LO Spettacolo Della Mafia PDF

Title LO Spettacolo Della Mafia
Course Public and Digital History
Institution Università degli Studi di Salerno
Pages 14
File Size 284.7 KB
File Type PDF
Total Downloads 34
Total Views 139

Summary

storia della mafia dal punto di vista sociale...


Description

LO SPETTACOLO DELLA MAFIA Come nasce la mafia? Tutto fa ritorno ai rituali, importanti per definire l’identità di un mafioso. Secondo una leggenda c’erano dei cavalieri nobili spagnoli appartenenti ad una società segreta di Toledo chiamata Guardugna e sarebbero venuti in Italia nel 1412. Scapparono dal loro paese perché avevano difeso l’onore della propria famiglia vendicando con l’assassinio l’offesa arrecata alla sorella. Nell’isola di Favignana, nascosti da tutti, lavoravano nelle grotte e stilarono le regole sociali delle più gendi organizzazioni mafiose. Da ciò, possiamo dedurre che Mafia, ‘Ndrangheta e Camorra abbiano origini nobili. La favola richiama sangue, onore e vendetta, elementi costitutivi dell’identità mafiosa. Un tempo si pensava che la mafia criminale fosse un problema della magistratura e delle forze dell’ordine, mentre noi non dovevamo fare altro che applaudire alla loro cattura. Questo modo di fare era errato e per correggerlo ci fu bisogno di chiamare in causa anche le istituzioni e la società civile. Così entrarono in campo anche Regioni, Comuni ecc. Il silenzio è un altro potente linguaggio mafioso e infatti la simbologia ha un ruolo fondamentale e nel libro l’autore ne codifica i significati grazie anche ai documenti di ultima generazione riguardanti i social. Il mafioso, infatti, sembra irrompere con il silenzio e parla per esporre le proprie idee a mafiosi e non. CAPITOLO 1: La storia delle mafie italiane è un tipico caso di Public History e si afferma nel discorso pubblico come un potere non decifrabile, misterioso. Inoltre, si afferma nelle nostre menti grazie all’immaginario che è storia tanto quanto la Storia. Non possiamo ignorare il ruolo che i new media hanno assunto negli ultimi tempi; la condivisione istantanea di suoni, parole e immagini hanno ristrutturato la memoria sottraendo significato alle mafie in quanto fatto storico. Le immagini e la memoria, insieme, offrono una testimonianza della realtà e mostrano il non-visibile dietro al visibile. Affrontare il tema dell’immaginario significa analizzare il passato che torna nel presente; una sfida cruciale se consideriamo che la rappresentazione delle mafie è ricca di riproduzioni derivate da miti, leggende o favole o dalla coscienza popolare, es. proverbi, superstizioni e folklore. Si formano così gli stereotipi. Già nel 1830 la criminalità si inserisce nella fiction letteraria, rendendo impossibile distinguere la realtà dalla sua rappresentazione. Interessa quelle così dette “classi pericolose”, quella parte della popolazione considerata ignorante e in miseria. Si diversificano, invece, gli operai e artigiani descritti come laboriosi, onesti e solidali. La letteratura anglo-francese descrive i criminali come “un popolo a sé stante”, dotato

di costumi, moralità e credenze tradizionali di una lingua propria: il Gergo. Questa separazione inquadra i criminali come estranei. Nel 1862 il francese Alexandre Dumas, inventa la Camorra connettendola alla rappresentazione delle classi pericolose. Il secondo francese è Maxime Du Camp che descrive la camorra come “frammassoneria plebea”. Terzo è Marc Monnier, svizzero di cultura francese, residente a Napoli che nel 1862 pubblica un libro in cui spiega i misteriosi accadimenti che colpiscono Napoli. E’ in quest’opera che per la prima volta si affaccia un uso pubblico dell’immaginario a fini politici. Monnier, infatti, denuncia la presenza di questo nuovo male che si presenta come una piaga che rischia di andare in cancrena. Abbiamo poi Jacques Elisèe Reclus che nel 1865, a Palermo, si imbatte nella Maffia (rappresentata come la camorra di DuMas e DuChamp): si tratta di una setta segreta, composta da vari membri che detiene un contropotere istituzionalizzato. A partire dalle classi pericolose, in letteratura le organizzazioni criminali iniziano a folkolorizzarsi. Il camorrista è visto come l’emblema dei vizi primordiali della plebe napoletana e rientra in quel raggruppamento del lazzarone, guaglione e del guappo. La formazione dell’immaginario della Mafia è successiva e ne sente l’influenza; i mafiosi sono rappresentati come uomini assuefatti al potere, dotati di ottime relazioni sociali. Inoltre, è grazie alla diffusione della leggenda dei Beati Paoli che si crea un’immagine della mafia come setta vendicatrice delle ingiustizie subite dal popolo. Il canone diventa il fulcro intorno al quale si modellano le narrazioni; i testi canonici sono sorretti da un mito che conferisce un senso al passato collettivo ed orienta ed educa la memoria culturale. Dunque, se i criminali vengono rappresentati come un popolo a sé stante, allora la loro storia non può essere associata a quella del popolo italiano. Infatti, i manuali le trattano come se fossero piccoli accidenti nello svolgersi della storia. Gli storici italiani per lungo tempo hanno frenato la ricerca scientifica su temi, organizzazioni e movimenti caratterizzanti la vita civile del Paese. Sono stati gli storici inglesi, invece, a porre la questione nella giusta prospettiva: le mafie, struttura di potere criminale, interagiscono con il blocco sociale e politico che ha determinato gli equilibri nazionali. Nelle università anglosassoni, infatti, la storia delle mafie è parte degli Italian Studies. La preoccupazione è che l’immaginario esalti l’onnipotenza delle organizzazioni criminali, innescando un meccanismo di rafforzamento deli stereotipi. Per ripercorrere le tappe della costruzione dell’immaginario collettivo sulle mafie attraverso i media e la produzione letteraria, abbiamo bisogno del numero di pubblicazioni realizzate nel tempo. Tra il 1948 e il 2018 sono state scritte 3.365 monografie che riportano nel titolo il termine “mafia”-78% “camorra”-12% “ndrangheta”-10%. Alla mafia siciliana è dedicato il maggior numero di pubblicazioni suggerendo una gerarchia dell’immaginario. Nel 1993 le monografie sulla mafia scendono al 75%, camorra 13% e ndrangheta 12%. Quindi, nell’intervallo di tempo tra il 1993-2018 sono state scritte 62% nella mafia, 69% camorra e 82%

sulla ndrangheta. Questo interesse sulla ndrangheta dopo il 1992 è data dai nomi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e la pubblicazione nel 1994 del panorama bibliografico in cui si sottolinea questa impennata. La prima impennata della parola mafia coincide con l’istituzione della Commissione Antimafia 1962, la strage di Ciaciulli 1963. La seconda impennata riguarda il periodo 1975-1985 in cui scatena la seconda guerra di mafia e si ottiene la collaborazione di Tommaso Buscetta (mafioso) e si avvia il Maxiprocesso. La prima impennata della Camorra, invece, parte dalla fine degli anni Settanta con la guerra tra la Nuova Camorra Organizzata (Nco) e il cartello della Nuova Famiglia (Nf). L’incremento negli anni 2000 è dovuto alla nuova faida di Scampia e del processo Spartacus contro i clan del casertano. Dalla seconda metà degli anni 2000 diminuisce l’interesse verso Cosa nostra e aumenta l’attenzione nei confronti della mafia calabrese. Ci troviamo intorno al 2007, con la strage di Duisburg (o di ferragosto) con omicidio multiplo. Per quanto riguarda la mafia, molte opere sono di autori occasionali, pubblicate da case editrici sconosciute. Per la camorra e la ndrangheta, invece, gli autori sono quasi sempre gli stessi, con temi ripetitivi e un numero ristretto di case editrici. Dopo il 1948 vi è scarsa attenzione su camorra e ndrangheta; la produzione editoriale si basa sulla mafia siciliana. Tra il 1950-1960 si sviluppa una vasta letteratura giornalistica sulle azioni dei così detti Boss; si apre così l’epoca dei “mafiosi-gangsters”- rappresentati come soggetti devianti posti ai margini della società. L’attenzione verge sui boss come Lucky Luciano e Luciano Liggio. Abbiamo un primo picco della curva bibliografica nel 1983, periodo vicino agli omicidi di Pio la Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa e alla legge del 13 settembre 1982 che istituisce il reato di associazione mafiosa. In questa crescita si collocano 3 aspetti tematici: 1. La comparizione dei fenomeni mafiosi in una prospettiva politica e giudiziaria 2. La comparsa del genere biografico dedicato alle vittime dell’antimafia 3. L’interpretazione gangsteristico-imprenditoriale e finanziario-industriale delle organizzazioni criminali. Dopo il 1992 assumono il ruolo di narratori e interpreti della memoria collettiva i magistrati, giornalisti e familiari delle vittime. Un genere che ha anche un lato oscuro: molti collaboratori svelano le forme di reclutamento, i processi decisionali, le alleanze, le strategie, il valore della donna e la famiglia, la percezione di se stessi e il rapporto con la religione dell’organizzazione criminale. Si costruisce un’antropologia della mafia.

Leonardo Sciascia ci aveva raccontato la mafia attraverso il giallo. Ma è il Noir che nella metà degli anni novanta conquista il primato della narrativa di largo consumo. Il noir mette in scena la percezione della paura divenendo, attraverso la violenza, uno strumento per decifrare la realtà. Nelle giuste mani (2007) è un libro di Giancarlo Cataldo in cui ricostruisce la storia tra prima e seconda Repubblica attraverso le vicissitudini dei personaggi in bilico tra rispettabilità e crimine. Nell’avvertenza per il lettore scrive che il romanzo non tradisce la Storia, la interpreta rappresentando eventi reali sotto il segno della Metafora. Nel 2006 è Gomorra a incorporare le strategie del noir e della nuova tendenza del New Italian Epic. Saviano scrive veri e propri romanzi criminali in cui grazie al noir trae un modello per interpretare la storia e il presente. Anche il film di Matteo Garrone denuncia il male assoluto come una realtà del nostro presente.

Capitolo 2 Gli anni Settanta sono il periodo d’oro dei mafia movies. Il calo di interesse per Cosa Nostra ha aperto lo spazio per altri tipi di criminalità organizzata, tipo dal 2006 al 2018 si dà spazio alla Suburra, la Mafia Capitale. Molti registi si sono dedicati alle mafie, come Vittorio De Sica, Giuseppe Tornatore, Benigni e Paolo Sorrentino. Lo stesso accade con gli attori come Michele Placido che raffigura sia il ruolo del mafioso e sia quello dell’eroe dell’antimafia (in qualità di regista ha fatto Romanzo Criminale). Giancarlo Giannini ha partecipato a 12 produzioni su camorra e mafia siciliana; memorabile è la sua interpretazione in Mi manda Picone, 1983. Claudio Gioè ha partecipato a 12 produzioni su Cosa nostra, ndrangheta, passando alla figura di Totò Riina nel Il capo dei capi e di Lorenzo Giammaresi nel La mafia uccide solo d’estate. Il marcato accento siciliano rende Tony Sperandeo perfetto al ruolo che recita anche in opere in cui il tema mafioso è al margine. Tra le attrici ricordiamo: Aurora Sardo con 3 partecipazioni sulle mafie, a Napoli Lina Sastri la protagonista di Mi manda Picone. Il mafia-movie si caratterizza come qualcosa che racconta la mafia dall’esterno. Il film iniziatore di questo genere è Il giorno della civetta (1968) di Damiano Damiani. La struttura del film è simile a quella del western. La scena clou è quella in cui il mafioso Mariano Arena spiega al capitano Bellodi uomo del Nord e partigiano che l’umanità si divide in 5 categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominichi, i pigliainculo e i quaquaraquà. Ci troviamo nella casa del boss che si trova alla scrivania e arrivato a parlare dei quaquaraqua si avvicina al capitano. Quando Bellodi gli chiede perché lui lo considerasse un uomo i due si trovano uno di fronte all’altro come se fosse uno specchio o come due pistoleri. Sullo sfondo ritroviamo un lampadario che funge da linea per separare i due mondi. Dunque, il

regista con una sola inquadratura, mette in scena le similitudini e le diseguaglianze tra le due sfere di potere. La scena mostra un equilibrio tra mafia e Stato, l’una il riflesso dell’altro. Scorrendo l’elenco dei film tra il 1948-58 si può rilevare una prevalenza di camorra rispetto alla mafia siciliana. Es. Napoli milionaria. Un maggiore esponente è Francesco Rosi che rappresenta l’omicidio di Pasquale Simonetti detto Pascalone e Nola, per la vendetta contro il mandante della moglie Assunta Maresca, della la Pupetta. Nel film Pascalone diventa Vito Polara, contrabbandiere napoletano. Il suo antagonista è Salvatore Aiello e i due rappresentano due criminalità: la prima è urbana e individualista, la seconda è rurale e organizzata. La prima organizza illecitamente mercati paralleli e sotterranei, la seconda ricava denaro dall’economia legale. Il punto di contatto fra i 2 universi è il mercato ortofrutticolo di Napoli. La scena in cui Vito sta guardando la televisione con Assunta e prende dal frigorifero una Coca-cola ci mostra come al tempo anche le classi pericolose nutrano le stesse aspirazioni del ceto medio, sfruttando la criminalità come strumento di integrazione. Vito, infatti, sente l’esigenza di spendere i soldi per dimostrare che da povero è riuscito ad entrare nella società dei benestanti. La modernizzazione neocapitalista comporta un aumento della delittuosità e un prestigio alle mafie. Un esempio è anche il “pizzo” che riconosce alle mafie l’autorità di esigere una tassa. I mafia-movies sono pieni di rapine, omicidi, sparatorie, sequestri. Si delinea una narrativa in cui mafia, servizi segreti, politica sono associati in un unico potere occulto. Un potere contro il male magistrati e polizia devono agire al di fuori delle regole come gli sceriffi nel far west. Questa metafora è dettata dal fatto che nel deserto i rapporti politici, sociali ed economici si disciplinano attraverso la violenza. Un luogo dove la legge la fanno i fuorilegge. L’Italia degli anni 70 è composta da ambiziosi, bestioni, bastardi, gangsters, infami e così via…queste sono le parole più utilizzate nei titoli. Dal 1967 al 1981 i titoli contenenti parole come camorra e cosa nostra ne sono 37, ma se calcoliamo anche le trame ne diventano 131. Nel film Milano calibro 9, la mafia orchestra un operazione che mette insieme un anarchico, un rapinatore e un colletto bianco: dunque, violenza politica, urbana e l’accordarsi delle alte sfere vengono manovrate per scopi dei clan. Nel 1975 arriva il primo film sulla ndrangheta, Milano, il clan del calabresi. Nei mafia-movies soprattutto Milano rappresenta il luogo di approdo dei calabresi che a contatto con la mala vita milanese assumono ruoli di affiliati o boss. Tutto accade in città. Nel panorama Napoletano ritroviamo il guappo buono, interpretato da Mario Merola. Viene raccontato lo scontro tra gli antichi valori di un mondo morente e i freddi interessi del capitalismo.

Negli anni Ottanta la morte è regista della narrazione cinemtografica. Fino al 1990 si segnalano oltre 211 vittime innocenti; è soprattutto l’omicidio di Carlo Alberto dalla Chiesa a suscitare grande commozione. E’ il film Cento giorni a Palermo di Giuseppe Ferrara a ricostruire l’attività del Prefetto alternando alla finzione cinematografica. E’ la prima docufiction sulla mafia. La RAI dà inizia ai mafiamovies così con La piovra. Nel 1984 abbiamo Così parlò Bellavista di Luciano De Crescenzo in cui l’autore estremizza lo stereotipo di Napoli che continua ad essere protagonista di film come Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti di Lina Wertmuller. Tratta di una serie di omicidi che coinvolgono alcuni esponenti della camorra attivi nel traffico di eroina. L’attività illegale mette in pericolo la salute dei clienti e i protagonisti dei traffici perdono il consenso sociale. In questi anni si costituisce anche il comitato antidroga delle “mamme coraggio”, eliminando i camorristi responsabili della morte dei loro figli. Nel 1986 è la volta de Il camorrista, di Tornatore. Qui il boss Don Raffaele è il primo a comprendere il valore della pubblicità per estendere il controllo sul territorio; si tratta del classico ragazzo povero che ha fatto fortuna elevandosi dalla miseria. Con lui, chiamato anche Cutolo, la camorra passa dai buoni sentimenti (anche se rissosi) alla violenza esibita come strumento di potere. Il regista costruisce i dialoghi prendendo le frasi più famose del boss e nelle scene delle udienze il pubblico si comporta come se stesse assistendo ad una commedia. Negli anni 80 arriva al cinema anche la ndrangheta con Il coraggio di parlare di Leonardo Castellani. La mafia calabrese è vista dagli occhi di un 15enne che rischia la vita denunciando l’omicidio di un compagno. Gli anni 90 si aprono con Jonny Stecchino di Benigni. Con le stragi gli anni successivi di Capaci e via D’Amelio ispirano registi come Giuseppe Ferrara, con Giovanni Falcone 1993. La pellicola è definita un istant-movie. Sul punto di vista cinematografico è stato molto criticato, sul versante storico si presenta come una docufiction. Nella prima scena ritroviamo un magistrale di spalle che giura fedeltà alla Costituzione, la scena è alternata con il rituale di affiliazione a Cosa Nostra. Da un lato i servitori dello Stato, dall’altro quelli dell’antistato. Alla fine, Falcone è un martire della Costituzione. Un altro film che inizia con una scena premonitrice è Il giudice ragazzino di Alessandro di Robinlant: Livatino è un magistrato cattolico che si ritrova a vivere con i suoi genitori nel palazzo in cui abita uno dei principali imputati della sua inchiesta (sottolinea come la mafia si ritrovi “dentro casa”). Il suo martirio stimola un paragone con Alla luce del sole di Roberto Faenza: il sacerdote in questo film educava i bambini alla solidarietà e alla tolleranza; qui vediamo i ragazzini festeggiare per l’uccisione di Falcone scrivendo sul muro della Chiesa- W la mafia. E’ il posto in cui don Pugliesi ha operato e il messaggi è penetrato fin lì. Il martirio ha due sequenze: officia la messa sul sagrato in modo che i mafiosi possano ascoltare e li accusa di essere

delle bestie che vivono nell’ombra incitandoli poi ad andare da lui; poi c’è la ricostruzione dell’omicidio quando una sera viene scippato e il malamente dice “è una rapina” e lui risponde con “vi stavo aspettando”. Rocky Tognazzi filma La scorta nel 1993, un omaggio agli agenti uccisi. Abbiamo anche un primo musical sulla mafia: Tano da morire di Roberta Torre. I Grimaldi di Giuseppe Greco è la lotta tra la vecchia buona mafia degli uomini d’onore e la nuova mafia cattiva dei narcotrafficanti. Negli anni 2000 avranno importanza tutte le vittime innocenti in film come Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca e I cento passi di Marco Tullio Giordana, sulla figura di Peppino Impastato. Rizzotto e Impastato sono molto simili: entrambi sono ribelli, muoiono giovani, vivono ed esercitano attività politica in un contesto mafioso e affrontano i boss mafiosi. Più che una biografia si tratta di sottolineare l’impegno della lotta contro la mafia. Anche qui, Rizzotto è una figura sacrificale; tornato dalla guerra lo vediamo aprire le braccia con un inquadratura tale che l’immagine riporti alla via crucis. Nel 2009 abbiamo Fortapasc di Marco Risi in cui Giancarlo Siani è un giornalista vittima della camorra. In questo film si è deciso di far recitare anche persone vicine alle vittime, tra cui anche il fratello di Siani, Paolo. Giancarlo è in giro per le strade e si imbatte nei traffici della droga; viene ucciso ad Arenella a Napoli, un quartiere per bene sottolineando come la borghesia napoletana non sia immune agli effetti della mafia. Nello stesso anno abbiamo La siciliana ribelle di Marco Armenta. La protagonista è Rita Mancuso appartenente ad una famiglia mafiosa e ha visto morire il padre e il fratello. Quando incontra il giudice Borsellino è desiderosa di vendetta e decide di dargli i diari in cui ha registrato tutta la sua vita. Questa scelta provoca il rinnego della madre. Quando Borsellino muore, la ragazza sente di aver perso ancora una volta una figura paterna. Un'altra vittima innocente è Vito Quaranta in Mio Cognato del 2003. Il protagonista e il fratello della moglie, Toni, compiono un viaggio in automobile di notte (parallelismo con Il Sorpasso che avviene di giorno) e morirà colui che non saprà adattarsi. Una mancata vittima è invece Alfonso D’Onofrio protagonista di Into Paradiso di Paola Randi. E’ un ricercatore universitario che si trova in un conflitto e ne esce grazie all’auto della comunità bengalese di Napoli. Alfonso sta per essere ucciso quando parla e il regista così vuole sottolineare come la conoscenza sia l’unica arma contro queste violenze. Le sue paro...


Similar Free PDFs