Pezzi da museo - Quando una cosa diventa oggetto PDF

Title Pezzi da museo - Quando una cosa diventa oggetto
Course Museologia
Institution Università degli Studi di Macerata
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Quando una cosa diventa oggetto...


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PEZZI DA MUSEO 1.1 MUSEALIA Quando gli oggetti diventano pezzi da museo prendono il nome di musealia. Secondo una linea di pensiero della museologia contemporanea, la prima fase di questo cambiamento è la trasformazione delle cose in oggetti. L’ICOM (International Council of Museums), ha posto la seguente distinzione: l’oggetto non è una realtà in sé stessa, ma un prodotto, un risultato o correlato. In altri termini, esso Designa ciò che è posto o gettato in faccia da un soggetto, che lo tratta come differente da sé anche quando prende se stesso come oggetto. Esso differisce dalla cosa, che al contrario, intrattiene con il soggetto un rapporto di contiguità e utilizzabilità. Secondo il musicologo ceco Zbynek Stransky, invece, la distinzione fra cose oggetto è importante, perché caratterizza due approcci diversi, uno di tipo ontologico e l’altro di tipo gnoseologico. Costituendo ed esponendo la sua raccolta, il museo compie, a suo giudizio, il processo individuato dalla teoria dei tre mondi di Karl Popper, secondo la quale attraverso il mondo due (quello del nostro pensiero, della nostra fantasia, dell’emozione, dello sforzo creativo) noi creiamo il mondo tre, quello della cultura, partendo dal mondo uno, quello fisico. Secondo Heidegger, La musealizzazione provoca una condizione di inerzia.egli si preoccupa di distinguere fra l’istallazione dell’opera nel museo, intesa come sistemazione, posizionamento, e l’istallazione originaria dell’opera stessa. La cosa è “ciò che riteniamo talmente importante e coinvolgente da mobilitarci in sua difesa“. Far coincidere nel musealium due aspetti che sembrano assolutamente contraddittori: il carattere rappresentativo dell’oggetto, il suo essere subordinato al soggetto, è il carattere relazionale della cosa, il suo “concernermi“. Il pezzo da museo è una cosa che diventa oggetto e ridiventa cosa la prima trasformazione avviene attraverso l’inclusione nel sistema di oggetti che chiamiamo raccolta museale. La seconda trasformazione avviene quando si instaura una relazione fra l’oggetto musealizzato e la persona che lo fruisce. Era già stato sottolineato da Hannah Arendt, La quale, a proposito delle opere d’arte e della loro esclusione dal ciclo mortale dell’uso e del consumo, afferma che esse hanno in comune con i “prodotti“ della politica (Parole azioni) la necessità di uno spazio pubblico nel quale apparire ed essere viste. L’OGGETTO È DISTINTO DA ME, LA COSA INVECE MI COINVOLGE. Dalla cosa all’oggetto e dall’oggetto alla cosa. Nel primo caso prevale la relazione frontale, oppositiva: ciò che il museo estrae dal contesto originario è una cosa perché ha dei legami di tipo pratico o emozionale con le persone e questi vengono recisi per istituire una relazione da un lato puramente materiale e dall’altro puramente razionale. Nel secondo caso il rapporto torna ad essere empatico perché riaffiora il sentimento. 1.2 LA SEPARAZIONE MUSEALE Il processo che converte la cosa in oggetto da museo si chiama musealizzazione e si può dividere in tre fasi: separazione, ricomposizione e esposizione. La separazione priva le cose dei loro rapporti precedenti con le persone. Mario Praz, per spiegare che cosa accade a una casa che da un giorno all’altro diventa un museo, usa l’allegoria funebre di Niobe che, trasformata in pietra, diventa tomba di se stessa. La decontestualizzazione di una cosa non è solo sradicamento dal luogo di origine, ma è anche la rottura di un tessuto di relazioni. Il preludio della separazione è l’individuazione, ossia il processo attraverso il quale quella certa cosa è prescelta per far parte della collezione museale. Interviene in quel momento la singolarizzazione, che estrae un determinato esemplare dal flusso delle merci. Per diventare oggetto da museo la cosa subisce un duplice trattamento, che influisce sulla sua duratura nel tempo e sulla sua obbligazione nello spazio. Il primo trattamento è conservativo e controlla le condizioni fisiche dell’oggetto. Le misure di conservazione preventiva fissano quelli che potremmo chiamare le regole di vita, prescrivendo i

livelli ottimali di temperatura, umidità relativa e luce in cui l’oggetto deve essere mantenuto, stabilendo come deve essere manipolato, movimentato ed esposto. La Ricomposizione assicura invece, che la permanenza dell’oggetto nel museo sia definitiva. La cosa è inventariata, cioè associata a un numero che la identifica nel contesto del museo e attesta che adesso vi appartiene; è catalogata, ossia descritta in modo scientifico, associandola alle informazioni certe che la riguardano; è fotografata, perché sia identificabile; è collocata in un deposito o in una sala espositiva e, da quel momento, tutti i suoi movimenti interni esterni al museo sono registrati. Fra questi pezzi da museo si stabiliscono relazioni di somiglianza che, applicando lo schema quadripartito rinascimentale reinterpretato da Michel Foucault, possono essere definite come convenientia, aemulatio, analogia e simpatia. La prima si riferisce principalmente allo spazio: è la somiglianza dei luoghi, la vicinanza, dalla quale deriva il concatenamento. La seconda opera invece sulla distanza. È un modo di somigliarsi per risonanza che trova una speciale applicazione nel museo, perché permette alle cose di evocarsi a vicenda. L’analogia è la sintesi delle precedenti somiglianze e passa attraverso l’uomo. La simpatia infine, è la strana sensazione che le cose si dispongano da sole nel museo, in base a criteri di reciproca attrazione o repulsione. 1.3 IL RITORNO AL MONDO Nei musei etnografici i beni di prestigio sono l’eccezione, non la regola. Scatta il meccanismo delle vocazione. Il termine viene dal latino ex e vocare, chiamare fuori. Nell’uso italiano del termine, le vocazione è una successione prodotta non solo dalla fantasia e dal sentimento, ma anche dalla memoria. I meccanismi evocativi utilizzabili sono molti ma ciò che conta è il loro integrarsi nel percorso espositivo, che è la relazione degli oggetti fra loro e nello spazio sviluppata secondo una progressione temporale. La fase del processo di musealizzazione che riporta gli oggetti verso il mondo è l'esposizione, che ho proposto di suddividere in tre livelli, l’ostensione, L’esplicazione e l’implicazione. L’ostensione è il mostrare considerato di per sè, mentre l’esplicazione è il modo in cui il museo abbia il processo di interpretazione degli oggetti associando alla maniera di presentarli un apparato informativo. L’implicazione, invece, è la fase dell’esposizione interamente affidata al visitatore. Tre sono i nodi cruciali della dinamica dell’implicazione come riconversione dell’oggetto in cosa. Il primo è costituito dal legame affettivo; il secondo nodo cruciale riguarda la relazione sensoriale. La percezione sensibile e diretta che abbiamo degli oggetti nel museo coinvolge necessariamente il corpo. Ed è appunto il corpo che, secondo Roberto Esposito, trasforma gli oggetti in cose. Il terzo nodo riguarda quella che potremmo definire “la percezione del vissuto“ del pezzo da museo. 1.4 Partendo da un’osservazione di George Kubler “Se mancasse l’ invenzione ci sarebbe solo il grigio tran tran quotidiano. Se non ci fossero le copie, le cose fatte dall’uomo non sarebbero mai abbastanza“. L’originalità, però, rientra nel patto implicito che il museo stringe con i suoi visitatori. La musaelizzazione dell’originale e la sua sostituzione con una copia è a volte resa necessaria dall’impossibilità di mantenere l’opera nella sua condizione originaria per motivi conservativi. Il principio di originalità impone che la cosa sia mantenuta per quanto possibile nel suo stato fisico primitivo. Ne discendono alcuni corollari come quelli della riconoscibilità e irreversibilità dell’intervento di restauro. Tuttavia il potere culturale delle copie e delle imitazioni deriva dall’esistenza di un originale che è stato un’invenzione. L’autenticità si differenzia dall’originalità perché si contrappone non alla riproduzione ma alla contraffazione. Il falso può essere anche una copia usata per ingannare, ma a volte è un prodotto originale che si attribuisce fraudolentemente a un altro autore, ambito o epoca. La tesi di Ferretti è che, anche in questi casi, la falsificazione non sia da ricercarsi tanto nel prodotto

contraffatto quanto nell’accreditamento critico di quell’operazione. Il falso non è falso finché non è ritenuto come tale; pertanto, come scriveva Cesare Brandi, la falsità si fonda sul giudizio. Il falso può aiutare a comprendere gli orientamenti culturali e le preferenze artistiche di una certa epoca. La rarità è un rapporto fra gli oggetti che riguarda non solo la quantità ma anche la frequenza; un oggetto raro è “un candidato naturale a ruolo di oggetto da collezione“. A volte però un oggetto comune, del tutto privo di valore, diventa raro perché la sua categoria si è estinta o perché ha di colpo acquistato pregio. Pomian sostiene che la storia stessa è una produttrice di oggetti rari. 1.5 Tutte le caratteristiche che abbiamo finora esaminato sono state messe in discussione da molti esponenti dell’arte contemporanea e dell’antropologia più recente. Bruno Latour sostiene che non vale ormai la pena risalire dalla copia all’originale, perché quest’ultimo altro non è che è un flusso di immagini. Basandosi su questa tesi, Hummelen ha affermato, a proposito della conservazione dell’arte contemporanea, che l’originale non è più il materiale stesso, perché viene costantemente creato, prodotto e rivitalizzato dalla rete collettiva. Mettendo in discussione l’originalità si revoca in dubbio anche la cosalità dell’oggetto da museo. Oggetti che fuori dal museo riguardavano soprattutto altri sensi, come un violino, una boccetta di profumo o un paio di guanti, varcata la soglia museale contano principalmente per la loro forma esterna. Peraltro, l’attuale evoluzione delle immagini elettroniche, che simulano in modo molto convincente la volumetria, ha reso ancor meno rilevante la differenza con la percezione diretta. Si può sostenere che il pezzo da museo è costituito da immagini e materia, laddove per immagine intendiamo una porzione del visibile intenzionalmente delimitata in modo da renderla significativa, e per materia ciò che consente all’immagine di manifestarsi sensibilmente. Gottfried Boehm sostiene che le più antiche immagini siano le amigdale, pietre da taglio nelle quali la funzione strumentale è affiancata da una funzione estetica. 2.1 Vi sono famiglie di pezzi da museo che hanno svolto e svolgono un ruolo esemplare nel processo di conversione della cosa in oggetto e di riconversione. La classificazione principale si può ridurre in quattro gruppi, coppie di opposti: i cimeli e le opere d’arte, gli esemplari e le meraviglie. Le opere d’arte sono apparentemente i pezzi da museo per eccellenza. Il termine "cimelio" vuol dire, nel collettivo, “antica”, “pezzo d’antiquariato”. Così lo definisce Leon Rosenstein “Un oggetto prevalentemente manufatto dotato di rarità e bellezza che, per mezzo del suo stile e della durevolezza della sua materialità, ha la capacità di evocare e preservare per noi l’immagine di un mondo ora è passato“. A suo avviso la differenza principale rispetto all’opera d’arte eèche questa crea il proprio mondo, mentre il pezzo di antichità evoca un mondo che non esiste più ma realmente esistito. Vi sono invece i pezzi da museo che non hanno un valore assoluto e/o che sono storicamente rilevanti pur essendo abbastanza vicini nel tempo e dunque relativi a un mondo ancora esistente. La parola cimelio designa un oggetto che si riferisce a un’epoca, a un fatto o un personaggio del passato anche recente. La capacità di risonanza di questi oggetti dipende dall’importanza di ciò o di chi essi evocano. Il vocabolo “esemplare“ viene dal latino eximere, che significa “trascegliere qualcosa di particolare“ (trascegliere = scegliere accuratamente). L’esemplare è l’individuo di una specie. Qui intendiamo con questo termine l’oggetto che entra a far parte della collezione museale non tanto perché sia importante in sé, quanto perché è considerato rappresentativo di una categoria. La meraviglia è invece un pezzo eccezionale. Si collezionano sia perché ne esistono pochi sia perché sono fuori dal comune. Opere d’arte e rarità sono oggetti unici, capaci di attirare l’attenzione anche al di fuori del contesto

museale. I cimeli e gli esemplari, invece, acquistano rilievo solo attraverso una relazione. 2.2 Le opere d’arte possiedono una caratteristica costitutiva che orienta il loro destino verso l’approdo museale. Che il museo sia il luogo nel quale l’esperienza estetica si svolge nel modo migliore è stato sostenuto con vigore da Marcel Proust. Per lui è fondamentale separare le opere d’arte da quanto le circonda nella realtà. Opposta è la tesi del poeta Paul Valery, secondo il quale il museo precluderebbe, invece, il pieno godimento estetico dell’opera d’arte, perché la assoggetterebbe a una funzione sociale. Anche chi è convinto che il museo sia l’approdo naturale delle creazioni artistiche deve però fare i conti con la loro complessità rispetto ad altri oggetti. L’opera d’arte presenta, infatti, almeno due livelli di polarità: è un oggetto estetico ma anche un veicolo semantico, è assoluta ma è anche relativa. Un oggetto estetico è un’opera d’arte con un significato estetico. Anche l’obiezione che opere come lo scola bottiglie di Marcel Duchamp e il Brillo box di Andy Warhol non sono diverse, sotto il profilo percettivo, da uno scola bottiglie e da una confezione di lucido per scarpe di quella marca, non tiene conto delle operazioni non solo concettuali ma anche estetiche che sono state compiute per modificare la loro relazione con lo spettatore. Nel 1965, nel negozio Gavina di via Condotti a Roma, i ready made di Duchamp furono allestiti dall’architetto Carlo Scarpa secondo i criteri museali. Si può aggiungere che non sarebbe accaduto se, fin dal XIX secolo, la meta ultima dell’opera d’arte non fosse divenuta il museo e se quest’istituzione non avesse già subito l’attacco violentissimo dei futuristi. L’epilogo è stato la musealizzazione di quelle opere rivoluzionarie e poi di lavori non meno scandalosi di artisti che continuarono a scuotere le abitudini estetiche. Mauss aveva risposto che un oggetto d’arte è un oggetto riconosciuto come tale da un gruppo. Più che un’istituzione e questo “mondo dell’arte“ si è rivelato un mercato, come ha osservato Tiziana Andina fornendo un paragone illuminante con il “mondo dei tulipani“ in seno al quale esplose la prima bolla speculativa nella storia del capitalismo occidentale. Nel 1996 Jean Baudrillard, nel suo articolo il complotto dell’arte, aveva lanciato il suo j’accuse contro quella che definiva la strategia commerciale della nullità: “ora, la maggior parte dell’arte contemporanea si dedica proprio a questo: ad appropriarsi della banalità, degli scarti, della mediocrità eleggendoli a valore e ideologia.“ Ora, una cosa è sostenere che l’apprezzamento del mondo dell’arte sia sufficiente a discriminare fra cosa è arte e cosa non lo è, altra cosa è riconoscere che questo mondo esista dal punto di vista sociologico e sia responsabile di quelli che Hannah Arendt definisce “accessori permanenti del mondo”. Questa responsabilità, che esiste e grava in larga misura sul museo, consiste anzitutto nell’esprimere un giudizio per valutare quella che, semplificando, possiamo chiamare la sua “riuscita”. L’oggetto di questo giudizio secondo Panofsky è il valore estetico. L’atteggiamento estetico non è passivo, perché implica la ricerca e l’esplorazione. Le proprietà estetiche di un’opera d’arte includono non solo quelle che percepiamo guardandola, ma anche quelle che determinano che essa debba essere guardata. L’opera d’arte non è solo portatrice di significati, ma lei continua a produrre di nuovi. Per spiegare come l’opera d’arte possa essere considerata al tempo stesso un oggetto estetico e un veicolo semantico, Leon Rosenstein ha fatto ricorso alla teoria del medium traslucido. Si può dire che le opere d’arte hanno integrità ontologica nella misura in cui la loro natura corporea mostra una condizione di equilibrio fra i due eccessi della trasparenza e dell’opacità. Questa condizione è la traslucidità. L’artista, in definitiva, deve permetterci di vedere il suo modo di vedere il mondo, ma in un equilibrio fra opacità e trasparenza che dipende dal suo “modo di formare”.

L’altra polarità dell’opera d’arte è quella fra assoluto e relativo, Fra il tentativo di porsi come unicum e il complesso sistema di relazioni che la storicizza. Questa duplicità dell’opera d’arte impone la continua ricerca di un equilibrio nell’allestimento museale: per il fatto di essere assoluta va isolata, per il fatto di essere relativa proposta in rapporto con le altre. 2.3 Un ambito particolarmente problematico di oggetti museali è quello delle cosiddette arti applicate. La loro musealizzazione inizia ufficialmente dopo la chiusura della Great Exhibition di Londra del 1851, quando nasce il museo dell’arte e dell’industria che poi si chiamerà South Kensington e oggi è il Victoria and Albert Museum. L’utopia sociale del museo artistico-industriale fallì, anche se è generò molti importanti musei di arti decorative o applicate. La vera arte industriale, il cinema, ha ancora pochi musei, mentre il design industriale è nato su presupposti diversi. In questa vicenda però è emersa la saldatura fra immagine e materia nella produzione degli oggetti d’uso considerati in una prospettiva estetica. William Morris è stato fra i primi a considerare le arti decorative come koiné (Lingua comune che si sovrappone ai dialetti locali). Nel suo saggio “l’arte sotto la plutocrazia“ sosteneva che esistono due arti, una intellettuale e una decorativa; la prima parla soprattutto alla mente, la seconda soprattutto il corpo. 2.4 Il cimelio, che per definizione è un oggetto usato e desueto, deve, per quanto possibile, manifestare un equilibrio fra le due modificazioni prodotte dal trascorrere del tempo, ossia la riduzione dell’integrità fisica e l’aumento del valore culturale. Dal punto di vista museocologico, possiamo operare una distinzione di massima fra cimeli che si riferiscono ad avvenimenti e cimeli che si riferiscono a persone. Un tipico espediente dei musei di storia è la “linea del tempo”, una cronologia progetti nella quale ciascun oggetto rappresenta un determinato lasso di tempo. Molto efficace, per esempio, è quella dedicata al XX secolo nel museo nazionale di Budapest. La storia del mondo in 100 oggetti di Neil McGregor, nota come trasmissione radiofonica e poi divenuta un libro di successo, è una linea del tempo ampliata in senso evocativo, perché intorno a ciascun oggetto il direttore del British Museum sviluppa una narrazione che aiuti a spiegare un certo mutamento epocale. Biografie fatte cimeli sono le case-museo. Tutto può diventare cimelio in questi musei delle vie secondarie, purché si riesca a spiegare a molti, se non a tutti, che sono stati importanti per qualcuno. Il cimelio è il tipo di pezzo da museo che più deve misurarsi con il problema della testimonianza. Le fotografie e i video sono una parte considerevole dei documenti posseduti dai musei di storia contemporanea, ma molte immagini di altro tipo fanno parte del patrimonio di quelli di storia antica, medievale e moderna. In bilico fra cimeli e opere d’arte sono le statue dei musei delle cere. 2.5 L’esemplare museale per antonomasia è lo specimen naturalistico. Rispetto agli esemplari naturali il museo è come l’arca di Noè, che ne preserva due per ogni specie. Le sterminate collezioni dei musei di storia naturale sono per la maggior parte in riserva, data la loro fragilità conservativa, ma proprio la scelta di conservare molti più oggetti di quanti fossero disponibili ha permesso la sopravvivenza di esemplari che ora sono diventati rari a causa della distruzione di tanti ambienti naturali e della scomparsa di alcune specie. La fase iniziale della musealizzazione degli specimen naturalistici era incentrata sulla forma, sull’immagine sensibile, occultando l’anatomia e il funzionamento dell’organismo. Alla fine del XVIII secolo George Cuvier si incaricherà di rompere, spostando l’attenzione sull’anatomia.

Furono proprio le Kunst-und-Wunderkammer ad avviare la storicizzazione della natura, prima che Immanuel Kant ne sostenesse filosoficamente la necessità. Possiamo consider...


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