Microsociologia - appunti sociologai PDF

Title Microsociologia - appunti sociologai
Author Vincenzo Bernardi
Course Sociologia Generale
Institution Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro
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appunti sociologai ...


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08 Novembre 2013 Drosi Alessandra LA SOCIALIZZAZIONE Abbiamo parlato dell’identità che si divide in identità personale e identità sociale. C’è un processo attraverso cui noi acquisiamo la nostra identità e questo processo si chiama SOCIALIZZAZIONE. La socializzazione nel senso comune ha il significato di “socievolezza”, in sociologia non è questo il significato. La sociologia considera la socializzazione un processo attraverso cui noi acquisiamo quell’identità e soprattutto riusciamo a far interagire l’identità personale e quella sociale nella costruzione del Sé. Ma quando parliamo di socializzazione intendiamo anche qualcosa di più, perché nel momento in cui noi acquisiamo l’identità mettiamo in atto anche un altro processo attraverso cui diventiamo membri della società. Voi mi direte: ma non è automatico che il fatto di nascere nella società ci fa diventare membri? No, questo è particolarmente marcato in quelle società tribali in cui tradizionalmente per diventare occorreva passare attraverso i riti, che si chiamavano riti di iniziazione. Solamente quando si era passati attraverso quei riti si veniva ritenuti a tutti gli effetti membri di quella società. Ora non è più così marcata questa usanza però resta il fatto che per diventare membri di una società umana occorre un periodo di socializzazione in cui si acquisiscono anche degli strumenti di socializzazione, attraverso cui l’appartenenza alla società diviene reale. Questa è una conseguenza dell’evoluzione culturale che ha seguito l’evoluzione biologica. Ma anche qui, come nell’identità, noi possiamo considerare la socializzazione come un processo bivalente, perché da una parte la socializzazione far si che l’individuo acquisti la propria personalità, sviluppi il proprio sé in maniera equilibrata e in maniera compiuta. Dall’altra la socializzazione serve alla società, per riprodurre se stessa suoi sui membri, i nuovi nati o coloro che provengono da altre società (in questo caso si parla di risocializzazione). Ecco che allora da quest’altro lato la socializzazione ha un significato diverso, di riproduzione sociale. La società si riproduce nella misura in cui riesce a socializzare i nuovi membri, in modo che essi si comportino secondo i modelli di comportamento che sono propri di quella società. Ci sono casi in cui l’individuo per natura sarebbe un individuo mite, ma si ritrova in una società in cui il valore fondamentale è lo spirito guerriero, bellico e questo crea una distanza. Ma anche nella nostra società, questo carattere bivalente è evidente, ha caratterizzato anche il nostro paese. Se chiedete ai vostri nonni qualcosa riguardo il processo di socializzazione scolastico e familiare, vedrete che si trattava soprattutto di piegare la volontà dell’individuo, usando anche dei mezzi violenti. Questo accadeva in una società autoritaria e cui non importa tanto la socializzazione come sviluppo dell’individualità, salvo pochi casi, quanto la conformità ai doveri di comportamento. Oggi siamo un po’ nella situazione opposta. C’è il rischio di uno sbilanciamento dal lato dello sviluppo dell’individualità, che fa venir meno la possibilità di una riproduzione di modelli di comportamento sociali. E’ una situazione in cui vengono meno leggi tradizionali, le regole tradizionali, i modelli di comportamento tradizionali e non sono ancora stati delineati i nuovi. Questa è la situazione in cui ci troviamo oggi, per cui la problematica della riproduzione sociale è quanto mai evidente da questo punto di vista. La socializzazione è distinta in due tipi:  La socializzazione primaria: è quella che avviene nei primi anni d’età dell’individuo, è quella nella quale si acquisiscono le competenze culturali di base, l’ABC del sociale. Apprendiamo il linguaggio, come ci si comporta, come ci si veste, come ci si relaziona con gli altri, tutte quelle cose che noi ormai abbiamo acquisito in maniera così automatica da non accorgerci di averlo fatto. Ci



accorgiamo della nostra socializzazione primaria quando andiamo in un altro paese, in un’altra società e scopriamo che le stesse cose (mangiare, parlare, vestirsi, relazionarsi) si fanno in modo diverso. E questo determina la variazione interculturale. La socializzazione primaria avviene nel contesto familiare, gli agenti socializzatori sono dunque i genitori. La socializzazione secondaria: è quella che comincia nel momento in cui il bambino esce dal contesto familiare e quindi comincia a relazionarsi con altri agenti socializzatori diversi dai genitori, come ad esempio gli insegnanti. Qui le competenze che si acquisiscono non sono più quelle di base, ma sono quelle di ruolo.

L’altra distinzione rilevante riguarda gli angenti socializzatori, cioè coloro che socializzano socializzando. Sono nella socializzazione primaria i genitori, nella socializzazione secondaria gli insegnanti, i datori di lavoro, i colleghi, i compagni di scuola. Le distinzioni significative che fa la sociologia sono: dopo quella tra i due tipi di socializzazione, primaria e secondaria, quella tra “altri importati” e “altri generalizzati”. Analizziamo ora questa distinzione:  Gli altri importanti: Sono i genitori, perché sono unici e hanno un ruolo altrettanto unico nel processo di socializzazione primaria, proprio perché il bambino vede nella famiglia l’unico ambiente e contesto di socializzazione.  Gli altri generalizzati: Sono intercambiabili (avete avuto vari insegnanti, avrete vari datori di lavoro) e non hanno un ruolo così importante come quelli che gli altri importanti hanno avuto. Insieme a questa distinzione anche il meccanismo di socializzazione cambia, perché il bambino tende a socializzarsi attraverso il processo di imitazione. L’imitazione funziona attraverso l’identificazione più o meno totale con gli agenti di socializzazione. Il bambino si identifica totalmente con i genitori, ecco perché è importante la figura positiva di un genitore. L’altro generalizzante, proprio perché non è unico, fa si che l’identificazione non sia e non debba essere assoluta come quella del bambino con i genitori. E quindi a quel punto il bambino ha anche la possibilità di confrontare, di comparare i diversi stili. E da questo punto di vista il meccanismo diventa di identificazione relativa e non più assoluta. Ma quand’è che una socializzazione ha successo? Quando il soggetto riesce a sviluppare la sua personalità equilibrata, a costruire la sua personale identità sociale e allo stesso tempo diventa parte integrante della società. Ma perché questo avvenga ci sono tre precondizioni fondamentali, senza passare attraverso le quali questo risultato difficilmente si raggiunge. La prima condizione è che il socializzato abbia chiaro che cosa si vuole da lui. Ecco perché, e questo è un problema della socializzazione contemporanea, quando c’è una discrasia nei messaggi tra i diversi agenti di socializzazione si crea un problema. Il secondo problema è che il soggetto può avere chiaro quello che gli viene chiesto ma non essere d’accordo e questo mette in campo la soggettività, che se non viene riconosciuta sbilancia la socializzazione da un lato o dall’altro del sistema, facendo diviene la socializzazione soltanto un processo di conformismo. Tener conto che il soggetto può essere o non essere d’accordo è molto importante, perché vuol dire riconoscere la sua soggettività, la possibilità di sentire, la possibilità di creatività. Il terzo elemento è quello di aver capito, essere d’accordo, ma non avere gli strumenti per realizzare quello che gli viene chiesto. Qui si passa attraverso il dettaglio di situazioni diverse: quella in cui il soggetto non ha la possibilità di acquisire competenze adeguate; quella in cui invece un soggetto non ha le capacità che gli vengono richieste; quella in cui la socializzazione non ha messo a disposizione tutti le risorse che l’acquisizione di quelle competenze di ruolo richiedeva. Quindi se viene meno una o più di queste precondizioni ecco che difficilmente il processo di socializzazione potrà aver successo. In questo caso il prodotto di una socializzazione fallita è la “devianza”. La “devianza” non è altro che un comportamento diverso, da non identificare con la criminalità, che è un altro tipo di problema. La devianza di per sé è solo caratterizzata da un comportamento diverso da quello che la società

di propone, un altro modello di comportamento. E questo nuovo modello, nella società consumistica, un domani potrebbe diventare un modello di comportamento riconosciuto. Ad esempio la moda è la continua ricerca di nuovi modelli. LA PERSONALITA’ Dal punto di vista sociologico possiamo considerare la personalità un costrutto complesso in cui entrano in gioco tre componenti. Tutte quelle teorie che riducono le componenti ad una sola (la genetica), assolutizzano una parte della personalità producendo degli effetti molto pericolosi.  



Componente genetica (dotazione biopsichica innata dell’individuo). Non è però l’unica fonde della personalità. Componente Culturale (complesso di valori, norme, credenze e modelli comportamentali appresi dalla persona). L’ambiente è importante tanto quanto la genetica. E’ proprio l’ambiente che “attiva” il gene. L’ambiente è fatto dal sociale, quindi da quella cultura che noi assorbiamo nella socializzazione primaria e secondaria. La cultura è fatta di valori, le concezioni del desiderare, che ovviamente variano da società a società e sono culturalmente relativi. La seconda componente della cultura sono le norme, le regole del vivere sociale. L’ultimo elemento chiave di una cultura sono le credenze, le concezioni del mondo. La differenza tra credenza e conoscenza è che la credenza si basa sulla tradizione (io credo perché così pensavano i miei predecessori e quindi sono frutto del processo di tradizione storica), le conoscenze sono credenze messe a confronto con la realtà empirica. Qui il concetto di cultura è quello antropologico e non quello idealistico, non si tratta della cultura libresca, che non è altro che la cultura scritta poi dalle civiltà occidentali. La cultura è questo contesto di norme, di valori e di credenze che guidano e si traducono in modelli di comportamento. Questa componente è fondamentale perché è quella che rimodella il materiale genetico in maniera conforme alla società di appartenenza. Esperienziale. Spiega la variazione intra-culturale. Qui c’è la storia di ognuno di noi, la particolare biografia individuale, con le nostre caratteristiche, i nostri incontri, le interazioni sociali significative in cui ci siamo imbattuti. Questa è la terza componente, strettamente connessa alla seconda.

LA VITA QUOTIDIANA Il quotidiano è dal punto di vista sociologico quella sfera di realtà che possiamo considerare privilegiata, perché è la sfera inter-soggettiva per eccellenza, è la sfera in cui noi ci incontriamo e ci scontriamo con gli altri. Questo non vuol dire che non ci siano altre sfere di realtà, come la realtà onirica ad esempio. Freud ci ha insegnato che la materia dei sogni è fatto di ciò che nella vita reale ci tormenta e non siamo riusciti a controllare, a superare, a gestire. Però da un punto di vista sociologico ci interessa il quotidiano che possiamo osservare empiricamente, il comportamento delle persone, le loro azioni e le loro interazioni. Husserl evidenzia come il quotidiano avvenga(?40.40) nel “mondo delle evidenze originarie”. Il quotidiano è il mondo dato per scontato, quel mondo che noi non mettiamo in discussione proprio perché lo condividiamo con gli altri, lo abbiamo acquisito fin dall’infanzia con la socializzazione primaria e quindi soltanto nello scontro con altri mondi scontati abbiamo la possibilità di metterlo in discussione. E questa è la grande possibilità di chi viaggia, ma anche di chi accetta coloro che arrivano viaggiando. Heller ci parla dell’alienazione nella vita quotidiano, di come a volte non si riesca ad avere un rapporto adeguato con il quotidiano nel momento in cui il soggetto non si riconosca più in questo mondo di evidenze originarie e allora sviluppa questo rapporto alienato che è un rapporto di estraneità. L’ultimo elemento fondamentale della vita quotidiana è che avviene sempre in uno spazio-tempo specifico, è quindi collocato socialmente e identificabile come tale. Ciò che non avviene nella sfera onirica.

AZIONE, RELAZIONE E INTERAZIONE SOCIALE Nel tema della microsociologia abbiamo ancora tre cose importanti. Per la prima cosa, partiamo dall’alto della soggettività, dall’individuo persona e guardiamo, secondo la microsociologia, a come il sociale si crea. Ci servono tre concetti, che sono i tre concetti fondamentali di questa creazione del sociale dal punto di vista dell’individuo persona. La scuola di Bauhaus, una scuola di arte e architettura della Germania che operò dal 1919 al 1933, in un periodo importante per le scienze sociali, e in campo artistico si produce questa scuola che per la prima volta cerca di coniugare espressione artistica e produzione di massa. E uno degli approcci della scuola di Bauhaus era quella di insegnare che attraverso tre elementi chiave era possibile riprodurre tutta la grande architettura, i tre elementi chiave erano “il punto”, “la linea” ed “il piano”. Questi tre concetti sociologici corrispondono in qualche mondo ai tre elementi della scuola di Bauhaus, trasposti sul piano sociale. Il punto diventa l’azione, la linea la relazione e il piano l’interazione sociale. L’azione (il punto): cos’è l’agire sociale? Ci aiuta a rispondere questa domanda Max Weber. Noi mettiamo in atto tanti modi di agire. Lavarsi i denti la mattina è un agire, ma è sociale? Se intendiamo l’atto in sé di mettere il dentifricio sullo spazzolino e poi lavarsi i denti, non vi è nulla di sociale. Ma se si sceglie un dentifricio ecologico, non inquinante, potrebbe diventare un’azione sociale. Allora dov’è l’azione sociale? E’ l’intersoggettività e infatti Weber ci dice: l’agire sociale è un agire che tiene conto dell’agire altrui. Ciò che rende sociale il nostro agire è il riferimento all’azione altrui. Non vale la distinzione che purtroppo uno dei primi sociologi italiani, Vilfredo Pareto, alla fine dell’800 aveva fatto tra azioni logiche e non logiche. Egli era anche un economista e riteneva che tutto ciò che rientrasse nell’economia fossero azioni logiche e tutto quello che non rientrasse nell’economia fossero azioni non logiche e quindi fossero materia della sociologia. Come possiamo invece pensare i diversi tipi di agire sociale? Weber dice: dobbiamo risalire ai momenti o motivazioni soggettive dell’agire sociale, per capire i diversi tipi di azioni sociali che noi mettiamo in atto. Ci sono quattro tipo di azioni:  Le azioni razionali rispetto allo scopo. Sono azioni che si muovono secondo la logica mezzi-fini, azioni strumentali. Se voglio ottenere una cosa metto in campo il mezzo più logico per ottenere quello scopo.  Le azioni razionali rispetto ai valori. Pareto non riconoscerebbe queste azioni. Sono azioni che non sono comprensibili attraverso una logica strumentale, ma che sono perfettamente razionali e quindi comprensibili se noi le analizziamo attraverso il valore a cui si ispirano. Se comprendiamo quel valore comprenderemo la logica di quell’azione.  Le azioni affettive. Sono incomprensibili per chi si muove in un campo esclusivamente di razionalità. Queste azioni non sono razionali né rispetto allo scopo, né rispetto ai valori, ma sono razionali sul piano dell’affettività, dei sentimenti, di quelli che sono i motori del legame sociale.  Le azioni tradizionali. Sono quelle azioni che mettiamo in campo semplicemente perché si è sempre fatto così e continuiamo a fare cos. Le compiamo secondo il costume e l’abitudine che abbiamo acquisito nella socializzazione. Questi quattro tipi di azioni sono quelli che Weber chiama “tipi ideali”, cioè sono delle tipizzazioni, nella realtà può succedere che un’azione possa essere letta secondo più di uno di questi tipi ideali. Ciò non sminuisce la tipizzazione, semplicemente ci conferma che la realtà è sempre più complessa dei nostri modelli scientifici, che restano sempre e comunque delle rappresentazioni il cui valore sarà tanto maggiore quanto più risulta poi euristico nello spiegarci questa complessità.

La relazione sociale (la linea) : nel momento in cui noi interagiamo con gli altri creiamo delle relazioni. Queste relazioni non sono altre che il comportamento che mettiamo in atto rispetto all’altro e rispetto a come l’altro, a sua volta, si comporta verso di noi. Quindi in termini sociologici possiamo dire che la relazione sociale è il comportamento di più individui instaurato reciprocamente (c’è una biunivocità, una simmetricità) secondo il suo contenuto di senso e orientamento in conformità. Che vuol dire? Vuol dire che noi ad un comportamento diamo un significato ma non è detto che gli altri diano lo stesso significato. Dunque Weber divide le relazioni in: 

  

Relazioni sociali oggettivamente unilaterali, nel caso in cui il contenuto di senso che un soggetto attribuisce ad una relazione sociale è diverso da quello che l’altro gli attribuisce. (Relazione d’amore non corrisposta) Relazioni sociali oggettivamente bilaterali, laddove il contenuto di senso è corrispondente, è reciproco. Relazioni sociali di carattere transitorio, sono quelle che si instaurano nella società dell’effimero, dove anche le relazioni diventano effimere. Relazioni sociali di carattere durevole, sono le relazioni forti in cui non siamo soli, non ci sentiamo soli, ma a delle volte ci possono far anche sentire incatenati.

Una distinzione che bisogna imparare a fare è quella tra relazioni sociali e rapporti sociali. Nel linguaggio quotidiano le cose sono confuse. La relazione ha a che vedere con la soggettività, con la libertà di scelta del soggetto . Il rapporto è dovuto ad una gerarchia, non ci si riferisce più al soggetto, ma al sistema, che impone quella gerarchia e dunque quel rapporto. Non è altro che una relazione che si è istituzionalizzata, è diventata sistema. Il sistema è creato dal soggetto, ma una volta creato resta lì, dà vita a dei paletti che noi possiamo sì cambiare, ma non facilmente. L’interazione sociale (il piano): per la scuola di Bauhaus il piano è ciò che comprende tutte i punti e le linee di un determinato spazio. L’interazione sociale in qualche modo comprende questa spazialità e la trasferisce sul piano sociale. L’interazione sociale non è altro che un insieme di azioni che i soggetti mettono in atto relazionandosi tra di loro e quindi è l’insieme del gioco di azioni e relazioni che questo sviluppa. E’ quel processo mediante il quale una persona e un’altra persona agiscono e reagiscono alle proprie azioni. EGO

INTERAZIONI

ALTER

Ci sono varie teorie che spiegano che cos’è l’interazione sociale: 



Homas ipotizza che noi interagiamo con gli altri sulla base delle ricompense che otteniamo, questa teoria è detta Teoria dello scambio sociale ed è la favorita dagli economisti, perché ha una validità economica; Interazionismo simbolico di Herbert Mead, egli crede che noi interagiamo sulla base del significato che attribuiamo a quelle azioni. Esempio: Se vedete un padre che sta punendo un figlio non intervenite perché lo considerate un comportamento legittimo, se vedete una scena di un abuso da parte di una persona forte nei confronti di una persona più debole chiamate la polizia o intervenite personalmente. Dunque intervenite in base al significato che attribuite a quelle azioni e nasce dunque il problema dei significati condivisi.











Garfinkel ipotizzò l’Etnometodologia, secondo cui noi interagiamo sulla base di una serie di significati che fanno riferimento ad un contesto, e questo contesto può essere possono esplicito ma spesso è implicito. L’etnometodologia è un tentativo di risalire a quel contesto. L’Approccio drammaturgico di Goffman. Egli è un sociologo Canadese che si fa assumere in un ospedale psichiatrico come infermiere e per alcuni mesi studia come l’internato psichiatrico viene trattato in modo drammatico. Egli ritiene che noi interagiamo con gli altri come un attore a teatro adottando una maschera sociale, E quindi diviene per lui fondamentale la divisione drammatur...


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