M. Scialuga, introduzione allo studio della filologia classica PDF

Title M. Scialuga, introduzione allo studio della filologia classica
Author Marialuisa Lombardi
Course Filologia della Letteratura italiana
Institution Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
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Summary

dispensa dettagliata del manuale di M. Scialuga...


Description

La critica del testo è la disciplina che, con tecniche definite, ricerca l’origine, la genesi e l’evoluzione di un’opera scritta. Obiettivo della critica testuale è il ripristino di un testo nella forma più conforme all’originale a causa dell’assenza di opere autografe della classicità. I testi delle letterature classiche sono giunti a noi in modo rocambolesco: i poemi omerici (VIII sec. a.C.) nacquero come poesia orale e solo più tardi si affermò la consuetudine di affidare alla scrittura le opere letterarie (V sec. a.C.). Dopo la morte di Alessandro Magno (323 a.C.), con la fondazione di importanti biblioteche ad Alessandria e in altre città e con la filologia praticata dai dotti alessandrini, la letteratura scritta s’impose definitivamente e si sviluppò maggiormente la produzione libraria. L’attività degli alessandrini fu particolarmente importante perché, esercitando i metodi d’indagine su poeti e prosatori, promosse il perdurare dei modelli esegetici contribuendo al mantenimento del patrimonio letterario antico. Tutto questo sino alla tarda grecità ma anche a Roma, dove in età imperiale iniziarono a circolare edizioni allestite secondo i canoni alessandrini. Il caso più celebre tra le auctoritas, opere poste alla base dell’insegnamento linguistico e stilistico, è rappresentato dai Poemi Omerici, in particolare l’Iliade. Di quest’opera vennero approntate in età ellenistica diverse edizioni successive dai filologi di Alessandria. I metodi alessandrini si basavano sia sul confronto tra i vari manoscritti, sia sull’analisi interna dei testi. Gli alessandrini diedero prova del loro lavoro attraverso dei segni diacritici posti in margine alle loro edizioni. Delle forme che circolavano in precedenza abbiamo solamente pochi frammenti trascurabili dal punto di vista della definizione del testo. Il più antico autografo del mondo greco è un papiro contenente i carmi del poeta Dasforo, del VII sec. a.C. L’antichità ha adoperato diversi tipi di supporti scrittori (supporti minerali come il metallo, i supporti organici come la stoffa e la pelle) ma la maggioranza della produzione antica ci è giunta in codici papiracei, pergamenacei e poi cartacei. Nell’ordine di successione abbiamo dunque papiro, pergamena (pelle) e poi la carta. Per quanto riguarda i primi due, il fenomeno di sostituzione è stato piuttosto complesso e riguarda prima che il materiale, il formato: il libro-rotolo diventa libro-codice (il libro moderno). Le scoperte dei papiri presero l’avvio con le grandi campagne di scavo. La prima risale all’ottobre del 1752 con il ritrovamento di parecchie centinaia di rotoli di papiro di contenuto letterario, estratti da una villa suburbana durante lavori di dissotterramento di Ercolano voluti da Carlo III di Borbone. Sempre per quanto riguarda il ritrovamento di papiri non egiziani, si segnala un’altra località europea, Derveni, in Macedonia, dove nel 1963 in una tomba fu trovato un rotolo carbonizzato contenente un testo orfico, un prosi-metro risalente al IV sec a.C: si tratta del più antico rotolo letterario pervenutoci. Le perdite, comunque, sono state ingenti per diverse cause: - Il cambiamento del materiale scrittorio, avvenuto tra il III e il V sec. d.C., col passaggio dal rotolo al codice. Questo passaggio comportò la traslazione delle opere da un formato all’altro: avvenne quindi una selezione la cui entità è imprecisabile. - L’avvento della scrittura libraria minuscola che sostituì la maiuscola, fino ad allora prevalente nei manoscritti. Anche in questa circostanza, parte della letteratura fu traslitterata e parte no.

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La reperibilità del materiale con l’avvento del Cristianesimo, portatore di nuovi valori e prospettive di lettura che hanno favorito il salvataggio di alcune opere a discapito di altre. Il passaggio al libro, con l’invenzione ella stampa: i testi letterari passarono dalla copia a mano alla pubblicazione con i caratteri mobili di Gutemberg.

Parte prima MATERIALI E MODI DELLA TRASMISSIONE DEI TESTI 1. I materiali della trasmissione e gli strumenti scrittori. L’antichità ha adoperato diversi tipi di supporti scrittori: supporti minerali come il metallo in lamine o tavole (bronzo, piombo, oro), la pietra, il marmo, l’argilla (terracotta), l’intonaco; e supporti organici come la corteccia o le foglie d’albero, il midollo vegetale, il legno, la cera, la stoffa, la pelle, l’osso. Una distinzione più funzionale per il filologo resta comunque quella tra materiali duri e materiali morbidi. I materiali duri erano per lo più destinati ad occasioni solenni: accoglievano iscrizioni sacrali, funerarie e commemorative; oppure erano adoperati per conservare documenti ufficiali dello Stato (registrazioni pubbliche, elenchi professionali, leggi, decreti) o avevano il compito di tramandare la memoria dei fatti importanti: è quest’ultimo il caso del Marmor Parium o “marmo arundeliano” (dal nome dello scopritore inglese, Thomas Howard conte di Arundel), un’epigrafe molto importante per ricostruire la cronologia di alcuni autori e opere antiche. Raramente i materiali duri accolsero anche i testi letterari, come Opere e giorni di Esiodo, testo che il geografo Pausania nel II secolo d.C. afferma di aver visto scolpito su bronzo. Per quanto riguarda la terracotta, l’impiego è relativamente corrente, anche se talora i vasi recano iscrizioni letterarie (per esempio i versi omerici) o sono state rinvenute bolle che attestano aspetti della vita pubblica. Tra i materiali morbidi erano adoperati nei tempi più antichi le foglie di olivo (ad Atene, in Sicilia, in Magna Grecia) o di palma (in Oriente) o di altre piante a seconda dei luoghi; la corteccia delle piante o la pellicola interna della corteccia degli alberi (il liber, da cui “libro”); il midollo delle piante e il legno; la seta, la pelle; ma anche il lino, molto diffuso a Roma e soprattutto presso gli antichi Egizi, che annotavano proprio su fasce di lino delle mummie notizie sull’identità del morto. I più importanti, perché ad essi furono affidati i testi letterari dell’antichità classica, furono il midollo del papiro, da cui si ricavò il materiale per i primi libri, e la pelle, che subentrò in quest’uso al papiro. I testi che interessano i filologi classici sono prevalentemente letterari e sono tramandati quasi esclusivamente su due tipi di materiali scrittori antichi: il papiro e la pergamena; ad esso dobbiamo aggiungere uno relativamente recente, la carta. Nell’ordine di successione temporale abbiamo dunque papiro, pelle (pergamena), carta. Per quanto riguarda i primi due, il fenomeno di sostituzione è piuttosto complesso e riguarda prima che il materiale, il formato: il libro-rotolo diventa libro-codice, cioè il libro moderno. Occorre precisare che papiro e pergamena come materiali scrittori coesistono sin dalla remota antichità ma quello per eccellenza destinato ai testi letterari è il papiro nel formato rotolo.

Altri due materiali degni di nota sono la ceramica e le tavolette di legno. Sui cosiddetti òstraka, cocci di vaso scritti nella parte convessa, erano diffusissimi in Egitto e in particolare ad Atene dove vigeva la consuetudine di scrivervi il nome dell’individuo che si voleva bandire dalla città perché risultato pericoloso per la democrazia. Òstraka sono stati rinvenuti anche a Roma dove riportavano documenti di vario genere: di carattere fiscale, burocratico-amministrativo, religioso, privato, scolastico. Un esempio famoso di testo letterario tramandato su òstrakon è un carme di Saffo, il cosiddetto òstrakon Florentium: sicuramente un’esercitazione scolastica dovuta o al minor costo dell’ òstrakon rispetto alla tavoletta cerata e al papiro, oppure a una prima fase di apprendimento della scrittura che precedeva quella su papiro. Le tavolette lignee sono forse il più antico supporto scrittorio dell’antichità. Vi si scriveva o direttamente, con pennello o calamo o penna metallica e inchiostro, oppure dopo averle imbiancate con polvere di gesso come accadeva per quelle destinate all’affissione pubblica, o dopo averle dipinte o incerate. Una serie di tavolette era detta ‘dittico’, di tre ‘trittico’; ‘polittico’ indicava più tavolette. Diversi polittici, raccolti in una cassetta trasportabile, fornita di manico, sono il cosiddetto codex (da caudex = pezzo di legno) ansatus. Tutti i tipi di tavolette, anche quelle semplici e quelle imbiancate, solevano essere congiunti insieme in forma di codice. L’uso di questi codices era assai diffuso in tutto il mondo classico, in Grecia dove ospitavano documenti di vario genere per lo più provvisori o d’archivio (lettere, avvisi, ricevute, certificati, contratti, conti, esercitazioni scolastiche) e a Roma, dove erano destinati anche a testi letterari o a documenti ufficiali di particolare importanza. L’interesse delle tavolette incernierate consiste nel fatto che esse furono il modello per la nuova veste tipografica del libro antico. 2. Il papiro. Papiro è una parola di origine egiziana che significa “regale”; il termine connota la pianta, una specie di canna a stelo molto alto e a sezione triangolare che culmina con una corolla. Prosperava un tempo in Egitto e, secondo le testimonianze degli antichi, anche in Etiopia, Palestina, in Babilonia e in altri luoghi ancora. Attualmente è quasi scomparso in Egitto, cresce invece nell’Africa tropicale e in Sicilia, nei pressi di Siracusa. La grande diffusione della pianta ne favorì vari impieghi nella vita quotidiana come genere a basso costo: alimentare, artigianale (utensili, stuoie, indumenti, vele per imbarcazioni); tuttavia l’impiego più noto si ebbe nello sfruttamento del midollo per la produzione della carta, invenzione tutta egiziana. La carta di papiro fu di uso corrente in età antichissima, come attestano le raffigurazioni di scribi con rotoli tra le mani. La più completa testimonianza circa il metodo di lavorazione è fornita da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia. Un rotolo poteva essere riadoperato anche lavando via la prima scrittura e riscrivendovi, ma si trattava di un’operazione non praticabile con carta particolarmente fine e quindi delicata; un esempio di riuso mediante lavaggio è quello di un papiro contenente i Sikyonii di Menandro. Per quanto riguarda la sua diffusione, l’uso della carta di papiro in Egitto è documentato dal IV-III millennio a.C. sino a molto tempo dopo la conquista araba. Molto presto, la carta di papiro fu accolta nella Grecia continentale e in quella asiatica, così come a Roma, dove sostituì il liber, le tavolette di legno, lino, tela e tutti gli altri supporto. È invece certo che in età ellenistico-romana il

papiro fu l’unico veicolo della cultura scritta: sotto Tolomeo Filadelfo la coltivazione della pianta e la fabbricazione della carta, data l’importanza economica e il volume delle esportazioni, divennero una sorta di monopolio. La biblioteca di Alessandria, dotata, secondo la tradizione, di cinquecentomila volumina, ne testimonia la fortuna. L’esportazione continuò su larga scala e anche su lunghe distanze ancora durante la dominazione romana, per diradarsi, soprattutto in area occidentale, dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.). Così in Europa il papiro fu sostituito dalla pergamena, pur non cessando del tutto di essere impiegato, soprattutto per lettere e documenti. I papiri sono stati rinvenuti soprattutto: 1. Nei luoghi dove erano ordinariamente custoditi (archivi, biblioteche, edifici di culto e privati) e soprattutto nelle zone periferiche o in quelle meno raggiunte dallo straripamento del fiume 2. In prossimità dei luoghi anticamente abitati 3. Infine nelle necropoli, dove le mummie di uomini e animali sacri hanno restituito il materiale di cui era formato il loro involucro fatto di papiri in disuso incollati e pressati. Le scoperte dei papiri presero l’avvio con le grandi campagne di scavo, condotte fino alla fine dell’Ottocento in maniera episodica. La prima risale all’ottobre del 1752 con il ritrovamento di parecchie centinaia di rotoli di papiro di contenuto filosofico-letterario, estratti da una villa suburbana durante lavori di dissotterramento di Ercolano voluti da Carlo di Borbone; un’altra data importante è il 1778 con la donazione al cardinale Stefano Borgia della cosiddetta Charta Borgiana, un rotolo lungo tre metri e mezzo contenente una folta lista di persone addette alla costruzione di una diga nel territorio dell’Arsinoite (antico distretto a sud-ovest de Cairo): si tratta del primo incontro tra un papiro egizio e l’Europa. Per quanto riguarda i papiri non egiziani, possiamo dire che poche località hanno offerto circostanze favorevoli alla conservazione del materiale scrittorio; fra quelle europee la già ricordata Ercolano e poi Derveni, in Macedonia, dove nel 1963 in una tomba fu trovato un rotolo carbonizzato, probabilmente bruciato dopo la tumulazione durante i riti funebri. Si tratta di un testo orfico, parte in prosa parte in poesia risalente al IV sec. a.C: si tratta del più antico rotolo letterario pervenutoci, conservato grazie alla coltre di terracotta. Le migliaia di papiri rinvenuti alla luce degli ultimi tre secoli sono di due tipi: documentari e letterari. Per documentari si intendono tutti i testi relativi ai molteplici aspetti della vita pubblica e privata (documenti legislativi, regolamenti, decreti, amministrativi, fiscali, giuridici, anagrafici). Per papiri letterari si intendono tutti i testi, di qualunque genere, di carattere dotto: essi sono non solo i diretti ma anche i primi depositari delle letterature classiche a noi giunte. I papiri letterari si suddividono a loro volta in testi nuovi e testi noti; entrambi costituiscono tappe fondamentali nella ricostruzione della storia del libro antico e arricchiscono le nostre conoscenze. I primi possono: 1) riconsegnarci opere di autori già noti, tralasciate dal Medioevo; 2) farci conoscere autori ignoti. I secondi ampliano la conoscenza delle opere già tramandate dai manoscritti medievali. I papiri recano diversi tipi di scrittura, secondo la destinazione: esistono scritture usuali, adoperate per la necessità di tutti i giorni, cancelleresche, per atti ufficiali, e letterarie. Per quanto riguarda la scrittura letteraria, poiché la maggior parte dei papiri sono stati ritrovati in Egitto, si può convenzionalmente

far riferimento a tre periodi corrispondenti alle epoche di ritrovamento e ai tipi di scrittura: periodo ellenistico (IV-I sec. a.C.), periodo romano (I sec. a.C. – IV sec. d.C.), periodo bizantino (IV-IX sec. d.C.). Nel periodo ellenistico, la prima scrittura di cui abbiamo testimonianza nei papiri letterari più antichi venuti alla luce (IV-III sec. a.C.) è una maiuscola1 di tipo epigrafico, vale a dire una scrittura quasi del tutto simile a quella dei documenti. Successivamente (III-I sec. a.C.) la scrittura libraria incomincia a differenziarsi da quella documentaria: accanto a scrittura informali, senza pretese estetiche, si vedono anche i primi tentativi di ricerca calligrafica. Nel periodo romano quelle che erano tendenze diventano elementi sistematici e danno vita a veri e propri stili scrittori tra il I a.C. e il IV sec. d.C. In epoca tardo romana e bizantina (dal IV al IX sec. d.C.) la scrittura letteraria si irrigidisce in una serie di regole fisse che danno vita ai vari canoni statici e riconoscibili. La scrittura libraria resta comunque una maiuscola, ma accanto ad essa si sviluppa la minuscola libraria, che sostituirà la maiuscola tra il VIII e il X sec. d.C. Bisogna poi ricordare che la scrittura su papiro non conosceva divisione tra parole e presentava cioè la cosiddetta scriptio continua; segni di interpunzione e accenti erano erari e, in ogni caso, propri di libri appartenenti a dotti. Il procedimento cui è sottoposto il papiro in vista della pubblicazione consiste in varie operazioni. La prima operazione necessaria, se è il papiro non è subito leggibile, è il restauro. Il tipo di restauro consiste in una serie di operazioni tecniche e dipende naturalmente dalle condizioni del papiro: può trattarsi infatti di un frammento o di una serie di frammenti appartenenti al medesimo rotolo oppure eterogenei e uniti successivamente. Dopo il restauro si pone il problema della protezione e conservazione: il sistema più adottato è riporlo tra due vetri, che garantiscano la conservazione del testo che potrebbe ancora deteriorarsi. Segue dunque la lettura, cioè la trascrizione e l’interpretazione del testo. Le difficoltà in questa fase sono di vario genere; dipendono tanto dallo stato materiale del testo, che può essere discreto ma anche presentarsi danneggiato o lacunoso; in questo caso le difficoltà riguardano il tipo di scrittura (maiuscola, minuscola), il modo di tracciare le lettere dei singoli scribi (cioè la loro grafia), l’uso di abbreviazioni e simboli, la mancanza di interpunzione, la scriptio continua etc. A questo punto avviene la pubblicazione. Di solito questa si apre con la presentazione del documento: titolo del papiro, collezione di cui fa parte, numero d’inventario, luogo dov’è custodito, dati ‘anagrafici’ (dimensioni, luogo di origine, epoca, lato su cui è scritto, stato di conservazione). Seguono la trascrizione, le note critiche, quelle interpretative, eventualmente il commento etc., spesso si trova anche il corredo fotografico. Dopo la pubblicazione occorre che questa riproduca il più esattamente possibile il testo originale rispecchiandone tutte le caratteristiche. Il metodo più rigoroso consiste nel fornire una prima trascrizione diplomatica: una riproduzione fedele del testo. A questa si affianca la trascrizione esegetica con la quale l’editore dà la sua lettura interpretata, con le parole staccate, accentate, interpunte, con le proposte di integrazione delle lacune ed eventualmente corredata di un apparato critico. Per rendere comprensibile al lettore la trascrizione esegetica, 1 Per maiuscola si intende convenzionalmente la scrittura in cui le lettere sono idealmente comprese tra due parallele (sistema bilineare); minuscola invece è la scrittura in cui le lettere sono comprese tra quattro parallele: due per il corpo della lettera, due per racchiudere aste o altri tratti di lettere sporgenti – cioè quelle che eccedono dal corpo centrale (sistema quatrilineare).

l’editore deve ricorrere a segni diacritici che diano conto dei dati oggettivi e di quelli ipotetici e che siano comunemente riconosciuti. Una volta pubblicato, il testo diviene patrimonio comune e qualunque studioso può ripubblicarlo secondo una propria personale interpretazione. Ogni papiro pubblicato è citato con un siglum, che di solito fa riferimento alla prima edizione del papiro; il siglum indica il materiale su cui è vergato il testo, la collezione a cui appartiene, il numero del volume nel quale esso è pubblicato e il numero definitivo che ha nella collezione. La collezione trae il proprio nome: - Dal luogo antico/moderno di ritrovamento; - Dall’argomento o da una caratteristica comune dei papiri della collezione; - Dall’epoca in cui risalgono i testi. 3. La pergamena. Il secondo tipo fondamentale di materiale scrittorio diffuso nel vicino Oriente e, nel periodo più antico, unico concorrente del papiro, fu la pelle, di cui si distinguono diverse qualità secondo il tipo di lavorazione delle pelli di vari quadrupedi, per lo più pecore, capre e vitelli. Un esempio famoso di rotolo di pelle adoperato come libro sono i rotoli del mar Morto, che recano soprattutto testi biblici. Papiro e pelle coesistono in epoca assai remota come materiali scrittori: Erodoto allude evidentemente ad usi, da parte dei Greci d’Asia minore, precedenti l’introduzione del papiro nelle loro terre e al tempo stesso ne conferma il persistere presso popolazioni da lui definite barbare probabilmente perché nella mentalità corrente il solo rotolo di papiro era veicolo di scrittura colto e raffinato. La pergamena subentrò significativamente al papiro nell’uso letterario-librario tra il III e il V secolo d.C., cioè dopo il passaggio dal rotolo al codice; si consolidò così, contro il binomio papiro-rotolo, il nuovo binomio pergamena-codice, che tenne un dominio incontrastato sino al XIII secolo, quando iniziò la concorrenza della carta. Poco si conosce dei processi di lavorazione della pelle in età più antica, ma si può ben presumere che siano rimasti pressoché inalterati sino all’alto Medioevo, per il quale invece abbiamo testimoni...


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