Origine ed evoluzione del sistema di scrittura giapponese: Analisi del processo di ottenimento di una grafia standardizzata PDF

Title Origine ed evoluzione del sistema di scrittura giapponese: Analisi del processo di ottenimento di una grafia standardizzata
Author Antonio Scippa
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “L’ORIENTALE” DIPARTIMENTO ASIA, AFRICA E MEDITERRANEO Corso di Laurea Magistrale in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa Tesi di Laurea in Filologia Giapponese ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI SCRITTURA GIAPPONESE: Analisi del processo di ottenimento di una ...


Description

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “L’ORIENTALE”

DIPARTIMENTO ASIA, AFRICA E MEDITERRANEO Corso di Laurea Magistrale in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa Tesi di Laurea in Filologia Giapponese

ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI SCRITTURA GIAPPONESE:

Analisi del processo di ottenimento di una grafia standardizzata Relatore:

Candidato:

Chia.mo Prof

Antonio Scippa

Junichi Oue

MAA/00023

Correlatore: Chia.mo Prof Antonio Manieri Anno Accademico 2019/2020

A mia madre e mio padre, vi voglio bene.

母と父へ、大好きだよ。

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INDICE INTRODUZIONE……………………………………………………………..5 1. I PRIMI CONTATTI CON LA SCRITTURA CINESE………………….……..11 1.1

La storia della scrittura cinese………………………….……....11

1.2

Similitudini e differenze tra lingua cinese e giapponese….…....14

1.3

L’importazione dei caratteri in Giappone…………….…….….16

1.4

Le letture on dei caratteri………………………………….…...19 1.4.1 Goon…………………………………………………………….…19 1.4.2 Kan’on…………………………….……………………………….20 1.4.3 Tōon…………………………………..……………………………22

1.5

L’attribuzione delle letture kun ai caratteri……...………...…...25

1.6

Wabun e kanbun………………………………….....…….…...29

1.7

Le prime inscrizioni in caratteri……………..……..…….…….31

2. LA SCRITTURA SU BASE CINESE…………………….………………….39 2.1

Dal kanbun all’hentai kanbun……………...…..………….…...39

2.2

Il kanbun kundoku………………………...……..………….…44

2.3

Kojiki, Cronache di antichi eventi……………….………….…56

3. LA SCRITTURA SU BASE AUTOCTONA…………………….……………62 3.1

I man’yōgana……………………………….…………….……62

3.2

Il kanji kana majiribun……………………………….…….….75

3.3

Man’yōshū, Raccolta di diecimila foglie……………….….…..81

3

3.4

Dai man’yōgana ai sillabari kana….…………………….……..90 3.4.1 Dai man’yōgana ai katakana……………………..…………….......91 3.4.2 Dai man’yōgana agli hiragana……………………...……...……….95

3.5

Uniformazioni ortografiche fino a oggi…………...…….…....101

CONCLUSIONI……………………………………………………………108 APPENDICE………………………………………………………………109 I.

Kokuji………………………………………………………..109

II.

Tōyō kanji………………………………………...………….116

III.

Jōyō kanji…………………………………………………....119

BIBLIOGRAFIA..………….…….….….….….…….….….….…………...125 RINGRAZIAMENTI…………..…..…….….………...……….....….…..…130

4

INTRODUZIONE Cosa si intende per scrittura? In generale, il termine “scrittura” può essere inteso in senso stretto e in senso lato. Nel primo caso indica la resa grafica di pensieri, concetti e informazioni. Scrivere significa fissare su materiale duraturo un’espressione linguistica o del pensiero che altri, dotati degli strumenti di decodifica, possono interpretare. E’ evidente che la gamma delle scritture possibili sia, dunque, molto ampia: si va da quella che rende fedelmente una lingua, fino ad altre variamente meno dipendenti o addirittura indipendenti dalla lingua orale. Il concetto di scrittura come rappresentazione della lingua si rifà a un concetto logocentrico secondo cui le cose sono definibili una volta per tutte dalla lingua, la quale è lo strumento principe per l’elaborazione di conoscenze in quanto è in grado di definire e descrivere la realtà. La necessità di una trasmissione stabile e duratura della lingua si rende quindi indispensabile per trasmettere il pensiero e la cultura, oltre che le informazioni. La nascita di una scrittura alfabetica si situa nel contesto logocentrico nel quale la lingua orale, strumento di conoscenza, dev’essere fissata. Con l’invenzione della scrittura alfabetica non si cercò, quindi, un nuovo modo di espressione, bensì si cercò il perfezionamento della resa linguistica orale. Da qui, dunque, il problema centrale del rapporto tra scrittura e lingua, più complesso e articolato di quanto buona parte dei linguisti occidentali abbiano ritenuto, avendo relegato la scrittura in una categoria inferiore, come mero prodotto secondario. Ma la scrittura non è soltanto questo, è anche creazione, interpretazione, riflessione. L’errore nasce dalla supposizione semplicistica secondo cui la scrittura sia nata per fissare nel tempo la lingua orale: mentre appare scontato che l’alfabeto derivi da un’analisi della lingua a livello fonetico, se consideriamo scritture anche le rappresentazioni pittografiche e simili, dobbiamo allora renderci contro

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del fatto che la scrittura possa essere anche un modo diverso di fissare, analizzare e ricreare la realtà. In questo senso, la scrittura concorre con la lingua all’espressione del pensiero umano nelle sue varie forme. Sia la lingua orale che quella scritta, in modi differenti, sono sistemi di segni in grado di organizzare il pensiero e di descrivere la realtà. Parlare non è la stessa cosa di scrivere: oralità e scrittura, infatti, assolvono fondamentalmente a due funzioni differenti, non solo perché una è volatile e l’altra è duratura, ma anche perché sono in grado di organizzare il pensiero e di descrivere la realtà in modi differenti. Dire è comunque sempre un atto improvvisato, soggettivo, un atto in qualche modo d’invenzione. La scrittura, invece, è un atto di riflessione, di deduzione e di sintesi. E’ il risultato di un processo mentale nel quale si vuole esprimere l’essenza del pensiero. Scrivere è organizzare la materia, renderla organizzata, utile, comprensibile, darle forma e sostanza. Per questo la scrittura è più organizzata, essenziale, ma anche più fredda della lingua orale. Anche la sua organizzazione può essere strutturata con modalità diverse, in quanto essa risponde a esigenza diverse e fa riferimento a meccanismi di decodifica differenti. In particolare, la scrittura non fonografica può avere una maggior indipendenza dalla lingua orale, e quindi il suo rapporto con essa assume forme più complesse e articolate. Al giorno d’oggi, nel mondo dominato dai mezzi di comunicazione di massa, l’essere umano ricorre di continuo all’uso della scrittura. L’essere in possesso di norme precise che regolino la resa grafica di una lingua può sembrare un qualcosa di ovvio. Tralasciando il discorso riguardante il fatto che ancora oggi molte lingue, su tutte quelle minori, definite spesso “dialetti”, non possiedono un sistema grafico standardizzato, è facile immaginare come in passato la situazione fosse ben più complessa. Se prendiamo come riferimento il contesto europeo, notiamo che ad esempio le popolazioni germaniche non adottarono da

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subito la scrittura latina, bensì utilizzarono per secoli una forma personalizzata di un alfabetico alto-italico, cioè l’alfabeto runico, derivato da quello etrusco e a sua volta derivato dal greco. Solo con il processo di cristianizzazione in Europa Centrale e Occidentale ebbe luogo la diffusione della scrittura latina. Anche gli stessi popoli latini, tra l’altro, conobbero la scrittura tramite gli etruschi e i greci. Se la strada che ha portato ad una standardizzazione in Europa può sembrare esser stata lunga e tortuosa, nonostante si possa parlare ormai di “lingua indoeuropea” come famiglia linguistica che raggruppa tutte le lingue del nostro continente, il discorso è ben più complesso se si guarda al contesto che ci interessa in questa tesi, ovvero l’Asia Orientale. In Asia Orientale, oltre alla macroregione cinese che può essere considerata, in modo molto superficiale, un unicum linguistico e culturale, troviamo altre etnie e lingue diverse tra loro: i giapponesi, i coreani 1 e i vietnamiti. L’unico vero punto in comune tra queste tre componenti è legato all’influenza culturale e quindi anche “grafica” subìta dall’ingombrante vicino cinese. A differenza però dei vietnamiti che trovarono nella scrittura cinese un sistema adatto alla resa grafica della loro lingua autoctona, i giapponesi e i coreani videro la Cina e la resa grafica cinese quasi come un qualcosa di inadatto in termini di praticità. In questa tesi si analizzerà, partendo dalla lingua cinese, uno dei processi di adattamento e di ottenimento di una resa grafica standardizzata più complessi nell’ambito della linguistica, cioè quello della lingua giapponese. Si partirà dall’incontro dei giapponesi con la scrittura - e quindi la lingua - cinese, proseguendo poi con i primi tentativi di scrittura logografica come imitazione della lingua cinese scritta e successivamente con i

Possono essere anche definiti come un unicum, ovvero “nippo-coreani” poiché, sebbene antropologi e linguisti non sono riusciti a provare che le due popolazioni siano imparentate, esistono similitudini culturali, linguistiche e soprattutto dal punto di vista genetico, e questo è difficilmente confutabile.

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primi esperimenti di scrittura fonografica, due metodi sperimentali di scrittura che furono relativamente sincronici tra loro. Si concluderà quindi con l’ibridazione dei due metodi appena citati, con cioè una tecnica di scrittura definibile come “logofonografica” che ha portato al giapponese moderno. La scrittura giapponese definitiva è, infatti, una combinazione dei loro rispettivi pregi. Per quanto riguarda la trascrizione fonetica, trattandosi di linguistica storica, i termini giapponesi saranno scritti in caratteri latini, rŌmaji ロ ー マ 字 , secondo il sistema di trascrizione ufficiale giapponese nihonshiki 日本式, sia per facilitare la digitazione al computer che per evitare confusioni nella resa latina di sillabe come ad esempio じ/ジ, ぢ/ヂ, ず/ズ, づ/ヅ

che il sistema giapponese ufficiale tratta rispettivamente come zi, di,

zu, du. Inoltre il sistema giapponese è l’ideale per lo scopo della trattazione, dato che nei periodi storici che verranno presi in esame molto probabilmente le pronunce sono state davvero queste. Sempre per questo motivo, se necessario, le trascrizioni in caratteri latini potrebbero essere presentate in forma storica rispecchiando una fedeltà maggiore alla pronuncia antica. Infatti, sarà possibile incontrare sillabe ormai in disuso come wi ゐ/ヰ, we ゑ/ヱ e wo を/ヲ. Gli altri termini giapponesi, invece, saranno trascritti secondo il sistema Hepburn. I testi che verranno analizzati saranno sempre riportati nella loro forma originaria e anche in caratteri latini.

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Nelle seguenti tabelle sono indicati in ordine: hiragana, katakana, trascrizione nihonshiki e trascrizione Hepburn:2

Seion 清音 (Suoni puri) あ い う え お

ア イ ウ エ オ

a i u e o

な に ぬ ね の

ナ ニ ヌ ネ ノ

ら り る れ ろ

ラ リ ル レ ロ

a i u e o

か き く け こ

カ キ ク ケ コ

ka ki ku ke ko

ka ki ku ke ko

さ し す せ そ

サ sa sa シ si shi ス su su セ se se ソ so so

na na ni ni nu nu ne ne no no

は ひ ふ へ ほ

ハ ヒ フ ヘ ホ

ha ha hi hi hu fu he he ho ho

ま み む め も

マ ミ ム メ モ

ra ra ri ri ru ru re re ro ro

わ ワ wa ゐ ヰ wi

wa wi

ゑ ヱ we を ヲ wo

we wo

ma ma mi mi mu mu me me mo mo

ん ン

n

だ ぢ づ で ど

da da di ji du zu de de do do

た ち つ て と

タ チ ツ テ ト

ta ta ti chi tu tsu te te to to

や ヤ ya

ya

ゆ ユ yu

yu 𛀁 𛀀 ye ye よ ヨ yo yo

n

Dakuon 濁音 (Suoni non puri) が ぎ ぐ げ ご

ガ ギ グ ゲ ゴ

ga ga gi gi gu gu ge ge go go

ざ じ ず ぜ ぞ

ザ ジ ズ ゼ ゾ

za za zi ji zu zu ze ze zo zo

Tabelle tratte dai seguenti link: https://en.wikipedia.org/wiki/Nihon-shiki_romanization https://en.wikipedia.org/wiki/Hepburn_romanization 2

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ダ ヂ ヅ デ ド

ば び ぶ べ ぼ

バ ビ ブ ベ ボ

ba ba bi bi bu bu be be bo bo

Handakuon 半濁音 (Suoni semi-puri) ぱ ぴ ぷ ぺ ぽ

パ ピ プ ペ ポ

pa pa pi pi pu pu pe pe po po

Yōon 拗音 (Suoni contratti) きゃ キャ kya きゅ キュ kyu きょ キョ kyo

kya kyu kyo

ちゃ チャ tya ちゅ チュ tyu ちょ チョ tyo

cha chu cho

びゃ ビャ bya びゅ ビュ byu びょ ビョ byo

bya byu byo

ぎゃ ギャ gya ぎゅ ギュ gyu ぎょ ギョ gyo

gya gyu gyo

ぢゃ ヂャ dya ぢゅ ヂュ dyu ぢょ ヂョ dyo

ja ju jo

ぴゃ ピャ pya ぴゅ ピュ pyu ぴょ ピョ pyo

pya pyu pyo

しゃ シャ sya しゅ シュ syu しょ ショ syo

sha shu sho

にゃ ニャ nya にゅ ニュ nyu にょ ニョ nyo

nya nyu nyo

みゃ ミャ mya みゅ ミュ myu みょ ミョ myo

mya myu myo

じゃ ジャ zya じゅ ジュ zyu じょ ジョ zyo

ja ju jo

ひゃ ヒャ hya ひゅ ヒュ hyu ひょ ヒョ hyo

hya hyu hyo

りゃ リャ rya りゅ リュ ryu りょ リョ ryo

rya ryu ryo

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1. I PRIMI CONTATTI CON LA SCRITTURA CINESE 1.1

La storia della scrittura cinese

Le prime attestazioni dei caratteri cinesi, hanzì 漢字 in cinese, furono i jiǎgǔwén 甲骨文, kŌkotsubun in giapponese, caratteri che venivano dipinti ma soprattutto incisi sui jiǎgǔ 甲 骨,

cioè ossi di bovini o di carapaci di tartaruga utilizzati nell’ambito della divinazione

nella Cina dell’età del bronzo. Essi venivano raccolti dai contadini della zona di Yīn l’attuale Anyang - nella provincia dello Hénán, e venduti poi come ossi di drago. 3 Tali ossi, esposti poi al fuoco, riportavano incise delle inscrizioni attraverso cui si formulavano richieste di ogni tipo alle divinità o agli antenati supremi, e su molti di essi erano indicati anche i nomi dei sovrani.4 Questi jiǎgǔwén, insieme ad altri caratteri dello stesso periodo che venivano incisi sui bronzi in stili differenti, costituirono il primo corpus di scrittura cinese. Queste inscrizioni sono generalmente considerate aventi origini pittografiche, se per “pittografico” intendiamo un grafema che rappresenti un qualcosa abbastanza realisticamente da permetterci di identificarlo senza sapere per quale parola stia quel grafema. In termini più semplici, potremmo affermare che un pittogramma dovrebbe identificare una cosa all’osservatore e dovrebbe richiamare alla mente del lettore la parola per quella cosa. Questo corpus è fondamentale, poiché queste inscrizioni Shang sono direttamente imparentate con la scrittura cinese moderna. A dispetto del loro aspetto molto primitivo, questi jiǎgǔwén vennero a formare un sistema di scrittura molto maturo per l’epoca, e anche molto funzionale tanto da essere in grado di rappresentare la lingua cinese - dal punto di vista grafico - nella sua interezza. 5 Questo livello di maturità e uniformità implicava chiaramente uno sviluppo avvenuto già per centinaia di anni. Sotto Cfr. Keightley, 1978, pp. 5-6. Cfr. Caterina, 2006, p. 32. 5 Cfr. Boltz, 2003, p. 31. 3 4

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la dinastia Shang, infatti, la maggior parte dei grafemi erano già stati ampiamente semplificati, tanto da rendere non più immediatamente evidente cosa significassero molti di essi. Nel tardo periodo Shang, i grafemi si erano già ramificati in diverse tipologie di funzioni per lo più pittografiche. Erano comuni grafemi utilizzati con valenza fonetica, composti semantico-fonetici e composti totalmente semantici. 6 Qui di seguito un’immagine che riporta alcune delle inscrizioni che si pensa possano avere un corrispettivo nei caratteri cinesi moderni, con la relativa lettura e significato:

Fig 1.1 – Esempi di inscrizioni su ossa oracolari con origini pittografiche apparentemente riconoscibili.7

6 7

Ivi, p. 39. Ivi, p. 34.

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Sebbene l’abbia definito in precedenza come un sistema di scrittura molto maturo per l’epoca, questo non vuol dire che tutto fosse perfettamente standardizzato e regolare. Queste irregolarità videro un primo tentativo di standardizzazione con i due caratteri sigillari del “grande sigillo”, in cinese dàzhuàn 大篆 e in giapponese daiten, e il suo perfezionamento, cioè il carattere sigillare del “piccolo sigillo”, in cinese xiǎozhuàn 小 篆

e in giapponese shōten. Questi due caratteri sigillari facevano parte dello “stile

sigillare”, in cinese zhuànshū 篆書 , il più antico stile calligrafico cinese. Questo stile sigillare, essendo difficile da gestire a causa dei suoi tratti tortuosi, fu sostituito dallo “stile degli scribi”, in cinese lìshū 隸書 e in giapponese reisho, primo vero predecessore della resa grafica moderna. Da questo stile nacquero poi lo “stile corrente”, in cinese xíngshū 行 書 e in giapponese gyōsho, una sorta di semi-corsivo che permetteva una scrittura più rapida e che si evolse poi nello “stile corsivo”, in cinese cǎoshū 草書 e in giapponese sōsho, utilizzato dagli scribi per scrivere appunti personali ma che aveva il difetto di essere illeggibile per la maggior parte delle persone. Infine, dalla bellezza del cǎoshū 草書 e dalla chiarezza del lìshū 隸書 nacque lo “stile regolare”, in cinese kǎishū 楷書

e in giapponese kaisho, il quale raggiunse il suo perfezionamento durante la dinastia

dei Tang (618-907) e che rimase lo stile grafico definitivo in uso ancora al giorno d’oggi. 8 Quando il Giappone entrò in contatto con la Cina quest’ultimo stile di scrittura si era già affermato, dunque si può dire che i giapponesi conobbero i sinogrammi nella loro forma grafica definitiva.

Stili di scrittura tratti dal seguente link: https://marcovaleriovergari.wordpress.com/2009/11/07/%e4%b9%a6%e6%b3%95-l%e2%80%99artecalligrafica 8

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1.2

Similitudini e differenze tra lingua cinese e giapponese

La Cina, dal punto di vista dell’influenza linguistica, può essere considerata come un vicino “scomodo” per il Giappone, a causa delle enormi differenze esistenti tra le rispettive lingue. Nonostante diverse similitudini tra le due lingue, come la mancanza di genere, numero e articoli, o la preposizione degli attributi e delle proposizioni attributive, equivalenti alle nostre frasi relative, le differenze erano ben più numerose. Il cinese, infatti, è lingua interamente di tipo isolante mentre il giapponese - come anche il coreano - è una lingua agglutinante, avente dunque alcuni dei suoi elementi soggetti a variazioni. In linguistica per lingua isolante si intende una lingua le cui unità minime sono completamente invariabili e quindi mai soggette a qualsiasi tipo di flessione. 9 Già soltanto questa differenza ci permette di affermare che per il giapponese sia impossibile trovare una resa grafica ottimale all’interno di un sistema unicamente logografico. La seconda grande differenza tra le due lingue è dal punto di vista sintattico: mentre il cinese segue la struttura SVO, Soggetto-Verbo-Oggetto, il giapponese segue la struttura SOV, Soggetto-Oggetto-Verbo. Ulteriori differenze tra le due lingue sono legate alla monosillabicità del cinese giustapposta alla polisillabicità del giapponese, all’uso delle preposizioni e delle posposizioni, e al fatto che il cinese abbia un sistema a sillabe aperte e chiuse mentre il giapponese adotti un sistema a sillabe esclusivamente aperte. Per ultima, ma non meno importante, la differenza legata all’utilizzo, nel cinese, di un sistema consonantico e vocalico variegato, composto da occlusive sorde, sonore, aspirate, palatalizzate e labiali, oltre che da tre nasali, fricative, affricate e da un gran numero di dittonghi. Il giapponese invece ha un sistema fonetico molto più semplice, composto da tre occlusive sorde [p, t, k], tre occlusive sonore [b, d, g], una fricativa sibilante sorda [s],

9

Cfr. Graffi et al., 2002, p. 65.

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una fricativa sibilante sonora [z], due semiconsonanti [w, y], due nasali [m, n] e cinque vocali [a, i, u, e, o] che erano otto durante il periodo Nara (710-794), data l’esistenza di due serie diverse di caratteri per le vocali i, e, o scomparse poi nel periodo Heian (7...


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