Lo stemma codicum della Metafisica di Aristotele PDF

Title Lo stemma codicum della Metafisica di Aristotele
Author Silvia Fazzo
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REVUE D’HISTOIRE DES TEXTES © BREPOLS PUBLISHERS THIS DOCUMENT MAY BE PRINTED FOR PRIVATE USE ONLY. IT MAY NOT BE DISTRIBUTED WITHOUT PERMISSION OF THE PUBLISHER. REVUE D ’HISTO I R E D ES T EXTE S nouvelle série TOME XII 2017 All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, store...


Description

REVUE D’HISTOIRE DES TEXTES

© BREPOLS PUBLISHERS

THIS DOCUMENT MAY BE PRINTED FOR PRIVATE USE ONLY. IT MAY NOT BE DISTRIBUTED WITHOUT PERMISSION OF THE PUBLISHER.

REVUE D ’HISTO I R E D ES T EXTE S nouvelle série

TOME XII 2017

All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system or transmitted, in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording, or otherwise, without prior permission of the publisher. © 2017, Brepols Publishers n.v., Turnhout, Belgium Printed in Belgium D/2017/0095/32 ISBN 978-2-503-57218-5 ISSN 0373-6075

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SOMMAIRE ARTICLES Francesca M ANFRIN, Studi sulla tradizione manoscritta dell’ Eutifrone di Platone : la terza famiglia . . . . . . . . . . . . .

1

Silvia FAZZO, Lo stemma codicum della Metafisica di Aristotele   .

35

Thibault M IGUET, Premiers jalons pour une étude complète de l’histoire du texte grec du Viatique du Voyageur (  ) d’Ibn al-Ğazzār . . . . . . . . . . . . . . . .

59

Antonio R IGO, Autografi, manoscritti e nuove opere di Giuseppe Kalothetos (metà del XIV secolo) . . . . . . . . . . . .

107

Fabio STOK, Giuseppe R AMIRES, La lacuna del commento di Servio ad ecl. 1.37-2.10 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

141

Irina GALYNINA, Accessus ad Lactantium ? Zur handschriftlichen Überlieferung der Werke des Lactanz und zur Exzerptmethode im Mittelalter (I) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

161

Louis HOLTZ, La tradition du texte de « l’édit de Milan » . .

197

Camille GERZAGUET, L’Expositio beati Ambrosii super Cantica canticorum du manuscrit Firenze, BNC, Conv. Soppr. J.III.17 . . . .

215

David ZBÍRAL , Heretical Hands at Work : Reconsidering the Genesis of a Cathar Manuscript (Ms. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Conv. soppr. J.II.44) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

261

Andrea L AI, Il breviario di Martino I d’Aragona (1396-1410). Contributo alla storia del ms.  Paris, Bibliothèque nationale de France, Rothschild 2529 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

289

Olivier DELSAUX, La ou les traduction(s) française(s) du De casibus virorum illustrium de Giovanni Boccaccio au XVe  siècle ? Mise au point sur l’histoire d’« un » texte (I). . . . . . . . . .

321

AUTOUR D’UNE COLLECTION PRIVÉE Benoît TOCK, Les Institutiones Conversorum d’Arrouaise au e XII  siècle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

353

VI

SOMM AIR E

Rossana GUGLIELMETTI, L’Elucidarium d’Honorius Augusto dunensis dans le manuscrit IRHT, Collection privée, CP 406 . .

371

NOTES Juan Antonio E STÉVEZ SOLA, Un manuscrito desconocido del De Preconiis Hispanie de Juan Gil de Zamora . . . . . . . . . .

381

Michael WI N T E R BOT TOM , The pleasures of editing . . . . .

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LO STEMMA CODICUM DELLA METAFISICA DI ARISTOTELE Fra le scienze storiche e ausiliarie di cui lo studio della filosofia si avvale, l’ecdotica è una di quelle che più nettamente può conoscere un tipo speciale di progresso e di avanzamento, quale consiste nel ritornare indietro ogni volta più accuratamente, per proporre una ricostruzione che si vuole più esatta e sicura rispetto alle precedenti. Un tale progresso, proprio per questa sua duplice natura di ritorno all’indietro e di superamento in avanti, non è necessariamente lineare e non ha nulla di automatico – può persino conoscere il regresso, o quantomeno, lunghi momenti di stasi. Lo stemma codicum, quando esiste, ha un ruolo speciale, perché deve essere necessariamente tenuto in conto ai fini dell’edizione critica 1. In questo suo ruolo possiamo analizzare due valori, quello descrittivo e quello prescrittivo : lo stemma vale infatti sia come proiezione visiva della tradizione, sia come sintesi dei presupposti che governeranno le scelte editoriali. Vorrei portare l’attenzione sull’interazione fra i due, con specifico riferimento a una certa stasi che si registra nell’evoluzione del nostro caso di studio. Nel contesto di un’edizione critica, indubbiamente il primo aspetto ha carattere fondativo rispetto al secondo, esso indica infatti il peso di ciascuno dei testimoni. Ma in contesti diversi lo stemma può avere funzioni diverse. Può avvenire che la componente valutativa, che distingue i rapporti di priorità fra codici in uso per l’edizione, sia assunta come già nota, fungendo da criterio per la ricostruzione dello stemma. Questo avviene nel primo abbozzo di stemma, volutamente parziale e selettivo, quale fu delineato da Alfred Gercke nel 1892. Gercke intendeva così indicare la posizione relativa del codice che egli aveva scoperto presso la Wiener Staatsbibliothek 2, e che egli chiamò  W, cioè l’attuale  J  – rispetto ai i codici principali in uso nelle edizioni del X I X secolo, E e Ab (A nello stemma) 3 :  (1) J.  I R IG OI N , Règles et recommandations pour les éditions critiques (Série grecque), Paris, 1972.  (2) A. GE RCK E , Aristoteleum, in Wiener Studien, 14, 1892, p. 146-148.  (3) Ora sappiamo che il Vind. Phil. Gr. 100 è il più antico fra i codici conservati della Metafisica (metà del I X  secolo). Forse per una forma di prudenza, Gercke lo considerò « quasi gemello » del codice E (Paris. gr. 1853), che era noto come fonte principalissima del corpus aristotelico. Scrive infatti (A.  GE RCK E , Aristoteleum,

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SILVIA FAZZO

saec. X/XI

E

W

XII A

Il codice W di Gercke è il vetustissimus ora indicato come  J –  cioè il Vindobonensis Philosophorum Graecorum  100, l’« Aristotele di Vienna ». A  chi si occupa dei codici della Metafisica, questo stemma è molto chiaro : ivi Gercke mette a paragone  W, non tanto con l’archetipo, che non è tematizzato né indicato con sigla, quanto piuttosto rispetto a E (Paris. gr. 1853) e A – ovvero, Ab (Laur. 87.12), sui quali Brandis, Schwegler, Bonitz e Christ avevano condotto le proprie edizioni. Quanto al concetto centrale espresso dallo stemma, cioè l’avvicinamento di J  (W) a  E, Gercke tiene come riferimento le edizioni Teubner di Christ 1885, 1895, la cui comune « Praefatio » aveva introdotto due concetti di largo impatto nella storia editoriale della Metafisica : l’antichità speciale della tradizione attestata in  Ab, che Christ aveva giudicato qualitativamente superiore a quella di  E 4 ; e la reciproca indipendenza di Ab e di E. Dall’interazione fra i due presupposti, entrambi attivi in Gercke, deriva la forma dello stemma, che fa risalire E e J congiunti a un esemplare inferiore ovvero meno antico rispetto alla fonte di Ab. Sul valore dell’edizione di Christ non ci fu unanimità. Jaeger la squalificò senz’altro come « unimportant » 5 , a fronte sia del proprio progetto in fieri, sia dell’edizione di Ross (1924) 6 . cit. n. 2, p. 146) su E : « in quattuor… prioribus scriptis [i.e. Phys., De cael., De gen. et corr., Meteor.] una fere salus in codice  E consistebat » ; e di J : « alter liber paene gemellus nondum in lucem protractus est membranaceus in folio saeculi X-X I  » : non si spinse più indietro nella datazione.  (4) Sulla precarietà di questo presupposto, che ho sovente ribadita, cfr.  in particolare l’introduzione a S.  FA ZZO, Il  libro Lambda della Metafisica di Aristotele, Napoli, 2012 ; S. FA ZZO, Aristotle’s Metaphysics ‒ Current Research to Reconcile Two Branches of the Tradition, in Archiv für Geschichte der Philosophie, 4, 2016, p. 433-457 ; cfr. anche P. G OL I TSIS , Editing Aristotle’s Metaphysics : A Response to Silvia Fazzo’s Critical Appraisal of Oliver Primavesi’s Edition of Metaphysics Alpha, ibid., p. 458-473.  (5) Jaeger nella sua recensione dell’edizione di Ross (in The Classical Review, 39, 1925, p.  176-180, in part. p.  177) intendeva specialmente giustificare il suo proprio proposito di produrre una nuova edizione per Teubner, l’editore medesimo di Christ (in vista della quale aveva pubblicato già due serie di Emendationen, cfr.  n. 14), e sottolineare il valore dell’edizione di Ross, che stava recensendo, a fronte della quale egli aveva poi abbandonato l’impresa.

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Ciò nonostante, proprio da quei due presupposti, e in specie anche da quello di un certo primato di Ab su E, Jaeger prese le mosse negli anni successivi, a partire dalle Emendationen del 1917, per articolare la teoria genetica della Metafisica, pubblicata nel 1912, con il problema critico della costituzione del testo. Su questa base, egli si preparava a dare una nuova edizione della Metafisica, che attraverso la divisione fra le due famiglie confermasse la presenza di varianti d’autore che portassero in luce fasi diverse dell’elaborazione aristotelica del testo. Che questa fosse l’intenzione e l’aspirazione di fondo di Jaeger : preparare un’edizione che portasse traccia dei diversi stadi dell’elaborazione aristotelica della Metafisica, si vede dall’edizione del 1957, ove egli inserirà le sue famose Doppelklammer per indicare quelli che egli identifica come Aristotelis additamenta (sic) 7. Oggi, in sede di discussione sullo stemma e sui principi editoriali, raramente si rif lette su questa indicazione così speculativa, che costituisce la cifra caratteristica dell’edizione di Jaeger. Egli ritiene cioè di poter ancora rinvenire nei rami della tradizione manoscritta le tracce di un testo diviso e non unificato. Nega, possiamo dire tecnicamente, ogni possibile   – almeno se si vuole chiamare  , secondo l’uso corrente negli stemmi dei codici, il più antico archetipo comune alle diverse fonti disponibili. Per Jaeger, nella storia testuale della Metafisica non c’è  , perché le diverse fonti disponibili  – Ab  da una parte (quella che ora si chiama tradizione  ) e J e E (con il loro modello  ) dall’altra (quella che ora si chiama tradizione  ) non derivano dallo stesso testo. Quanto al primo concetto introdotto da Christ –  l’origine antica, e anzi papiracea, del testo di Ab – Jaeger sostanzialmente lo accetta, insieme alla connessa implicazione : l’anteriorità per così dire assoluta del testo di Ab nella storia della tradizione ; d’altra parte, a rinforzo dell’argomento, Jaeger teorizza l’origine tarda, e precisamente, bizantina del testo  soggiacente al modello comune dei codici E e J, in quanto esso si presenta come edizione unitaria e compatta. Scrive infatti in apertura delle Emendationen del 1917 (p. 481, traduzione e corsivi miei, cfr. infra n. 14) : Credulità (Aberglaube) sarebbe, dall’unità esteriore della forma del testo […  (scil., di  )] giudicare della sua antichità e del suo valore. […] Questa lucentezza esteriore, già sospetta di per sé, è solo ingannevole apparenza, che la storia del testo può e deve scoperchiare. Con Aristotele, e specialmente con la sua opera principale [scil. la Metafisica], noi siamo in una posizione  (6) W. D. ROSS , Aristotle’s Metaphysics, Oxford, 1924.  (7) W. JA EGE R , Aristotelis Metaphysica, Oxford, 1957, p.  X V I I I .

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SILVIA FAZZO

favorevole e rara, quella di poter guardare [grazie, egli intende, anche al codice  Ab, considerato di origine antica] al di là della facciata dei nostri manoscritti bizantini [scil., di J e di E], di poter conoscere come si presentasse il testo durante i primi secoli dell’età imperiale [scil., in Alessandro di Afrodisia, in eventuale accordo con  Ab], come apparisse e come si restringesse verso la fine dell’antichità [scil., all’epoca di Siriano ed Asclepio], e come la forma unitaria [scil.,  ] si instauri ad opera dei filologi ed editori bizantini.

Su questa base, Jaeger non produsse in proprio un nuovo stemma. Implicitamente, tuttavia, mostrò di riferirsi allo stemma di Gercke, che a sua volta si era affidato a Christ : attribuita la sigla  al modello comune di  E e di  J, lo datò al X-X I   secolo, riprendendo da Gercke un’indicazione cronologica alquanto approssimativa. Tali presupposti di Jaeger furono fondamentalmente accettati da Ross nell’editio maior del 1924, pur con prudenza, e con non poche precisazioni di dettaglio 8 . Gli stessi presupposti di fondo, a maggior ragione sono ancora attivi nell’edizione OCT dello stesso Jaeger del 1957. Ivi egli introduce bensì sfumature di revisione sui singoli codici, e una datazione molto diversa per  –  che ora, ben più correttamente egli sembrerebbe considerare come un esemplare tardo antico 9. Quanto alla sua caratterizzazione, egli rinvia tuttavia ancora al suo studio del 1917 10 . In definitiva, Jaeger continuò a considerare  , il modello comune di E e di J, secondo quella sua prima intuizione, come un’edizione bizantina unitaria, di « ingannevole lucentezza ». Così, il concetto di fondo espresso da Jaeger nel passo ora citato è stato inf luentissimo, o direttamente, o attraverso le edizioni e le scelte editoriali che ne sono derivate in Ross e in Jaeger. Per questo, non è superf luo rivisitare analiticamente le parole di Jaeger, per vedere che cosa sia stato più nettamente smentito, e che cosa possa essere ancora valido. Diciamo dunque subito perché non può essere valida la prima datazione di  , modello di E e di J, al X-X I  secolo : essa è impossibile, non solo perché il codice  J, che ne deriva, non può scostarsi troppo dalla metà (più precisamente, la seconda metà) del I X  secolo : contiene glosse di una mano attiva nella cosiddetta ‘collezione filosofica’, nell’ultimo  (8) Le precisazioni includono controlli incrociati quanto alla concordanza fra codici (Ross valorizza le possibilità di confrontare tre termini, per esempio E con J da una parte, Ab dall’altra, contro la testimonianza di Alessandro) ; pubblica per primo una collazione generale di J, che è ancora l’unica disponibile su tutta l’opera (l’apparato di Jaeger infatti per lo più raduna J sotto  ), e che resta  a tutt’oggi uno dei pregi dell’edizione di Ross.  (9) P.  V I I I .  (10) Cfr. p.  V I n. 1.

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terzo del I X   secolo stesso ; ma soprattutto perché esso, a chiunque lo esamini da vicino, si presenta specificamente come copia da modello in scriptio continua, maiuscola, senza spiriti né accenti. Se, come conviene, continuiamo a chiamare il modello di  J, come faceva Jaeger, si deve dire però che difficilmente sarà posteriore al V I , V I I  secolo : è con ogni probabilità un esemplare tardo antico 11. J è la sua traslitterazione diretta, compiuta da uno scriba, dotata di spiriti e accenti da un diorthotes, e riveduta da J2 12. Tutte queste vedute saranno espresse nello stemma che proporrò qui infra, p. 52. Se questo modello soggiace sia a E che a J, certo non è infondata in Jaeger l’idea di un modello comune ai due codici : questa è ereditata in parte da Gercke, che aveva considerato « gemelli » i due codici ; saranno piuttosto « fratelli », come dice Jaeger (il modo di derivazione non è infatti parallelo e simile nei due casi, e l’esito, per certi aspetti, è diverso, pur in una concordanza strettissima del  (11) Come più tardi riconosceva Jaeger labentis antiquitatis : W.  JA EGE R , Aristotelis Metaphysica, cit. n. 7, p.  V I I .  (12) Gli interventi di J2 sono caratterizzati da una grafia leggermente inclinata, ove i moduli fra le parti delle lettere presentano proporzioni diverse rispetto al copista principale. I  tratti orizzontali sono talora meno regolari, e più schiacciata è la parte tonda delle lettere, in specie del sigma, che è invece assai regolare nella mano principale J. In  J infatti la parte tonda del sigma ha modulo comparativamente maggiore, occupando circa lo stesso spazio che viene poi lasciato libero sotto il tratto orizzontale. Anche i nessi sono diversi, e la differenza è talora macroscopica, come nel nesso , cfr.  la tav.  3b, f.  186r, l.  26 (1071a3), 30 (1071a9) : ivi si confronta J2 in margine alla linea 26 (che supplisce alla lacuna in omoioteleuto , 1071a3)  con  J in fine della linea 30,  ; diverso è anche il nesso - -, che ricorre nelle due grafie nella tav.  1 al f.  185r, entrambe le volte alla l.  25, in J2 in margine (ove supplisce   , caduto in 1069a36 per salto da simile a simile) e in J nel corpo del testo ( // , 1069a35) ; la stessa differenza nel nesso - - si può considerare nella tav. 3c, f. 186r l. 38 (l’ultima della tavola) : ivi nel corpo del testo, , 1071a20, si può vedere la forma del nesso - - in J, mentre in margine, alla stessa altezza, si vede la forma dello stesso nesso - - dove J2 supplisce ’ (caduto per omoarcto fra 1071a20 e 1071a21). Leggermente diversa è anche la  , che ha forma più angolata in J2 (tav.  3b, tav.  3c, f. 189v l. 33-34, , , 1076a24 ; tav. 3B, f. 186r26,   , 1071a3), solitamente più verticale e tondeggiante in  J ( passim). Si considera generalmente ininf luente, ma merita menzione, che J2 ricorra correntemente ad abbreviazioni, assenti in  J, soprattutto per la congiunzione (in margine alle tav. 3b, f. 186r l. 26 e tav. 3c, f. 189v l. 34) e per le desinenze (in margine alle tav. 3b, f. 186r l. 38, tav. 3c, f. 189v l. 34) . Più significativo è il modo dell’impugnatura del calamo, che porta J2, a differenza di J, a insistere con zone di inchiostro più intense sulle parti terminali dei singoli tratti. Ringrazio per la discussione Carlo Maria Mazzucchi, cui devo anche provvidenziale discussione e rilettura di questo scritto e così Stephen Menn e M. Reeve.

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SILVIA FAZZO

dettato del testo 13). Questa discendenza di E e J da modello comune è stata però contrastata nella letteratura più recente, che li separa nettamente con un deperditus intermedio  , ma indubbiamente a torto, come il mio stemma intenderà mostrare. Anche per un altro motivo, d’altronde, a Jaeger si deve credito : per aver visto e tematizzato una fase di lavoro e un conseguente strato editoriale decisamente post-aristotelico. In un certo senso, in effetti, egli aveva visto bene, a sentire in  l’intervento di un’attività editoriale di scuola, che si sovrappone a ciò che doveva essere l’eredità aristotelica originaria. Fra Aristotele e i nostri codici più antichi ci fu indubbiamente l’edizione di un corpus aristotelico organicamente ordinato, riveduto, e rifinito sia nell’insieme sia nelle parti, anche dal punto di vista della costituzione del testo. Ma a quale altezza cronologica questa edizione sia da collocare, non poteva essere ancora determinato un secolo fa. Per Jaeger, senz’altro essa è opera di uno dei filologi bizantini che furono istruiti in filosofia al tempo della Rinascenza Bizantina dello studio di Platone e di Aristotele (X-X I  secolo) 14.

Ecco dunque di dove viene la datazione del modello comune di  E e di J al X-X I  secolo, nel giovane Jaeger. Il problema, un problema di prospettiva si potrebbe dire, è che Jaeger poneva questa tipologia di testo a confronto con Ab, sul presupposto di un’origine antichissima del testo consegnato in questo codice. Qui sta il problema maggiore. Per questo, come abbiamo ricordato, per Jaeger, nella storia testuale della Metafisica non c’è  , perché le diverse fonti disponibili – Ab da una parte (quella che ora si chiama tradizione  ) e J e E (con il loro modello  ) dall’altra (quella che ora si chiama tradizione  ) non derivano dallo stesso testo. Nelle discussioni filologiche, le ipotesi di Jaeger hanno condizionato la comprensione dell’origine dei codici e del lor...


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