Mafia, Cultura, Moda: Rappresentazione e Autorappresentazione degli oggetti culturali della Mafia PDF

Title Mafia, Cultura, Moda: Rappresentazione e Autorappresentazione degli oggetti culturali della Mafia
Author Veronica Piersanti
Pages 98
File Size 4.4 MB
File Type PDF
Total Downloads 233
Total Views 945

Summary

MATR. N. 0000355276 ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÀ DI BOLOGNA FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN CULTURE E TECNICHE DELLA MODA Mafia, Cultura, Moda. Rappresentazione e autorappresentazione degli oggetti culturali della mafia. Relazione finale in Organizzazione del Sistema Moda PRESE...


Description

MATR. N. 0000355276

ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN CULTURE E TECNICHE DELLA MODA

Mafia, Cultura, Moda. Rappresentazione e autorappresentazione degli oggetti culturali della mafia.

Relazione finale in Organizzazione del Sistema Moda

PRESENTATA DA

RELATORE

Piersanti Veronica

Nicoletta Giusti

SESSIONE I ANNO ACCADEMICO 2010-2011

1

Sommario I.  Definire la cultura .....................................................................................................6  1.  Gli oggetti culturali ........................................................................................................12  2.  Il diamante culturale di W.Griswold........................................................................13 

II.  Gli oggetti culturali della mafia ........................................................................ 16  1.  La mafia come sistema .................................................................................................16  2.  La mafia come pratica...................................................................................................17  3.  La cultura mafiosa: ........................................................................................................18  4.  Gli oggetti culturali della mafia .................................................................................20  5.  Autorappresentazione della mafia. .........................................................................22  a.  Oggetti culturali di comunicazione esterna (a effetto dimostrativo).................. 22  b.  Oggetti culturali di comunicazione interna.................................................................... 26  6.  Essere donna in terra di mafia...................................................................................33  7.  La mafia rappresentata ................................................................................................40  a.  Oggetti culturali di comunicazione esterna ................................................................... 40  b.  Oggetti culturali di comunicazione interna.................................................................... 47 

III.  L’abito nella mafia ............................................................................................... 52  1.  L’autorappresentazione di Dolce&Gabbana .........................................................56  2.  “La Sicilia” di Ferdinando Scianna............................................................................65  3.  “Buscetta­Style” by Dolce&Gabbana ........................................................................72  4.  Il look della mafia...........................................................................................................78  5.  “New Generation” Vs “ Last Generation” ................................................................82 

2

Introduzione Lʼabito fa il monaco? Lʼabito fa il padrino? Lʼanalisi della cultura mafiosa che segue nelle prossime pagine, ha obiettivo di rispondere alla domanda. Questa tesi, tratta di mafia, ma è ben lontana dal voler tracciarne una storia e ancor più dal concentrarsi sullʼanalisi della mafia in quanto tale; piuttosto, nel solco aperto da alcuni studiosi italiani, vuole concentrarsi su certi aspetti culturali e simbolici che ne delineano i contorni di fenomeno sociale. In particolare, la mia analisi si concentrerà sugli oggetti culturali prodotti da… o riguardanti la mafia, tramite il metodo messo a punto dalla sociologa americana Wendy Griswold. Nel corso dellʼelaborato si vedrà come i simboli, singole componenti dellʼoggetto culturale, siano spesso ripresi dalle industrie culturali ( ex le case di moda) per costruirne un prodotto di consumo: è questo il caso delle t-shirt “Mafia made in Italy”. Lʼobiettivo è quello di dimostrare come anche lʼabito, tra i tanti oggetti appartenenti alla produzione culturale della mafia, svolga un ruolo importante nello stile di vita dellʼuomo di Cosa Nostra, come questo si evolva nel corso degli anni, in un rapporto di scambio con la società esterna. Uno stesso indumento (ex una camicia di seta) si vede indossato negli anni Sessanta da un boss del calibro di Tommaso Buscetta, e a metà anni Novanta, viene ripreso e tradotto dalla griffe Dolce&Gabbana. Lo stesso abito dunque, ma con unʼaccezione diversa; lo stesso oggetto culturale in entrambi i casi, ma, con un mondo sociale, un creatore, e un ricevente differenti. Questi ultimi, sono gli elementi chiave del diamante culturale elaborato da Griswold che mi guiderà lungo tutto lʼelaborato, e tramite il quale analizzerò volta per volta ogni oggetto. Il diamante, sostiene Griswold, “permette la comprensione della relazione tra un oggetto e il mondo” [Griswold 2005].

3

Il lavoro è strutturato in tre parti: nella prima mi sono concentrata sullʼaspetto teorico,vi sono descritti i mezzi e le teorie che mi hanno permesso di giungere alla ricerca affrontata nelle parti successive. La seconda parte la definisco come unʼanalisi degli oggetti culturali più tipici della cultura mafiosa, con una piccola introduzione di quelle che per me sono le più importanti connotazioni attribuibili alla mafia: la pratica, il sistema, e la cultura. Nella terza parte infine mi concentro sul rapporto che esiste tra mafia e moda: un punto cruciale lo svolgono sia il “Buscetta-style” proposto da Dolce&Gabbana nel 1994, sia le diversità nellʼidentità vestimentaria esibita che si incontrano, ad esempio, osservando un “anziano padrino” come Bernardo Provenzano e una giovane “new entry”, già in carcere, come Gianni Nicchi.

“Che cosa cʼentra la mafia con la moda?”: ecco forse questa è una domanda a cui dovrei rispondere, domanda che mi è stata posta da tutti coloro che erano a conoscenza del tema della mia ricerca. Otto mesi fa, quando iniziai a scrivere questo elaborato, per me la mafia e la moda non avevano nessun punto in comune: cʼera solo il desiderio, da parte mia, di mantenere una promessa, e di avere un argomento che nessuno prima di me avesse già scelto in questo corso. Con la ricerca, e con la lettura, con il dialogo e con una maggiore sensibilità sviluppata

verso

certi

argomenti,

ho

capito

che

anche

argomenti

allʼapparenza dissonanti e lontani tra loro possono avere elementi in comune; tutto ciò anche grazie al grande fil rouge che è la cultura. La moda esiste dove vi è cultura diceva Blumer, e la mafia esiste, anche e soprattutto, come “cultura mafiosa”.

4

Ringraziamenti Ringrazio tutti coloro che, sorridendo, mi hanno posto domande circa lʼutilità e il senso della mia tesi, perché, inconsapevolmente, mi spingevano a dare e fare di più.

5

I. Definire la cultura La complessità del concetto di cultura mi impone di dover procedere per definizioni e categorie. La cultura è un prodotto dellʼuomo, non è statica, ma cambia nel tempo; essa non è considerabile come unʼentità omogenea e stabile posseduta da una comunità, ma come “un insieme di processi di significazione emergenti dalle interazioni sociali” [Tylor 1871]. Il tempo è una variabile che influisce notevolmente nellʼevoluzione della cultura: ciascuna variazione è il frutto di slittamenti di significato in risposta alle trasformazioni sociali. Una delle prime definizioni di cultura, è stata data dallʼantropologo Edward Burnett Tylor nel 1871: “la cultura o civiltà, intesa nel suo più ampio senso etnografico, è quellʼinsieme complesso, che include la conoscenza, le credenze, lʼarte, la morale, il diritto, il costume, e qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dallʼuomo come membro di una società” [Tylor 1871]. Nel 1875, Matthew Arnold definisce così la cultura “quanto di meglio è stato pensato e conosciuto nellʼarte, nella letteratura e nella filosofia” [Arnold 1875 in Santoro e Sassatelli 2009 p.11]. La nozione di cultura è, in questa accezione, sinonimo di sensibilità estetica, di “conoscenza” e di “educazione morale”. Nel corso del tempo, sono state date oltre 160 definizioni del termine cultura: nel 1952, Kluckhohn e Kroeber ne raccolgono oltre 150 ne “la Natura della Cultura”. Secondo i due studiosi è possibile riferirsi a undici categorie per poter sintetizzare la portata semantica del concetto. Le categorie sono: il modo di vivere di un popolo; lʼeredità sociale che un individuo acquisisce nel suo gruppo di appartenenza; un modo di pensare, di sentire, di credere; unʼastrazione

derivata

dal

comportamento.

E

ancora:

una

teoria

antropologica sul modo in cui si comporta un certo gruppo di persone; il sapere collettivo di un certo popolo; un insieme di orientamenti standardizzati

6

verso problemi ricorrenti; un comportamento appreso; un meccanismo di regolazione normativa del comportamento; lʼinsieme delle tecniche per adattarsi al proprio ambiente di riferimento; una matrice, una mappa e una certa porzione di storia. Le definizioni che ricercano il significato di tale concetto potrebbero continuare: se si abbandona la visione più classica di cultura come sistema di vita di un popolo (concezione legata al nome dellʼantropologo americano Ward Goodenough), ci si avvicina invece a quelli che gli studiosi considerano come elementi basilari della cultura stessa. Sono quattro in particolare quelli su cui si è concentrata lʼattenzione di sociologi e antropologi alle prese con lo studio della cultura: valori, norme, credenze e simboli [Santoro e Sassatelli 2009]. Di questi quattro concetti i primi due sono stati i più influenti sotto una visione “storica”. I valori sono “ciò che le persone considerano importante, e in vista della cui attuazione, conservazione o difesa orientano le proprie azioni” [Santoro e Sassatelli 2009 p.15]. Le norme invece sono “specificazioni dei valori ai fini della loro attuazione pratica” esse indicano i modi socialmente condivisi di agire. [Santoro e Sassatelli 2009 p.15] In particolare il concetto di valore ha una lunga storia nelle scienze sociali; partendo da Max Weber fino ad arrivare al modello di Talcott Parsons, i valori sono alla base dello studio stesso della cultura. In particolare con Parsons, il più influente sociologo del secondo dopoguerra, vi è lʼidea che la cultura si basa su sistemi strutturali o ordinati di simboli che sono gli oggetti dellʼorientamento dellʼazione, su componenti interiorizzate della personalità dei soggetti agenti individuali e su modelli istituzionalizzati dei sistemi sociali. La cultura, per Parsons è un sistema attraverso cui la società trasferisce norme; lʼinsieme dei modelli di comportamento che la comunità sociale ritiene validi, su cui esiste un consenso sociale e una condivisione che i

7

membri di tale società sono tenuti a rispettare e trasmettere alla generazione successiva. La cultura svolge la funzione che il sociologo americano chiama di “latenza”, di mantenimento della stabilità del sistema sociale, offrendo agli attori sociali la motivazione e il senso dellʼazione attraverso valori, norme, idee che essi apprendono e interiorizzano durante il processo di socializzazione. Secondo Parsons la cultura non “agisce”. Essa esiste, è presente ma non è attiva [Santoro e Sassatelli 2009 p.16]. La cultura partecipa dallʼesterno allʼazione degli individui, in quanto, fornisce agli individui lʼorientamento senza esservi impegnata in maniera esplicita come avviene per gli altri sottosistemi. Il limite di Parsons è evidenziato dal fatto che egli decide di non dedicarsi al rapporto tra cultura e società. La cultura è data per scontata; norme e valori sono dati per acquisiti. Parsons non si interroga riguardo allʼorigine, e soprattutto al cambiamento, della cultura. Riporto solo due delle tante risposte al paradigma di Parsons: la prima è quella proposta da Ann Swidler che sottolinea la natura pragmatica della cultura; pur concependo la cultura come “meccanismo significante” [Santoro e Sassatelli 2009 p.17] essa viene identificata come un modo di agire e una strategia di azione: più che di fini e di mete, la cultura appare come una pratica formale significativa, in cui mezzi e fini si mescolano in tracciati dʼazione spesso dal carattere rituale e routinario. In realtà, la Swidler non parla subito di cultura come pratica, ma concettualizza la cultura come un “tool-kit”, una cassetta degli attrezzi, o un repertorio. Il suo bersaglio è sicuramente il “value model” della cultura di Parsons, e il suo argomento è il seguente: “la cultura influenza lʼazione non fornendo valori ultimi ma plasmando un tool-kit di abitudini, competenze e stili con i quali gli attori costruiscono strategie di azione” [Santoro e Sassatelli 2009 p.18]. Swidler, insieme con il modello semiotico di Clifford Geertz, oppone a Parsons “un modello di cultura inteso come sistema di simboli pubblicamente disponibili” [Santoro e Sassatelli 2009 p.18] che lei chiama “Tool kit model”.

8

Swidler fonda il suo concetto di cultura su elementi simbolici (come storie, miti e rituali) ma anche su di una strategia di azione (non intesa in termini razionalistici). Questi corsi dʼazione “forniscono a loro volta le risorse (per lʼazione) sotto forma di motivazioni, modi di pensare, stati dʼanimo, stili relazionali” [Santoro e Sassatelli 2009 p.18]. Eʼ infatti nellʼazione, che la cultura si manifesta, temporalmente e localmente situata. Un concetto simile di cultura intesa come “mezzo e strumento”, piuttosto che come “bagaglio”, è quello espresso dai due sociologi dellʼorganizzazione Michael Crozier e Erhard Friedberg. Adottando la loro prospettiva infatti, la cultura non è più “quellʼuniverso di valori e norme incarnate e intoccabili che guidano e ordinano, i comportamenti” [Crozier e Friedberg p.144 1978]. La cultura non è statica e acquisita, data per scontata, ma essa è “strumento e capacità che gli individui acquisiscono, utilizzano e trasformano costruendo e vivendo i loro rapporti con gli altri” [Crozier e Friedberg p.144 1978]. I due sociologi, quindi, oltre al “value model” di Parsons, superano anche il “tool kit model” di Swidler che, nonostante apra la strada ad una visione più dinamica della cultura, non racchiude nella “cassetta degli attrezzi” anche le relazioni con gli altri individui. Con Crozier e Friedberg invece è proprio nel rapporto con lʼaltro, rapporto di carattere minaccioso, di potere e dominazione, di rischio di dipendenza, che interviene la cultura. Ed è proprio questo che, a mia opinione, ne determina esplicitamente il carattere dinamico e attivo nella vita dellʼindividuo. Da un passo presente ne “Attore Sociale e Sistema”, scritto da Crozier e Friedberg nel 1978, ritrovo come i due studiosi abbiano un punto in comune con Swidler, ovvero come il “tool kit” della sociologa corrisponda agli “strumenti culturali” dei due studiosi dellʼorganizzazione; ma poi, come i secondi aggiungano uno “strumento in più”, ovvero “la capacità di servirsi tali strumenti”, al paradigma della sociologa. Crozier e Friedberg citano: “Gli individui, attraverso le loro molteplici esperienze, lʼapprendimento famigliare e sociale, hanno sviluppato e acquisito strumenti concettuali, schemi di

9

riferimento, in breve, strumenti culturali; di questi si valgono per costruire i loro rapporti con lʼaltro e con il mondo, e per controllarne le conseguenze affettive” [Crozier e Friedberg 1978 p.146]. La cultura quindi non solo come un ”insieme di”, ma come “insieme per”: ovvero una cultura intesa come capacità relazionale [Crozier e Friedberg 1978 p.147]. E questʼultima accezione di cultura ha anche un altro vantaggio che non è stato ancora evidenziato: essa non deve essere relegata alla sola sfera personale dellʼindividuo, ma appartiene al gruppo di questʼultimo: “In quanto capacità acquisite e sviluppate, costruite allʼinterno e ai fini dellʼazione tali capacità sono inseparabili dalle strutture entro cui deve svolgersi lʼazione sociale degli individui” [Crozier e Friedberg 1978 p.147]. Non ci si ferma quindi ad un analisi “individuale” ma, è evidente, che esistono capacità relazionali, quindi cultura, “anche a livello di gruppi, delle organizzazioni e dei sistemi” [Crozier e Friedberg p.147 1978]. Tornando al concetto di cultura classico (norme, valori, credenze, simboli), Richard Peterson afferma che, se fino alla seconda guerra mondiale, norme e valori avevano avuto maggiore rilevanza rispetto a simboli e credenze, dal secondo dopoguerra in poi la situazione si ribaltata completamente. La cultura è concepita innanzitutto come “sistema di simboli espressivi” [Peterson Anandt 2004]: essa ci può apparire sotto forma di norme, valori, qualità estetiche, gesti o beni materiali , ma ha sempre a che fare con la sfera dei significati. Che ci si riferisca a una norma, a una credenza, o a unʼopera dʼarte, cultura è ciò che ha senso per qualcuno, qualunque sia questo senso, e qualunque oggetto possa di volta in volta veicolarlo [ Santoro e Sassatelli 2009 p.19]. Affinché un significato sia culturale esso deve essere diffuso allʼinterno di qualche cerchia sociale, e la sua conoscenza deve essere condivisa. Questo significato deve poter essere comunicato, trasmesso, conosciuto e messo in pratica, intersoggettivamente.

10

Questo è un nuovo concetto di cultura, quello di cui mi servirò nel corso del mio elaborato: è il concetto semiotico [Santoro e Sassatelli 2009] di cultura, dato dallʼantropologo americano, Clifford Geertz nel 1973 ne “The Interpretation of Cultures”. Geertz ha avuto il grande merito di evidenziare “la capacità di significare” dellʼoggetto culturale, che non sarebbe tale (non sarebbe “culturale”) senza tale capacità. La cultura scrive Geertz “è una rete di significati in cui lʼuomo, lʼanimale che lʼha tessuta e continuamente la tesse, resta impigliato” [Geertz 1973, in Griswold 2005]. Non più solo valori, norme e credenze, quindi, e nemmeno simboli soltanto, ma ”simboli in quanto veicoli pubblici di significati” [Santoro e Sassatelli 2009 .p.16]. Significati da cogliere, e non nel modo che ci sembra più evidente: sono questi dei significati da ”interpretare”. Con Geertz, infatti si parlerà di scienze sociali interpretative. Infine, riporto le parole usate proprio da Geertz per definire la cultura: (essa) “è un modello di significati, trasmesso storicamente, significati incarnati in simboli, un sistema di concezioni ereditate, espresse in forme simboliche per mezzo di cui gli uomini comunicano, perpetuano e sviluppano la loro conoscenza e i loro atteggiamenti verso la vita” [Geertz 1973, in Griswold 2005]. Wendy Griswold nota anche lei, come questa di Geertz sia una tra le più accurate definizioni di cultura avanzata nelle le scienze sociali: qui la cultura è vista come complessivo modo di vivere, perché si incentra su simboli e sul comportamento che deriva dai modi di pensare simbolicamente espressi. Seguendo questa definizione quindi si opterà: 1. Per un relativismo, e si eviteranno valutazioni. 2. Per la persistenza della cultura, la stessa persistenza che avevo evidenziato allʼinizio dellʼelaborato. “la cultura non è ciò che giace in un museo o nella biblioteca custodita da leoni di bronzo; al contrario, essa consiste nei modi in cui i frequentatori dei musei (e tutti gli altri) vivono la loro vita” [Griswold 2005].

11

3. Per lʼidea che la cultura possa essere studiata empiricamente come ogni altra cosa. 4. Si partirà, infine, dal presupposto, di uno stretto legame tra cultura e società. 1. Gli oggetti culturali Evidenziando la connessione che cʼè tra cultura e società come prima nozione si deve ricordare, sempre seguendo Griswold, che nel mondo reale “non esiste una cosa come cultura e una come società (…) parlare di società da una parte e di cultura dallʼaltra significa fare una distinzione analitica tra due diversi aspetti dellʼesperienza umana” [Griswold 2005 p. 16]. Griswold esprime una nuova divisione che, a mio ...


Similar Free PDFs