Riassunto Introduzione allo studio della Sicilia linguistica - Giovanni Ruffino PDF

Title Riassunto Introduzione allo studio della Sicilia linguistica - Giovanni Ruffino
Course Linguistica italiana
Institution Università degli Studi di Palermo
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LINGUISTICA ITALIANA Introduzione allo studio della Sicilia linguistica DIALETTO, DIALETTI E ITALIANO La “coscienza linguistica” è l’analisi degli atteggiamenti e delle opinioni dei parlanti che aiutano a valutare in modo differente il “codice lingua” e il “codice dialetto”, entrambi usati in diverse situazioni comunicative. Da alcuni le parlate dialettali sono considerate come simbolo di arretratezza culturale, da altri espressione genuina della cultura tradizionale: il rapporto tra italiano e dialetti è vissuto spesso in modo conflittuale. Le condizioni e i contesti nei quali i parlanti consolidano le competenze linguistiche sono: le migrazioni interne e i loro effetti, la varietà di accenti, il radicato pregiudizio antidialettale e la scuola, che offre una prima possibilità di approccio al dialetto. In diverse indagini condotte tra adulti e bambini si manifestano: il bipolarismo lingua/dialetto identificabile nell'opposizione giovani/anziani, colti/incolti, città/campagna, scuola/strada, Nord/Sud → Il dialetto è rozzo e volgare, la lingua è bella e gentile. Il dialetto non ha grammatica, perciò è scorretto. Se si parla in dialetto non si imparerà bene l'italiano. Chi parla in dialetto appartiene alle classi sociale più basse. Emergono dunque i classici livelli della variazione linguistica: diacronica, diastratica, diafasica e diamesica. Dal punto di vista linguistico tra lingua e dialetto non c’è alcune differenza per quanto riguarda il loro funzionamento: entrambi hanno una loro fonetica, morfologia, sintassi e un proprio repertorio lessicale. Dunque, la differenza tra lingua e dialetto non può che fondarsi su criteri storici, culturali e sociali (o sociolinguistici). Dialetto = sistema linguistico usato in zone geograficamente limitate (criterio geografico) e in un ambito socialmente e culturalmente ristretto (criterio sociale), divenuto secondario rispetto a un altro sistema dominante (criterio gerarchico) e non utilizzato in ambito ufficiale o tecnicoscientifico (criterio funzionale). Se pensiamo all’Italia del dopoguerra, la lingua di socializzazione era il dialetto, mentre quella di sfondo era l’italiano; oggi invece la situazione oggi si è capovolta: le generazioni più giovani sono prima italofone e solo in un secondo momento dialettofone. I due sistemi, lingua e dialetti, interferiscono sempre più tra di loro fino a configurare un ricco repertorio di varietà intermedie. Sono numerose le forme dialettali che risalgono verso le varietà di lingua e vi penetrano lentamente, e altrettanto numerose sono le forme italiane che si inseriscono nei dialetti sostituendo l'antico strato dialettale. Questo fenomeno è noto come “commutazione di codice”, cioè passaggio da un sistema linguistico a un altro all'interno della conversazione, o come alternanza di frasi dialettali e italiane oppure come inserimento di elementi dialettali all'interno di una frase italiana e viceversa. DIGLOSSIA → DILALIA Per quanto riguarda gli scenari futuri, Gaetano Berruto nel 1994 aveva provato a disegnare scenari sulla sorte del dialetto: mantenimento dei dialetti; trasfigurazione dei dialetti (trasformazione in varietà regionali italianizzate); morte dei dialetti; crescente differenziazione regionale (i tre scenari precedenti si verificherebbero differentemente nelle diverse regioni). Alcuni rilevamenti statistici (ISTAT e DOXA) confermano negli ultimi dinamiche lineare ed emerge la complessiva tenuta di quanti dichiarano di usare sia l'italiano sia il dialetto. Si può prevedere che il dialetto continuerà a vivere attraverso la compresenza accanto e in alternanza con il dialetto a causa della sdrammatizzazione del pregiudizio antidialettale e dello svuotamento dei tradizionali stereotipi.

DIALETTO SICILIANO E VARIETÀ LOCALI Il siciliano è il dialetto che ha maggiormente richiamato l'attenzione degli studiosi; la posizione della Sicilia linguistica è legata alle complesse vicende della sua storia politica e sociale. Il siciliano, in linea di messima, rientra nella sezione salentina e calabro-sicula dei dialetti centro-meridionali. • Assimilazione di -ND- e -MB- in -nn- e -mm- → unni < UNDE; palumma < PALUMBA • Sviluppo PL in chj → PLUS > cchiù • Risoluzione di -DV- e -MJ- in -bb- e -gn- → ADVICINARE > abbicinari; VINDEMIA > vinnigna Il siciliano scritto, antico e moderno, è sostanzialmente uniforme. Il siciliano parlato presenta caratteristiche sempre diverse se ci si sposta da un luogo ad un altro, da una zona ad un'altra. Le ragioni della diversità del siciliano A parte la differente cadenza si possono individuare differenze che riguardano la fonetica (modo di pronunciare una stessa parola), la sintassi (modo di strutturare una parola) e il lessico. Per questo molto spesso siamo in grado di individuare il paese d'origine di una persona appena incontrata. Sul modo di parlare influiscono poi l’età, il genere, la provenienza sociale, il diverso grado di istruzione, le caratteristiche sociali del centro in cui si risiede. Il dialetto siciliano è un dialetto romanzo, un dialetto derivato dal latino in seguito ad un lento processo evolutivo. Dall'epoca della conquista romana della Sicilia (241 a.C.) il latino è stato trasmesso di generazione in generazione subendo nel passaggio modificazioni. Il latino si è dovuto scontrare con le lingue che si parlavano in Sicilia prima della conquista romana e finì per assimilarne qualche carattere. Bisogna tenere conto anche delle influenze esercitate nei secoli successivi da parte delle popolazioni che occuparono l'Isola o furono comunque a contatto con i Siciliani. In genere le innovazioni penetrarono e si affermarono più agevolmente nelle aree più esposte. Le zone più interne e più meridionali dell'Isola hanno resistito alle correnti innovatrici conservando saldamente l'antico latinismo. Interessante è il caso rappresentato dalle denominazioni del macellaio. A parte il termine di origine catalana carnizzeri, esistono due distinte denominazioni: vucceri, presente in tutte le provincie, e chiancheri, limitato alle aree di Palermo, Messina e Catania. Un tale assetto lascia presupporre che in Sicilia la fase più antica è vucceri, derivato dal normannismo bouchier, mentre chiancheri (chianca = ceppo dove si squartano le carni < latino PLANCA) dovrebbe essere un’innovazione di provenienza napoletana. Un'ulteriore conferma all’anteriorità di vucceri rispetto a chianceri è data dall’esistenza a Palermo del toponimo Vucciria, con il quale si indica il grande mercato. Problemi cronologici analoghi pongono i casi dialettali molto diffusi relativi ai corrispondenti dell’italiano svegliare/svegliarsi. Anche qui il tipo antico addivigliari, derivato da francese desveillier, resiste a fatica, mentre appaiono in netta espansione le forme connesse all’italiano risvegliarsi come arruspigghiarisi. Altro antico francesismo, presente in centri interne delle provincie, è rrivigghiari. La storia linguistica dell’Isola deve inoltre addentrarsi nelle pieghe più intime della sua tradizione culturale. Così, la comprensione delle parole designanti il secchio (ovvero catu, caddu, sìcchiu, traturi), non dipende solo da questioni etimologiche, ma deve presupporre la storia dell’oggetto e la sua funzione. Analoga è la connessione tra cannavazzu e pagghiazzu, che si riferiscono al cencio per pulire i pavimenti. La carta linguistica della Sicilia è estremamente varia e il dialetto continua ancora oggi a rinnovarsi. AREE DIALETTALI. LA CLASSIFICAZIONE DELLE PARLATE SICILIANE Ciò che è consuetudine definire “dialetto siciliano” non è che una sorta di astrazione (nozione

astratta rispetto alla concretezza delle singole varietà locali). Esistono tante rappresentazioni concrete di “siciliano” quante sono le varietà locali, varietà che presentano forti ed estese rassomiglianze, ma sono per molti aspetti anche profondamente diverse tra loro. Non bisogna, tuttavia, far coincidere i confini geografici con i limiti linguistici. Ad esempio, un abitante di Messina parlerebbe il dialetto siciliano, mentre un abitante di Reggio Calabria parlerebbe il dialetto calabrese, quando, in realtà, i dialetti intorno a Messina sono più affini con i dialetti calabresi che con gli altri dialetti siciliani. Bisogna stabilire se esistono, tra i vari sub-dialetti parlati in Sicilia, differenze strutturali tali da poter tracciare dei precisi limiti dialettali. Heinrich Schneegans nel 1888 elaborò una vera e propria classificazione delle parlate dialettali della Sicilia. Egli distinse le parlate siciliane in tre gruppi: a) dialetti delle coste (sezione occidentale e sezione orientale); b) dialetti dell'interno; c) dialetti sud-orientali (varietà di Modica e varietà di Noto). Giorgio Piccitto ritiene che il siciliano può essere distinto in due sezioni, la prima caratterizzata da un vocalismo metafonetico, la seconda da un vocalismo non metafonetico, e quest'ultima suddivisa a sua volta in parlate prive di dittonghi e parlate con dittonghi incondizionati. Avviene così che la isofona metafonetica delimita due grandi raggruppamenti dialettali: le parlate centro-orientali in cui fenomeno è presente e le parlate occidentali in cui è assente. Giorgio Piccitto realizza, dunque, una classificazione ancora più precisa della precedente: • Siciliano occidentale: palermitano, trapanese e agrigentino centro-occidentale. Il palermitano si caratterizza per la presenza del dittongo spontaneo, mentre condivide con il trapanese la palatizzazione di r preconsonantica (càinni invece di carni). L’agrigentino centro-occidentale possiede un vocalismo non dittongante, mentre per il consonantismo si contraddistingue per esiti come gli da GL, LJ ( figliu < FILIU) e hj da FL (hjumi < FLUME). • Siciliano centrale: parlate delle Madonie, nisseno-ennese e agrigentino orientale. Le parlate nissene ed ennesi sono caratterizzate per i medesimi tratti consonantici presenti nell’agrigentino centro-occidentale, ai quali aggiunge il mantenimento nel nesso -RL- (ferla < FER(U)LA). Tipico del nisseno è la riduzione del nesso -LD- ad -ll- ( callu, caldo). Delle parlate delle Madonie ci si limita ad osservare che presentano un consonantismo prevalentemente palermitano cui si accompagnano caratteristiche di tipo centrale in aree più isolate. Tipico della zona sudorientale della Madonie è l’esito di -LL- risolto in -dd-, un tratto antico che si associa a un gioco generale tra punto di articolazione palatale e alveolare/dentale che in questa zona riguarda anche altri fonemi. I fonemi che nella Sicilia sono palatali, in questa zona sono alveolari. Esempi di questo esito sono “vigna”/”vidda”, “cunigghiu”/“cuniglio”/“cuniddu” e “cavallo”/“cavaddu.” • Siciliano orientale: parlate del sud-est, parlate del nord-est, catanese-siracusano e messinese. Nella sezione orientale vengono individuati dei tratti consonantici peculiari come: l’esito palatale dei nessi -CL- e -PL- ( ciavi, chiavi); l’assimilazione dei nessi di R + consonante (canni, carne); il mantenimento dei nessi ND e MB (quandu e palumba).

LA SICILIA LINGUISTICA TRA SECONDO E TERZO MILLENNIO Dopo il 1870 assistiamo a una regressione nell'uso dei dialetto e un costante movimento verso una lingua comune. L'italiano che si è andato diffondendo va a compenetrare il dialetto, e viceversa e nascono, così i regionalismi. Esistono regionalismi connotati in senso marcatamente locale, mentre altri, pur di provenienza dialettale, appaiono già affermati nell'italiano comune e registrati nei vocabolari. • Provenienza meridionale: ciotola, pizza, cosca, cafone, scippo • Provenienza settentrionale: cicchetto, arrangiarsi, risotto, pettegolo • Varietà romana: fanatico, bullo, borgata, impicciarsi Occorre però osservare che una parole, seppur conosciuta al di là dei confini regionali, molto spesso rimane legata alla realtà locale e l'uso è giustificato soltanto in tale contesto. Anche per la varietà regionale siciliana sono frequenti voci entrate in circolazione nell'italiano: picciotto, cannolo, cosca, cassata, trazzera, coppola, tarocco, zagara. Ma, a parte queste poche voci, l'italiano di Sicilia è ricco di forme di ambito chiaramente regionale. Va fatta una distinzione tra regionalismi lessicali e regionalismi semantici. • Regionalismi lessicali: In questa categorie rientrano tutte quelle voci e locuzioni trasferite dal dialetto all'italiano con i dovuti adattamenti formali riguardanti il piano morfologico e quello fonetico. I regionalismi lessicali interessano vari ambiti d'uso e comprendono nomi di pesci (leccia = aricciola, trachino dragone = tracina), piante (bietole = giri, cavolfiore = broccolo, cocomero = mellone), dell'uso domestico e delle relazioni quotidiane (babbio), dei mestieri (carnezziere, indoratore). • Regionalismi semantici: In questa categoria rientrano i termini della lingua italiana adoperati con un significato dialettale (ingiuria = soprannome, scampare = spiovere, sfatto = scotto, tovaglia = asciugamano, gelsi = more). Esistono poi dei regionalismi che non rientrano in nessuna delle due tipologie precedentemente considerate. Si tratta di neoformazioni che, non avendo nesso né con il dialetto né con l'italiano, possiamo definire “atipici” (scarrozzo = passo carrabile, facilista = che sottovaluta le difficoltà, comodista = che vuol fare sempre il proprio comodo, stranizzarsi = stupirsi, meravigliarsi) Assai frequenti sono anche le locuzioni italiane regionali di matrice dialettale (buttare voci). La consuetudine dialettale affiora in maniera più o meno vistosa nella fonetica, nella morfologia e nella sintassi. Nel campo della morfosintassi è possibile ricordare il fenomeno della duplicazione (ci arrivai giusto giusto), l'accusativo retto da preposizione (voglio a te), l'uso transitivo di alcuni verbi in molte espressioni (entrare la macchina), l'uso del passato remoto in luogo del passato prossimo, la differenza di genere di alcuni sostantivi (la diabete, la scatola). Quanto detto fino ad ora riguarda il processo dialetto → lingua. Esiste anche il processo contrario, lingua → dialetto. Esiste anche un processo contrario, dalla lingua al dialetto, che configura uno spazio interdialettale, una sorta di zona di contatto tra dialetto/lingua. Così come l’italiano può interferire fortemente con il dialetto, anche il dialetto può accogliere l’influsso standardizzante dell’italiano. Il repertorio delle varietà linguistiche può essere schematizzato in cinque classi: dialetto locale, dialetto con numerose interferenze italiane, italiano con numerose interferenze di dialetto, italiano con poche interferenze del dialetto, italiano standard. La mobilità linguistica, però, finisce con l’esprimersi in una maggiore tendenza alla standardizzazione italianeggiante....


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