Lettere a Costanza. La duchessa Moncada Notarbolo di Villarosa e il suo mondo PDF

Title Lettere a Costanza. La duchessa Moncada Notarbolo di Villarosa e il suo mondo
Author Francesco Bufolino
Course Storia moderna
Institution Università degli Studi di Catania
Pages 6
File Size 88.3 KB
File Type PDF
Total Downloads 89
Total Views 126

Summary

Download Lettere a Costanza. La duchessa Moncada Notarbolo di Villarosa e il suo mondo PDF


Description

Gli avi e le ave di Costanza Come scrive Bonfield: un buon matrimonio è un ottimo investimento per la famiglia perché oltre ad ampliarne il posizionamento economico e sociale, apre nuove prospettive alle generazioni future. Un principio questo largamente seguito dalla famiglia Moncada che puntò proprio su di una politica matrimoniale attiva e differenziata per accedere nella scala dell’aristocrazia isolana fino a raggiungerne l’apice. Giunti in Sicilia all’inizio del XIV secolo, come miles al seguito di Pietro III d’Aragona, i Moncada acquisirono gran parte dei loro feudi e dei titoli di cui potevano insignirsi grazie a matrimoni strategici a partire da quello tra Guglielmo II, figlio del primo Moncada (Guglielmo I), con Margherita Sclafani, figlia del conte di Adern . I successivi matrimoni dei rampolli di casa Moncada garantirono nel tempo nuovi feudi e soprattutto nuove alleanze con le più titolate famiglie del Regno. Alleanze nelle quali le donne giocarono un ruolo essenziale, dal momento che i Moncada, preferirono rafforzare la loro rete di relazioni con importanti unioni anche per le donne della casa. Come Antonio che aveva fatto sposare tutti e quattro i suoi figli, tre femmine e un maschio, con rampolli di alcune delle migliori famiglie siciliane e napoletane. E a sua volta Francesco (erede al titolo) chiede in moglie tre delle sue quattro figlie ai discendenti di casate prestigiose. Anche in questo caso a contrarre il matrimonio più prestigioso fu il figlio maschio erede della casata, Cesare, che impalm Aloisia de Luna e Vega. Un’unione quest’ultima che conferma in diverse maniere l’importanza della linea femminile nella costruzione del casato: Aloisia infatti avrebbe fatto valere a lungo le sue indubbie capacità di governo e sarebbe riuscita a consolidare la discendenza e il patrimonio agnatizio, lei che pure apparteneva al ramo cognatizio e acquisito. Sarebbe stata proprio Aloisia infatti ad accrescere e a governare per quasi cinquant’anni le terre e i titoli dei Moncada, dei quali ottenne il riconoscimento di unica tutrice ed amministratrice dopo la morte del marito Cesare, avvenuta solo due anni dopo il matrimonio. Si trattava di privilegio eccezionale, allora, per una donna, privilegio che peraltro riuscì a conservare anche dopo il suo matrimonio con Antonino d’Aragona. Tramite Aloisia i Moncada allargarono cosi i confini del loro regno, estendendo il loro controllo anche sulla Sicilia nord-occidentale. Aloisia, inoltre preparò per il figlio di primo letto, Francesco, il matrimonio con la figlia del suo nuovo marito, Maria, sancendo cosi con un doppio matrimonio, la riunificazione dei beni dei Luna e dei Cardona-Aragona. Aloisia visse tra Palermo e Caltanissetta da dove gestiva un patrimonio vastissimo, per lo più dato i arrendamento a grandi e meno grandi gabellati, che dirigeva con polso fermo e puntale attenzione. Ella, dopo la morte prematura del figlio Francesco, preparò il riavvicinamento della famiglia alla Corte e alla nobiltà spagnola, facendo maritare il nipote Antonio con Giovanna La Cerda, e la nipote con Eugenio Manriquez di Padiglia, rampolli dell’alta nobiltà spagnola. I due matrimoni si sarebbero tenuti in Spagna. Da quel momento le relazione della famiglia Moncada con la Spagna divennero sempre più strette e frequenti. E cosi dopo Antonio, tutti gli eredi seicenteschi di casa Moncada avrebbero legato i loro destini a discendenti di nobili famiglie spagnole, e i periodi di residenza in terra iberica sarebbero stati sempre più lunghi e continuativi, ad iniziare dal figlio di Antonio, Luigi, che avrebbe ricevuto eredità e titolo dal Padre mentre era ancora in vita e dopo che questi aveva deciso di abbracciare la vita religiosa e ritirarsi in convento. Luigi Moncada Aragona La Cerda, duca di Montalto, ereditò un patrimonio vastissimo. La sua posizione venne rafforzata dai matrimoni di tutto prestigio (Maria Afan de Ribera e Mora, e

in seconde nozze, Caterina Moncada di Castro). Fu sopratutto il matrimonio con Caterina ad aprirsi le porte della corte madrilena, presso la quale la giovane era assai ben voluta. Un ricongiungimento dei due rami Moncada, quello siciliano e quello spagnolo, che avrebbe concorso a fare di Luigi uno dei protagonisti della politica madrilena di quegli anni. E anche il figlio di Luigi, Ferdinando avrebbe sposato una nobile di famiglia iberica, Maria Teresa Faxado Toledo e Portugal dei Marchesi de Los Velez. Luigi e Maria ebbero solo una figlia femmina, Caterina che provvidero a far maritare con il titolatissimo don Giuseppe Federico Alvarez de Toledo e de Cordoba. Un matrimonio che avrebbe inevitabilmente aperto un conflitto con gli altri rami della famiglia Moncada, interessati a mantenere titolo e patrimonio alla famiglia. Altre volte era accaduto che l’erede fosse una donna, ma in questo caso si era ricorso ad un matrimonio endogamico, tra cugini, per sventar il pericolo del passaggio ad altra casata del patrimonio e del titolo. Questa volta invece si preferì correre il rischio pur di riaffermare il carattere aperto e internazionale della famiglia. E cosi alla morte del padre Caterina, ereditò tutti i beni e i titoli. Un’investitura questa di Caterina fortemente contrastata dal cugino Luigi, in nome di un antico fidecommesso agnatizio che prevedeva la successione per via maschile anche attraverso rami collaterali, nel caso in cui non vi fossero maschi nel ramo successorio principale. Inizi cosi un lungo contenzioso durato circa un secolo che portò alla divisione dell’enorme patrimonio Moncada in due parti: la prima andava ai discendenti di Caterina, la seconda ai duchi di San Giovanni. Fu attuata una politica autoctona da questi ultimi a difesa delle loro regioni e dei loro diritti nei confronti dell’eredità Moncada. Morto Luigi Guglielmo, unico erede di questo ramo rimase, Francesco Rodorico Moncada. Individuo dalle alterate capacità mentali, lo testimoniano le molte deposizioni di servi, medici e vicini. E fu invece proprio un matrimonio, e ancora una volta una donna, a salvare il destino e il patrimonio di questa linea dei Moncada. Francesco Rodorico, infatti venne fatto sposare con una sua parente, Giuseppa Ruffo Moncada. Le cronache cortigiane la descrivono come “vera rispettabile eroina del nostro secolo”. Il ruolo di questa donna fu fondamentale. Nominata tutrice e procuratrice di suo marito, resse le sorti del patrimonio, ne amministro le rendite e riuscì a tenere testa ai tanti avversari nel complessi conflitti giudiziari che attraversarono in quegli anni le vicende della famiglia. Ma non solo Giuseppa ebbe il merito di aver garantito ai conti di San Giovanni un discendente capace di continuare la specie e le pretese, Giovanni Luigi, nonno della nostra Costanza. Anche lui affidò la sorte delle sua casata ad una politica matrimoniale accorta e oculata. A soli 16 anni fece era stato fato sposare con Agata Brancifori e Valguarnera figlia del potentissimo principe di Scordia. Un matrimonio capace di reinserire la famiglia Moncada, all’interno del novero della grande nobiltà del Regno. Nel 1781 il principe di Paternò aveva sapientemente preparato e portato a termine il prestigioso matrimonio tra suo figlio primogenito Francesco Rodorico Moncada e Ruffo e donna Giovanna Bologna Montraperto. E che di un matrimonio strategico si trattasse emerge chiaramente dalla lettura dei capitoli matrimoniali. Un’alleanza importante sulla quale Giovanni Luigi puntava per consolidare la sua posizione a Palermo e Napoli. Conflitti e scontri giudiziari che segnarono una costante nella vita di Giovanni Luigi e che ben presto coinvolsero i componenti della sua stessa famiglia, il figlio Francesco Rodorico prima e dopo la sua morte, la sua vedova Giovanna Beccadelli, la madre di Costanza. All’inizio del XIX, infatti, Francesco Rodorico, era ricorso ai tribunali competenti per impedire la deroga a diversi legati fidecommessi richiesta del padre per far fronte ai troppi debiti

che gravavano sul suo patrimonio. Allora Francesco Rodorico, aveva attribuito alla matrigna, la figlia del principe di Belvedere, l’allontanamento del padre dall’amore e dai doveri verso i figli e i nipoti di primo letto. Donna avida, ambiziosa e pericolosa, dura di cuore e salda nella azioni, attenta solo ai suoi interessi, capace di ridurre a preda il pur certo non docile principe di Patern : il ritratto che esce da questa memoria tende a ripercorrere tutti gli stereotipi della femme fatale, della matrigna cattiva, unica causa dei conflitti familiari. Stereotipi utilizzati ovviamente in maniera strumentale per rafforzare le ragioni del figlio di primo letto, ma che tra le righe ci offrono il ritratto di una donna protagonista, divisa tra Palermo e Napoli dove adempiva ai suoi doveri di dama di corte della regina Carolin, attiva nei rapporti sociali come in quelli familiari. Una dama non certo sottomessa e vittima di un sistema che tendeva ad emarginare le donne, ma che invece come altre prima e insieme a lei, era capace di giocare a tutto campo. Non a caso la ritroviamo durante il parlamento del 1812, come metro influente e militante di quella parte della grande nobiltà del regno che sosteneva la necessità dell’abolizione dei fidecommessi. Donna libera che non aveva alcun timore ad esporsi nell’agone politico, forte della sua posizione e del prestigio della sua casata. Donne molto meno esposte pubblicamente, ma altrettanto coscienti dei propri diritti, anche la nonna e la mamma di Costanza. La nonna, Agata Branciforte, moglie di primo letto di Giovanni Luigi dopo aver messo al mondo 9 figli, 4 maschi e 5 femmine, aveva usato per imporre la propria volontà tanto la propria dote che il suo testamento. Ambedue strumenti simbolici importanti che sancivano il ruolo che la novella sposa andava a ricoprire nella famiglia che la accoglieva. Nel suo testamento ella stabiliva unico erede universale Francesco Rodorico Moncada. Nel pieno rispetto del diritto siciliano in materia di successioni, secondo il quale la legittima spettante ai figli deve essere distribuita in maniera eguale a prescindere dal sesso, e le donne possono essere escluse solo se espressamente contemplato nelle loro doti di pareggio, Agata preservava tanto la primogenitura agnatizia che i diritti dei cadetti e delle figlie. Ma anche Agata riservava a sé uno spazio autonomo di decisione. Nel suo testamento ella disponeva che la somma non certo esigua di 1000 onde, in caso di bisogno venisse versata da suo figlio primogenito a don Giovanni Battista Zinna e a don Cristoforo Benenati. Che si tratti di beneficienza o di restituzione dei debiti o di legati particolari a noi non importa. Quel che è evidente è che anche nel caso di Agata esisteva uno spazio di manovra e di libera disposizione dei propri beni. In questa circostanza il tramite delle sue volontà era la delega piena a due personaggi di sua stretta fiducia, personaggi sotto il suo diretto controllo. Spazi di manovra furono utilizzati anche da Giovanna Beccadelli Bologna, moglie di Francesco Rodorico e madre di Costanza. Alla morte del marito, ella non esitò a intraprendere un lungo e complicato contenzioso con il terribile suocero per la restituzione della dote, per il versamento di quanto a lei dovuto per la premorte del marito. Giovanna non esitò a rivolgersi direttamente al re per difendere le sue ragioni. Ancora una volta dunque è una donna, la madre, a difendere le ragioni dei discendenti, a salvaguardare il ramo agnatizio dagli attentati all’integrità del patrimonio perseguiti con tenacia e furbizia dal titolare della casata, complice attiva la seconda moglie. Le due Giovanne, quindi l’una contro l’altra, armate della forza del proprio lignaggio d’origine e delle proprie reti di relazione per difendere i propri privilegi , capaci di esprimere ognuna, il proprio punto di vista.

Costanza Di queste donne Costanza è figlia, nipote, pronipote, discendente. E’ ultimogenita di un matrimonio di convenienza, voluto dal terribile nonno, è sempre vissuta all’interno di un ambiente familiare contraddistinto da liti per motivi di interesse, interrotte da brevi e incerti accordi. Dalle donne della famiglia aveva acquisito la non semplice arte di essere donna all’interno di un mondo che veniva rappresentato rigidamente al maschile, nel quale i valori e le virtù erano connotate sessualmente e diversificate per genere. Costanza nasce nel 1792 in una Napoli che era attraversata dalle nuove idee che giungevano da Parigi, da speranze, da progetti di un mondo nuovo. Sono gli anni della nascita dei due club LOMO (libertà o morte) e ROMO (repubblica o morte). Ancora piccola Costanza avrebbe assistito allo sbarco del re, della regina e di tutta la sua corte in fuga dalla rivoluzione del 1799, giunti precipitosamente a Palermo. Un avvenimento questo che aveva riacceso le speranze delle classi dirigenti isolane in un re “siciliano”, il cui governo avrebbe fatto di Palermo la capitale di un Regno. (vedi pag.34-35) Le vicende della famiglia Moncada in questi anni coincidevano con le gesta dell’anziano Giovanni Luigi. Sono gli anni nei quali grazie alle fortunate strategie matrimoniali Giovanni Luigi incassava due importanti risultati: nel 1794 la causa dei demanialità di Paternò e Caltanissetta veniva sottratta alla giurisdizione della Giunta e nel 1797 il Tribunale del Concistoro risolveva la causa contro i Ferrandina, assegnando l’intero patrimonio ai duchi di S.Giovanni. In un primo momento il rapporto tra Giovanni Luigi e il figlio Francesco Rodorico erano ancora buoni. Successivamente iniziarono ad inasprirsi (lunga contesa giudiziaria contro il padre). Causa Fedecommesso (pag.38-39). Tra fughe del re, rivoluzioni, restaurazioni e costituzioni cosi come tra liti, lotte intestine e vicende politiche contrastanti dei suoi parenti, Costanza diventava adulta. Non ci è dato sapere che istruzione ricevesse, ma sicuramente non mancò di apprendere le buone maniere, la musica, la danza, il disegno. Era cresciuta tra Napoli e Palermo, seguendo al pari del padre e del nonno, ma anche della madre e della nonna, le alterne vicende dei Borbone e i loro spostamenti, insieme ai tre fratelli, Giuseppe, Pietro e Stefania. Anche per lei che fu l’ultimogenita fu preparato un matrimonio prestigioso con l’erede di una della più importanti casate del Regno, i Notarbartolo di Villarosa. Si trattava in realtà di un matrimonio endogamico con un cugino di primo grado per via materna. Costanza ebbe una cospicua dote della quale per come tutte le donne nell’ancien regime gode, ma non possiede, dal momento che l’amministrazione della stessa è in mano di suo marito, il quale a sua volta pu disporne, ma non è neanche lui proprietario. Vi è infatti come afferma Renata Ago, nei regimi dotali dell’ancien regime una differenza tra proprietà e possesso, all’interno della quale la dote è un bene particolare che viene assegnato alle donne ma non è loro nel senso proprietario del termine. La dote è espressione del patrimonio della famiglia della sposa da perpetuarsi e tramandarsi alle generazioni successive o da restituire al ceppo d’origine a tutela e a rappresentazione del potere di quel lignaggio e della sposa che ne è il tramite. Diversa e più concreta è per le donne la possibilità dei gestire autonomamente e di utilizzare i beni extradotali che pervenissero loro da donazioni o da legati. Ed è proprio in nome di un legato a lei donato dalla nonna paterna, che la appena ventunenne Costanza, ricevette l’inusitata possibilità di dotare se stessa.

La giovane Costanza, insomma, fu in grado di intervenire personalmente negli accordi matrimoniali come soggetto attivo, riservando a sé un capitale di 3500 onde di cui era e sarebbe stata libera di disporre a suo piacimento. Ancora una volta, le donne di casa Moncada, tengono insieme due preoccupazioni solo apparentemente in contrasto tra di loro: da un lato la necessità di garantire la forza del lignaggio attraverso il potenziamento della primogenitura e dall’altro la necessità di un riequilibrio a favore dei figli cadetti e delle figlie che fossero stati dall’eredità paterna penalizzati. Ella riuscì infatti, grazie anche all’eredità trasmessa dalla nonna , a volgere a suo favore una condizione, quella della dote di pareggio, che per principio escludeva le donna dalla legittima sull’eredità paterna, attraverso l’ufficio del fedecommesso. Il matrimonio di Costanza e Pietro fu lungo e allietato dalla nascita di ben 11 figli, 4 maschi e 7 femmine, tutti convolati a nozze con i rampolli e le figlie delle più prestigiose famiglia della nobiltà del Regno. Ovviamente non è dato sapere dell’armonia o meno dei rapporti tra i due sposi, ma il numero dei figli ci aiuta a comprendere se non altro l’efficacia e la solidità dell’unione tra Pietro e Costanza fino alla morte di quest’ultimo, cosi come dell’indubbio inserimento della famiglia nella vita sociale e politica del Regno di Sicilia in quegli anni cosi complessi che vanno dalla Restaurazione agli anni 40 del XIX secolo. La fine del duca di Villarosa nel 1843 avrebbe lasciato la nostra Costanza erede usufruttuaria della quota disponibile del patrimonio familiare, nonché tutrice legittima dei quattro figli minori, eredi della quota di riserva dei beni paterni. Essa, inoltre, con la morte del marito sarebbe tornata nel pieno controllo della sua dote. Anche in questa occasione il carattere deciso di Costanza e la sua lunga esperienza di contenziosi familiari non tarderanno ad emergere. Un anno dopo la morte di Pietro infatti Costanza avrebbe chiesto e ottenuto dal tribunale civile che si procedesse all’inventario ufficiale del armonio Villarosa. In quella sede ella, assistita dal fratello Pietro Moncada, Principe di Paternò , non esitò a ribadire il suo esclusivo possesso e controllo sopra i beni che le venivano dalla sua famiglia d’origine. Costanza, inoltre, era assai attenta alla resa della sue miniere, pur non trascurando le terre che le appartenevano in modo esclusivo sui territori di Caltanissetta e di Motta S.Anastasia. Ed è proprio per risolvere alcune vertenze che nell’estate del 1845 si recava a Catania e a Caltanissetta, dove periodicamente riceveva le lettere che da Palermo un anonimo e devoto amico le inviava per informarla sull’andamento della casa. La costanza che viene raccontata da quelle lettere è una immagine immaginata, un ritratto allo specchio, visto con gli occhi e l’animo forse innamorato dell’autore di quelle missive, probabilmente Michele Nicolodi Pardo, col quale Costanza sarebbe convolata di li a pochi anni, a nozze, Dalle parole di Michele Costanza, ci viene rappresentata come il perno della famiglia, il punto di riferimento. Da Costanza sembra dipendere l’amministrazione intera dell’economia familiare, come quella degli affetti e dei rapporti sociali. Centralità ha l’unico documento a noi pervenuto che sicuramente fu redatto di sua mano o almeno di sua volontà: il suo testamento. Un lungo documento che lascia intravedere la forte presenza e la decisa coerenza di una donna capace di imporre il proprio progetto tanto nel corso della sua vita che nelle sue future volontà Di Michele, Costanza fa menzione in tutte le diverse stesure del testamento assegnandogli una rendita annua di 1275 lire. Allo stesso modo si ricorda dei figli e dei nipoti e di una giovane donna: Costanzella. Di quest’ultima sappiamo essenzialmente quello che ci dice la sua protettrice nei suoi testamenti. Le lettere

Le lettere, indirizzate alla Duchessa di Villarosa sono conservate presso l’Archivio di Stato di Palermo al fondo Notarbartolo di Villarosa e sono 18. Tuttavia nella stessa unità archivistica si trovano due lettere anch’esse in francese, ma indirizzate dall’autore delle prime a Maria Giovanna figlia primogenita di Costanza, tre lettere in italiano, inviate dalle sorelle Villarosa in viaggio con la madre al fratello Luigi e un biglietto di difficile decifrazione firmato da un certo Guglielmo Moncada. Tutte le lettere risultano scritte tra il 26 luglio e il 6 settembre 1845. Si tratta di lettere redatte probabilmente da colui che sarebbe diventato il secondo marito di Costanza, Nichelino Nicolosi Pardo. Sono lettere “familiari”. Il valore di queste lettere va, per , bel al di là della dimensione puramente familiare e intima, con la quale pure inevitabilmente si intreccia, consentendoci di intravedere, tra le trame della vita familiare, alcune tensioni e delle aspettative che attraversano la società e la politica iso...


Similar Free PDFs