L\'epoca delle passioni tristi- riassunto PDF

Title L\'epoca delle passioni tristi- riassunto
Author Deborah Riviera
Course Pedagogia interculturale
Institution Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Pages 6
File Size 155.9 KB
File Type PDF
Total Downloads 87
Total Views 126

Summary

Sintesi completa e dettagliata del volume "L'epoca delle passioni tristi"...


Description

L’EPOCA DELLE PASSIONI TRISTI Autori: Miguel Benasayag  è argentino ma vive a Parigi da molti anni, è filosofo e psicoanalista; Gérard Schmit  è psicoanalista e terapeuta della famiglia, è professore di psichiatria infantile e dell’adolescenza presso la facoltà di medicina di Reims.

Periodo: primi anni 2000. Intro Le caratteristiche della relazione psichiatrica sono parola e ascolto. L’obiettivo è comprendere i problemi e proporre spunti di riflessione sul cambiamento sia quantitativo (ampiezza) sia qualitativo (contenuto), costituito dall’accoglienza della tristezza psichica e dell’angoscia della popolazione. Tutte le situazioni generano sofferenza e il fatto di vivere un costante sentimento di crisi produce sofferenze psichiche, ma ciò non significa che l’origine del problema sia psicologica; bensì per questa nuova forma di sofferenza sono nati i “tecnici della sofferenza”. La novità di oggi è la “crisi nella crisi”  metafora della barca: la persona che soffre (crisi) è in una situazione che assomiglia a quella di una barca che, lasciato il porto, si ritrova in messo a una burrasca (nella crisi)  gli psicologi stabilizzano la crisi, percepita come insormontabile perché è una condizione permanente, ma non si sottraggono al fatto di sapere di non sapere, anche perché l’atto terapeutico vero è il dichiarare, anzitutto, le proprie difficoltà, dubbi, ecc… Avviso al lettore: il loro intento è la riflessione critica, si propongono di indagare la sfera psicologica sottolineando i loro limiti, le mancanze, i problemi del quotidiano, ecc… Gramsci dice: “occorre saper conciliare l’ottimismo della volontà con il pessimismo della ragione”  essi intendono sviluppare, con esso, una prassi governata da passioni gioiose per contrastare le passioni tristi.

Capitolo 1 – La crisi nella crisi La crisi individuale, psicologica, risulta inscritta in una crisi più generale, che è oggetto di studio di molti sociologi, antropologi, filosofi, ecc… si potrebbe parlare della fine della modernità o del venir meno dello storicismo teologico e cioè della speranza di un futuro migliore e inalterabile. Importante nella crisi contemporanea è il modo in cui l’uomo percepisce il suo tempo, concezione segnata dal fenomeno detto “cambiamento di segno del futuro”. Il futuro non è solo ciò che ci capiterà domani, ma è ciò che ci distacca dal presente, è un concetto, che nelle epoche passate era visto in modo molto positivo: l’uomo era considerato un progetto “in fieri” e si parlava di “non ancora” nel senso che non aveva ancora acquisito la conoscenza di tutte le leggi appartenenti solo a Dio, ma che sarebbero state sue; il futuro era una promessa. Però, la lunga lista delle minacce sociali ha portato l’uomo a guardare al futuro con sfiducia e negatività come se perfino evitare l’infelicità (di cui parlava Freud) fosse impossibile, passando a una visione di futuro come minaccia. Oggi si assiste a un paradosso infernale: le tecnoscienze progrediscono nella conoscenza del reale gettando l’umo contemporaneamente in una forma di ignoranza, che lo rende incapace di far fronte all’infelicità e ai problemi che lo minacciano. Spinoza parlava di “passioni tristi”, espressione con la quale si riferiva all’impotenza e alla disgregazione dell’epoca: l’uomo si deve confrontare contemporaneamente con il progresso delle scienze, la perdita di fiducia e la delusione nei suoi confronti, poiché le scienze sembrano non contribuire più alla sua felicità. Lo sviluppo non gli ha fornito quel sapere onnipotente tanto sperato, che gli permettesse di governare il divenire e la natura, gettandolo in una completa incertezza, che non è sinonimo di fallimento, bensì consente lo sviluppo di una molteplicità di forme non deterministiche di razionalità. Resta, tuttavia una certezza: la tristezza si può superare, e ciò dà la forza all’uomo di guardare al futuro. Nel corso del tempo si è, quindi, passati da una visione dell’uomo come dominatore della storia a quella dell’uomo succube degli avvenimento del mondo esterno. In passato, infatti, il rapporto con le tecniche era più intimo, nel senso che se ne conosceva perfettamente il funzionamento, oggi, invece, ci si limita ad azionare pulsanti. L’uomo, da un lato, ha bisogno delle scienze perché gli forniscono le tecniche che creano comodità, ma dall’altro soffre per la sua ignoranza (semplice rapporto di esteriorità assoluta) e si sente dominato da oscurità e incertezza.

Capitolo 2- Crisi dell’autorità 1

Uno dei sintomi più significativi della crisi è la contestazione del principio di autorità. L’essere adulto non è più sufficiente a garantire una certa posizione di autorità agli occhi dei giovani. I genitori e i professori si sentono sempre in dovere di giustificare le loro proposte in nome del rispetto della libertà individuale. In questo modo creano delle relazioni simmetriche coi ragazzi, che possono, quindi, scegliere se accettare o meno quello che gli viene proposto, ma ciò allontana gli adulti dai bisogni affettivi dei giovani e priva questi ultimi di un’azione contenitiva, lasciandoli soli di fronte alle loro pulsioni. Questa situazione apre la strada a varie forme di autoritarismo: la coercizione (ordine, autorità) e il seduzionismo commerciale (giovani come clienti). Quindi nel principio di autorità entrambi i soggetti devono sottostare alla legge che agisce per il bene comune e che investe l’adulto di autorità pienamente riconosciuta; mentre nell’autoritarismo l’adulto si impone sull’altro con la forza. Quando si parla di crisi ci si riferisce proprio alla crisi della relazione tra i due soggetti. Gli ideali della nostra società sono cambiati e ha preso piede la serialità in cui la sola autorità e le sole gerarchie accettate sono determinate dal successo personale nel mondo economico; e in un mondo di questo tipo, le relazioni interpersonali sono strutturate secondo criteri di utilità in termini di produzione di profitti e potere. L’etnologa Françoise Héritier spiega il funzionamento del principio di autorità a partire dal binomio coppia-anteriorità, in cui l’anteriorità sono gli anziani che hanno autorità, perché grazia alla loro grande esperienza sono investiti del compito di trasmissione culturale; ma oggi questo binomio è andato affievolendosi, considerando sempre di più gli anziani come un peso. Questa realtà di crisi costituisce un’atmosfera esistenziale, nella quale si sviluppa un’escalation della violenza che, sempre più, impedisce agli insegnanti di educare i giovani. A questo punto è bene chiedersi se ci si trova di fronte a un cado puramente clinico o se bisogna tenere conto anche di altri elementi. Come corollario della crisi di autorità emerge in molti giovani la difficoltà di fare proprio il principio di realtà. Un ragazzo in difficoltà non si considera tale, ma pensa in modo positivo al futuro e di non finire a guadagnare una sciocchezza come gli adulti che lo circondano. Questo perché l’unico mito di oggi è l’economicismo. Lo psicoterapeuta, quindi, deve rianalizzare continuamente la realtà per far bene il suo lavoro, ad esempio non può semplicemente constatare che l’adolescenza si è allungata. In effetti, la cosa non è così semplice: non è l’adolescenza ad essersi allungata, ma la società che non fornisce più la dimensione adatta dove esaurire la crisi di questo periodo della vita. Di solito, infatti, l’adolescenza finisce quando il ragazzo smette di essere figlio e diventa a tutti gli effetti un membro della società con il potere di contestare le norme. Paradossalmente in questo modo si riconferma il principio di autorità perché le norme sono messe in discussione in nome del bene della comunità. All’interno della realtà familiare le trasgressione e i richiami all’ordine sono normali nel processo educativo, ma trasferite nei quartieri diventano reati punibili con la legge, e ciò scatena un circolo vizioso che incita a fare dell’insicurezza l’asse delle proposte politiche. Quindi, non è vero che l’adolescenza si è allungata, il fatto è che la crisi personale si scontra con quella della società. Allora, nell’epoca attuale per gli psicoanalisti, non si tratta di oltrepassare i limiti della professione, ma al contrario di assumere il loro ruolo fino in fondo per essere davvero all’altezza delle richieste e della sofferenza dei pazienti.

Capitolo 3 – Dal desiderio alla minaccia Tutta la cultura moderna occidentale si è fondata su una credenza fondamentale: il futuro era promesso; ma questa promessa non è stata mantenuta. Ecco perché la crisi attuale è diversa da tutte le altre che l’Occidente ha superato: si tratta di una crisi dei fondamenti stessi della nostra civiltà. Nella società l’educazione, la trasmissione dei valori e dei principi che assicurano la continuità di una cultura si basano sulla riproduzione e sulla trasmissione dei suoi miti fondanti. Così, nella cultura occidentale, educare significava condurre l’altro verso il desiderio e la promessa del futuro, ma al giorno d’oggi le istituzioni deputate all’educazione agiscono come se non ci fosse nessuna crisi e, quindi, c’è stato un passaggio dal desiderio alla minaccia; si è dimenticato quale fosse, secondo Freud, il fondamento dell’educazione. Freud lo spiega attraverso il concetto di sublimazione della libido: il ragazzo accetta di negoziare parte della sua libido (energia vitale) passando così da una posizione autocentrata o libido narcisistica a una preoccupazione/attenzione verso il mondo esterno o libido oggettuale. È il desiderio il fondamento stesso dell’apprendimento, infatti secondo il concetto di libido epistemofilica il bambino ha capacità di aver desiderio, di imparare e di consacrare una parte della sua libido agli oggetti del mondo. Il desiderio ha la capacità di porre in relazione e creare legami che l’educazione alla minaccia e lo spirito individualistico e autoritaristico tendono a distruggere. L’utilitarismo oggi viene presentato come l’ideologia dominante, facendo credere alle persone di dover costruire un mondo della trasparenza dove tutti possano essere giudicati secondo criteri quantitativi. ES: nell’utilitarismo scolastico il voto è proposto

2

come un metro di misura, pensando che se un ragazzo va bene a scuola, avrà successo nella vita, mentre uno che va male sarà disoccupato e un fallito. Il problema è che anche gli adulti hanno una visione pessimistica del futuro e lo temono, così si stende a passare da un’educazione spinta dall’invito al desiderio all’apprendimento sotto minaccia: si mette in atto una specie di selezione precoce che ha lo scopo (non rispettato) di mettere in guardia i giovani verso il mondo. Ogni insegnamento deve essere utile, perché l’unico mito riconosciuto è l’economicismo e l’utilitarismo. In realtà la produttività non è la sola dimensione e i punti di vista non economici non sono così rari. Di colpo si è creata una gerarchia dei mestieri, così che vedendo un giardiniere, un falegname o un muratore, non si pensi più che quell’uomo ami la sua professione, ma che abbia fallito in qualcosa. In questa logica gli inni alla diversità rimangono dichiarazioni vane e illusorie, almeno fino a che non saranno effettivamente tutelate le diversità dei percorsi individuali. Questa realtà dei “binari morti” è quella in cui vivono i giovani d’oggi: gli schemi di riferimento del giovane e dell’adulto corrispondo a due visioni della realtà che si sviluppano parallelamente, ciascuno per conto proprio, e che nel momento in cui si incontrano non possono che dar luogo a una catena di fraintendimenti reciproci e allo scontro.

Capitolo 4 – Minaccia ed emergenza L’analisi dei due autori non vuole proporre soluzioni miracolose, ma dettare alcune linee guida della clinica del legame o clinica della tristezza. Oggi si tenta di non pensare alle emergenze perché concedersi tale lusso sembra farci rimanere scoperti di fronte alle insidie della vita. Nella tradizione psichiatrica fenomenologica la depressione viene descritta come una condizione in cui il soggetto pensa di non aver più tempo, trova in ogni luogo ciò che gli è già noto e incorre in uno stallo esistenziale. In realtà questa descrizione potrebbe essere quella di miliardi di persone che nella nuova società votata all’economicismo sentono come se il tempo accelerasse, perché l’economia le minaccia, ma d’altra parte trovano la stessa situazione in ogni città, non hanno luogo in cui rifugiarsi. Hegel definisce il concetto come il “il tempo della cosa” affermando che l’essere umano è escluso per sempre un ipotetico mondo in cui le cose sarebbero accessibili immediatamente e che quindi il tempo di pensare non è una condizione opzionale. È per questo che durante la crisi quando sembra che il tempo si restringa, si forma un mondo che corrode la vita. Ormai veniamo a conoscenza delle catastrofi e delle minacce da una serie di notizie provenienti dai media, sul momento ne siamo sconvolti, ma subito la cosa viene sostituita da una più recente o più grave, che entra anch’essa a far parte della “normalità”. Nell’” Anti-Edipo” gli autori spiegano come le angosce, le passioni e i deliri si esprimano in funzione di e attraverso forme culturali. I giovani sono più portati a creare fantasmi e li reincarnano ella sfera familiare, anche se questi no sono vere e proprie proiezioni di mamma o papà, ma riguardano problemi più grandi del mondo esterno che, altrimenti, il bambino non saprebbe come pensare. Per questo è assurdo concepire un giovane che si occupi solo dei propri piccoli problemi e che non sia influenzato dall’esterno. Così il fatto che la società attuale ci spinga a dimenticarci delle minacce determina una politica della rimozione. Ma il rimosso e il ritorno del rimosso sono due elementi dello stesso movimento; sembra come se la tristezza sociale fosse un elemento rimosso che torna sottoforma di questa nuova sofferenza. Il filosofo Déluze diceva che la vita non è qualcosa di personale, affermazione comprensibile tramite una frase di Plotino: “non esiste un punto dove si possano fissare i propri limiti in modo da poter affermare Fino a qui, sono io…”. Infatti, la distanza e la separazione degli individui ci permettono di avere un’identità unica, ma allo stesso tempo si fondano su una base comune che costituisce il fondamento collettivo di ogni differenza. È per questo che sognando, delirando e producendo fantasmi sulla propria identità in realtà lo si sta facendo anche sull’ordine culturale.

Capitolo 5 – I limiti della minaccia Spesso si ha la tendenza a pensare che le minacce siano solo questioni tecniche, risolvibili con un po' di buona volontà. Ognuno è libero di paragonare la minaccia attuale con quelle peggiori del passato e pensare che le società anteriori non ne sono mai state schiacciate, ma in questo modo si rischia di ignorare l’essenziale. La minaccia odierna infatti è più pericolosa perché si insinua nell’indole della società che sembra proseguire indipendentemente da ciò, ma che in realtà va verso il declino. Inoltre in teoria sono tutti contro lo sviluppo attuale delle cose, ma sembra che nessuno possa farci nulla. Lo stesso effetto si ha nell’ambito educativo in cui molti possono vedere logico un uso ragionato della minaccia. I genitori e i professori possono ritenere utile l’informazione sui pericoli del mondo, ma questo in realtà può provocare l’effetto contrario a quello desiderato, quindi l’informazione resta una condizione “necessaria ma non sufficiente”. L’educazione e l’accesso alla cultura non solo non bastano a proteggere l’umanità

3

dalla barbarie, ma spesso creano anche situazioni peggiori (es: stermini del 3° Reich in Germania, paese culla della ragione). La sfida è, quindi, promuovere spazi e forme di socializzazione animati dal desiderio, pratiche concrete che riescano ad avere la meglio sull’individualismo e sulle minacce che ne derivano. Educare alla cultura e alla civiltà significa ancora oggi creare legami sociali e di pensiero; al contrario della minaccia che tende a rompere i legami e ad armare i giovani, fornendogli così un’arma a doppio taglio, poiché non solo indirettamente invitano a lanciarsi nel pericolo ma forniscono anche un grande disorientamento. Attualmente nell’ambito della medicina e della psichiatria si assiste a una tendenza dell’abbandono della profilassi in favore della prescrizione, provocando ripercussioni gravissime, come il passaggio da un’accoglienza fondata sull’incontro, il dialogo e la diagnosi a un’accoglienza basata sulla classificazione a priori delle patologie. La psichiatria dovrebbe fondarsi sulla classificazione delle patologie seguendo il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM) creato appositamente dall’Associazione degli Psichiatri Americani (APA). Questo agisce come un sapere prestabilito e il momento dell’incontro col paziente e della diagnosi non sono più il risultato di un progetto condiviso, ma di domande preconfezionate e valutazioni a priori. Si tende a non considerare più il corpo umano, ma quello sociale e lo si fa in termini di costi. Non si vuole, ora, mettere in dubbio l’utilità della ricerca psico-farmaceutica e della prescrizione di farmaci, ma solo la loro eccessiva egemonia. Questa clinica della classificazioneprescrizione non è infatti più scientifica, ma solo più redditizia. Gli operatori, quindi, dovranno affrontare con cognizione di causa la scelta se lavorare con e per i loro pazienti, o rinunciare a questo tipo di lavoro per diventare dei tecnici al servizio di una visione economica del mondo.

Capitolo 6 – Etica ed etichetta L’evoluzione nel senso di una medicina della classificazione è inscritta in una tendenza più generale della cultura occidentale, cioè la rappresentazione in forma matematica e sistemica del reale, per comprenderlo. L’aspetto perverso consiste nel credere che il reale debba disciplinarsi e disporsi secondo griglie, modelli e concetti. Una volta fissate, etichette e classificazione prendono il posto del mondo e la nostra relazione con esso diventa una relazione con i modelli. Tutto ciò che deborda è percepito come elemento di disturbo del reale. Però, è vero anche che senza costruzione di modelli, ovvero senza un lavoro di classificazione o di differenziazione, non può esistere nessun sapere e nessun pensiero. La questione dell’etichetta ci rimanda alla norma sociale e al suo funzionamento nelle nostre culture. La norma è legata a una sorta di circolazione dello sguardo: è normale ciò che non attira lo sguardo, ciò che si dà a vedere, ciò che bisogna vedere e ciò che si deve ignorare determinano gli elementi di ogni cultura e i limiti da non oltrepassare, determinando il rispetto di sé e degli altri; il non essere un oggetto trasparente agli occhi dell’altro costituisce la base della socievolezza. L’etichetta induce a pensare di star vedendo l’essenza stessa della persona etichettata e induce ad uno sguardo normalizzatore (es. guardare con eccessivo rispetto un disabile). Questa dinamica dello sguardo è talmente codificata in goni cultura che entra a far parte dell’educazione dei bambini, infatti l’adulto insegna al bambino i limiti dello sguardo. Ma a questo punto il problema è nel fatto che il sapere (savoir) si confonde con il ciò che è dato da vedere (ça à voir): questa dinamica è molto complessa perché nelle nostre società il diritto di guardare equivale all’esercizio di potere sull’altro. Il diritto a una certa nonvisibilità è associato a un privilegio, un diritto che ci si deve meritare e che si può perdere nel momento in cui ci si discosta dalla norma sociale (reato, disabilità, malattia, ecc…). Allora è bene, nella psicoterapia, portare a vedere l’altro senza etichette di alcun tipo. Essere etichettati porta a trovarsi vittima di una sorta di determinismo sociale: tutto ciò che siamo o possiamo fare fa parte di un sapere prestabilito che ci esilia dall’incertezza, che è la base della libertà. Ma la storia ci insegna che è soprattutto l’azione collettiva che permette di sfuggire al determinismo dell’etichetta, come dimostrato dalle diverse minoranze sociali (es: omosessuali). Infatti, paradossalmente, il fatto di comunicare ha conferito loro il diritto a una certa “privatezza” e a una certa opacità che sono il fondamento concreto di ogni soggettività nel discorso. Una società democratica è quella in cui queste etichette possono evolvere, cambiare e scompari...


Similar Free PDFs