὁ δῆµος αὐτῇ συνεπιώπα) »32.

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Vedi discussione in GOUKOWSKY 2002, p. LXXXIII, nota 392. App. Pun. 55 [239-240]. 30 Vedi il dibattito in senato con cui si chiude la II Guerra Punica (App. Pun. 57 [246]-65 [289]) e i tre discorsi del console Censorino alla vigilia del conflitto finale nel 149 a.C. (App. Pun. 80 [371-373] ; 81 [378] ; 86 [404-422]). 31 App. Pun. 83 [386]-85 [403]. 32 App. Pun. 91 [431]. 29

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« Ma quando – continua il racconto di Appiano – (gli Anziani) seppero che non consentivano loro nemmeno di inviare un’ambasceria, ripresero a gridare forte lamentandosi (ἠλάλαξαν ἐξαίσιον ὀδυρόμενοι) e il popolo irruppe all’interno del senato. Da quel momento esso si abbandonò a comportamenti irrazionali e deliranti » che Appiano paragona a riti bacchici, facendo a pezzi i senatori e lapidando gli ambasciatori33. Nonostante il momento sia drammatico per tutte le parti sociali della città, la frattura politica interna si manifesta ancora una volta in tutta la sua ineluttabilità. Cartagine infine – prosegue Appiano – « era piena di lamenti, di manifestazioni collera e di paura, di minacce (οἰμωγῆς τε καὶ ἅμα καὶ ὁργῆς καὶ δέους καὶ ἀπειλῆς), e nelle strade la gente invocava ciò che aveva di più caro […]. Ciò che infiammava soprattutto la loro collera erano le madri degli ostaggi che, come delle Erinni uscite da una tragedia, avvicinavano le persone con grida acute (μετʼ ὀλολυγῆς) »34.

« Tutta questa sequenza è plausibile – commenta Goukowsky – ma il testo di Appiano non ha paralleli »35. Alcuni elementi sono derivati dal più sobrio Polibio36, che costituisce la base di partenza del racconto, ma la sua dimensione drammatica è notevolmente amplificata. Appiano ricostruisce dunque la storia delle guerre romane in Africa intrecciando con sapienza il materiale di diverse tradizioni37. Le sue scelte di stile valgono a rimarcare un momento di svolta fondamentale (il trionfo di Roma in Occidente e il suo graduale passaggio ad un imperialismo sempre più aggressivo), nonché il fattore che lo ha reso possibile : la mancanza di ὁμόνοια e il prevalere dell’elemento popolare che sbilancia in senso degenerativo la costituzione cartaginese. Gli stessi protagonisti dello scontro sono consapevoli del momento storico epocale ; in particolar modo Scipione l’Emiliano a chiusura del libro.

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App. Pun. 92 [432-433]. App. Pun. 92 [435-437]. 35 GOUKOWSKY 2002, p. 181. 36 Plb. 36.7.1-5. 37 Vedi GOUKOWSKY 2002, p. LXXXVII. Il comportamento irrazionale e poco dignitoso dei senatori cartaginesi sembra volutamente contrapposto a quello impassibile e composto del senato romano....


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