Mander I fiumi della Mesopotamia - Esame PDF

Title Mander I fiumi della Mesopotamia - Esame
Author Valerio Iuliano
Course Archeologia classica
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Ottimo documento per esame di archeologia classica e antica , mesopotamia , africa , ovviamente tradotto e...


Description

I FIUMI DELLA MESOPOTAMIA Pietro M ANDER - Università di Napoli “L’ORIENTALE”

La “terra tra i due fiumi”: così era designata nell’antichità la vasta pianura alluvionale dove sorse la civiltà dei sumeri, dei babilonesi e degli assiri. Senza i due fiumi, il Tigri e l’Eufrate, il desolato deserto che dai monti Zagros, confine naturale con l’altipiano iranico, si spinge fin sotto la costa mediterranea, sarebbe stato senza soluzione di continuità. Quando gli antichi chiamavano i due fiumi napišti ma"tim “vita del paese” esprimevano una verità innegabile. È stato messo bene in luce come le caratteristiche dei due fiumi differissero significativamente da quelle del Nilo, differenza che determinò lo sviluppo di sistemi simbolici piuttosto lontani tra loro. Alla regolarità del regime del Nilo, il Tigri e l’Eufrate oppongono piene irruente ed imprevedibili, e, eventi ancor più calamitosi, mutamenti del letto, tanto da suscitare un senso di forza e violenza assente nel mondo egizio1. Gli antichi credevano che esistesse un oceano di acque dolci sotterraneo, da cui scaturivano i fiumi e che si rendeva percepibile allorché si scavava un pozzo. Questo oceano era chiamato abzu (sumerico), apsû (accadico), ed era la sede del dio Enki (in accadico: Ea). Era costui uno degli dèi più potenti, terzo nella gerachia divina, dopo il cielo An ed il signore dell’universo Enlil, il dio del vento. Occorre tracciare un breve quadro su queste divinità, poste al vertice del pantheon, per inquadrare nella giusta prospettiva l’argomento in esame. An è il dio del cielo, considerato come principio dell’universo, padre degli dèi e dei demoni. An significa appunto “cielo”, ma anche “grappolo, spiga”, concetto quest’ultimo, che esprime l’idea di centro d’irradiazione2, come graficamente rappresentato dalla forma dell’ideogramma. Il cielo di An è percepibile visivamente in quanto trapunto di stelle: l’ideogramma mul oltre che “stella”, appunto, significa anche “segno (cuneiforme)”. L’eterna rotazione regolare del cielo stellato, oltre ad offrire agli uomini la prima unità di misura, il tempo, esprime anche la perfezione, considerata come in decisiva opposizione con gli eventi meteorici o le irregolarità stagionali. Sembrerebbe quasi, infatti, che questi ultimi tendano alla perfezione della regolarità senza tuttavia giungervi: si è pensato che il rapporto tra la rotazione della sfera celeste e l’avvicendamento metereologico del ciclo stagionale finisse poi per fornire la base alla concezione filosofica platonica e aristotelica di mondo della necessità e del divenire3. Se quindi il dio An rappresenta principio e centro, è da lui che discende la qualità divina. Questo motivo potrebbe essere all’origine della consuetudine scribale di far precedere nella scrittura i nomi di divinità dallo stesso grafema – usato allora come classificatore grafico – che esprime il nome del dio e i termini “cielo” e “grappolo, spiga”, come s’è detto.

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Th. Jacobsen, Mesopotamia, H. Frankfort - H. A. Frankfort - J. A. Wilson - Th. Jacobsen, Before Philosophy, Pelikan Books, Harmondsworth, Middlesex 1949, pp. 137-140. 2 Sul simbolismo uranico come “centro”, cfr. M. Eliade, Traité d'histoire des religions, Payot, Paris 1949, cap. II, § 31. Sull'omphalos come centro irradiante, cfr. M. Eliade, Le mythe de l'éternel retour, Gallimard, Paris 1949, cap. 1 § 3. 3 J. McKim Malville, – C. Putnam, Prehistoric Astronomy in the Southwest , rev. ed., Johnson Printing Company, Boulder (CO) 1993, p. 6; A. Aveni, Stairways to the Stars, Wiley, New York 1997, p. 2.

L’irraggiungibile cielo di An è collegato alla terra dall’elemento atmosferico. Questo è il dominio del figlio di An, il dio Enlil, la cui natura (il nome significa: “Signorevento”) ne fa l'intermediario tra cielo e terra (per questo motivo è appellato il “mercante”) e gli conferisce il ruolo di re degli dèi e signore dell’intero universo. Altrove mi sono soffermato sulla medialità di questo grande dio4; Enlil è colui che dona la vita, essendo il respiro (soffio) ciò che distingue il vivo dal morto, ma Enlil è anche la parola (afflato) che consente di manifestare il pensiero: riprenderemo dopo quest’ultimo riferimento. Dagli aspetti appena considerati discende la potenza della parola di Enlil, che determina i destini del mondo. La mitologia relativa ad Enki / Ea è molto ricca, a differenza di quella sulle più alte divinità, sulle quali ci siamo appena adesso soffermati, An ed Enlil. La figura di questo dio presenta aspetti poliedrici, strettamente correlati all’acqua: l’acqua come elemento capace di assumere la forma del suo recipiente, l’acqua che ammorbidisce la terra e l’argilla, rendendole malleabili e plasmabili, e l’acqua che lava le impurità. Jacobsen ha notato che, analogamente alle proprietà dell’acqua, anche il dio riesce ad “infiltrarsi” dovunque, aggirando tutti gli ostacoli e trovando sempre la sua via, caratteristica che lo designa quale dio della saggezza5. È questa la prima delle caratteristiche elencate: su di essa si basano le altre due. Infatti, nel processo antropogonico, è la capacità di aggirare gli ostacoli e la genialità nel trovare soluzioni, che consente al dio di proporre la creazione dell’uomo come sostituto degli dèi minori, scesi in rivolta per la pesantezza del lavoro loro assegnato. Enlil e l’assemblea degli dèi approvano la proposta e l’argilla sarà impastata col sangue e la carne del dio leader della rivolta. Enki, con l’aiuto della dea madre, plasmerà il miscuglio creando l’uomo. A questi, quindi, spetterà quindi un compito divino, la conduzione dell’universo secondo i disegni celesti, compito che potrà svolgere grazie alla componente divina fornita dal dio ucciso. Enki quindi plasma l’argilla, come il vasaio o come il fabbricante di mattoni; è superfluo sottolineare l’importanza di questi prodotti, in particolare del mattone, elemento primario dell’architettura mesopotamica, essendo la regione priva di pietre e legname da costruzione. In base alle quanto detto, si comprende che egli è pertanto il demiurgo, e, in quanto tale, è lui responsabile dell’ordine del mondo. Un poema mitologico sumerico narra, infatti, come il dio affidasse singolarmente a tutti gli altri dèi ognuna delle funzioni del cosmo. Sempre nel contesto della creazione, rientra un’altra caratteristica del dio. Infatti, l’acqua che consente di plasmare la terra è la stessa acqua che la rende fertile: ancora un altro poema mitologico sumerico, dalla trama molto complessa, “Enki e Ninhursanga”, pone Enki all’inizio dell’irrigazione agricola6. Un corollario della sapienza è la facoltà di purificare. La più cospicua tradizione esorcistica, con le sue formule pronunciate, fa capo ad Enki, ed è localizzata – come mappa mentale – nel grande santuario del dio nella sua città santa di Eridu. È opportuno 4

P. Mander, General Considerations on Main Concerns in the Religion of Ancient Mesopotamia, in: S. Graziani ed., Studi in Memoria di P. L. G. Cagni, Vol. II, Napoli 2000, pp. $; P. Mander, Canti sumerici di amore e morte – La vicenda della dea Inana/Istar # e del dio Dumuzi/Tammuz, Paideia, Brescia 2005, pp. 54-56; P. Mander, I Sumeri, Carocci editore, le bussole 284, Roma 2007, pp. 115-117. 5 Si veda: Th. Jacobsen, Treasures of Darkness, New Haven & London, 1976, pp. 110-121. 6 Si veda G. S. Kirk, Myth: Its Meaning and Functions in Ancient and other Cultures, University of California, Berkeley-Cambridge 1970, citato dall’edizione italiana, Il mito, Liguori editore, Napoli 1980, capitolo III, e id., The Nature of Greek Myths, Penguin Books, Harmondsworth 1974, citato dall’edizione italiana, La natura dei miti greci, Laterza, Roma e Bari 1977, cap. III.

rilevare come il dio non agisca in prima persona durante l’azione esorcistica, ma la deleghi al figlio Asaluhi, identificato poi con Marduk. Ora, punto cruciale dell’esorcismo è la recitazione di un mitologema che narra come Asaluhi / Marduk, impressionato dalla virulenza dell’attacco delle entità malefiche al paziente, corra da suo padre Enki / Ea, chiedendo istruzioni. A questo punto nel mitologema avviene l’episodio più sorprendente: Enki / Ea, pur ribadendo di aver trasmesso al figlio tutto quello che sa, tuttavia gli elargisce ulteriori prescrizioni rituali, che il figlio, attraverso la persona dell’esorcista, si premurerà di effettuare. Ho interpretato altrove questo mitologema come un aspetto dell’assialità degli stati divini, e della trasmissione della potenza divina dai livelli più alti a quelli inferiori lungo detto asse7. Troveremo oltre un’altra rappresentazione, sempre relativa al dio Enki / Ea, dello stesso principio. In altre sedi ho esposto la struttura del pantheon in divinità invisibili e divinità di luce8. Sono invisibili: An (il cielo notturno senza le stelle), Enlil (del vento vedo solo gli effetti), Enki / Ea (invisibile perché celato sotto il suolo) e la grande dea madre Ninhursanga, che agisce sotto terra sul seme piantato o nel profondo del grembo sull’embrione. Queste quattro somme divinità possono essere considerate invisibili, mentre le divinità di rango immediatamente inferiore sono luminose. Prima fra tutte il dio luna Nanna / Sîn, che, nel suo aspetto di luna nuova, partecipa ancora, seppur przialmente, all’invisibilità (luna nuova), poi i suoi figli Utu / Šamaš, il dio sole e Inana / Ištar, la dea del pianeta Venere, analoga ad Afrodite o Venere delle mitologie classiche. Il rapporto tra l’apsû e i fiumi ricalca lo stesso paradigma. L’Abzu è invisibile, come il pensiero, ma è reso manifesto dallo sgorgare dei fiumi, che svolgono ruolo analogo a quello esplicitante della parola. Le fonti relative a questo aspetto sono costituite dalle premesse cosmologiche riferite negli incipit di alcuni esorcismi in lingua accadica9. Un esorcismo contro il mal di denti narra la creazione per stadi, secondo la sequenza: “An -> cielo -> terra -> fiumi -> ruscelli -> fango -> verme causa del mal di denti”10, mentre un altro, composto per stornare il male predetto da un oracolo (serie namburbû)11, si apre con un’invocazione al dio fiume quale banât " kalama “creatore di tutto”, il cui letto è stato scavato dagli dèi sommi per recare prosperità, ed in cui il dio Ea pose la sua dimora. Al dio fiume, oltre allo splendore e la saggezza, è inoltre attribuita la capacità d’incutere timore col suo impeto, che si trasforma in irresistibile alluvione. Bottéro, che ha studiato questo ed altri testi del genere, suppone che quest’invocazione rifletta un livello assai arcaico, precedente quello in cui il pensiero religioso fosse strutturato secondo i domini delle grandi divinità maggiori12, cui abbiamo fatto cenno prima. Quest’ipotesi darebbe ragione del ruolo “primordiale” del fiume. 7

P. Mander, The Mesopotamian Exorcist and his Ego , in: Ritual Dynamics and the Science of Ritual , SFB 619, International Conference at the University of Heidelberg 29 September - 2 October 2008, in stampa. 8 P. Mander, Canti sumerici d’amore e morte, Paideia, Brescia 2005, pp. 55-56; id., I sumeri, Carocci, Roma 2007, pp. 114-119. 9 Si veda J. Bottéro, Mythes et rites de Babylone, Librairie Honoré Champion Editeur, Paris 1985, cap. VII. 10 Ibid., p. 281. Si ritiene che questo verme fosse la terminazione nervosa che accede nella radice dal forame apicale e si dirama nella polpa. 11 Ibid, pp. 289-291. 12 Ibid., p. 290.

Per quanto concerne la sequenza nella creazione, in questo tipo di testi, con “terra” si deve intendere l’intero emisfero inferiore, in cui si trova anche l’apsû13, da cui scaturiscono, nell’ordine, prima i fiumi e poi, da questi ultimi, i ruscelli, fino ai bordi di questi, in cui si forma il fango. Si riscontra una sequenza che procede sempre da un principio invisibile (la terra quale emisfero inferiore), per definirsi sempre più, in entità distinte, che raggiungono la realtà quotidiana. In entrambi i casi il fiume ha ruolo di creatore sia perché si riteneva che nel fango si formasse spontaneamente la vita di minuscoli esseri14, quale il verme, sia perché in quanto acqua che scorre porta via il male, ritualmente espresso dalle figurine plasmate durante i rituali esorcistici, sulle quali si fissava il male, tolto dalla persona del paziente anche con lavacri, figurine che erano poi gettate nella corrente. Il fiume quindi crea l’ordine cosmico, portando via il caos. Ecco un esempio di impiego di acque fluviali nei rituali, da cui si evince la funzione di emissario del dio svolto dal fiume e dalle sue acque15: “Esorcismo. Pura acqua, acqua da esorcismo, / [ ... ], acqua dell’Eufrate, sgorgante da un luogo che insipra timore, / acqua che è stata preparata correttamente nell’apsû ! / Ti ha purificata la pura bocca di Ea. I sette figli dell’apsû hanno pulito l’acqua, l’hanno purificata, l’hanno resa splendente! / Al cospetto di Ea, tuo padre, / di Damkina, tua madre, / possa egli (= il paziente) essere pulito, purificato, reso splendente! Possa esser espulso il sortilegio malvagio!”

In questi contesti, pertanto, il fiume, divinizzato, svolge il ruolo proprio del dio Enki / Ea, di cui è pertanto una manifestazione agente nel cosmo. Sgorgata dall’oceano sotterraneo dell’aspû, la sua corrente porta alla luce del giorno le forze che colà sono racchiuse. Analogamente al ruolo svolto dal dio esorcista Asaluhi / Marduk, anche nel caso del fiume rispetto al dio Enki / Ea e alla sua dimora, l’apsû, è espresso lo stesso concetto di assialità e di livelli sovrimposti di sacralità. Un importante corollario di questo aspetto è costituito dall’ordalia fluviale, la cui pratica è attestata sia a livello giudiziario che mitologico. L'esempio giudiziario più famoso è dato nel Codice di Hammurapi. Occorre tener presente che in detta raccolta di leggi il sovrano non intende presentare una riforma legislativa, bensì il ripristino del diritto consuetudinario nel suo regno, diritto che è confermato nel momento in cui è esposto nella stele, oggi al Louvre, con cui il sovrano si presenta davanti al dio della giustizia Utu / Šamaš, come si vede nell'iconografia sulla cima della stele stessa16. Il § 2 regola l’accusa di stregoneria. L’accusato entra nel fiume e l’attraversa e “se quell'uomo il Fiume lo avrà reso puro ed egli sarà salvo, ...” come recita il testo, saranno guai per il suo accusatore. Un particolare è degno di nota: prima del concetto di salvezza, il testo esplicitamente sottolinea la necessità della raggiunta purezza (infatti usa il verbo ebebu " “esser / render puro”). La purezza è il tratto fondamentale anche nell'aspetto mitologico. Ci è pervenuto un inno sumerico, rivolto alla dea Nungal17, in cui si descrive la sofferenza di colui che è 13

Ibid., p. 284. Ibid., p. 284. Bottéro nota come tale credenza fosse viva fino ai tempi di Pasteur. 15 Da E. Reiner, Šurpu, Selbstverlag, Archiv für Orientforschung Beiheft 11, Graz 1958, p. 52. 16 Cfr. M. Molina, La ley más antigua – Textos legales sumerios, Barcelona 2000, pp. 17-24 17 Å.W. Sjöberg, Nungal in Ekur, Archiv für Orientforschung 24 (1973), 21-46, che ha dato la prima edizione sistematica del testo, e M. Civil, On Mesopotamian Jails and their Lady Warden, in M. Cohen et alii (eds.), The Tablet and the Scroll: Near Eastern Studies in Honor of W. W. Hallo, Potomac 1993, 7278. Un’ulteriore interpretazione è presentata da P. Mander, JÂnua hominum et ..., cit., pp. 101-102; id., 14

stato abbandonato dal suo dio personale, e, che per questo motivo, è detenuto nel carcere della dea, chiamato e2-gal, lo stesso termine che si usa per “palazzo”. L'espiazione si conclude con un'ordalia fluviale, al termine della quale il dio personale si riappacifica col penitente. Anche in questo caso, il tessuto narrativo pone problemi: la detenzione in che rapporto sta con l'ordalia? Non discuteremo questo aspetto ora, ma focalizzeremo la nostra attenzione sulla localizzazione: da un lato un carcere, luogo di sofferenza, da cui si esce, liberi, dopo l'attraversamento del fiume, che conduce alla riconciliazione col dio personale. Seguendo Eliade e poi Abusch, anch'io intendo il dio personale come componente divina dell'uomo. L'origine di questa componente discende da parti del dio ucciso, che furono mescolate all'argilla durante il processo dell'antropogonia18. Il fiume dell’ordalia da un lato riprende l’aspetto di purificazione, ma dall’altro segna una netta e palese linea di confine, in maniera simile al Rubicone, il cui attraversamento in armi cambiava lo status del comandante delle legioni in insorto nei confronti del governo della repubblica. Nel pensiero religioso mesopotamico il fiume durante l’ordalia assume il carattere di separazione, ma anche di collegamento, tra l’area dell’impurità rituale, dovuta ad una molteplicità di fattori, e la regione della purezza, dove si dispiega il favore divino. Vedremo oltre come questo concetto sia un corollario di un altro a carattere cosmologico: il fiume come limite tra cosmos e chaos19. Così la manifestazione della potenza dell’apsû si connota come elemento spaziale in una topografia mentale, i cui riflessi vedremo qui appresso. Il fiume nell’ordalia innanzi tutto purificava colui che era sottoposto a giudizio: infatti, la condizione di accusato costituiva di per sé segno di disgrazia, come si evince da altri testi20. L’attraversamento, quindi, era simbolo di passaggio dalla condizione pericolosa di persona in distonia, e quindi abbandonata, dal suo dio personale, a persona ritrovata nella grazia del Cielo. Si consideri l’area semantica dell’aggettivo ilanû " per indicare una persona che gode della grazia del dio personale o degli dèi in generale. Formato sulla radice di ilu “dio”, traduciamo quest’aggettivo con “benvoluto dal dio”, e, pertanto, anche “prospero”, e, soprattutto, “fortunato”21. Ricapitolando quanto esposto fin’ora, il fiume appare come manifestazione della potenza cosmica rappresentata dal dio demiurgo Enki / Ea. Esso ne realizza le potenzialità, dispiegandole nel mondo quotidiano. In questo modo, il concetto di fiume comporta una spazialità, anche se ideale, legata al gioco dell’opposizione tra puro ed impuro. Ora diremo qualcosa sul fiume in questo senso, in quanto parte del mondo del divenire, il mondo della quotidianità della vita. Lo stesso mito, “Enki e Ninhursanga” ricordato prima a proposito dell’irrigazione, include nella sua trama la furia incestuosa del dio, che, una generazione dopo l’altra, feconda le sue discendenti. La spinta fecondante del dio si arresta quando la dea-madre

Rec. a: Hermann Behrens, Die Ninegalla-Hymne (= Freiburger Altorientalische Studien 21), Stuttgart 1998. Annali dell’Istituto Orientale (Napoli) 58 (1998), 586-590; id., Antecedents in the Cuneiform ..., cit., pp. 119-120, 144 (con riferimenti agli studi precedenti). 18 Cfr., da ultimo, P. Mander, The Mesopotamian Exorcist and his Ego, cit. 19 Cfr. Mander, Canti sumerici..., cit., p. 159. 20 Si veda, per esempio, il poema ludlul bêl ne"meqi: W. G. Lambert, babylonian Wisdom Literature, Oxford University Press, Oxford 1960, pp. 33-36. 21 CAD I/J p. 70 e Oppenheim, Ancient Mesopotamia – Portait of a Dead Civilization, Chicago & London 1964, Revised Edition Completed by E. Reiner 1977, pp. 198-206.

Ninhursang impedisce la gravidanza della dea dell’ultima generazione, la dea-ragno Uttu. Questa dea è connessa alla tessitura, come è evidente dall’attività del ragno, che tesse la sua ragnatela. Bloccando la forza propulsuva demiurgica di Enki, la dea-madre ottiene che l’universo rimane nella forma che è connessa alla ragnatela - tessuto, senza essere soggetto ad ulteriori trasformazioni. E in effetti possiamo rappresentarci l’universo come una rete, composto di trame e orditi che connettono tra loro realtà appartenenti agli ordini più disparati: una concezione questa, che rende possibile divinazione e magia. Infatti le connessioni tra i nodi della rete, rese possibili da rapporti di simpatia e attrazione o di antipatia e repulsione, toccano realtà appartenenti a domini anche remoti, consentendo loro di richiamarsi sia energeticamente (magia) che semanticamente (divinazione). Sono numerosi i testi che documentano l’esistenza di questa grande rete cosmica, che comprende tutto l’esistente; non mi soffermo su questo aspetto, che ho già illustrato altrove22, ma mi limiterò ad un esempio molto antico (XXIV sec. a. C.) e proviene da al-Hiba, l’antica cit...


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