L\'Orlando Furioso - riassunto PDF

Title L\'Orlando Furioso - riassunto
Course Lettere Moderne
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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riassunto...


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L'Orlando Furioso CANTO 1 Il primo canto dell’Orlando Furioso funge da introduzione assieme al Proemio, perché in esso possiamo trovare tutti i temi chiave dell’opera, nonché l’evidente collegamento con il poema precedente (l’Orlando Innamorato di Boiardo) a cui è strettamente annesso e del quale si può considerare la continuazione. Troviamo infatti diversi riferimenti ad alcuni fatti avvenuti in precedenza, senza i quali non si capirebbero alcune delle situazioni narrate. Ad esempio nella stanza 1 viene ricordato il viaggio di Orlando che ha seguito Angelica per tutta l’Asia (India, Persia, Asia Centrale) per poi ricondurla in Occidente. Nella stanza successiva c’è la presentazione del contesto storico: in Francia il re Carlo Magno che vuole far pentire la Spagna e l’Africa di aver iniziato la guerra contro il suo Paese. Carlo in seguito sequestra Angelica la quale era causa delle discordie tra due dei suoi combattenti: i cugini Rinaldo e Orlando, che a causa di questa contesa rendevano meno sul campo di battaglia. Viene anche ricordato l’amore che Rinaldo prova per la donna, mentre lei lo odia. Proseguendo nella vicenda troviamo un altro flashback. Nelle strofe viene raccontato di come Sacripante si sia innamorato di Angelica. Anche lui l’aveva seguita in Oriente, per poi tornare in Francia alla notizia del sequestro. Lei aveva già ricevuto la sua protezione ad Albracca, per questo è consapevole di quanto Sacripante sia fedele ed affidabile. L’ultimo cenno al passato lo troviamo nella stanza 73, quando Angelica riconosce Baiardo, lo scudiero di Rinaldo. Infatti anche l’animale la identifica e si avvicina a lei docilmente, come un cane che fa le feste al padrone. Qui emergono le doti umane del cavallo, quali l’intelligenza e la memoria. Inizialmente lei era innamorata di Rinaldo, mentre lui la odiava, prima che si scambiassero i destini bevendo dalle fonti magiche. Tutte le storie di ogni personaggio sono orientate tramite grandi temi portanti, primo fra tutti la ricerca. Un esempio lampante è Ferraù. La sua storia inizia con l’elmo perduto di Argalia, ricerca tralasciata dopo l’arrivo di Angelica. E’ proprio la donna il secondo elemento ricercato da Ferraù. La donna infatti è scappata durante il combattimento tra lui e Rinaldo. In seguito l’uomo incontra il fantasma di Argalia. Quest’ultimo, dopo essersi ripreso il suo elmo, consiglia a Ferraù di guadagnare con onore un elmo altrettanto prezioso, come quello di Orlando o di Rinaldo. E’ grazie a questo che la terza ricerca di Ferraù è proprio il paladino Orlando da cui vuole ottenere l’elmo. In questo canto Ariosto fa un vasto utilizzo di tecniche narrative che permettono l’intreccio degli eventi in maniera fitta e complessa ma che mantiene un ordine logico. Si potrebbero fare numerosi esempi ma tra i più significativi appare il momento in cui Sacripante sta per assalire Angelica per privarla della sua verginità e nel momento decisivo interviene un nuovo personaggio, un cavaliere cristiano. In questo modo Sacripante abbandona il momento di intimità con Angelica per dedicarsi al combattimento. Questo è un esempio di entrelacement. Il finale è altrettanto interessante e lascia la storia sospesa al momento in cui Rinaldo ha riconosciuto Angelica che cavalca Baiardo in compagnia di Sacripante. E’ Ariosto a intervenire direttamente rimandando la continuazione di questa parte di storia ad un altro passo (tecnica del differire). Questo canto è fondamentale per l’opera e mostra la visione globale di Ariosto, che non esita a intervenire in prima persona mostrandoci una visione “storpiata” rispetto a quella che ci si aspetta leggendo un poema che tratta di amore, cavalieri e dame. Arriva persino a sostenere che la ragione umana commette sovente degli errori. E’ anche grazie alle

presentazioni dei vari paladini che l’autore trasmette il suo pensiero: stima gli idealisti come Orlando ma ne descrive l’inevitabile caduta. Questo aspetto compare con ogni cavaliere. Rinaldo nella strofa 12 si presenta senza cavallo. Un cavaliere a piedi è una chiara parodia che evidenzia il contrasto tra stereotipo e realtà. Ferraù invece non è fedele alla sua parola perdendo l’elmo del fratello di Angelica, non rispettando in questo modo il codice etico cavalleresco. Infine Sacripante si fa trovare da Angelica mentre piange e si lamenta quasi come una fanciulla. Queste presentazioni tendono a mettere in evidenza le classiche caratteristiche dei cavalieri ma ribaltando il classico punto di vista. Continuando su questa linea di pensiero, le due donne sembrano sostituirli. Sia Angelica che Bradamante sono forti e riescono ad imporsi. Angelica è scaltra e sa ingannare con il comportamento e con le parole, riuscendo a convincere facilmente il sesso opposto. Invece Bradamante è addirittura più abile di un paladino maschio nel combattere. La differenza è che Bradamante sostituisce completamente la figura cavalleresca e la personifica nel modo corretto, mentre Angelica cede alle passioni e non è fedele all’etica cortese. Comunque in entrambi i casi il ruolo e la considerazione della donna si mostrano rivoluzionari per questo tipo di letteratura. CANTO 19 Medoro cerca di salvarsi imboccando la via più intricata ma non abbandona il cadavere del suo signore e cosi, ben presto, è raggiunto dai nemici. Cloridano, ormai in salvo, non vede più Medoro accanto a sé; ritorna indietro a cercarlo e lo vede in trappola. Scaglia allora, dall’ombra, una freccia che trafigge a morte un cavaliere cristiano. Zerbino afferra per la chioma Medoro, deciso a colpirlo mortalmente. Il guerriero saraceno prega Zerbino di poter seppellire il corpo del suo re, prima di ucciderlo. Zerbino è commosso dai modi cortesi e gentili di Medoro e, mostrando grande nobiltà d’animo, non lo colpisce. Ma uno dei suoi ferisce il giovane al petto con un forte colpo di lancia. Medoro cade, come morto. Allora Cloridano infuriato esce dal fitto della boscaglia per combattere in campo aperto, più per morire che per vendicarsi vede fra tante spade che lo incalzano la sabbia diventar rossa del proprio sangue, sente venir meno le forze e si lascia cadere accanto a Medoro. Angelica, sfuggita nella selva a Ferrau, incontra per caso Medoro gravemente ferito. Nella fortuna non si possono distinguere i veri dai falsi amici — Cloridano è ucciso e Medoro ferito — Angelica s'imbatte in Medoro moribondo, io risana, se ne innamora e io sposa — Marfisa e i compagni sono sbattuti da una tempesta nell'isola delle femmine omicide — Marfisa vince i dicci campioni, tranne l'ultimo, che si dimostra pari a lei in valore. Nella fortuna non si possono distinguere i veri dai falsi amici (1-2) - Nessuno può sapere da chi sia amato, quando la fortuna gli arride. Perciò nelle corti, se si potesse leggere nel cuore degli uomini, il favorito sarebbe talvolta scacciato e il reietto salirebbe al suo posto. L'oscuro Medoro, che tanto amò il suo re in vita e in morte, avrebbe ben meritato presso la corte i sommi onori. Cloridano è ucciso e Medoro ferito (3 - 16) - Medoro fugge ora nella selva, reggendo la spoglia de! suo re; ma il prezioso carico gli è di grave impedimento. Cloridano invece, svelto e leggero, si è già posto in salvo; ma quando s'avvede che Medoro non lo ha seguito, si dispera e torna sui suoi passi. Egli vede il compagno, che, circondato da cento cavalieri, non si arrende, e, posata la cara salma per terra, le gira intorno per fnrle schermo del suo corpo. Allora, non potendo salvare l'amico, vuole almeno morire con lui, ma prima vendere a caro prezzo la vita. Nascostosi tra i rami, scaglia una freccia che va a colpire uno Scozzese; e mentre tutti si

volgono dalla parte donde è venuto il colpo, un altro Scozzese è colpito allo stesso modo. Allora Zerbino, preso dall'ira, si slancia contro Medoro, per trarre vendetta su di lui; ma mentre già gli afferra le chiome per ucciderlo, vinto dalla leggiadria del giovinetto, ne prova pietà e non l'uccide. Medoro, approfittando di questa esitazione, implora di lasciarlo vivere per poter dare sepoltura al suo signore, e di fare poi strazio del proprio corpo. Zerbino già s'intenerisce, quando uno dei cavalieri ferisce con la lancia il delicato petto del giovane, che cade tramortito. Allora Zerbino sdegnato si scaglia contro l'assalitore, che cerca scampo nella fuga. Intanto Cloridano, credendo ucciso il suo Medoro, esce dal nascondiglio e si getta fra i nemici per vendicarlo; ma, colpito da ogni parte, cade ucciso al suo fianco. Gli Scozzesi procedono oltre, dietro il loro capo fieramente sdegnato, mentre Medoro giace al suolo senza forze, perdendo sangue dalla ferita. Angelica s'imbatte in Medoro moribondo, lo risana, se ne innamora e lo sposa ( 17-36) - Ma ecco che, per sua buona sorte, s'imbatte in lui Angelica, nei panni di una pastorella. Essa, da quando aveva ricuperato il suo anello, se ne andava sola, disprezzando tutti i suoi adoratori e credendosi ormai inviabile contro i dardi d'amore. Ma il dio, mal tollerando tanta arroganza, la aspettò al varco, dove Medoro giaceva insanguinato. Infatti, non appena essa vede il giovinetto ferito, prova un'insolita pietà, che si accresce quando egli le narra i suoi casi. Ricordandosi le cognizioni mediche apprese in India, raccoglie un'erba prodigiosa, che poco prima aveva scorta passando, e con l'aiuto di un pastore, che errava in quei luoghi in cerca di una giovenca, medica il giovanetto, infondendogli tanto forza, che può dar sepoltura a Dardinello e a Cloridano. Poi entrambi si recano alla casa del pastore, fra la pace della campagna, dove Angelica si propone di rimanere finché il giovane sia completamente guarito. Ma mentre Medoro a poco a poco risana. Angelica sente la pietà trasformarsi sempre più in ardentissimo amore. Essa, la regina del Catai, che ha sdegnato l'amore dì Orlando, di Rinaldo, di Sacripante, di Agricane, di Ferravi e di tanti altri famosi guerrieri, confessa al giovane la passione che la strugge. E, per rendere onesta la cosa, celebra nella capanna il matrimonio con lui, pronuba la moglie del pastore. Dopo le nozze i due sposi felici trascorrono in quella tranquilla dimora più di un mese, riempiendo del loro infinito amore tutti i luoghi all'intorno; né vi è albero, o sasso, o muro, in cui non incidano i loro nomi intrecciati Angelica e Medoro partono per l'Oriente (37 42) - Quando le sembra di essersi trattenuta abbastanza, Angelica decide di ritornare al Catai, dove vuol incoronare re il suo Medoro; ma prima di partire regala al buon pastore un prezioso bracciale, che le era stato un tempo regalato da Orlando, e che essa aveva sempre conservato non per amore di lui, ma per la ricchezza e la egregia fattura. Passati i Pirenei, i due giovani prendono la strada di Barcellona, con l'intento di imbarcarsi per il Levante; ma, cammin facendo, s'imbattono in un pazzo, tutto lordo di fango, che fa per scagliarsi contro di loro. Marfisa e i compagni sono sbattuti da una tempesta nell'isola delle femmine omicide (43-62) Intanto Marfisa, Astolfo, Aquilante, Grifone e gli altri compagni sono da tre giorni in preda alla tempesta. Il cassero, gli alberi, il timone sono perduti; i marinai non riescono più ad orientarsi con aiuto alcuno; si fanno voti di pellegrinaggio; si gettano in mare merci preziose. Finalmente, quando ormai tutti si credono all'estremo, brilla a prua la luce di Sant'Elmo. La tempesta si

calma, mentre i naviganti si inginocchiano; ma un forte vento di libeccio sospinge ora la nave a grandissima velocità, tanto che il nocchiero, per rallentare il corso, fa gettare in mare fasci di ciarpame e allenta la gómena. Ma ecco che la nave giunge al golfo di Laiazzo ( = Alessandretta), presso ad una grande città. Il nocchiero prova nuovo sgomento, perché stare in alto mare o fuggire è impossibile, essendo gli alberi e le antenne tutte perdute; e approdare significherebbe andar incontro a morte o a sicura schiavitù. Astolfo, non sapendo rendersi conto di tanta esitazione, gliene domanda il motivo; e il nocchiero narra che in quella città stanno le femmine omicide, che, per un'antica legge, mettono a morte o in servitù chiunque approdi, a meno che riesca a vincere in campo dieci uomini e far da marito a dieci donne. Se egli riesce nella prima prova, ma fallisce nella seconda, è tratto a morte e i suoi compagni sono ridotti in schiavitù; se riesce in entrambe le prove, deve restare sempre in quella terra con le sue dieci mogli, mentre i compagni guadagnano la libertà. Astolfo ascolta non senza riso lo strano racconto, ma i marinai non hanno il coraggio di approdare. Astolfo e i suoi compagni sono invece desiderosi di tentar l'avventura e costringono il nocchiero a dirigersi verso il porto. Marfisa vince i dicci campioni, tranne l'ultimo, che si dimostra pari a lei in valore (63-108) -Mentre i cavalieri si armano, una galea muove incontro alla nave e la rimorchia nel porto, che si stende a semicerchio per più di quattro miglia, con due rocche sui lati. Non appena la nave entra nel porto, seimila donne, armate di archi, si raccolgono sulla riva, mentre, per togliere ogni speranza di fuga, il porto vien chiuso con navi e con catene, che si stendono tra le due rocche. La più vecchia di quelle donne, rivolgendosi al nocchiero, gli fa la consueta proposta, di morire o di rimanere in prigionia; ovvero, se qualcuno tra essi fosse riuscito a vincere le due prove, sarebbe rimasto in quella terra con le sue dieci mogli e i compagni avrebbero guadagnato la libertà. I cavalieri accettano con baldanza la proposta e sbarcano armati con i loro cavalli. Essi procedono in mezzo alla città, e vedono altere donzelle che cavalcano per le vie ed armeggiano in piazza, mentre gli uomini, in proporzione del dieci per cento, sono intenti ai lavori donneschi o alle opere dei campi. Poi scelgono a sorte chi tra essi deve sostenere le due prove, e vorrebbero naturalmente escludere Marfisa; ma la guerriera vi si oppone, e la sorte cade proprio su di lei, che promette di dar ugualmente libertà ai compagni, distruggendo con la spada quella iniqua legge. Ed ecco Marfisa entrare nella piazza, dove una moltitudine di donne è convenuta per assistere al duello, su un magnifico cavallo leardo, che le era stato donato da Norandino; mentre dalla parte opposta entrano nove cavalieri, guidati da uno che all'aspetto sembra valere tutti gli altri. Costui, che monta un cavallo nero con qualche pelo bianco nel piede e nel capo, e che veste un abito dello stesso colore, come simbolo del gran lutto che soverchia la poca gioia, si tira in disparte, non volendo prender parte a un duello così disuguale. Marfisa si avanza allora contro i nove, vibrando una lancia poderosa e incutendo il terrore col solo sembiante. Essa li abbatte uno dopo l'altro, rimanendo padrona del campo. S'avanza allora il cavaliere nero, che, volendo provare che il suo indugio fu dovuto non a paura, ma a cortesia, offre cavallerescamente a Marfisa di differire la prova fino al mattino, per darle tempo di riposare. Ma Marfisa, pur ringraziando per la cortese offerta, si dichiara pronta a combattere, perché non è affatto stanca; e il cavaliere, alludendo tristemente alla sua situazione, risponde a sua volta che egli gradirebbe essere appagato nei suo desideri come è

certo di appagare il desiderio che la guerriera ha di combattere. Poi fa portare due grosse lance, ne fa scegliere una a Marfisa, e tiene l'altra per sé. Ha quindi inizio il duello fra il silenzio degli spettatori. Al primo scontro le lance vanno a pezzi, come fossero di salice sottile, e i cavalli cadono a terra; ma i due combattenti si liberano tosto dagli arcioni e continuano il duello a piedi, parando destramente i colpi dell'avversario. Le donne rimangono ammirate, pensando di avere dinanzi i due più abili giostratori del mondo. Marfisa intanto si chiama fortunata che l'avversario non abbia preso parte al duello cogli altri nove; e il cavaliere nero, a sua volta, si chiama fortunato che Marfisa non abbia voluto riposare. Intanto sopraggiunge la notte, e il cavaliere propone di riprendere il duello al mattino seguente. Poi invita Marfisa coi suoi compagni nel proprio palazzo, perché ognuno dei nove, a cui la guerriera ha dato la morte, era marito di dieci donne, e, quindi, essa avrebbe dovuto temere la rappresaglia di novanta donne. Marfisa, fidando nella lealtà del cavaliere, accetta l'offèrta, e tutti si recano al palazzo. Ma qui, al levare degli elmi, Marfisa s'avvede con meraviglia che il suo prode avversario è un giovanetto appena diciottenne; e questi, da parte sua, con non minor meraviglia, si accorge di aver giostrato con una donna. I due si chiedono reciprocamente il nome. CANTO 23 Il famosissimo episodio della follia di Orlando viene volutamente collocato da Ariosto alla metà esatta dell’Orlando furioso, tra la fine del ventitreesimo canto e l’inizio del ventiquattresimo. L’impazzimento per amore dell’eroe cristiano completa infatti la trama interrotta dell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo (1441-1494) e sviluppa i due temi fondamentali dell’opera di Ariosto: l’amore e l’avventura (qui rappresentata dalle devastazioni a cui si abbandona Orlando una volta scoperta l’amara verità). La trama è la seguente: Orlando, inseguendo il cavaliere saraceno Mandricardo, decide di riprendere le forze in una radura, che era stato il luogo degli incontri tra Angelica e Medoro. Orlando scopre gli indizi della passione lì consumatasi nei messaggi d’amore incisi nei tronchi degli alberi e sulle pareti delle grotte. L’eroe, per non soccombere al dolore, si illude che ciò che vede non sia vero, ma le sue speranze si sgretoleranno quando, chiesta ospilità ad un pastore del luogo, scoprirà che il letto dove dorme è quello dove i due amanti hanno passato la prima notte di nozze. Orlando cade quindi in preda alla follia e distrugge tutto ciò che trova sul suo cammino, spogliandosi persino della sua stessa armatura. La crisi del protagonista verrà risolta solo dall’intervento di Astolfo, che, nel canto trentaquattresimo del poema, si recherà sulla Luna a recuperare il suo “senno” perduto. Il canto ventitreesimo dell’Orlando furioso si svolge tra una radura amena e la casa di un pastore che ospita Orlando per la notte. I luoghi cantati non sono però mero sfondo della vicenda amorosa, ma hanno un ruolo da protagonista nell’esplosione della pazzia di Orlando. Piante, pietre e acque parlano e deridono il paladino, poiché gli offrono prove esplicite del tradimento di Angelica con Medoro: in tal senso, Orlando sfoga la sua rabbia su di loro, distruggendole in preda alla follia, come per metterle per sempre a tacere. La radura in cui arriva, stremato, Orlando, presenta a prima vista tutti i tratti caratteristici dellocus amoenus (ottava 100): si sottolinea così, con ancor più forza, l’antitesi tra la serenità del mondo circostante e il tormento interiore di Orlando. L’incedere della sua pazzia è descritto

da Ariosto con precisione psicologica, in un crescendo di intensità drammatica. Dapprima, dopo aver letto i nomi degli amanti incisi nelle cortecce degli alberi, egli inventa illusorie spiegazioni e inganna se stesso; poi, giunto nella grotta, trova un’incisione di Medoro, in cui con una poesia in arabo si ringraziano quei luoghi che hanno visto nascere l’amore tra lui ed Angelica. Orlando, che già sta cedendo alla pazzia, di nuovo si inganna, dicendo a se stesso che le incisioni sono opera di qualcuno che vuole instillargli gelosia o infamare il nome della donna amata. Sarà quindi il racconto del pastore, e alla vista del gioiello da donato da Orlando ad Angelica come pegno d’amore e da lei lasciato al suo ospite in segno di gratitudine, a far cadere tutti gli argini, psicologici e fisici, della follia del paladino. Ariosto descrive la pazzia di Orlando con numerose e ripetute iperboli ed esagerazioni, tese a sottolineare la drammaticità e la furia cieca dell’eroe. Il tema della pazzia (già presente nel filone del ciclo bretone, ad esempio nelle figure di Tristano o Lancillotto) è qui sviluppato con molte sfaccettature: quella di Orlando è infatti una psicologia in divenire, ben più complessa di quella degli eroi precedenti della tradizione. Così il protagonista, sconvolto dalla scoperta della verità, attraversa diversi stadi, descritti con molta finezza psicologica: l’illusione e l’autoinganno, la negazione della realtà e l’accusa contro terzi, il dolore che rende muti ed intontiti, la follia...


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