Linda nochlin PDF

Title Linda nochlin
Author Alice Martinelli
Course Istituzioni di storia dell'arte contemporanea
Institution Università di Pisa
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PERCHE’ NON CI SONO STATE GRANDI ARTISTE? - Decostruire le domande Va a smontare quei tre su posti nascosti in un dispositivo o culturale resistente, mostrando quanto la coscienza del mondo sia condizionata dal modo in cui si pongono le questioni cruciali. Questo saggio apre la strada alla storia femminista dell'arte, rappresentando il primo passo di recupero delle artiste dimenticate e la decostruzione della storia dell'arte. Noi come comunità di artiste, storiche dell'arte, critiche dell'arte, lavorando insieme abbiamo cambiato il discorso e la produzione del nostro campo. Il giallo sul titolo: nella versione di Art-News, il tempo è al passato; mentre nel volume Woman in Sexist Society il tempo è al presente. Il titolo al passato è anti disciplinare, è un attacco al canone vasariano. Il titolo al presente enfatizza l'aspetto politico di lotta femminista. - Nochlin in Italia Uscì nel 1977 in un clima politico caldo e in una stagione dirompente del neofemminismo. Se il saggio della Nochlin non è tempestivo, lo è quello del catalogo Woman Artits. Gli anni 70 sono anni strani, iniziati con il gran rifiuto di Carla Lonzi e il suo abbandono del mondo dell'arte per la festa del femminismo, mettendo le basi a una divaricazione fra cultura politica del femminismo e movimenti artistici. Il loro ingresso nelle istituzioni universitarie e nei circuiti della cultura ufficiale è in ritardo. Il femminismo era una cosa politica, mentre i suoi effetti o le sue conseguenze sulla cultura e le sue strutture erano un'altra. Nel mondo dell'arte il binario fra politica femminista e storia/ricerca/critica era divaricato e tale restò a lungo. Il saggio in Italia esce per Einaudi nel 1977 col titolo al presente in una versione accorciata del volume originario, con solo 10 saggi dei 29 originari. Il volume rappresenta forse un tentativo editoriale di inserimento di tematiche femministe nei circuiti accademici. Tuttavia il saggio di Nochlin appare eccentrico e isolato, in assenza di un contesto recettivo su storia dell'arte e femminismo, passa in sordina e resta poco citato fino agli anni 90. - Gli argomenti Strutturato in due parti, nella prima Nochlin colloca il motore di quella domanda in un vero e proprio inconscio culturale segnato dal genere, un dispositivo che produce il discorso e dunque il nostro stesso modo di pensare e di parlare. La frase ricorrente: ‘nell'arte come in ogni altro campo’ rinvia alla dimensione politica e storica della diversa distribuzione di potere legata al genere, e ai suoi effetti rilevanti nella struttura delle disuguaglianze, alla formazione artistica, ai luoghi e ai dispositivi della visibilità, dei premi e dei riconoscimenti. Una prima conclusione per rispondere a quella domanda provocatoria è che: l'arte sia per quanto riguarda l'evoluzione dell'artista, sia per la natura e la qualità dell'opera in sé, è l'esito di una situazione sociale, della cui struttura è elemento integrante, mediata e determinata da specifiche e ben definite istituzioni, che possono essere le accademie, il mecenatismo oppure i miti dell’artista, divino creatore, eroe o emarginato. La questione della grandezza è stata rivista di recente dalla stessa Nochlin e ricollocata in quegli anni in cui stava scrivendo il saggio. Nel sottolineare quanto quel tema avesse ossessionato il discorso dell'arte statunitense dopo la seconda guerra mondiale, Nochlin racconta che la domanda ‘quanto è grande?’ era il solo modo allora di cominciare una conversazione su un'opera d'arte. La grandezza era pensata come immutabile, come caratteristica intrinseca del maschio bianco e del suo lavoro. Il saggio procede poi per l'analisi di luoghi all'interno dei quali vanno cercate le ragioni della complicata presenza delle donne nell’arte: dall’importantissima questione del nudo al cui disegno le donne non erano ammesse, dall'analisi degli ambienti familiari di provenienza, a quella delle classi sociali. Negando infine l'esistenza di caratteristiche comuni nell’arte fatta da artiste, e dunque qualsiasi forma di essenzialismo, esse non sono oggetti specifici, nelle varie epoche artiste e scrittrici mostrano più somiglianze con i colleghi maschi che non fra di loro. Un cameo del saggio è la parte conclusiva dedicata a Ros Bonheur: ‘una delle pittrici più abili e di maggior successo di tutti i tempi, complice la sua grande notorietà, nella sua carriera emergono tutti i conflitti, le contraddizioni interne ed esterne, e le lotte tipiche tra genere e professione’. L’analisi di Nochlin è una grande lezione di metodo sulla complessità del contesto storico e lavorativo di un

artista: dalla costruzione di nuovi generi e di un nuovo gusto, alle strategie della nuova figura del gallerista; dal ruolo della famiglia nel sostenere o no un aspirante artista, alle costruzioni dei ruoli di genere; fino alla capacità di Rosa di conciliare la più vigorosa e arrogante protesta maschile con l'affermazione sfacciatamente auto contraddittoria della propria sostanziale femminilità. Lei che girava vestita da uomo. Se la scena dell'arte, oggi, è cambiata, tuttavia quella domanda può tornare sotto nuove vesti. Può essere riformulata togliendo quel confusivo ‘non’, chiedendoci invece ‘perché ci sono state grandi artiste?’. Oggi tante artiste producono opere fra le più rilevanti e apprezzate della scena dell'arte contemporanea, parlare della loro grandezza non significa più dover affrontare un rebus inestricabile. - Perché non ci sono state grandi artiste? Ogni dibattito sulla cosiddetta questione delle donne, fa scuotere la testa agli uomini con aria di sufficienza e fa digrignare i denti alle donne per l'umiliazione. La risposta: non ci sono state grandi artiste, perché le donne sono incapaci di grandezza. Ad esempio la prova scientifica dell'incapacità degli esseri con utero anziché pene di creare qualcosa di significativo. La prima reazione delle femministe è rispondere alla domanda così com’è formulata. Dissotterrare nomi caduti nell’oblio di artiste sottovalutate o poco considerate. Dimostrare che Berthe Morisot era molto meno dipendente da Manet di quanto si creda. Si finisce per impegolarsi in un’impresa non troppo dissimile da quella di ogni adepto, uomo o donna. I più recenti studi accademici tesi alla rivalutazione di singole personalità quali Artemisia Gentileschi, sono lodevoli perché ampliano la conoscenza dei successi femminili e della storia dell'arte. Purtroppo se la prospettiva femminista è priva di senso critico, non riuscirà a mettere in discussione i presupposti del quesito ‘perché non ci sono state grandi artiste’ anzi, non farà altro che avvalorarne le implicazioni negative. Sostenere che esista una differenza oggettiva tra la grandezza artistica delle donne e quella degli uomini, presume l'esistenza di uno stile femminile peculiare e riconoscibile, diverso da quello maschile. La condizione e le esperienze della donna nella società, e nell'arte, sono diverse da quelle dell'uomo. La coscienza collettiva dell'esperienza femminile andrebbe identificata in senso stilistico quale arte femminista. A legare tra loro le opere di Artemisia Gentileschi, Rosa Bonheur e altre non c’è alcuna quintessenza della femminilità. Artiste e scrittrici mostrano più somiglianze con i loro colleghi maschi, della stessa epoca e corrente di pensiero, che non fra di loro. Le artiste sono più introspettive, più delicate e accurate nell’uso del proprio mezzo espressivo. Le donne hanno talvolta dipinto scene di vita familiare o bambini, altrettanto hanno fatto molti uomini. Non bisogna confondere la scelta di un soggetto o di un genere con lo stile né con qualche sorta di quintessenza della femminilità. Il linguaggio dell'arte si concretizza in colori e linee su carta o tela, nella pietra, nell’argilla: non è mai una scenetta strappalacrime né una confidenza sussurrata a mezza voce. Il nocciolo della questione è che non ci sono mai state grandi artiste, sebbene ne siano esistite di interessanti, di non sufficientemente studiate o apprezzate. Ciò potrà dispiacerci, ma né la manipolazione delle prove storiche o critiche, né la denuncia dello sciovinismo maschile di aver falsato la storia offuscando l’effettivo successo delle donne in arte potranno cambiare la situazione. Tra le donne non esistono i corrispettivi di Michelangelo, Picasso o Matisse. Se davvero ci fossero tante grandi artiste da scoprire o se i canoni dell'arte delle donne fossero differenti da quelli dell'arte fatta dagli uomini, che senso avrebbe la lotta delle femministe? Se nelle arti le donne avessero eguagliato lo status degli uomini, allora le cose andrebbero bene così come stanno. Ma in realtà, ora come in passato, la situazione in arte e in altri campi continua ad essere spiazzante, oppressiva e deprimente per chiunque non abbia avuto la fortuna di nascere maschio bianco dal ceto medio in su. Il difetto non è nella nostra cattiva stella, nei nostri ormoni, nei nostri cicli mestruali, bensì nelle regole e nell’educazione che riceviamo. Ciò che ci accade dal momento in cui, testa in avanti, entriamo in questo mondo di simboli, segnale e segni carichi di significato. Il miracolo è che tante donne siano riuscite ad affermarsi nella scienza, nella politica e nell’arte, da sempre domini maschili. Sui significati impliciti nell’interrogativo ‘perché non ci sono state grandi artiste?’ ci si può rendere conto di quanto la nostra coscienza nel mondo sia stata condizionata e fuorviata dal modo in cui si pongono le questioni cruciali. Oggi con l'attuale velocità di diffusione delle notizie, in qualsiasi momento è possibile formulare problemi che forniscano una giustificazione razionale alla cattiva coscienza dei potenti. Pertanto,

la questione delle donne, come tutti i cosiddetti problemi umani, non può trovare alcuna soluzione, dal momento che i problemi umani comportano un’effettiva reinterpretazione della situazione complessiva o un cambiamento radicale nell’atteggiamento. Gli oggetti coinvolti nella risoluzione dei problemi umani sono soggetti pronti a rivoltarsi contro chi ha stabilito che essi sono l'oggetto-problema da risolvere. Non bisogna considerare le donne e la loro condizione nel mondo dell'arte e in altri settori lavorativi al pari di questioni che nell’ottica dell'élite maschile dominante esigono delle risposte conformi al volere o al capriccio degli uomini a loro vantaggio. Le donne devono pensare a loro stesse quali soggetti potenzialmente, se non effettivamente, paritari, che guardano agli aspetti concreti della loro situazione come a un problema oggettivo e istituzionale, anziché soggettivo e personale. Devono impegnarsi sia sul piano motivo sia intellettuale, per la creazione di un mondo in cui la pari opportunità di realizzazione di uomini e donne sia attivamente incoraggiata dalle istituzioni sociali. L’ottimistica speranza di alcune femministe che la maggioranza degli uomini si renda conto di come sia nel loro stesso interesse garantire alle donne la completa uguaglianza non è realistica. Sono pochi gli ambienti preclusi agli uomini. La questione dell'uguaglianza delle donne, nell'arte come in ogni altro campo, non dipende dalla clemenza o dall’ipocrisia di singoli uomini, bensì dalla natura stessa delle strutture istituzionali e da visione della realtà che queste impongono agli esseri umani che ne fanno parte. La domanda ‘perché non ci sono state grandi artiste’ è la punta di un iceberg fatta di equivoci e pregiudizi; sotto la superficie vi è un’enorme massa indistinta di confuse idees recues che riguardano il significato dell’arte e le sue implicazioni contingenti e della superiorità in particolare, nonché il ruolo che l’ordine sociale gioca in tutto ciò. I pregiudizi sottesi alla domanda ‘perché non ci sono state grandi artiste’ rinviano a più ampi settori di oscurantismo intellettuale. Nella domanda è insito un insieme di idee ingenue, infondate e acritiche, sul tavolo dell’artista in generale e sull’arte alta. Questi preconcetti riuniscono diversi artisti come Michelangelo, Van Gogh, Raffaello e Pollock, sotto la definizione di grande artista, titolo onorifico assegnato in base al numero delle dotte monografie dedicate, ovvero una persona dotata di genio. Il genio è inteso come una forza astorica e misteriosa, racchiusa nella persona del grande artista. Perciò il quadro concettuale dietro alla domanda ‘perché non ci sono state grandi artiste’ si regge su indiscusse e inconsce premesse metastoriche. La questione cruciale delle condizioni di produzione della grande arte è stata generalmente poco studiata, fino a tempi molto recenti le indagini tentate in tale direzione sono state rifiutate perché ritenute non specialistiche. Promuovere un'interpretazione così appassionata e impersonale, metterebbe a nudo l'intero sostrato romantico, elitario, dedito al culto dell'individuo e alla stesura di monografie, su cui poggia la professione dello storico dell'arte. Dietro al problema della donna artista, si cela il mito del grande artista: protagonista, eccezionale e divino, di centinaia di monografie. Storicamente, le capacità soprannaturali dell’artista nel riprodurre la realtà, ha avuto la funzione di farlo spiccare dalla massa, quale creatore divino. La favola del ragazzo prodigio, scoperto da un artista maturo è stato un topos della mitologia artistica fin dai tempi in cui Vasari immortalò il giovane Giotto, che il grande Cimabue scoprì intento a disegnare una pecora sulla pietra mentre pascolava il gregge. Sbalordito dal realismo del disegno, Cimabue invito l’umile pastorello a diventare suo discepolo. Sei grande artista non è abbastanza fortunato da potersi presentare con un gregge al seguito, il suo talento sembra sempre doversi manifestare precocemente; si dice che Filippo Lippi, Poussin, Monet e Courbet disegnassero caricature sui libri di scuola, invece di studiare. Il grande Michelangelo stesso, secondo Vasari, durante l'infanzia passò più tempo a disegnare che a studiare, il suo talento vi era già in tenera età. E’ indubbio che all'età di 15 anni il giovane Picasso superò in un solo giorno tutti gli esami di ammissione all'accademia di Belle Arti di Barcellona, e in seguito a quella di Madrid: una prova difficile alla cui occorreva un mese di preparazione. Sarebbe bene andare a vedere e analizzare meglio il ruolo giocato dal padre di Picasso, insegnante d'arte, nella precocità artistica del figlio. E se Picasso fossi nato femmina? Il signor Ruiz avrebbe prestato altrettanta attenzione e sostegno alle ambizioni di grandezza della piccola? Risalta la natura apparentemente miracolosa, incondizionata e slegata dalle strutture sociali del successo artistico. L’artista nell’agiografia ottocentesca lotta contro la rigida opposizione della famiglia e della società e infine trionfa a dispetto di ogni contrarietà, solitamente dopo la morte. Ecco il folle Van Gogh, che imperterrito continua a fare girasoli malgrado gli attacchi di epilessia e l’estremo deperimento per i

lunghi digiuni; o Cezanne che sfida il rifiuto Paternò e il pubblico ludibrio per rivoluzionare la pittura; o Gauguin, che con un colpo di spugna azzera la propria rispettabilità e sicurezza economica per rispondere al richiamo dei tropici. Nessuno storico dell'arte contemporanea serio prende mai per buoni questi racconti picareschi. Tuttavia spesso è la mitologia del successo artistico e delle sue circostanze a formare le premesse inconsce degli studiosi d'arte. Il fatto che in arte nessuna donna sia aggiunta alla piena realizzazione diventa un sillogismo: se le donne fossero state dotate di genio artistico, questo si sarebbe rivelato; e invece non è mai accaduto. Ergo: le donne non hanno genio artistico. Se ce l'hanno fatta Giotto, l’umile pastorello, e Van Gogh, l’epilettico, perché le donne non ci riescono? Eppure gli interrogativi più utili o puntuali che lo storico d'arte potrebbe porsi sono altri. Ad esempio da quali classi sociali era più probabile che emergesse l'artista nei vari periodi storici? Quanti pittori e scultori erano figli o parenti di altri pittori, scultori? Un’ampia quota di artisti più o meno illustri furono figli d'arte. Tra i maggiori: Raffaello, Durer e Bernini, Picasso e Giacometti. Un curioso parallelo fra le domande ‘perché non ci sono state grandi artiste?’ e ‘perché non ci sono stati grandi artisti fra gli aristocratici?’. All’anti tradizionalismo ottocentesco, non si rintracciano artisti provenienti da una classe sociale più elevata dell'alta borghesia; anche nel XIX secolo. Gli aristocratici, come molte donne, disponevano di amplissime risorse di educazione artistica e tempo libero; incoraggiati a dedicarsi all'arte quale passatempo, diventando talvolta dilettanti di un certo rispetto. La principessa Matilde, cugina di Napoleone III, espose nei Salon ufficiali; la regina Vittoria e il principe Alberto studiarono arte. La scintilla magica, il genio artistico, difetta nel temperamento di un aristocratico allo stesso modo che nella psiche di una donna? O è più verosimile che doveri e aspettative gravanti tanto sugli aristocratici quanto sulle donne rendessero impossibile e impensabile la dedizione totale richiesta dalla professione artistica? Quando ci si pongono le domande pertinenti sulle condizioni della produzione artistica, si apre spazio per discutere sulle concomitanti di intelligenza e talento in generale, non sulla sola genialità. Lo sviluppo della razionalità e le manifestazioni dell’immaginazione nei bambini, quel che viene chiamato genio, sono un’attività dinamica, non un’essenza statica: l’attività di un soggetto in una determinata situazione. Queste capacità o intelligenza si formano e si arricchiscono a partire dall’infanzia, gradualmente, un passo alla volta. Gli studiosi dovranno comunque abbandonare la nazione del genio individuale quale fattore primario e congenito della creazione artistica. La domanda ‘perché non ci sono state grandi artiste?’ ci ha portati alla conclusione che l'arte non è l’attività libera e indipendente di un individuo superdotato, influenzato da chi l’ha preceduto e, in modo vago e superficiale, dalle forze sociali. Ne deriva che l’arte, sia per quanto riguarda l'evoluzione dell'artista sia per la natura e la qualità dell’opera in sé, è l’esito di una situazione sociale, della cui struttura è elemento integrante, mediata e determinata da specifiche e ben definite istituzioni, che possono essere le accademie, il mecenatismo oppure i miti dell’artista, divino creatore, eroe o emarginato. - La questione del nudo Consideriamo la questione del nudo da un punto di vista più ragionevole. È probabile che la risposta alla domanda sul perché non ci siano state grandi artiste dipenda dalla natura delle istituzioni sociali e di quel che esse proibiscono o incoraggino a seconda dei ceti o gruppi di individui. La disponibilità di un modello nudo per le aspiranti artiste nel periodo che va dal Rinascimento fino alla fine dell'Ottocento: un’epoca in cui lo studio costante e diligente del nudo era indispensabile alla preparazione di ogni giovane artista, per qualunque opera, ritenuta comunemente la più alta espressione artistica. In effetti, nell’800 i difensori della pittura tradizionale sostenevano l’impossibilità di creare dei capolavori con figure abbigliate, perché i vestiti avrebbero rovinato sia l’universalità temporale sia l’idealizzazione classica richieste dalla grande arte. La materia principale dei programmi accademici fin dalla loro costituzione a cavallo tra 500 e 600 era il disegno dal vero di un modello nudo, di solito maschile. Artisti e allievi si riunivano spesso privatamente negli atelier per sedute di disegno dal vero. Mentre i singoli artisti e le accademie private facevano largo impiego di modelli femminili, in quasi tutte le scuole d'arte pubbliche questo genere di nudo restò proibito fino al 1850 e oltre. Le aspiranti artiste non avevano a disposizione nessun modello per esercitarsi nel nudo, né femminile né maschile. Fino al 1893 le signore studentesse dell’Accademia pubblica di Londra non erano

ammesse ai corsi di disegno dal vero; e quando ne fecero parte, il modello era parzialmente coperto. Il normale iter didattico nei programmi ufficiali di Accademia prevedeva la copia di disegni e stampe, poi quella di bozzetti di sculture famose, fino al disegno dal vero. L'esecuzione da quest’ultima fase dell’apprendimento significava essere privati della possibilità di creare opere d'arte import...


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