L\'unificazione italiana - riassunto PDF

Title L\'unificazione italiana - riassunto
Author Emanuele Fiore
Course Storia contemporanea
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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Riassunto ben fatto sull'unificazione d'Italia...


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Scheda di sintesi n. 7 (cap. 17 – Parte II)

L’unificazione nazionale La diplomazia di Cavour e la seconda guerra d’indipendenza In origine, la politica di Cavour non ha di mira l’unificazione nazionale, quanto, piuttosto, il rafforzamento e l’espansione del Piemonte verso oriente ai danni dei possedimenti austriaci e degli altri stati del centro-nord. A questo scopo egli si rende conto che è necessario inserire in modo più profondo il Piemonte nello scacchiere europeo, sotto i profili tanto economico quanto diplomatico.

Una occasione importante in questo percorso si presenta nel 1855, allorché Francia ed Inghilterra invitano il Piemonte ad associarsi alla guerra contro la Russia 1 nelle penisola della Crimea (guerra di Crimea). Cavour comprende l’opportunità che gli si presenta ed accetta, inviando al fronte un corpo di 18.000 uomini. Grazie a questa decisione, egli può partecipare alla conferenza di pace di Parigi, nel 1856. Qui, con estrema maestria diplomatica, approfittando dell’assenza dell’Austria, egli può porre sul tappeto la causa della indipendenza italiana, rilevando come la penisola, se non adeguata esaudita nelle sue esigenze di indipendenza nazionale, può essere fonte di instabilità per tutta l’Europa. Lamenta, inoltre, l’effetto pernicioso che in tal senso produce la presenza austriaca nel Lombardo-Veneto e nelle Legazioni pontificie, ma anche il malgoverno romano e napoletano. Di contro, egli presenta il Piemonte come portavoce di istanze di moderazione e modernizzazione e punto di riferimento per tutta la borghesia italiana, nonché come baluardo contro ogni forma eversiva e rivoluzionaria di stampo mazziniano. Cavour mira, in particolare, a guadagnarsi l’appoggio di Napoleone III, come il Piemonte, interessato ad un ridimensionamento del ruolo austriaco nella penisola italiana 2 e non risparmia gli sforzi in questo senso (anche ricorrendo a forme di “diplomazia parallela” moralmente non molto giustificabili...). 1 La Russia nel 1853, nel quadro della propria politica balcanica e della strategia che cerca di trovare sbocchi diretti o indiretti nel Mediterraneo attacca la Turchia, impero sempre più debole, che difficilmente può resistere alla potenza russa. Si tratta di un evento che turba gli equilibri europei e che può portare ad un eccessivo rafforzamento della Russia. Di qui l’intervento anglo-francese. L’Austria, che pure non vede di buon occhio l’espansionismo russo nei Balcani, è però vincolata da una sorta di riconoscenza verso lo stato vicino, che ha contribuito a schiacciare l’insurrezione ungherese, 5 anni prima. Dibattuta tra le ragioni della realpolitik (antirusse) e dal suddetto debito morale (a pro della Russia), l’Austria sceglie la strada della neutralità. In tal modo, però, commette un grave errore: scontenta entrambi i fronti della contesa e resta esclusa dal negoziato di pace successivo. 2 Si noti come questa politica di Napoleone III possa porsi in sostanziale continuità con quel conflitto per il dominio politico dell’Italia e della Pianura Padana, in particolare, che va avanti da secoli tra la Francia e l’impero germanico (e, ultimamente, austriaco). E’ un esempio di come le linee strategiche della geopolitica attraversino i secoli e non cambino con i regimi politici...

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L’abile lavorio diplomatico di Cavour, però rischia di fallire per un evento imprevisto: l’attentato, nel gennaio 1858, ad opera del mazziniano Felice Orsini contro Napoleone III, che lascia indenne l’imperatore, ma uccide 8 persone nel suo seguito e nella folla presente. L’effetto di tale atto, potenzialmente capace di portare all’abbandono dell’atteggiamento napoleonico di simpatia verso la causa italiana, viene smorzato da due circostanze: da un lato il fatto che Orsini si dichiara unico colpevole e, rinnegando l’attentato, esorta, con dignità ed efficacia, Napoleone III a non abbandonare la causa italiana; dall’altro l’abilità di Cavour, che riesce a rovesciare la situazione, dimostrando all’imperatore che, se non si arriverà al più presto alla liberazione dell’Italia dal giogo austriaco si lascerà campo libero ad agitatori come Mazzini, con grave danno della stabilità politica di tutta l’Europa. Pochi mesi dopo, gli sforzi di Cavour vengono premiati: nel luglio 1858, nell’incontro segreto di Plombieres, regno di Sardegna e Francia siglano un accordo militare e politico di estrema importanza. In cambio dell’aiuto militare francese, che scatta solo in caso di attacco austriaco, i due stati convengono una nuova sistemazione della penisola italiana: a) Al NORD viene prevista la formazione di un regno sabaudo comprendente, oltre al Piemonte, il Lombardo-Veneto e l’Emilia Romagna; in cambio vengono ceduti alla Francia i territori transalpini di Nizza e della Savoia; b) Al CENTRO è previsto un regno, con capitale Firenze, formato dalla Toscana e dalla quasi totalità dello Stato Pontificio (con l’eccezione della città di Roma e dei suoi dintorni, lasciati al papa e dei territori emiliano - romagnoli assegnati ai Savoia), da affidare alla duchessa di Parma, Maria Luisa di Berry, della dinastia borbonica; c) Al SUD, fermi restando gli esistenti confini, al posto della regnante dinastia borbonica si ipotizza di porre il figlio di Gioacchino Murat. Viene prevista anche un’unione matrimoniale tra Maria Clotilde di Savoia, figlia del re, e Napoleone Gerolamo Bonaparte, cugino dell’imperatore

A questo punto, gli sforzi di Cavour si orientano verso la creazione di casus belli, che permetta l’intervento francese. A questo scopo provoca l’Austria con manovre militari sul confine e armando corpi di volontari (I Cacciatori delle Alpi) al comando di Garibaldi. Celeberrimo il discorso con cui, nel gennaio 1859, Vittorio Emanuele si dichiara non insensibile al “grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso noi”. Insomma, Cavour fa sì che la tensione salga alle stelle e, quando il 23 aprile 1859 l’Austria invia al Piemonte un secco ultimatum, che chiede, fra l’altro, lo scioglimento dei corpi di volontari. Il rifiuto di ottemperare a tali richieste porta alla guerra (seconda guerra d’indipendenza) che, avvenendo per iniziativa austriaca, di fatto comporta il 2

coinvolgimento francese. Sotto il profilo militare la campagna va molto bene per le forze francopiemontesi, che infliggono agli austriaci durissime sconfitte a Magenta e, in seguito, nelle due battaglie contemporanee di Solferino e San Martino. Si tratta, però, di vittorie riportate con un carissimo prezzo di vite umane, che impressiona l’opinione pubblica francese e costringe Napoleone III ad avviare unilateralmente degli accordi di pace con l’Austria. Si giunge, così, all’armistizio di Villafranca (11 luglio 1859) siglato dai due imperatori, a cui Vittorio Emanuele deve giocoforza associarsi. L’Austria cede alla Francia la sola Lombardia, che viene poi “girata” al Piemonte. Per il resto d’Italia è previsto il rispetto dello status quo ante. Cavour, preso di sorpresa, si dimette in segno di protesta ed è temporaneamente sostituito con il generale La Marmora. Alla base della decisione di Napoleone va posta anche la circostanza che una serie di insurrezioni nell’Italia centro-settentrionale (Firenze, Modena, Parma, Bologna e la Romagna) che, capeggiate dagli uomini della Società Nazionale portano alla richiesta di annessione al Piemonte. In tal modo, tutti i vantaggi francesi previsti a Plombieres vengo di fatto resi impossibili: a Napoleone la guerra, in altri termini, non conviene più. Dopo alcuni mesi si stallo, Cavour, tornato nel frattempo al potere, negozia con la Francia il consenso di questa alle annessioni (ricavandone in cambio Nizza e la Savoia, come previsto a Plombieres): in tal modo, nel marzo del 1860, grazie alla celebrazione di una serie di plebisciti, le popolazioni di Emilia Romagna e Toscana entrano a far parte del Regno di Sardegna.

Garibaldi e la spedizione dei Mille Se Cavour ed i moderati sono temporaneamente soddisfatti per l’acquisizione dei nuovi territori con i plebisciti, non altrettanto si può dire per i democratici, interessati a sfruttare il momento propizio per procedere ulteriormente nel moto unitario, prima che gli austriaci si riprendano dalla sconfitta nella seconda guerra d’indipendenza. Poiché Roma continua ad essere sotto la protezione francese (contro la quale non si può nulla), l’obiettivo immediato diviene il Regno delle Due Sicilie, tanto più che nel maggio del 1859, alla morte del reazionario, ma energico Ferdinando II sale sul trono il giovane ed inesperto Francesco II. Già nell’aprile del 1860, ad opera di due mazziniani siciliani riparati in Piemonte, Francesco Crispi e Rosolino Pilo scoppia una grave rivolta a Palermo, che se viene repressa nel sangue all’interno delle mura cittadine, continua endemica con forme di guerriglia nelle campagne. L’obiettivo è quello di creare in anticipo un terreno favorevole allo sbarco di un corpo di volontari, sul modello della spedizione di Pisacane, organizzati con l’aiuto del governo piemontese e comandati da un’efficiente guida militare. Mentre Pilo si occupa della rivolta, Crispi riesce a convincere in tal senso Garibaldi, in cui prestigio e abilità militare si uniscono dando luogo ad una figura capace di 3

convincere tanto i democratici intransigenti, quanto i moderati filocavouriani (avendo egli aderito al programma moderato della Società Nazionale). Cavour, a ben vedere, non è molto convinto dell’opportunità di forzare la mano agli eventi, temendo le ripercussioni internazionali e paventando il rischio che una spedizione così concepita possa ridare lustro alle posizioni mazziniane e, in modo nascosto, cerca di avversare l’iniziativa. Il re, che da parte sua, invece guarda alla cosa con interesse, non può però operare contro la volontà del suo abile primo ministro. L’appoggio piemontese all’iniziativa finisce per essere estremamente modesto. Quando, nella notte tra il 5-6 maggio 1860, Garibaldi parte dallo scoglio di Quarto, presso Genova, con un migliaio di volontari (per lo più veterani delle guerre del 1848-49 e del 1859), la spedizione è abbastanza male armata e male equipaggiata. Dopo alcuni giorni di navigazione, i due vapori che trasportano la spedizione, dopo essere riusciti ad eludere la sorveglianza della potente flotta borbonica, sbarcano indisturbati i Mille a Marsala. Il primo scontro con le truppe borboniche avviene il 15 maggio nella battaglia di Calatafimi, nella quale i garibaldini, pur inferiori di numero, riportano la vittoria. Infiammati dal successo essi puntano direttamente su Palermo che al loro arrivo insorge, cacciando, dopo tre giorni di combattimenti, il presidio borbonico. Presa Palermo, Garibaldi, con il titolo di pro-dittatore in nome di Vittorio Emanuele II, emana un proclama nel quale dichiara decaduta la dinastia borbonica. Nel frattempo nel centro-nord il successo garibaldino suscita grandi entusiasmi: grazie all’azione di Agostino Bertani vengono raccolti oltre 15mila volontari che, tra giugno e luglio, sbarcano a Palermo. Con questi uomini e il contingente originario arricchito da centinaia di volontari palermitani Garibaldi può affrontare il grosso delle truppe borboniche di stanza nell’isola e le sconfigge il 20 luglio presso Milazzo. A questo punto Cavour comprende che l’azione garibaldina ha concrete chances di successo (anche perché le cancellerie europee, colte di sorpresa, non reagiscono in alcun modo) e cerca di approfittarne fomentando un movimento di opinione pubblica che chiede l’annessione della Sicilia. Il tentativo fallisce di fronte al rifiuto di Garibaldi. Con l’ingresso in Palermo, Garibaldi da luogo ad un governo provvisorio, che, tra le altre iniziative, cerca di attuare un minimo di riforma sociale (riduzione del carico fiscale, assegnazione di lotti di terra ai contadini che hanno combattuto con Garibaldi) che, insieme al miraggio del sovvertimento degli equilibri di potere a danno dei vecchi proprietari filoborbonici, alimenta nei contadini la speranza di un riscatto dalla loro secolare condizione di indigenza e sottomissione. Di qui scaturiscono una serie di violente agitazioni, che si muovono nella convinzione di avere l’appoggio del pro-dittatore. Si tratta di mere illusioni. Garibaldi sa di non poter alienarsi l’appoggio della borghesia locale, né può perdere di vista gli obiettivi militari della spedizione, rispetto ai quali le rivolte contadine sono fattore di disturbo non secondario (anche perché i contadini vedono di pessimo occhio la coscrizione obbligatoria che il nuovo regime ha imposto). Di qui la decisione di 4

reprimere militarmente tali rivolte: l’episodio più famoso è quello di Bronte, dove i contadini ribelli sono passati per le armi per ordine del luogotenente di Garibaldi, il genovese Nino Bixio. Ciò non impedisce che i proprietari terrieri comincino a guardare sempre più insistentemente al Piemonte, che, per il suo carattere moderato, garantisce gli equilibri sociali preesistenti assai meglio del democratico e, a ben vedere, poco affidabile Garibaldi.

L’intervento piemontese e i plebisciti Per tutta l’estate del 1860 la situazione nel regno napoletano resta in sostanziale quiete. Gli eventi si rimettono in moto quando il 20 agosto Garibaldi sbarca in Calabria e inizia una veloce e sostanzialmente indisturbata risalita verso Napoli, senza che l’esercito borbonico, in via di disgregazione, riesca ad opporre una efficace resistenza. Il 6 settembre Francesco II abbandona Napoli, rifugiandosi nella fortezza di Gaeta, mentre Garibaldi, il giorno successivo, entra trionfalmente nella città, battendo sul tempo Cavour, che ha cercato di suscitare in città un moto annessionista prima dell’arrivo del pro-dittatore. L’arrivo di Garibaldi a Napoli è, infatti, assai preoccupante per Cavour, che teme che l’ex regno borbonico possa diventare il punto di incontro e di irradiazione della linea politica democratica e repubblicana e costituire una base per la prosecuzione della campagna militare garibaldina verso lo Stato Pontificio. Cavour, pertanto, decide di intervenire, dopo aver avuto l’assenso di Napoleone III (anch’egli preoccupato per le sorti dello Stato Pontificio) cui promette di lasciare intatti per il papa l’area di Roma e il Lazio.. Le truppe piemontesi discendono così la penisola, sconfiggendo a Castelfidardo l’esercito papalino e invadendo Umbria e Marche. Ai primi di ottobre, mentre Garibaldi sconfigge pesantemente i borbonici nella battaglia del Volturno, il Parlamento piemontese vara una legge che autorizza il governo ad annettere altre regioni d’Italia, purché questa abbiano dato il loro assenso mediante un plebiscito. Si tratta di un atto legislativo importante, poiché, di fatto, impedisce un nuovo rifiuto di Garibaldi ad accettare l’annessione del sud, come ha fatto nell’estate precedente. Il 21 ottobre questi plebisciti hanno luogo in tutto l’ex regno borbonico (e, due settimane dopo ciò avviene anche in Umbria e Marche) e il risultato segna un’entusiastica3 adesione al regno di Sardegna. Garibaldi, il 25 ottobre, incontra il re a Teano4 e pochi giorni dopo si ritira sull’isola di Caprera, in volontario isolamento (ma serbando il progetto di riprendere l’iniziativa militare appena possibile, per assicurare all’Italia unita anche Roma). 3

Anche troppo entusiastica, se è vero che la percentuale di “sì” ha autorizzato molti, sia contemporanei che posteri, ad avanzare dubbi sulla regolarità dei plebisciti stessi. Il nuovo stato nazionale nasce sotto l’ombra di sospetti brogli elettorali.... 4 Molto simpatica la memoria che dell’incontro ha lasciato un testimone, che narra di come, mentre il re e Garibaldi cavalcavano al passo lungo la strada fuori Teano, un gruppo di contadini giunse là applaudendo ed acclamando ”Galibardo”, senza una parola per il re, che ignoravano chi fosse. Il re (la cui vanità teneva molto alle ovazioni popolari), stizzito, spronò il cavallo allontanandosi da loro, seguito da un Garibaldi imbarazzatissimo, e riprese il passo solo dopo aver superato di un tratto il gruppo degli inconsapevoli villici.

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Il 17 marzo 1861, il primo Parlamento nazionale, eletto secondo i rigidi canoni elettorali censitari piemontesi, proclama la nascita del regno D’Italia, sotto la sovranità di Vittorio Emanuele II, “re d’Italia per grazia di Dio e volontà della nazione”.

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