La vaghezza PDF

Title La vaghezza
Author Anonymous User
Course Semiotica
Institution Università per Stranieri di Siena
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Appunti sulla Vaghezza...


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LA VAGHEZZA – Una proprietà semiotica fondamentale Si tratta di una proprietà che intrattiene due legami con altre due proprietà semiotiche, ovvero l’arbitrarietà radicale e la creatività. Nell’ambito degli studi linguistici e semiotici, il riferimento per eccellenza rimangono ancora oggi gli studi di Tullio de Mauro che anche al di fuori del contesto italiano si è occupato di vaghezza. Partiamo da un testo del 1982 dal titolo “mini-semantica”. In questa opera la vaghezza viene definita da de Mauro come proprietà generalmente semiotica, non tipica esclusiva delle lingue storico-naturali ma che nelle lingue dà luogo ad effetti straordinari sia sul piano del significato che del significante. Nel guardare alla vaghezza come proprietà generalmente semiotica, rivoluziona fino al 1982 quanto si era detto di questa proprietà è più in generale della indeterminatezza della lingua, perché di questo si parlava e non di certo di vaghezza. Prima della “mini-semantica” l’interesse per la vaghezza o era assente perché per questa nozione mancava una riflessione puntuale e tutto rimaneva ancorato alla nozione di indeterminatezza oppure l’interesse per la vaghezza era relegato nella semantica classica dove la vaghezza era vista quasi sempre come un problema, come una caratteristica negativa che creava problemi all’interno degli eventi comunicativi. A una visione se non del tutto negativa, di certo limitata della vaghezza, certamente ha contribuito e continua a contribuire una lunga tradizione di studi filosofici che fai paradossi dell’antica Grecia in poi non solo ha guardato alla vaghezza relegandola tra le questioni del significato, ma l’ha anche vista come un problema che solleva quesiti di carattere fondazionale in diversi ambiti della filosofia, della logica, della filosofia del linguaggio, della metafisica e dell’epistemologia. Gli studi linguistici e gli studi di semiotica devono molto agli studi filosofici sulla vaghezza; studi che hanno portato ad elaborare 4 diverse teorie attorno a questa proprietà: 1- Del primo gruppo fanno parte le teorie classiche sulla vaghezza. Bertel Russel, 1923, le quali teorie considerano la realtà determinata. Questa determinatezza sarebbe indipendente dagli individui. Sarebbero invece le nostre pratiche modellate sui nostri bisogni d’interessi che donerebbero alle lingue plasticità ed apertura, caratteristiche da cui dipenderebbe il fenomeno “caratteristiche della vaghezza”. Una realtà di natura determinata che agendo sulle lingue determinerebbero per essere il fenomeno della vaghezza. 2- Accanto a queste teorie troviamo, in filosofia, le teorie non classiche della vaghezza, le quali vedono la realtà come una mappa di lacune dovute all’indeterminatezza nelle cose e dunque considerano la vaghezza come un effetto di tale condizione. 3- Appartengono le cosiddette teorie epistemiche di Timothy Williamson le quali teorie affermano che le uniche lacune risiederebbero nei limiti che ciascun individuo ha nel conoscere tutti gli aspetti caotici e non esaminabili del nostro uso linguistico, e dunque considerano la vaghezza un effetto di tale limite conoscitivo. 4- Teorie amniostiche elaborate da Rosenkranz, da Wright e altri autori che si sono occupati negli anni di vaghezza. Teorie secondo le quali la vaghezza non sarebbe dovuta alla natura della realtà o alla natura delle cose, non risiederebbe nella lingua, non sarebbe un problema di limiti conoscitivi, ma avrebbe origine sulla riflessione sulle nostre capacità conoscitive, su quello che sappiamo o meno di sapere. Torniamo a riflettere sull’insegnamento che de Mauro ci ha fornito: egli è il primo autore che colloca la vaghezza all’interno di una teoria generale dei segni senza rinunciare ad un’attenzione privilegiata al lato della semantica che è quasi un’attenzione naturale perché come è noto, la classificazione dei codici semiologici avviene in base alle modalità di organizzazione del significato. De Mauro nel libro riprende la classica definizione di vaghezza fornita da Peirce per il Dictionary of philosophy di Baldwing e la riformula come segue: un’espressione é vaga quando non possiamo decidere in base a considerazioni formali se è noto il referente, è nota l’espressione e se è applicabile sempre o non è applicabile mai al referente. Da questa definizione, de Mauro è arrivata alla sua definizione: la vaghezza è una condizione segnica, non soltanto semantica, dov’è essa è presente investe al pari significante e significato. Il segno, più che circoscrivere

con precisione una classe di segnali capace di indicare i sensi di una classe circoscritta con altrettanta precisione è lo strumento di un’attività allusiva, di un gioco orientato a stabilire un’intesa tra utenti perché con segnali tra loro assimilabili ci si rivolga e ci si avvii verso un gruppo di sensi. Più che un rapporto da classi viene a stabilirsi un rapporto tra una zona, un’area del contenuto e un’area dell’espressione. Da questa definizione possiamo cominciare ad indagare a che cosa si leghi la vaghezza come proprietà segnica. Il segno, come ricorda Saussure, è inteso come unità che è delimitazione della e nella materia morfa del suono e del pensiero. Una delimitazione che avviene in assenza di delimitazione materiale o individuale, una delimitazione che è arbitraria. La questione interessante da indagare è quello che lega la vaghezza come proprietà segnica e l’arbitrarietà radicale. La radicale arbitrarietà del segno - che alcuni autori come Donatella di Cesare ricorda - che sarebbe già presente in Aristotele che nel descrivere la relazione simbolica che lega fonicità materiale e contenuti impressi nell’anima che riproducono le cose designate e parla di convenire e in virtù di una tradizione sul significato comprendendolo, è forse il primo indizio della sua vaghezza? Sì. È una buona pista di analisi che la vaghezza segnica intrattiene con altre proprietà semiotiche. Sì per due motivi tra di loro strettamente collegati: 1 - il segno si costituisce come il ritaglio di quella che Saussure concepisce come amorfia linguistica delle idee prima della lingua. Di tale amorfia si sono occupati autori come David Gargani che fa riferimento al Corso di linguistica generale e all’idea di pensiero-suono che implica divisioni e per cui la lingua elabora le sue unità, le sue articolazioni costituendosi fra due masse amorfe. Questa amorfia con la lingua prende forma, ma forse mantiene l’indeterminatezza che dell’amorfia linguistica delle idee è impropria e che nella lingua si organizza come accoppiamento non di vere e proprie classi ma di insieme di famiglie i cui confini sembrano più dei non confini, ma contatti tra zone e aree del contenuto e dell’espressione che, come anche de Mauro sottolineava, mantengono dei confini aperti dove il segno non circoscrive classi ma è lo strumento di attività allusiva, di un gioco orientato a stabilire un’intesa tra utenti. Nessun segno, nessuna famiglia è definita da un criterio di appartenenza ma ciascuno dei suoi membri ha caratteristiche pertinenti comuni ad alcuni altri membri e altri comuni con altri ancora. Ciascuna famiglia può funzionare più o meno con incertezza non del tutto eliminabile sempre in relazione ad un certo uso del linguaggio da parte di un gruppo di parlanti, in riferimento alla loro specializzazione e in riferimento ad altre circostanze e al tempo. Pensare ai segni come classi e non come famiglie che condividiamo somiglianze ci può portare ad affermare che in un certo modo, la vaghezza che caratterizza ciascuna famiglia, trova la sua determinazione in relazione all’uso del codice per l’azione del tempo e della massa parlante. La lingua si configura così come un sistema aperto e dinamico del quale la massa parlante e il tempo costituiscono i fattori interni che ne bilanciano l’instabilità. Questo argomento può essere anche sviluppato leggendo Hjelmslev che nel 1943 ne I fondamenti della teoria del linguaggio raffigura la materia segnica come una mangiata di sabbia che può prendere diverse forme. In un’opera del 1956 si riferisce al linguaggio come a ciò che si colloca nella prospettiva del vago, del non marcati e non estensivo. Nella vaghezza segnica o sistemica di de Mauro c’è del Wittgenstein. Emilio Garroni, Creatività: pubblicato postumo con una prefazione di Paolo Virno in cui la riflessione sulla creatività sembra un po’ più estesa e forse potrebbe essere usata per rinforzare l’idea che la vaghezza sia una proprietà sistemica della lingua che riguarda tutte le zone del sistema, con zone rare di maggiore o minore evidenza. Garroni rintraccia in Chomsky l’unico tentativo sistematico di elaborare una teoria della creatività linguistica e in questa rilettura da parte di Garroni, tratta la creatività governata da regole e responsabile della loro mutazione come proprietà in continuo dialogo, quasi coincidente. Secondo Garroni non vi sarebbe cambiamento di regole se non nel corso della loro applicazione, ma non vi è allo stesso tempo applicazione di regole che non preveda il loro cambiamento. L’Unità di creatività governata da regole e di creatività che permette di infrangere le regole, viene giustificata da Garroni attraverso il ricorso al Giudizio riflettente di Kant che ha come

prerogativa di collegare insieme una molteplicità di fenomeni sensibili mediante il gioco immaginativo che congettura quali siano le regole e le unità di misura che si addicono a stati di cose contingenti o irripetibili. Attenzione al significante: L’idea che la vaghezza non riguardi solo la dimensione del significato ma anche l’altra faccia del segno, ovvero il significante. Albano Leoni ne parla denunciando la disattenzione alla vaghezza e alla variabilità del significante facendo discendere da ciò anche la scarsa attenzione di chi ascolta, considerata come un riflesso rispetto all’attività di chi parla. Di vaghezza segnica parla anche Miriam Voghera in un saggio del 2012 senza proporne un modello di analisi. Se ne occupano altri autori contemporanei come Cortez, Fiorenza, che si occupano in realtà di vaghezza intenzionale del parlato. Questa vaghezza la ritroviamo nel linguaggio pubblicitario. Annamaria Testa ha mostrato come sul versante del significante, l’espressione diverse producano effetti di senso diversi nel destinatario. Ultima osservazione che de Mauro fa riguardo la vaghezza, ovvero l’allargamento della vaghezza dalle lingue storico-naturali al linguaggio e ai codici non linguistici. De Mauro accenna questa idea nel saggio Che cos’è una lingua parlando di vaghezza del linguaggio dei gesti che nessuno poi approfondirà. Per de Mauro è comunque chiaro che la vaghezza non sia una proprietà specie-specifica ed esclusiva delle lingue storico-naturali, non essendo specifica del linguaggio verbale umano né essendo capace di distinguerlo da altre semiotiche. La vaghezza linguistica e i suoi effetti nel parlato e nello scritto di non nativi  Vaghezza delle lingue storico-naturali e gli effetti che essa determina nella loro dimensione scritta e parlata Didattica dell’italiano come L2: molto importante capire l’influenza della vaghezza di certi usi linguistici (scritti o orali) influenza i criteri di valutazione e la conseguente assegnazione del punteggio (scala ordinale). Nell’uso di tale scala, la presenza di parole, espressioni e costrutti devianti dalla norma e quindi non perfettamente aderenti ad essa o comunque non accettabili a livello di competenza in cui si colloca l’apprendente e le relative produzioni, rappresenta un dato che incide negativamente sull’attribuzione del punteggio. Miriam Voghera, linguista italiana> molti importanti studi condotti nel 1997 Edoardo Lombardi Vallauri, 2019> la lingua disonesta -

Osservazioni riguardanti l’italiano parlato da non-native speaker  lessico italiano utilizzato dagli stranieri, pubblicato per la prima volta nel 2005.

Vaghezza T. de Mauro la identifica come una proprietà semiotica, quindi del segno e del sistema (langue); anche M. Voghera condivide questa visione. E’ l’unica che si dedica alla vaghezza in modo esplicito. -

Vaghezza per la riflessione sugli impliciti (figlio di Vallauri)

VOGHERA> nel 1997, analizza vari fenomeni in relazione alla vaghezza (in primo luogo vaghezza semantica, del significato). 1. significati grammaticali (segmentali e non segmentali) interni al processo enunciativo sono più definiti e dunque meno vaghi dei significati lessicali (segmentati e indipendenti dal processo enunciativo). Ciò dimostra come il principio dell’intrinseca indeterminatezza del significato agirebbe in direzioni diverse del piano del contenuto (per i non-nativi la grammaticalità di una lingua rappresenta un ancoraggio molto forte);

2012-2017 Voghera analizza dei sintagmi capaci di indurre nella comunicazione incertezza e significato indeterminato - ossia sintagmi ad esempio contenenti dei numeri (quantificatori vaghi). ES. Giorgio è diciamo alto. (caso di vaghezza intenzionale, il parlante è consapevole e usa intenzionalmente degli elementi di vaghezza). Voghera propone una tripartizione della vaghezza intenzionale, inter-linguisticamente condivise e quindi presenti in più lingue (spagnolo, tedesco e italiano). Questa distinzione ci porta a delle riflessioni riguardanti la lingua dei non-nativi: 1. Vaghezza dell’informazione o del contenuto proposizionale i parlanti non hanno l’informazione necessaria e quindi ricorrono a questo tipo di costrutto. Ad esempio: A- Sai che lavoro fa Marco? B- Sai quelle cose moderne tipo marketing, roba del genere? Questa tipologia risulta molto presente nell’italiano dei non nativi, indipendentemente dal loro livello di competenza (maggiormente presente dal livello B in avanti e nel parlato rispetto allo scritto). Nel parlato dei primi livelli (A1-A2) la vaghezza dell’informazione è determinata dall’intervento collaborativo di chi somministra l’esame. 2. Vaghezza relazionale i parlanti la utilizzano quando non vogliono definire con precisione la relazione con ciò che dicono o scrivono, o con il loro interlocutore; in questo caso, il parlante sceglie la vaghezza di alcune informazioni anche per motivi di cortesia. Ad esempio: A- Verresti al cinema? B- Mhh, veramente sarebbe tardi. La vaghezza relazione si verifica soprattutto nei non-nativi aventi livelli di competenza linguistica autonoma (B), è presente nel parlato ed è valutata positivamente in quanto indice di competenza linguistica autonoma e quindi in grado di contribuire all’efficacia comunicativa. 3. Vaghezza del discorso i parlanti la usano per ragioni di economia enunciativa e testuali, ossia per ragioni che derivano dal discorso e dalla costruzione del testo; si tratta di una diluizione del contenuto, che ha bisogno di essere integrato con informazioni che derivano da altre fonti (ad es. fonti gestuali). E’ l’unica tipo di vaghezza che dà manifestazioni a livello di significante e sarebbe dovuta a ragioni di scarsa competenza nell’uso del codice. Vaghezza del discorso nell’italiano come L2 presente nella dimensione scritta e parlata, si manifesta in tutti i livelli di competenza (nelle forme della polisemia e della genericità; presente nel parlato dei livelli avanzati, dove spesso è accompagnato da gesti e generalmente valutata positivamente dal ‘valutatore’ poiché indice di fluidità. Lingua Disonesta – Vallauri V. analizza una serie di strategie linguistiche rappresentate da costrutti che nascondono al destinatario delle parti del messaggio che – se conosciute- lo indurrebbero a rifiutarlo. Si tratta di costrutti impliciti, con contenuti presupposto ovvio. Egli distingue tra impliciti del contenuto (onomatopee, uso di lingue diverse dall’italiano, implicature, vaghezza) e impliciti della responsabilità. In relazione alla vaghezza, V. fornisce diversi esempi. Secondo la Machetti, in questi casi la vaghezza non deve essere considerata un implicito del contenuto, bensì una condizione per la quale alcuni contenuti rimangono

impliciti (a volte così tanto impliciti che il ricorso al contesto non risulta utile al fine di ridurre la vaghezza). In questo caso, il destinatario è libero di decidere come interpretare il messaggio, mentre l’emittente quasi si ‘deresponsabilizza’ dal punto di vista del contenuto – diminuendo quindi le possibilità di contraddizione e ottenendo un maggiore effetto persuasivo ruolo fondamentale coperto dalla tendenza egocentrica del destinatario: cerca di interpretare il messaggio secondo il suo punto di vista. V. propone come esempi di vaghezza, anche dei costrutti che presentano uno stereotipo> esso guida l’attribuzione di senso alle espressioni linguistiche, restringendone il significato ma senza che tuto ve3nga esplicitato. Secondo Machetti> lo stereotipo può essere considerato come un costrutto che restringe la vaghezza, mantenendone tutte le sue potenzialità. Non influisce sulle diverse determinazioni, in relazione a un determinato tempo e a una determinata cultura. Esempio stereotipo dell’immigrato questo stereotipo continuerà a racchiudere nel tempo, i sensi che racchiude ora? M. pensa che la vaghezza debba essere considerata come condizione dell’implicito nelle produzioni dei nonnativi. Il contenuto implicito di determinati costrutti viene sanzionato da chi valuta, e la sanzione diventa più frequente a partire dai livelli di piena autonomia comunicativa poiché giudicata segnale di deficit e debolezza della competenza linguistica dell’apprendente; inoltre l’esplicitezza nello scritto e nel parlato, intesa come fornitura di dettagli e particolari, viene giudicata positivamente poiché segnale un buon livello di competenza linguistica e di conseguenza contribuisce all’efficacia della comunicazione. Inoltre nella valutazione, la vaghezza di determinati costrutti viene resa meno vaga dall’interlocutore, che è o un somministratore o un valutatore (vedere saggio Machetti 2011-12)....


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