L\'uomo che cade - Riassunto del libro PDF

Title L\'uomo che cade - Riassunto del libro
Course Letteratura e cultura visuale
Institution Università degli Studi di Pavia
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Riassunto del libro...


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L’uomo che cade – Don DeLillo L’autore. DeLillo è nato nel 1936 ed è di chiare origini italiane: i genitori, infatti, emigrarono da un paesino in provincia di Campobasso con la nonna, donna che si dice non abbia mai imparato l’inglese. Sia per l’origine familiare, sia per l’ambiente in cui è cresciuto (quello della Little Italy) DeLillo ha avuto stretti contatti con la cultura italiana, fatto che emerge da ogni sua opera ma in particolare in Underworld (1997); quest’opera è importante, però, poiché segna una cesura nella sua produzione, avviata già dagli anni ’70 1. Underworld rappresenta una svolta, poiché in esso DeLillo ha messo insieme e intrecciato tutti i temi e le procedure che aveva cominciato a sperimentare nei due decenni precedenti per provare a raccontare la storia e la cultura americana dal ’51 fino alla metà degli anni ’90 (45 anni di storia americana – e quindi occidentale – densa di fatti), ancorandosi alla storia di una pallina da baseball. Dopo la realizzazione di quest’opera DeLillo muta però significativamente il proprio modo di scrivere: se con Underworld ha voluto ed è riuscito a scrivere il “grande romanzo americano”, con le opere successive l’autore comincia a lavorare per sottrazione e non più per accumulo di storie. Il non detto acquista un valore centrale, già dal romanzo immediatamente successivo, The body artist (2001), nella versione italiana Body art, cui segue Cosmopolis (2003) e Falling man (2007), nella versione italiana L’uomo che cade. In queste opere troviamo una caratteristica tipica di DeLillo, l’attenzione all’arte, in particolare quella plastica e figurativa, cosa che emerge con evidenza da dettagli quali le copertine, come quella di Mao II (1991), in cui è utilizzata emblematicamente la serigrafia realizzata da Andy Warhol, ma anche a livello di trama come in The body artist, in cui trova particolare importanza quest’arte performativa che tornerà nello stesso Falling man, fatto che contribuisce a inserire l’opera in un discorso sulla cultura visuale. Altro motivo che inserisce questo romanzo all’interno di un discorso sulla visual culture si trova non nel libro stesso, ma nel tema affrontato, l’attentato alle Torri Gemelle 2, la cui realizzazione è stata studiata anche per sfruttare al massimo la catena mediatica. Qualche giorno dopo gli attacchi, il 16 settembre del 2001, in una conferenza ad Amburgo il compositore tedesco Karlheinz Stockhausen (1928-2007), esponente di vetta della cultura occidentale, affermò che quell’attentato era stato la più grande opera d’arte realizzata nell’intero cosmo, suscitando molto scalpore. Questa frase, apparentemente di una cinica crudeltà, trova però delle sue giustificazioni. L’attentato era stato fatto, tra i cinque distretti di New York, proprio a Manhattan, cuore di Wall Street e quindi del potere americano ma più in generale dello spirito americano. L’architetto e intellettuale Rem Koolhas (1944) ha realizzato nel 1978 Delirious New York – Un manifesto retroattivo per New York, come dice il sottotitolo, un’opera manifesto di quella che l’autore considera non solo una città, ma un vero e proprio movimento artistico, seppur inconsapevole; nella sua analisi storica e sociologica della città sostiene che New York soffra di una particolare patologia, il “ manhattanismo”, che la porta a vivere in un mondo completamente costruito dall’uomo, nel massimo dell’antropizzazione. Se poniamo la polarità sistema-ambiente (laddove per sistema s’intende il circuito artificiale creato dall’uomo e per ambiente lo spazio già presente per natura), questi due estremi sono necessari l’uno all’altro, ma, vivendo nel “manhattanismo” questo secondo polo cade e si finisce col vivere dentro una fantasia, dentro una realtà completamente costruita dall’uomo in cui l’immaginario ha preso corpo. Soffrire di “manhattanismo” significa vivere in una bolla psichica apparentemente infrangibile e, scomparendo l’ambiente, anche il sistema si blocca. Quindi, se Manhattan è la bolla psichica e la concrezione dell’immaginario americano e 1 DeLillo è solitamente paragonato per il ruolo assunto nel postmodernismo americano a Thomas Pynchon (1937), autore che ha esordito giovanissimo negli anni ’60 – quindi prima di DeLillo – di cui è per molti modello non dichiarato. 2 Questa non è stata la prima azione di rappresaglia cui è stata assicurata una grande copertura mediatica, dalla Seconda guerra mondiale, alla guerra in Vietnam e alla guerra del Golfo. 1

occidentale, colpire esattamente questo luogo è stata un’idea di geniale crudeltà per colpire un’intera identità immaginaria, e in questa prospettiva si può comprendere l’affermazione di Stockhausen. Esattamente in questa dimensione s’inserisce il libro di DeLillo, nella realtà effettiva dell’attentato, nello spazio immaginario che questi attentati hanno provocato e anche nel profluvio d’immagini relative alla tragedia che successivamente hanno iniziato a circolare. Nel fare ciò Falling man tuttavia decide di non presentarsi come un foto-testo, ma questo non significa che sia privo d’immagini. DeLillo ha pubblicato questo libro sei anni dopo l’attentato, nel 2007, quando già era uscito un altro importante romanzo americano sullo stesso oggetto scritto da Jonathan Safran Foer (1977), già autore di Ogni cosa è illuminata (2002), che nel 2005 pubblica Molto forte incredibilmente vicino, da cui è stato tratto anche l’omonimo film. Anche questo romanzo è incentrato sul dramma dell’attentato alle Torri Gemelle, ma, diversamente da quello di DeLillo, è un foto-testo, nel quale tuttavia le foto, contrariamente a Sebald e anche a DeLillo, non incoraggiano il lettore a nutrire nessun dubbio sul loro statuto, ma si limitano ad accompagnare la rappresentazione dell’elaborazione del lutto da parte di un bambino reso orfano di padre dall’attentato, così come anche da parte della madre e dell’intera New York (si veda le pagine finali del romanzo che riportano una sequenza di foto di un Jumper all’incontrario, per cui l’uomo sembra salire e salvarsi, come idealmente per il bambino il padre può essere salvo, come anche la stessa New York). L’autore sceglie quindi di intraprendere una strada che si potrebbe definire “facile”. Il libro si intitola significativamente Falling Man , volutamente senza articolo, e fa scattare subito nel fruitore il collegamento con una fotografia, che chiamata appunto The falling man, scattata da Richard Drew (1947)3, autore anche della foto dell’attentato a Bob Kennedy e quindi veterano del photo-reporting. The falling man uscì il giorno dopo l’attentato sul Times, a pagina sette, non in prima pagina quindi, dedicata invece alle Torri in fiamme. Questa foto di Drew fu molto contestata e discussa e ha cercato di individuarne il motivo Tom Junod (1958) che nel 2003 ha pubblicato sull’Esquire l’articolo The falling man, col quale ha sancito il titolo di questa foto. In questo articolo mette in evidenza un tratto evidentissimo della foto, ovvero la sua straordinaria bellezza estetica: il soggetto, infatti, sembra quasi messo in posa, catturato in questa frazione di secondo che solo l’occhio meccanico della fotocamera poteva vedere, posto in perfetta linea con il reticolato dello sfondo e per puro caso esattamente sulla linea che divide le due facciate delle torri, che per illusione prospettica ci sembrano indistinguibili. Junod sostiene che l’immagine è stata tanto critica poiché la sua bellezza fa schermo all’orrore della realtà che ritrae. Junod molto opportunamente pubblica l’intera serie, che mostra la caduta disperata di un uomo, il cui corpo è scomposto, proprio per esaltare il potenziale estetico dell’immagine scelta per la pubblicazione da Drew. Quando questa foto uscì suscitò grande indignazione non solo perché il fatto era molto recente, ma anche perché poneva una questione: era legittimo o no pubblicarla? Si può guardare alla bellezza, mentre dietro questa si trova una morte reale? Quando DeLillo intitola Falling man il suo romanzo lo inserisce in uno spazio culturale in cui quella foto era immensamente circolata, quindi capiamo fin dal titolo come l’opera, pur non riproponendo fotografie, sia densa di immagini. Abbiamo già accennato all’importanza delle copertine nelle opere di DeLillo, resa tale dal fatto che è egli stesso a sceglierle, ma vediamo quindi come si riflette questo dato su Falling man. Le Torri erano già comparse sulla copertina di un’opera di DeLillo, proprio sulla prima edizione di Underworld, messe in contrasto rispetto al piccolo edificio di culto posto in primo piano. 3 L’esperto francese di fotografia Clément Chéroux (1970) è arrivato alla conclusione che le immagini alle quali si è deciso di affidare la responsabilità di veicolare il dramma in tutto il mondo, erano riducibili a un numero di tipologie molto ristretto, che si rifacevano a degli stereotipi anteriori: la scelta delle torri in fiamme si poneva come riproposizione dell’attacco giapponese a Pearl Harbor, cercando quindi di far passare il messaggio che gli attacchi dell’11 settembre erano paragonabili a questo e, come questo, da considerarsi una dichiarazione di guerra. All’indubbio valore indessicale della foto possono quindi intrecciarsi caratteri simbolici diversi e finalità manipolatorie. 2

La prima edizione di Falling man aveva come copertina una distesa di nuvole viste dall’alto, presentando così un orientamento prevalentemente orizzontale su cui si inseriscono per contrasto due segmenti neri verticali a destra, sopra le quali vi è la scritta “A novel”, dividendo inoltre in due il titolo. Sul dorso del libro la copertina continua e in posizione marginale si vedono spuntare tra le nuvole le due Torri, unico segno della città sottostante (questa foto è stata scattata da un aereo dalla giovane Katie Day Weisberger mentre atterrava nell’aprile del 2001, non molto lontano dall’attentato dunque). Vediamo così in significativo risalto delle verticalità sull’orizzontalità dell’immagine; gli elementi grafici verticali possono richiamare la traiettoria di un saltatore e questo motivo grafico torna a scandire tutta l’architettura del libro: il frontespizio, l’annuncio della prima parte, quello della seconda e infine quello della terza. La copertina dell’ultima edizione italiana, tuttavia, utilizza un’altra immagine, ponendosi in una posizione opposta rispetto all’edizione precedente e ignorandone completamente le scelte grafiche.

La struttura del romanzo. Come abbiamo visto, il libro di DeLillo è diviso in tre parti, ciascuna delle quali prende come titolo un nome proprio, Bill Lawton, Ernst Hechinger e David Janiak; tutti i capitoli seguono una semplice numerazione, tranne l’ultimo capitolo di ciascuna delle tre parti, che ha come titolo un’indicazione topologica. La struttura dei capitoli è inoltre a specchio, simmetrica: 6-5-6 capitoli. Questa ricerca ossessiva della simmetria è tipica di DeLillo. Gli ultimi capitoli di ciascuna parte c’è un cambiamento completo di prospettiva: mentre gli altri capitoli sono condotti dal punto di vista degli americani, questi capitoli sono condotti dal punto di vista degli attentatori.

Differenze con Asuterlitz di G.W. Sebald. In Sebald manca quasi completamente l’attenzione per la vita ordinaria nel suo svolgersi con la sua monotonia e proprio per questo è così difficile raccontare questo romanzo, metterlo in forma narrativa. La realtà quotidiana pulviscolare e sfuggente è una delle tematiche centrali di DeLillo: come fa la gente a vivere? A fare tutto quello che fa? In che cosa crede la gente? Qual è il suo sistema di convinzione che la porta ad andare avanti? In questo libro cercherà di mostrare come la quotidianità assorba l’urto di questo evento e come i reduci affrontano il trauma.

Mark Binelli intervista a Don DeLillo, «Guernica», July 17, 2007 Testimonianza dell’autore sulla prima scena di apertura del romanzo, che sembra molto scollegata rispetto a quello che arriva subito dopo e per riprendere il discorso sul trattamento di DeLillo sull’esistenza ordinaria e sugli effetti dell’attacco alle torri gemelle sulla vita delle persone normali. Don DeLillo: quello che è successo è un’immagine visuale: un uomo in giacca e cravatta, che porta una valigetta, mentre cammina attraverso una tempesta di fumo e di cenere. Non avevo niente più di quello. E poi qualche giorno dopo,mi è venuto In mente che la valigetta non fosse sua. E questo sembrava far cominciare una catena di pensieri che ha portato all’attuale configurazione delle parole sulla carta (del romanzo). Guernica: Questa immagine è venuta fuori dal niente per conto suo, oppure da una fotografia, o da storie che ti hanno raccontato persone che conosci? Don DeLillo: è venuta fuori dal niente, e queste immagini tendon a fare così. Appare abbastanza frequente che io cominci un romanzo proprio con un’immagine visuale di qualcosa, una sensazione vaga di qualche persona in uno spazio tridimensionale. DeLillo non ha inserito questa sua visione in una trama romanzesca fluida, infatti il romanzo è costruito su vari punti di vista che s’intrecciano. Il romanzo comincia e finisce nel breve lasso di tempo dell’attacco alle torri: inizia alcune decine di minuti dopo che il primo aereo ha sganciato le bombe e finisce poco dopo che questo si è schiantato sulle torri. La particolarità di Falling man è che alla fine ha una specie di fusione, di scontro, di incorporamento violento tra il punto di vista di uno dei protagonisti, Mahmad e l’altro, Keith. Don DeLillo: Assolutamente. 3

Stavo pensando all’impatto della storia nei suoi minimi dettagli della vita normale, e volevo verificare se sarei riuscito a costruire la vita interior di un individuo, giorno per giorno e pensiero per pensiero. Mi accade che questo dovrebbe essere il lavoro e lo scopo del romanziere, anche di più della storia in se stessa, trovare i più piccoli momenti intimi cui la gente fa esperienza e che mette in comune nei dialoghi. Io non avevo già prefissato niente di tutto questo, volevo semplicemente costruire dei personaggi chiari e, nel corso dello svolgimento, creare una bilancia, ritmo e ripetizione. Era questo che mi rendeva soddisfatto. Stavo scrivendo una scena e poi ho cominciato a mettere insieme le parti – e come dicevo prima – ho cercato di badare a questo bilancialmento e alla maniera in cui il passato si proietta nel presente e viceversa. Qualche volta penso che sia questa cosa che i romanzieri fanno, che li rende simili ai pittori astratti in particolare: cercare delle cose in una parte dl quadro che fanno eco ad altre cose di un’altra parte del quadro. A parte sui discorsi ordinari dei pensieri dei personaggi, DeLillo deve bilanciare personaggi, scene e situazioni come se fossero colori, masse, su un quadro astratto. Una cosa simile succede nei quadri e in particolar modo nei quadri astratti: DeLillo invita il giornalista a guardare il suo romanzo come una composizione di volumi. In questo romanzo sono abbastanza importanti dei quadri di un pittore non proprio astratto che è Giorgio Morandi. All’inizio c’è questa immagine di un uomo in valigetta che cammina tra una nube di fumo.

Il riassunto del libro

LEGENDA:  KEITH  LIANNE o NINA  -

Parte prima: BILL LAWTON

HAMMAD Note al testo

CAPITOLO PRIMO



“Non era più una strada ma un mondo, un tempo e uno spazio di cenere in caduta e semioscurità.” La scena iniziale, dunque, vede un uomo in giacca e cravatta, con una valigetta, che cammina verso nord tra calcinacci e fango, nella cappa del mattino degli attentati (alle Torri Gemelle): il primo grattacielo è già caduto. - Già nella prima frase ricorre il verbo più importante di tutto il romanzo fall – cadere (falling ash). - Si nota bene come quello che DeLillo dice a Bonelli corrisponde a quello che troviamo nella prima pagina e anche al trattamento stilistico che dà la scena. - Questa dichiarazione è ripetuta e variata alcune righe dopo ( p.6): se volessimo provare a spiegare questa frase avremmo delle difficoltà. Per quale motivo si dovrebbe dire che quella non è più una strada ma un mondo, con il suo spazio e il suo tempo? Non è facile trovare una spiegazione perfettamente logica; quello che possiamo individuare con certezza è il tono con cui queste frasi sono formulate: estremamente lapidario, oracolare e anche – ma abbastanza – oscuro. Questo è, inoltre, il registro utilizzato dal narratore in tanti parti del romanzo. Rifacendoci al testo inglese, vediamo qualche altro aspetto, che la traduzione italiana – per una questione di dissimiglianza tra le lingue 4 – non permette di constatare. DeLillo usa molte volte la preposizione past (accanto, oltre, vicino) nelle prime due righe, qualche riga dopo, e ancora: egli lavora moltissimo sul ritmo e la ripetizione della frase per dare al testo una sua cadenza, proprio come se fosse musica 5 (questa forma di ripetizione in italiano si perde e si perde anche la musicalità complessiva del testo, a causa della tendenza antica della lingua di evitare le ripetizioni sentite come “ineleganti”). Lui stesso 4 In italiano il traduttore deve variare alcune cose che nel testo inglese di DeLillo sono dette allo stesso modo, secondo la stessa scelta dell’autore di lavorare per ripetizione. A questo si aggiunge una tendenza della lingua dei traduttori italiani, che invece evitano le ripetizioni, che sono sentite ineleganti. 5 Nell’intervista con Guernica egli afferma di essere stato un fan sfegatato del jazz: si spiega il motivo della sua passione verso la ripetizione. 4



dichiara che quando era ragazzo era stato un grande ascoltatore di musica jazz, una musica in cui la ripetizione ha un ruolo fondamentale e in questo caso, dunque, perdendo in italiano la ripetizione inglese di past si perde anche la musicalità del testo. Solo la ripetizione del verbo to fall (coniugato in vari modi) rimane in italiano. - La valigetta, vedremo in un altro brano, che è quella di una donna con cui ha avuto una relazione. Le persone intorno a questo personaggio correvano o camminavano confusi, tenendosi asciugamani sul viso o giacche sulla testa, oggetti (come scarpe) in mano. Nell’aria c’era ancora il tuono ritorto del crollo e tanto fumo. Lui [il personaggio principale] aveva vetri sparsi per il corpo e vedeva tutto quello che stava accadendo intorno a lui: “il mondo era anche questo, sagome dentro finestre a trecento metri d’altezza, che cadevano nel vuoto, e tanfo di combustibile in fiamme, e lo squarcio costante delle sirene nell’aria”. Ma una cosa non c’entrava con tutto questo, nel cielo, una camicia che poi fluttuò verso il fiume. La gente continuava a correre o a fermarsi e gli oggetti bruciati continuavano a cadere. Vide due donne, vestite in maniera sportiva, che piangevano guardando verso di lui e vide, ancora, membri di un gruppo di tai chi in piedi con le mani tese vicino al petto e i gomiti piegati, “come se tutto questo, loro stessi inclusi, potesse essere collocato in uno stato di sospensione”. Il modo in cui DeLillo introduce il personaggio è attraverso il pronome inglese who (chi) e lungo tutto questo brano non ci sono nomi, ma soltanto pronomi (lui/loro). In italiano questa forma di ripetizione è destinata a perdersi anche per il fatto che nella nostra lingua il pronome non si mette. Questo comporterà, di nuovo, lungo tutta la parte del romanzo l’eliminazione di una caratteristica di scrittura dell’autore. DeLillo spessissimo attacca delle nuove porzioni di testo semplicemente con il pronome e se – tutto sommato – ci può sembrare abbastanza naturale non sapere chi sia questo chi, man mano diventa sempre più difficile capire a chi si riferisca questo pronome. Questa è una strategia testuale costantemente perseguita da DeLillo che tende ad ostacolare il desiderio del lettore di identificare il personaggio. - La scena è sviluppata mostrando il versante delle percezioni del personaggio – e quindi quelle che il lettore incontra sulla pagina – e si nota che, la prima occorrenza di un verbo che indica la visione sta alla fine della prima pagina ( p-5; vide ): questo consente all’autore di rimanere molto vicino al personaggio e quindi restituire il panorama percettivo di qualcuno che è uscito dal grattacielo poco prima che questo crollasse. Il personaggio è, quindi, ancora quasi privo di lucidità, si muove meccanicamente, la gente...


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