Pirandello poetiche e pratiche di umorismo PDF

Title Pirandello poetiche e pratiche di umorismo
Author Laura Ganzetti
Course Letteratura italiana moderna e contemporanea
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
Pages 51
File Size 1.6 MB
File Type PDF
Total Downloads 71
Total Views 153

Summary

Riassunto del libro per l'esame di Langella/Lupo a.s. 2020/2021...


Description

PIRANDELLO: POETICHE E PRATICHE DI UMORISMO Introduzione L’opera di Pupino ruota intorno allo studio sull’Umorismo di Pirandello, una sorta di manifesto per il suo autore. Qualche parola sulla pubblicazione dell’Umorismo: • duecento pagine della princeps uscirono per Lanciano (1908), ma suscitarono dei dubbi; • Croce scrisse una scheda dell’Umorismo (1909) affermando l’appartenenza del saggio pirandelliano a tale anno; • 28 dicembre 1908, Pirandello indirizza una lettera a Ugo Ojetti in cui viene attestata l’imminente pubblicazione delle prime copie. Il 15 febbraio 1909, Pirandello chiederà a Ojetti la conferma di avvenuta ricezione della copia inviatagli in cui compariva una dedica datata 24 gennaio 1909. Probabilmente, quindi, al 1909 deve essere datata l’uscita del saggio sull’umorismo. Altra «edizione aumentata» venne pubblicata nel 1920 da Luigi Battistelli e su di essa verranno esemplate le successive ristampe [tranne quella nel «Meridiano»]. Inoltre, quasi tutti gli studi relativi si basano sull’edizione del ’20. Il lavoro di Pupino si basa su un confronto tra le due edizioni, in cui l’autore prenderà in analisi l’ideologia dell’umorismo elaborata da Pirandello ⇾ «poetica esplicita» è la denominazione adottata da Ferroni, Barilli e altri e tale poetica va a sorgere sopra una «coscienza moderna». Con il termine «modernità», Pirandello faceva riferimento alla cultura fine-infraseculare in cui era immerso [cfr. Arte e coscienza d’oggi (1893)], una cultura gravata dall’ombra del Dubbio 1, dell’incertezza, dell’ambivalenza ⇾ esprime una profonda crisi di valori che invase la civiltà. Non è importante che il Dubbio sia interiore oppure opzione letteraria, perché comunque la poesia è finzione = menzogna. Tutto ciò che è contenuto nell’opera di Pirandello è frutto del caso, tanto paradossale che per questo motivo la finzione deve (e appare) essere ben organizzata e meditata. Il caso è presente fin dal momento della nascita e ciò è vero tanto per gli altri, tanto per colui che Pupini definisce «Angelo o messaggero di fuoco» = sia personaggio immaginario che fisico, una sorta di narratore anonimo sotto il quale potrebbe effettivamente celarsi Pirandello stesso [l’autore nacque verso la fine di giugno nella stessa campagna, come viene riportato dal «messaggero di fuoco»]. Ci si domanda, quindi, se il soggetto sia Pirandello o un narratore anonimo; i due sono uno o è uno sdoppiato in due? È ambivalenza = costante del moderno. Bauman, sociologo, fa riferimento a Baudelaire = sviluppò una coscienza precoce della modernità [esclusivamente in ambito estetico]. Secondo il filosofo, l’arte della modernità consisteva nel cogliere l’eterno dal transitorio. La modernità è una delle metà dell’arte [l’altra metà è l’eterno]. Con la sua interpretazione, Baudelaire introduceva l’idea di fluidità dell’arte, oppure l’idea della frammentazione e del caos. Pirandello, invece, oltrepassava un dominio strettamente estetico per arrivare a toccare la coscienza e la dimensione esistenziale, ma condivideva con Baudelaire l’idea dell’arte come eterno strappato al transitorio [forma sottratta al movimento] ⇾ N.B. la tensione tra i termini «eterno» e «transitorio» motiva esperienze non identiche, ma non troppo dissimili [es. d’Annunzio e Pirandello], ma allo stesso tempo presenta la coincidentia oppositorum sulla quale si costruiscono i paradossi dell’umorismo [il «contrario» è la regola ≠ eccezione]. Per quanto riguarda le eccezioni ⇾ Gaspare Giudice sostenne che in Pirandello si trova il progresso, ma tale progresso presenta solo due direzioni: profondità ed essenzialità. La verità di Pirandello è 1

Cfr. pag 5.

1

praticamente priva di mutamento, ma si esprime in maniera differente nei fari periodi di vita, seguendo le fasi dell’espressione letteraria in contraddittoria evoluzione. Non è lineare e continua e si compie nei recessi dell’inconscio. Nemmeno il saggio Umorismo sarà privo di variazioni [basti pensare al testo della seconda edizione che differisce profondamente dalla prima]. Gli scarti di questa elaborazione – trasformazioni, aggiunte, eliminazioni concettuali – compensano un’insicurezza di pensiero/argomentazione. Si possono notare nella seconda edizione e sono fondamentali per comprendere l’ideologia letteraria di Pirandello [una comprensione più incentrata sui contenuti che sulle forme]. Papini assume il compito di dar conto della dinamica delle modifiche, comparando anche segmenti programmatici che sfociano in testi di finzione, oppure che addirittura giungono a essi [testi di finzione] da un contesto saggistico, anche se è possibile notare anche percorso inverso. Nei testi di destinazione, quindi, emerge una stratificazione della parola intertestuale – addirittura un self-plagiarism. Pirandello, in testi in cui l’immaginazione e la dottrina paiono indissolubili, cede all’autoreferenzialità, in modo che anche scritti didascalici possono contenere parti di finzione. Un esempio viene offerto da Uno, nessuno, centomila (1925), di cui non è ben dichiarabile la natura [romanzo o libro di massime?] ⇾ al suo interno, però, se si mette da parte la struttura sperimentale, ne emerge la completa esecuzione delle regole fissate dall’Umorismo, poi banalizzate nel pirandellismo. Le opere che vengono trattate da Papini si nota essere allacciate l’un l’altra: ogni individuo rinvia alla totalità e viceversa, insinuando nel lettore l’idea che un’opera fatta in questo modo possa presentare un’interpretazione circolare. Si potrebbe affermare che Pirandello concepisca l’umorismo nel suo senso più stretto, con caratteri ben definiti. In realtà, lo investe di responsabilità che non ne arricchirebbero l’essenza. Si potrà parlare di «umorismo» solo quando interviene il sentimento del contrario: «l’umorismo consiste nel sentimento del contrario, provocato dalla speciale attività della riflessione che non si cela» = l’umorismo esiste se e quando la riflessione – sopra figure o circostanze – non si limita solo a un «avvertimento del contrario». A questo si potrebbe ricollegare la teoria dell’incongruenza [Kant, Kierkegaard, Schopenhauer] secondo cui il riso trae origine dalla percezione di un’incongruenza, che scatena il comico. Quando però la riflessione tormenta l’anima suscita un sentimento che: • associa al comico il suo contrario = il patetico; • al patetico associa il comico. Questa interpretazione è diventata un topos critico consapevole del proprio capovolgimento del principio di non-contraddizione ⇾ implica la consapevolezza che la contraddizione possa essere fertile quando diventa strumento di conoscenza. Nel manifesto dell’Umorismo, però, la contraddizione non è un presupposto esclusivo dell’umorismo perché il «contrario» è proprio anche del comico [che però genera solo l’«avvertimento del contrario»]. Affinché si verifichi l’umorismo non basta solo la contraddizione, ma essa deve essere «sentita» [sentimento], una sorta di coefficiente emotivo immancabile, quello che viene definito la «vita nuda» = sostrato interiore della vita umana che esiste perennemente, una vita che scorre ineluttabilmente al di sotto delle maschere e finzioni che la nascondono allo sguardo. Quindi, il sentimento serve per comprendere la «vita nuda» e la riflessione su questa vita è ciò che avvia l’umorismo. L’umorista s’insinua nella «vita nuda», spoglia i fenomeni di «vita vestita» e li utilizza come simboli perché sono gli oggetti privilegiati di ricerca, analisi e riflessione. La riflessione può andare a scomporre l’autore e i personaggi in centomila rappresentazioni di se stessi, in un’alienazione

2

clinica che sarà ancor più forte nelle coscienze a-centrate [chi è privo di centro // chi ha avuto un centro e non ce l’ha più]. Le manifestazioni dell’umorismo comprendono figure e situazioni associabili allo stesso umorismo, tra le quali la perplessità, l’inettitudine, lo scetticismo, l’inerzia, il disincanto e la scomposizione [ruotano tutte intorno alla contraddizione] ⇾ l’esempio per eccellenza è Amleto, di influenza capitale per Pirandello. La Préface di Victor Hugo (1827), manifesto dell’arte moderna, celebrò il grottesco e il brutto. Al suo interno, si affermava che la poesia possedesse tre età, ciascuna delle quali corrispondesse a un’epoca della società; secondo la teorizzazione, la forma della modernità letteraria è il dramma, ossia la poesia completa. Pirandello, però, a differenza di Hugo, privilegia l’umorismo laddove Hugo prediligeva il grottesco. Il dramma è connesso alla poetica e all’arte umoristica, entrambe fondate sulla ricerca del contrasto e di disarmonie. La narrativa di Pirandello si presenta come interscambiabile col dramma, in maniera spontanea. In generale, l’autore non ha mai posto divisori tra i generi e aveva appunto dichiarato che «la cosa non è di chi la crei. E quell’uno la crea come la vede […] Ben venga qualsiasi forma se risponde alla cosa da dire». Anche in un frammento di Illustratori, attori e traduttori (1908) viene espresso che, quando si legge una novella, ci si raffigura i personaggi e le scene presentati dall’autore, come se essi balzassero fuori dal libro e cominciassero ad agire senza più il sostegno descrittivo/narrativo del testo. Ed è proprio questo il frutto dell’arte drammatica. La narrativa è caratterizzata dalla declamabilità che si manifesta se l’interpunzione prende come modello un’esecuzione orale 2. A riguardo, si sono espressi: 1. Gianfranco Contini ⇾ sostiene una colloquialità che fissa linguisticamente mimica, interiezioni ecc… rilevando un’andatura monologante che, nei drammi, costituisce il «fondo comune» alle didascalie; 2. Giovanni Macchia ⇾ afferma che la teatralizzazione del linguaggio sfociava nell’istrionismo 3 nel rapporto tra effetto e parola. Dove la voce si converte in gesto, movimento o smorfia, la voce associa a sé la corporeità. Se la drammatica è per forza chiamata in causa dalla vocazione professionale di Pirandello, il riferimento a essa deve essere fatto nei testi dalla guerra in avanti, al cui vertice si ritrova Sei personaggi in cerca d’autore (1921). Nel transito da narrativa a drammatica si nota una convertibilità. Oltre a questo, esiste anche uno scambio in itinere ⇾ quando si presentano all’autore, i Sei non implorano solo un «romanzo» o una «novella», ma anche un «dramma» perché esso riuscirebbe a sottrarli alla sensazione di incompiutezza che li affligge. Nella Prefazione (1925) emerge un’attestazione del loro stato: inizialmente, sostenendo che i Sei «prendevano a narrarmi i loro tristi casi 4», sembra che privilegino il racconto. In realtà, poi i Sei vengono descritti alla stessa 2

Pirandello pratica anche la novella dialogata, un sotto-genere che, grazie la sovrabbondanza di dialoghi, appare molto vicino alla drammatica. In realtà, Pirandello si lamenta dell’abuso della novella dialogata da parte dell’arte veristica. Secondo l’autore, l’eccesso di oggettivismo emerge nello sviluppo anomalo della parte dialogica che tende sempre più a sopraffare la narrazione e a emanciparsi. Si discosta, infatti, dall’idea che in un racconto la «parte espositiva» dovesse predominare e che la «rappresentazione» non dovesse essere mai diretta, ma dovesse passare dalla soggettività di chi parlava. Il problema della novella dialogata era l’incapacità di realizzare scene che si seguano nel tempo e nel luogo, perché apparivano sempre staccate e quasi inorganiche. In conclusione, per Pirandello assistere a una «commediola» o leggere una «novella dialogata» non era poi così differente. 3 Tendenza all’esibizione e alla teatralità. 4 P. 22

3

maniera di personaggi drammatici 5 [come era stato fatto nell’articolo “Scienza e critica estetica”, «Marzocco»]. Come nell’Amleto, in cui i personaggi «si sopraffanno l’un l’altro», così sembra essere anche per il genere drammatico. Anche nell’Elettra di Sofocle compare una descrizione simile: «due coscienze opposte, cozzanti tra loro». Nel discorso di Pirandello pronunciato al convegno «Volta» (1934), affermava che tutti fossero attori della vita ed essa sia il teatro stesso. Inoltre, aggiungeva che non avesse senso parlare di morte del teatro in un tempo pieno di contrasti e di materia drammatica. Quindi, se i contrasti sono una caratteristica del teatro, allora esso è strutturato su un modello dualistico. Il contrasto emerge nei Sei dalla loro disponibilità alla narrazione e all’azione teatrale. Una serie di indizi testimoniano che il germe dell’opera fu narrativo, un’origine che condiziona i Personaggi. Nel corso della commedia – mentre si impersonano – sembrano continuamente essere tentati dal racconto es. Padre vuole dare delle «spiegazioni» al Capocomico ⇾ le spiegazioni implicano l’intervento dell’Io e sono un discorso soggettivo (narrazione). I fatti sarebbero esposti dall’autore stesso e quindi la «spiegazione» è un racconto. Davanti al rifiuto della forma narrativa, i Sei si battono per vivere nell’opera di finzione e così si innesca la lotta [vocabolo che viene utilizzato per descrivere il conflitto tra i personaggi dell’Amleto. Il senso universale viene trovato dai personaggi nella lotta che ciascuno fa contro l’altro e tutti contro il Capocomico. E la richiesta di armonizzazione del Capocomico alla Figliastra è umoristica, e serve affinché prevalga il contrasto tra Personaggi – Personaggi X Comici – Personaggi X autore [personaggio autore, pur essendo invisibile è presente nei discorsi degli altri]. Il segreto che tormenta i Sei è Eros e Thànatos: • Eros = sesso proibito e nemmeno consumato, al limite di un incesto e quasi pedofilia tra il Padre e la Figliastra; • Thànatos = due decessi entrambi drammatici, il suicidio violento del Giovinetto e l’annegamento apparentemente accidentale della Bambina. L’autore dà solo brandelli di questi decessi, ma dai discorsi sconnessi non trapelano le relazioni di causalità che, invece, dovrebbero legare i due avvenimenti drammatici. Il piano del dramma oscuro e il piano della messinscena si sovrappongono ⇾ è il teatro nel teatro in cui uno è il teatro di primo grado e l’altro è il teatro di secondo grado. I fatti già vissuti dai Sei appaiono in scena come sprazzi, al di fuori da qualsiasi sviluppo logico e, di conseguenza, si parla ancora di confusione e disordine. Non vi è armonia, ma solo lotta; trionfa il caos. Però, rappresentare il caos ≠ rappresentare caoticamente ⇾ la rappresentazione deve essere chiara, semplice e ordinata. Un ordine mascherato da caos. Il «grido della Madre» – che a ogni rappresentazione viene riproposto uguale – sarà «ogni volta come nuovo». Questo porta a una contraddizione ⇾ c’è bisogno che nei Sei ci sia un misto di tragico e comico tale da suscitare una situazione umoristica [in generale, per Pirandello qualsiasi contrasto può suscitare umorismo]. Il «terribile dramma» vissuto dai Sei, durante la trasposizione teatrale si altera e sull’originale dramma cresce una commedia > umorismo a cui concorrono le interferenze dei personaggi. Non viene, però, presentato il dramma, bensì il tentativo di metterlo in scena, facendolo infine decadere nella ridicolaggine che scatena il comico. In tutto ciò, si riconosce il caos ed esso attira l’interesse dell’umorista perché il caos è lo stato della «vita nuda», la vita che esiste sotto la maschera e a cui si arrende ogni uomo, finché essa non viene denudata dall’umorista.

5

Ibidem

4

Un altro tema trattato è il caso: «nessuno trionfa, tranne il caso 6», e il trionfo del caso = trionfo del caos. Il teatro deve nascondere ogni concezione di un autore e liberarsi dalla richiesta di armonia poiché essa comporterebbe un ordine. Di conseguenza, la pulsione dinamica di azzererebbe. I UNA POETICA DELLA MODERNITA. PRODROMI. La poetica umoristica già era presente nella mente di Pirandello prima del saggio sull’Umorismo che, alle spalle, possedeva già una precisa concezione di mondo che si intravede in una lettera di Pirandello a Filippo Surico (1912) in cui l’autore illustra un’«arte» già esercitata in precedenza. Secondo Pirandello, la vita dell’uomo non è altro che una «triste buffoneria» perché l’individuo possiede in sé la necessità di autoingannarsi attraverso la creazione di una realtà vana e illusoria. Chi capisce il «giuoco», non è più in grado di ingannarsi e chi non riesce più a ingannarsi, non può godere della vita. L’arte di Pirandello – viene detto – è carica di compassione per chi si inganna e di scherno nei confronti del destino che condanna l’uomo a una vita di inganno. La poetica umoristica, come detto, era già insita nelle composizioni precedenti quali Arte e coscienza, Un preteso poeta umorista del secolo XIII e un saggio sull’Illustrissimo di Alberto Cantoni [antecedente all’Umorismo]. Quest’ultimo, apparso in Arte e scienza (1908) con il titolo Un critico fantastico, sembra alludere all’umorismo ⇾ ne emerge un contrasto tra termini: Un critico, riferito a un narratore VS fantastico, pertinente a uno scrittore. Inoltre, nell’Umorismo viene detto, in riferimento a Cantoni, che ogni vero umorista non è solo poeta, ma anche critico sui generis perché fantastico [nel senso di «bizzarro», ma anche nel senso di «estetico»]. Quindi, per Pirandello il lavoro critico ≠ lavoro finzionale, ma allo stesso tempo reciprocamente sconfinanti. Un esempio è offerto dalla novella Personaggi (1906) in cui il narratore fa precedere al racconto alcune sue considerazioni critiche ⇾ finzione e critica entrano in un unico individuo [cfr. Paolo Baldani che, in Suo marito, rivela lui stesso al personaggio di Silvia Roncella in cosa consista l’arte della donna]. Si attesta anche che Cantoni è umorista perché artista e critico insieme, perché «ha voluto esercitare divisatamente la sua facoltà artistica su quella critica» ⇾ ne emerge l’ambivalenza = divisatamente può essere inteso come «preordinatamente» oppure come «separatamente». Quindi l’umorista non può abbandonarsi a un qualche sentimento senza provare qualcosa che lo turbi ⇾ qualcosa che lo divide e lo sdoppia. Ancor prima, Pirandello scrisse la poesia Mal giocondo (1889) in cui già il titolo si presenta come ossimoro = atteggiamento tipicamente umoristico. Nella poesia emerge il «Dubbio» a cui viene affidato il compito della riflessione e della duplicità. Il 31 ottobre 1886, Pirandello, in una lettera alla sorella Lina, realizza un’introspezione i cui oggetti sono la riflessione, la duplicità, la contraddizione, il «furore ostinato» di vivere, l’osservazione della vita come finzione, il malessere esistenziale, la caduta del finalismo antropocentrico 7, il relativismo radicale, l’accenno a un’«ombra nera» che non si rischiara mai e il disinganno della scienza [molti di questi oggetti verranno poi raccolti da Arte e coscienza]. In realtà, il punto focale per Pirandello è la crisi, avvertita come ontologica e propria di una condizione immutabile dell’umanità. Il disagio prodotto dalla crisi ispirerà l’arte fin de siècle in cui la vita [al tempo di Pirandello] – sia esteticamente che eticamente – non è mai stata più disgregata. 6

Scienza e critica estetica. Tendenza di una filosofia, religione o di una semplice opinione, a considerare l’essere umano – e tutto ciò che gli è proprio – come centrale nell’Universo. Una centralità che può essere intesa secondo diversi accenti e sfumature = semplice predominanza nei confronti del mondo animale o predominanza ontologica su tutta la realtà, in quanto si intende l’uomo come espressione immanente dello spirito che è alla base dell’Universo. 7

5

La coscienza moderna, per l’autore, riflette l’immagine di un «sogno angoscioso» e di una «battaglia notturna», in cui le «parti avversarie sono confuse» ognuna delle quali lotta per sé, contro l’amico e il nemico. È un’arte dissonante ⇾ «dissonanza» dà l’idea di un allontanamento dall’ideale di armonia che, a suo tempo, aveva influenzato la formazione di Pirandello [idea acerba dell’arte che si andrà a rafforzare nel tempo]. La filosofia moderna, il pensiero positivistico, le conquiste della scienza hanno diminuito la rilevanza dell’uomo spingendolo ai margini del mondo. Da questo cambiamento, il poeta umoristico attinge i propri motivi. Pirandello, parlando di «poeta umorista» fa riferimento a Cecco Angiolieri; in Un preteso poeta umorista, l’autore constata la difficoltà di definire l’umorismo poiché esso consiste ...


Similar Free PDFs