L\'aula scolastica 2 - riassunto del libro PDF

Title L\'aula scolastica 2 - riassunto del libro
Course Progettazione e valutazione scolastica
Institution Università degli Studi di Genova
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riassunto del libro
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L’aula scolastica 2 – Parmigiani CAPITOLO I L’insegnante L’insegnante-maestro -maestro Originariamente il magister poteva essere il moderatore, governatore, prefetto… successivamente il termine fu ristretto a esperto in una scienza, aste o mestiere e, infine, a precettore o insegnante. “Insegnante” deriva da in e signare e vuol dire imprimere o fissare ma anche indicare, anche docente ha il significato di indicare o mostrare. Il professore invece vuol dire che professa, dichiara quindi insegna una disciplina o esercita un’arte nobile. In Italia il maestro è colui che si occupa dei bambini e lavora nella infanzia e nella primaria. Il professore è esperto di una disciplina e quindi lavora in un grado più alto (scuola secondaria). Il termine docente è condiviso tra scuola secondaria e università. L’insegnante li raduna tutti e identifica chi si occupa dell’educazione formale dei bambini e dei giovani. C’è una sorta di carriera e rilevanza sociale: il maestro arriva per primo e si occupa dell’educazione fondamentale e si deve occupare di molti aspetti relativa alla conoscenza e all’educazione. Il professore che arriva dopo si focalizza su una o più discipline specifiche. Il docente universitario inquadra e si concentra su aspetti particolari delle discipline. Questo movimento di progressiva focalizzazione da un lato educativo rischia di frammentare il sapere stesso e di causare una sorta di magma conoscitivo da cui ricavare un sapere unitario. Mentre dl lato del sapere c’è una crescente specializzazione scientifica. Alla specializzazione scientifica si accosta la specializzazione professionale, perciò un docente universitario viene percepito socialmente più importante del professore della secondaria e ancora di più rispetto a quello della scuola primaria, è più facile che da maestri diventino professori che il contrario. Tali percezioni sociali sono assonanze culturali che nascono e dalla storia del paese in cui si sviluppano. Gli insegnanti vengono percepiti in modo diverso in ogni paese tuttavia tutti i vocaboli che designano l’insegnante hanno in comune il fatto che l’insegnante indica una strada, accompagna, professa, dichiara. Ha un ruolo riconosciuto pubblicamente. La professione dell’insegnante non si limita e non può rinchiudersi in un ambiente unico (l’aula). Parte da lì e poi si amplia attraverso i progetti, i contatti con le famiglie, i tablet, i media, si connette con la società. L’apprendimento si è allargato e la strada per un riconoscimento di una nuova professione docente passa dalla capacità dell’insegante di agire un contesto (aula) che riassume in sé altri contesti. L’aula è il paradigma dell’agire educativo fra l’individuo e la società. Il maestro, a qualunque livello o ambiente, ha un ruolo importante. Deve aiutare gli alunni a leggere la realtà, a viverla, ad assaporarla, a entrare in contatto con essa. Per il maestro la difficolta è riuscire a fa ri-assumere (assumere di nuovo) al termine studiare il suo significato originario, quello di un’azione vòlta a rendere intellegibile e interpretabile la realtà. Le competenze necessarie per fare ciò sono tra le pieghe delle discipline, non sono immediatamente visibili. Per Bruni (ex- professore, Scialla) le competenze rappresentano la freddezza e l’aridità del sapere (superficiale e ripetitivo saper fare). Per Parmigiani invece le competenze vengono intese come la capacità di orchestrare le proprie risorse per affrontare situazioni sfidanti e quindi l’idea di sapere cambia completamente. Il centro dell’azione dello “studiare” è l’individuo che, in relazione con altri individui, osserva la realtà e la misura, le legge, la interpreta, la modifica. Le competenze diventano il motore per riflettere, agire e costruire la realtà, da soli e don gli altri. La scuola ha bisogno di maestri che sappiano la separazione e la dicotomia fra saperi formali e informali, fra saperi disciplinari e trasversali, fra saperi monumento ed evento (Maragliano), fra saperi

che hanno raggiunto una loro stabilità (saperi scolastici) i saperi dinamici e fluidi (tipici della società e della rete). L’insegnante cche he inse insegna gna e impara Accanto all’impulso motivazionale, assolutamente necessario per fondare il cambiamento e l’innovazione, deve trovarsi lo studio e la ricerca. Questo evidenza che nella scuola ci sono diversi tipi di doventi similari: da un lato, un idealismo illimitato (desideroso di cambiare, vuole coinvolgere i colleghi e non lascia indietro nessun alunno) e, dall’altro, acquiescenza inamovibile (è amareggiato, avvilito e frustrato e, almeno inizialmente, ritiene di non potere dare nulla ai suoi allievi). Entrambe le posizioni hanno dei limiti. Nella seconda posizione i limiti sono evidenti, nella pima il rischio è che gli insegnanti portatori di innovazioni molto avanzate, non riescano a cambiare il sistema proprio perché l’innovazione non scaturisce dal basso quindi non viene condivisa da un numero consistente di docenti. Le best practices riescono ad incidere sul sistema-scuola quando si diffondono per osmosi, da insegnante a insegnante. È necessario collegare la scuola a ciò che avviene nell’aula, per trasformare le iniziative degli insegnanti in modelli condivisibili e trasferibili. Ciò avviene quando le decisioni prese in aula si propagano attraverso alcuni passaggi come: la gestazione dell’idea, la formalizzazione progettuale, la sperimentazione euristica, la sperimentazione diffusa e la modellizzazione metodologica. Quindi i protagonisti delle innovazioni sono gli insegnanti, quelli che cambiano lentamente ma profondamente la scuola poiché tendono a essere persistenti cioè coerenti e continui. Individuano una o più strategie e le portano avanti con continuità e assiduità. Questo può avvenire anche in senso negativo (strategie stantie e inadatte). Stanford model che fonda la tecnica del microteaching fondata su sulla sequenza plan, teach, observe, re-plan, re-teach an re-observe. Secondo questa tecnica si può sperimentare effettivamente nuove strategie didattiche, quando ha la possibilità di seguire un percorso che gli consenta di progettare, agire e riflettere su ciò che è avvenuto in classe, attraverso feed-back provenienti dagli alunni, dai colleghi e da se stesso. La variabilità che c’è dentro un’aula è molto alta perciò è necessario che l’insegnante sperimenti le strategie didattiche nel contesto e su se stesso, in quanto anch’egli sta testando le sue capacità nel condurre la strategia. Il microteaching cresce in parallelo con il microlearning e il microcontent, per gli alunni è sempre più importante ragionare in termini di piccole unità di sapere, veicolate da brevi attività, in modo da poter ricevere molteplici feed-back e innescare attività incentrate su valutazioni formative. L’insegn L’insegnante ante che impara speriment sperimentando ando e fac facendo endo ricerca La formazione permanente dei docenti inizialmente era un’autoformazione: visto che tutte le discipline si evolvono, devo continuare a studiare per stare al passo con i tempi. Tutti gli insegnanti ne hanno bisogno, per alcune discipline e ordini scolastici l’evento scatenante è rappresentato dalla necessità di avere informazioni più aggiornate. Per altre discipline e ordini scolastici (primaria e infanzia) l’esigenza nasce dall’urgenza di gestire l’ambiente di apprendimento in modo più efficiente e efficace. In entrambi i casi bisogna partire dalle situazioni che avvengono in classe, in aula in modo dinamico. Le questioni didattiche nascono da ciò che avviene in classe e sollecita alcune domande: conosco ciò che devo insegnare? Riuscirò a mediarlo in modo efficace? Conosco sufficienti strategie didattiche per gestire la classe e i singoli alunni, in modo che gli apprendimenti possano svilupparsi? Tali quesiti percorrono la vita professionale di tutti gli insegnanti e per questo le pratiche di formazione

dovrebbero cercare una risposta soddisfacente che consenta agli insegnanti di affrontare le legate all’aula scolastica che si espande ad altri contesti: istituto, stage, comune, museo, territorio… Nasce la necessità di agire con modelli diversi per la formazione in servizio, basati sull’alternanza e ricorsività di teoria, pratica e riflessione sulla pratica. La mera presentazione di tematiche didattiche lascia al singolo docente l’onere dell’esperienza in classe con la mancanza di riflessione esplicita e confronto con i colleghi. L’insegnante impara sperimentando e facendo ricerca quindi deve poter affrontare problematiche e questioni didattiche che nascono dalla classe (approccio della ricerca-azione), da coniugare ad eventi e sviluppi formativi pe l’insegnante stesso (approccio della ricerca-formazione). Imparare fra aazione, zione, formazione e coll collaborazione aborazione La ricerca-azione Lewin nel 1946 è il primo a parlare di Action Research come modalità di indagine connessa all’azione, progressivamente si consolida il modello che prevede un’azione sul campo, l’autocritica riflessiva r la valutazione dei risultati. Gli obiettivi devono essere raggiungibili nel breve termine in modo da organizzare un intervento efficace. La ricerca-azione passa da diversi ambiti per arrivare a quello educativo e in particolare a quello scolastico. L’insegnamento viene visto come una pratica sociale che ha bisogno dina molteplicità di e attori al fine di analizzare le questioni didattiche e trovare delle risposte soddisfacenti. Il tempo dell’azione viene visto come un momento di conoscenza, che deve essere ripreso in una fase riflessiva, per capire quale strada educativa sia più efficace. Le conoscenze pratiche e teoriche rimbalzano continuamente tra loro per leggere, interpretare, comprendere e affrontare il problema. Negli anni ottanta la ricerca-azione viene declinata in maniera specifica per la formazione degli insegnanti in tre fasi principali: l’analisi del problema, la definizione di un percorso di ricerca, la raccolta di dati per verificare se il problema siano state effettivamente affrontate e le strategie adottate siano funzionali. L’insegnante ha un doppio ruolo, compreso tra fare ricerca e essere in ricerca. Essere in ricerca implica un lavoro, un una disposizione e un’accettazione personali, tuttavia per fare ricerca l’insegnane ha necessità di sviluppare conoscenze metodologiche, sistematicità nella raccolta dei dati e una riflessione critica nei percorsi e sui dati. Questi due poli costringono l’insegnante a rivelare il rapporto fra il sé personale e il sé professionale. La sua professione insiste e implica azioni connesse a valori e credenze, conseguentemente i due sé sono strettamente correlati ed è difficile distinguerli. Il ricercatore-formatore deve rimarcare l’importanza della capacità di riflessione , di saper collegare teoria e pratica, gestire una valida raccolta di dati e applicare strategie all’interno di processi operativi. Anche se non ha mai fatto una vera ricerca, l’insegnante sviluppa una euristica (raccoglie i dati dell’ambiente di apprendimento e li immagazzina in modo più p meno consapevole), da cui attinge nel momento in cui deve descrive il comportamento di un alunno. Questi dati non possono rappresentare la base per una ricerca (non sono raccolti secondo una metodologia precisa ed affidabile) però sono fondamentali nello sviluppare l’esperienza professionale. L’insegnante sviluppa sensazioni didattiche che progressivamente riesce a comprendere meglio ciò che accade nell’ambiente di apprendimento, deve coniugare il lato euristico (dell’insegnante) con quello empirico (del ricercatore) per valorizzarli nei rispettivi contesti. Barbier ha individuato delle parole-chiave che l’insegnante deve sviluppare in rapporto alla ricercaazione: - Ascolto sensibile: il ricercatore ascolta le osservazioni euristiche dell’insegnante; - Ricercatore collettivo: un cercatore si relaziona a più soggetti che cercano e osservano la stesa situazione;

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Negoziazione: si osserva e si modifica la ricerca progressivamente; Cambiamento: sia come soluzione sia come possibilità che gli attori hanno di proporre la loro riflessione e visione; - Processo: cammino di apprendimento; - Autorizzazione: assunzione d responsabilità per il proprio sviluppo. Per rendere visibile questo sviluppo si posso usare diverse tecniche, di solito si usano diari sia narrativi, raccontano ciò che avviene, sia di ricerca, centrati sulla raccolta di dati. La ricerca-azione si sviluppa definitivamente nella scuola negli anni ’90 grazie a Scurati e Zanniello. Individuano diverse fasi: individuazione del problema, diagnosi, verifica e revisione della diagnosi, generazione di strategie di azione, raccolta di dati sulle strategie attivate in classe. Tuttavia la ricerca-azione implica l’utilizzo di molte risorse e ha alcuni limiti nella metodologia di raccolta delle informazioni e del disegno di ricerca perché si utilizzano molti strumenti diversi in contesti eterogenei e variegati. Infine è importante modulare continuamente l’interazione fra ricercatori e insegnanti, se no si irrigidisce. La ricerca-formazione e la ricerca-collaborativa Per contenere i limiti della ricerca-azione e orientare le pratiche di ricerca verso la formazione degli insegnanti si sono sviluppate negli anni le prospettive di ricerca-formazione e quella collaborativa. Tutte e tre le procedure hanno in comune la centralità della prassi e della la analisi-riflessione. La ricerca-formazione e quella collaborativa hanno un metaobiettivo diverso. La ricerca-azione vuol far si che gli insegnanti si riapproprino della propria pratica e quindi hanno bisogno di sviluppare delle abilità di ricerca. Sostiene un processo di autosviluppo e autoconsapevolezza. La ricerca-formazione e quella collaborativa partono da un interrogativo per sviluppare un sapere collettivo per tramettere i risultati dalla classe alla scuola. La formazione è il nucleo che funge da congiunzione tra le rappresentazioni concettuali e le pratiche nei contesti educativi. La ricerca-collaborativa nasce negli anni ’70 ma si definisce negli anni ’90, il suo scopo è fare in modo che i saperi teorici e i saperi pratici coagulino. Nella ricerca-collaborativa i ruoli del ricercatore e dell’insegnante restano distinti ma ci sono modalità di partecipazione per consentire dialoghi intensi per lo scambio reciproco di expertise. L’obiettivo che guida gli insegnanti in questa ricerca è come agire in modo più efficace per migliorare il proprio insegnamento, mentre, per i ricercatori, l’intento è individuar le occorrenze per costruire modelli replicabili. Le tappe della ricerca-collaborativa sono tre: co-situare, dove gli attori decidono l’obbiettivo interessante da analizzare; co-operare, dove vengono decise le modalità; co-produrre, dove s analizzano i dati a seconda della chiave di lettura. L’insegnante riporta la propria esperienza e il ricercatore lo supporta nella restituzione (postura restitutiva). Il ricercatore analizza i dati quantitativi e/o qualitativi (postura analitica). La ricerca-collaborativa ha dei limiti tra cui la necessità di investire molto tempo e raccogliere dati in maniera scientifica e restituire uno spessore sia agli insegnanti che ai ricercatoti. La formazione partecipata La paradigma centrale delle riflessioni precedenti si rifà alla formazione partecipata. È importante che nei processi formativi venga restituita la centralità alle persone (gli insegnanti). Gli insegnanti sono portatori di bisogni e competenze sviluppate nel coro degli anni di lavoro e sono attivando questi sviluppi pregressi la formazione può avere successo. Il modello partecipativo nasce negli anni ’50 ma si è diffusa in Europa negli anni ’80. Questa prospettiva si fonda su un percorso di co-progettazione e co-valutazione. Il formatore (il ricercatore) porta uno o più processi innovativi che sono stati identificati come bisogni all’interno della scuola. La

scuola contatta il ricercatore che prepara una bozza da presentare agli insegnanti, i quali discutono le modalità di realizzazione. Per far si che gli insegnanti sperimentino didattiche innovative e cambino l’ambiente di apprendimento, i ricercatori devono discutere con loro e far esprimere agli insegnanti le proprie idee, le sensazioni e le loro osservazioni euristiche. Perciò è importante che ci sia un movimento di condivisione circolare tra gli attori. In questo modo l’intervento formativo è più consapevole poiché nasce dalla pratica e dalla riflessione sulla pratica degli attori coinvolti, generando una logica di empowerment (processo di crescita dell’individuo e del gruppo, che sostiene lo sviluppo della propria autostima e senso di autoefficacia). Da un punto di vista metodologico è opportuno adottare tecniche e strategie formative spirate al costruttivismo temperato che assicurano partecipazione e collaborazione ma consentono anche di seguire criteri guidati da rigore metodologico, per far si che i dati siano confrontabili e affidabili. L’approccio della formazione partecipata si situa fra l’evidence based education (si preoccupa delle iniziative educative e didattiche che si fondano su evidenze, dati che verificano la validità della strategia didattica) e il teacher thinking (si fonda sulle pratiche degli insegnanti). La formazione partecipata cerca di mediare fra queste due esigenze, entrambe fondamentali per strutturare processi di innovazione significativi e strutturati. Apprendere nelle organizzazioni La formazione partecipata è strettamente legata all’apprendere in una organizzazione. La scuola è un’organizzazione che cresce, si modifica, altera fasi d stagnazione e innovazione. In queste dinamiche l’insegnante è fondamentale in quanto apprende, fa apprendere e genera conoscenza organizzativa, perciò le esperienze e le scoperte, degli insegnanti hanno la possibilità di diventare un patrimonio comune dell’organizzazione-scuola che le codifica sotto forma di norme se condivise e adottate dai colleghi. Lo scopo della formazione e dell’intervento dei ricercatori è quello di favorire processi per portare la scuola ad essere un learning organization (organizzazione che apprende). L’insegnante non percepisce più l’innovazione tramite un movimento top-down proveniente dall’alto, ma un bottom-up proveniente dalle azioni sul campo in classe. La scuola (organizzazione) apprende a condizione che anche gli insegnanti che la compongono apprendano; apprendimento organizzativo e sviluppo professionale rappresentano due facce della stessa medaglia, dimensione organizzativa e personale sono complementari. Il nucleo dell’apprendimento organizzativo è rappresentano da una competenza ad agire che cortocircuita fare e pensiero generativo che genera nuove esperienze didattiche. Lo sviluppo organizzativo diventa espressione di scelta di realizzazione progettuale educativa collegiale. Pratiche riflessive ovvero l’apprendimento adulto La consapevolezza e la riflessione sulle azioni didattiche rappresentino le core-competencies della professione docente. L’apprendimento va considerato al plurale ovvero come apprendimenti. Perciò è necessario considerare i diversi saperi dell’insegnante per considerare la crescita e lo sviluppo professionale. Altet indica i diversi saperi dell’insegnante: - I saperi da insegnare: le discipline; - I saperi per insegnare: derivano dalla ricerca metodologica-didattica; - I saperi sull’insegnamento: rappresentano modalità peculiari e pragmatiche nate dall’azione didattica; - I saperi della pratica: definiscono le credenze degli insegnanti e sono inespressi quindi difficili da individuare e far emergere.

È importante fare in modo che i processi formativi siano finalizzati ad una efficace interazione fra i saperi attraverso la riflessione. Magnoler riporta la distinzione di Mezirow fra le persone che sono in grado di riflettere sulla pratica e quelle che non lo sono. Il non-riflessivo osserva in modo occasionale e non riesce a capitalizzare. Perciò la riflessione risulta essere un processo di ricerca personale e comunitaria, è necessario connettere le pratiche alle rappresentazioni concettuali per far avviare una co-esplicitazione (far emergere le esplicitazioni insieme). Vinatier propone alcuni passi per realizzare la co-esplicitazione: l’insegnante propone una situazione didattica e la analizza; i colleghi propongono situazioni similari e alimentano la discussione; il ricercatore registra tutto e invia il materiale agli inseg...


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