Propedeutica al latino Universitario Cap. 5 PDF

Title Propedeutica al latino Universitario Cap. 5
Course Lettere Classiche
Institution Università degli Studi di Palermo
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Propedeutica al latino universitario, Bernardi Traina, utile per il corso della Marchese...


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CAP. 5

PLU

PROBLEMI DI MORFOLOGIA RADICE, TEMA, DESINENZA La radice è l'elemento irriducibile comune a tutte le parole della medesima famiglia, indipendentemente dalla loro categoria grammaticale e come tale essa è la portatrice del significato più generale di una famiglia di parole, il cosiddetto semantema es: tim- radice di tim-ere – tim-idus – tim-or L'irriducibilità della radie è relativa; nelle lingue indoeuropee, per esempio, essa riguarda solo gli elementi consonantici, mentre gli elementi vocalici possono subire cambiamenti come apofonie o alternanze vocaliche qualitative o quantitative che in indoeuropeo avevano una funzione semantica e comparivano soprattutto in serie ternarie delle quali la più comune era: grado zero – grado e lunga/e breve – grado o lunga/o breve. In greco queste alternanze sono ben conservate, soprattutto nei paradigmi verbali es: λείπω – λέλοιπα – ἔλιπον In latino queste serie sono ridotte ormai allo stato di sopravvivenze generalmente prive di funzione semantica tranne per quanto riguarda l'opposizione infectum – perfectum es: fac-io – fec-i. Troviamo anche un altro elemento che apparentemente limita l'irriducibilità della radice, l'infisso nasale, una -n o una -m che troviamo nella radice dei verbi e serviva originariamente a indicare il dinamismo del processo verbale tanto che era proprio dell'infectum e non del perfectum per sua natura statico es: iug-um ► iung-ere – frag-or ► frang-or Questo valore di dinamismo non si è però conservato in latino tanto che l'infisso nasale è potuto passare per analogia al perfetto. La desinenza è quella forma variabile che indica la posizione della parola nella flessione, nominale o verbale, ossia,da un punto di vista sintattico, la sua funzione nella proposizione. Praticamente la desinenza specifica il genere, il caso ed il numero nei sostantivi – la persona ed il numero nei verbi. In alcuni casi la desinenza può mancare e in questi casi si parla di desinenza zero e la parola può essere ridotta al puro tema. Tolta la desinenza resta il tema, detto anche radicale, che si può definire come la forma che serve di base alla flessione della parola. Il tema consta della radice e di uno o più suffissi, la vocale che termina il tema si chiama vocale tematica o predesinenziale. I suffissi possono raggrupparsi per formare temi morfologicamente più complessi e semanticamente più definiti e possono presentare alternanze vocaliche. Finora si è parlato di radice – tema – affissi (prefissi e suffissi) – desinenze come elementi ben distinti, ma in realtà essi sono fusi all'interno della parola in modo da

non essere sempre ben riconoscibili soprattutto a causa • le modificazioni fonetiche dovute all'apofonia – all'alterazione della vocale in sillaba finale – alla caduta della consonante finale – all'assimilazione consonantica – all'epentesi – alla sincope – alla semplificazione dei gruppi consonantici • l'assenza dei suffissi tematici e/o della desinenza Radici, affissi e desinenze hanno anche una realtà psicologica ben percepita dai parlanti grazie ai rapporti associativi, così chiamati dal Sassure es: la parola insegnamento evoca da una parte la serie di corradicali insegnare – insegnante, dall'altra la serie dei sostantivi in -mento movimento – cambiamento. LA FLESSIONE NOMINALE: TEMI E DESINENZE Si parla di cinque declinazioni, ma, in realtà, sarebbe più esatto parlare di temi essendo il tema l'elemento distintivo della flessione sia nominale che verbale. Spesso la vocale tematica si fonde con la desinenza nella flessione, ma tramite il genitivo plurale possiamo individuare la vocale tematica di ciascuna declinazione • I declinazione rosa-rum ► temi in -a• II declinazione domino-rum ► temi in -o/e- (-e- solo nel vocativo) • III declinazione puppi-um ► temi in -ireg-um ► temi in consonante • IV declinazione manu-um ► temi in -u• V declinazione die-rum ► temi in -e- lunga È tuttavia possibile un ulteriore raggruppamento dell cinque declinazioni considerando le desinenze o segnacaso osservando che c'è una netta opposizione tra la I e la II da una parte e la III e la IV dall'altra nella distribuzione delle desinenze del genitivo singolare e plurale e del dativo e ablativo plurale; notiamo dunque che il latino tende ad opporre una flessione di temi in vocale, I – II, e una flessione di temi in semivocale, sonante e consonante, III e IV. Resta la V declinazione le cui desinenze concordano a volte con quelle della I – II, ora con quelle della III – IV. LE PRINCIPALI ANOMALIE DELLA FLESSIONE NOMINALE GENITIVO SINGOLARE IN -AS DEI TEMI IN -A I grammatici antichi quando incontravano questa forma si chiedevano se si trattasse di accusativo o di grecismo, ma il rapporto con il genitivo greco in -ας non è diretto; si tratta, infatti, del genitivo singolare indoeuropeo dei temi in -a- conservato in greco e sopravvissuto in latino come residuo di norma più antica. Le attestazioni del genitivo in -as sono rarissime, come vedremo, tranne nel è giustapposto formulare pater – mater – filius – figlia familias, se il genitivo preposto si rompe la formularità e allora si trova la forma usuale familiae; al di fuori di questo caso le forme in -as sono limitate all'epica arcaica con la funzione di arcaismi solenni.

IL GENITIVO PLURALE IN -UM DEI TEMI IN O/E Come mostra il confronto con il greco, la forma in -um/-om del genitivo plurale è quella originaria, mentre quella in -orum nasce per analogia del genitivo plurale dei temi in -a-; non bisogna dunque parlare di genitivo sincopato ripetendo un errore risalente a Cicerone. Sul piano sincronico si nota un'ntitesi stilistica fra i genitivi in -um conservati in iuncturae formulari e quelli utilizzati come arcaismi poetici. Sulle scelte stilistiche inerenti ai doppioni -um/-orum abbiamo una preziosa testimonianza del quadro della polemica tra analogisti ed anomalisti da Cicerone, anomalista equilibrato, che afferma di seguire la consuetudo respingendo le forme in -um che siano puri arcaismi, ma accettando quelle consacrate in iuncturae tecniche o formulari come la formula pro deum fidem. IL VOCATIVO DI DEUS Sino all'età di Augusto non si incontra nessuna forma di vocativo per deus; a partire da Orazio compare, ma raramente e solo in poesia, dive, propriamente vocativo di divos; in Seneca troviamo il nominativo deus usato come vocativo che è frequentissimo nei cristiano che, verosimilmente, lo prendono dalla Bibbia. L'interpretazione classica è quella di Wackernagel che sostiene che la mancanza del vocativo si possa spiegare alla luce del politeismo dei greci che li spingeva a rivolgersi alla divinità con il solo teonimo, mentre usavano solitamente il vocativo plurale di; sarà poi il monoteismo cristiano ad avere bisogno del vocativo singolare di deus. Questa spiegaione, però, è insufficiente perchè non tiene abbastanza conto dei vocativi sinonimici e soprattutto del frequentissimo vocativo femminile dea; più convincente sembra la spiegazione fonetica di Svennung che fa notare che in latino nomi a struttura fonetica identica a deus come reus – meus sono anch'essi privi di vocativo. I PLURALI ETEROGENEI DEI TEMI IN -O/EIl caso esemplificativo è il doppio plurale loci – loca, il primo anche in senso figurato, il secondo solo in senso proprio. L'opposizione tra i plurali in -i ed in -a originariamente era diversa, si trattava, infatti, rispettivamente di un plurale singolativo e di un plurale collettivo; in effetti il suffisso -a del neutro plurale era un antico suffisso collettivo indoeuropeo il che spiega come in greco il neutro plurale potesse accordarsi con il verbo singolare es: πάντα ρεῖ lett. “tutte le cose scorre” In latino l'opposizione è ridotta, è viva in qualche passo del latino arcaico, mentre altrove i due plurali sono interscambiabili e la scelta è dettata da motivi eufonici o metrici. VIS,SUS,BOS Vis è un sostantivo difettivo per quanto tutti i grammatici latini, da Varrone a Carisio ne diano il paradigma completo, risulta più convincente la dimostrazione di Cicerone, maestro di concinnitas, che in ealtà non esista un paradigma completo. Il suppletivismo vis roboris così diffuso nella nostra tradizione scolastica, solo quella italiana però, si deve, apparentemente, a Luigi Ceci, ma fu una innovazione infelice

dal momento che vis e robur indicano due concetti che si somigliano, ma che non coincidono • vis è la la forza in movimento, di genere animato, e quindi libera di agire in bene ed in male secondo i casi sotto forma quindi di violenza – efficacia – influsso etc; il suo corrispondente semantico greco è δύναμις • robur è di genere inanimato, è il legno del rovere, e metaforicamente la forza statica che sostiene e resiste La loro differenza è messa in evidenza anche da un passo di Seneca in cui il filosofo paragona il saggio stoico agli uomini. Sus è un tema in -u-, ha una doppia forma di dativo – ablativo subus/suibus, la prima etimologica, la seconda analogica degli altri sostantivi della terza. Bos è un tema in -ou-,il dittongo originario si trova nei casi obliqui; la forma fonetica del genitivo plurale è boum < bouom con la caduta di u semivocale davanti a o, mentre bouum è analogica. PARISILLABI E IMPARISILLABI La vecchia regola dei parisillabi ed imparisillabi è puramente empirica e si fonda sul fatto che i temi in -i- hanno lo stesso numero di sillabe nel nominativo e nel genitivo singolare, mentre i temi i consonanti con il nominativo sigmatico o asigmatico hanno una sillaba in più al genitivo. Tuttavia possiamo osservare che altri temi in -i- sono diventati imparisillabi in seguito all'apocope alla sincope della vocale tematica al nominativo singolare e sono tre categorie chiamate temi misti: • i neutri in – ali e in – ari es: animal, animalis • gli aggettivi in – as e in – is • alcuni monosillabi D'altra parte alcuni temi in consonante si presentano come parisillabi e sono principalmente di due tipi: • temi in -r- che in alternanza avevano l'alternanza e breve – e lunga – grado zero es: pater – mater – frater; il latino, secondo le leggi della fonetica, ha abbreviato la vocale al nominativo, pater, e generalizzato il grado zero negli altri casi, patris • antichi imparisillabi che la lingua ha reso parisillabi o aggiungendo il suffisso -i- al nominativo o ricavando i casi obliqui da un tema diverso Naturalmente questo stato di cose non poteva non provocare confusione ed oscillazioni chiaramente riflesse nell'imbarazzo degli antichi grammatici. In generale si può dire che sulla ripartizione delle forme influiscono due motivi • la comodità metrica di evitare il cretico (_ ‿ _ ) in poesia esametrica specie per aggettivi e participi • la posizione degli scrittori di fronte all'antitesi analogia – anomalia

LA FLESSIONE VERBALE I verbi latini possono essere divisi in due gruppi: • verbi tematici ► si ha una vocale di collegamento fra la radice e la desinenza • verbi atematici ►manca una vocale di collegamento fra la radice e la desinenza La prassi scolastica divide i verbi tematici in quattro coniugazioni • in – are • in – ere e breve • in – ere e lunga • in – ire in realtà , come per la flessione nominale, sarebbe più corretto dividerli in base alla vocale tematica, ma nemmeno questa classificazione sarebbe soddisfacente; innanzitutto perchè è valida solo per l'infectum, ovvero i tempi derivati dal presente, e perchè non tiene conto dei verbi in -io della III coniugazione. Si devono dunque riconoscere non quattro, ma cinque temi raggruppabili in due categorie • temi in vocale lunga ( -a- -e- -i- ) di solito hanno perfetto e supino prevedibili • temi in vocale breve ( -e- -i- ) hanno perfetto e supino variabili I PRINCIPALI TIPI DI VERBI DERIVATI FREQUENTATIVI Chiamati anche iterativi – intensivi. Morfologicamente sono verbi in -a- lunga derivati dal tea del participio perfetto o del supino es: dictus ► dictare – pulsus ► pulsare Semanticamente i frequentativi, in quanto derivati dal participio perfetto che indica stato, sono originariamente durativi, ma perchè questo valore sia evidente occorre che sussista l'opposizione con il verbo primitivo, se il primitivo è scomparso l'opposizione è tra il derivato frequentativo e i composti momentanei; se invece l'opposizione manca il valore durativo tende a sbiadire. Il fondamentale valore di durata si screzia in varie accezioni • l'iterazione • l'intensità • il conato, l'azione non giunge al compimento • l'intermittenza • la consuetudine • di rado l'attenuazione • può essersi specializzato in un'accezione particolare Per la loro regolarità ed espressività, questi verbi sono preferiti dalla lingua d'uso e a volte hanno anche soppiantato il verbo primitivo. Anche la lingua poetica, anche se in minor parte, ne apprezza l'espressività o la comodità metrica.

INCOATIVI Secondo il loro nome tradizionale, questi verbi della III coniugazione, caratterizzati dal suffisso -sco, indicherebbero l'inizio del processo che il verbo descrive, ma in realtà sarebbe più appropriato dire che gli incativi indicano un divenire graduale, un progressivo cambiamento di stato. È il loro dinamismo ad opporli ai verbi di stato in -e- lunga, egualmente durativi es: rubeo “sono rosso” – rubesco “divento rosso”. La progressione può cincentrarsi in un momento, e allora il valore passa da progressivo, durativo, ingressivo, momentaneo, e questo mutamento avviene normalmente con l'uso di preverbi. Negli incoativi dove il valore ingressivo predomina sul progressivo, si è generalizzata la forma del composto. Più raramente gli incoativi, semplici e composti, si oppongono a verbi di stato con temi diversi da -e-. Talvolta l'incoativo deriva direttamente da un nome sostantivo o aggettibo, senza l'intermediario di un verbo, cioè è un denominativo e non un deverbativo es: irascor – ira. Se non è chiaro né il rapporto oppoitivo né quello derivativo, l'incoativo rischia di perdere la sua caratterizzazione semantica es: quiesco ► Seneca lo sente come equivalente a quietus sum Il suffisso -sco è limitato all'infectum, il perfectum è comune al verbo di stato, in quanto nell'azione compiuta, che è l'originario valore aspettuale del perfectum, non occorre distinguere tra stato e progressione; solo quandoil perfectum assunse il valore temporale di passato potè distinguersi l'aspetto complessivo, ovvero comprendente uno spazio di tempo concluso, da quello ingressivo tramite i preverbi. L'azione ingressiva può essere espressa anche da perifrasi. DESIDERATIVI Si tratta di due formazioni diverse, scarsamente rappresentate • una in – sere • una in – urire entrambe hanno in comune un valore volitivo o conativo es: capesso ► voglio prendere – lacesso ► cerco di attirare La differenza semantica coi primitivi è piuttosto debole nel primo gruppo e vivace nel secondo. CAUSATIVI Detti anche fattitivi perchè causano l'azione espressa dal verbo. Non sono, a rigore, dei verbi derivati, ma temi in -e- lunga caratterizzati dal vocalismo radicale o es: noceo “faccio danno” di fronte a necem – neco Questa categoria arcaica è importante per le conseguenze lessicali e sintattiche della sua improduttività che spinsero il latino, per esprimere il concetto di far fare, a ricorrere a • composti con facio • a verbi di vario significato • a perifrasi varie

LA FORMAZIONE DEL PERFECTUM Il perfectum latino è una forma sincretica, ovvero che ingloba morfologicamente due diverse forme verbali indoeuropee: il perfetto e l'aoristo. Esso indica originariamente l'azione giunta a compimento in opposizione all'infectum che indica l'azione incompiuta o in via di svolgimento. Sull'antitesi morfologica tra i temi dell'infectum e del perfectum è costruito tutto il verbo latino. Il latino conosce quattro tipi di perfetto • in – vi • a raddoppiamento • ad alternanza vocalica radicale • sigmatico Il primo ed il quarto sono produttivi per tutto l'arco della latinità, mentre il secondo ed il terzo sono residui ereditari che subiscono la concorrenza degli altri due. IL PERFETTO IN – VI È la formazione del perfetto più tipica del latino; questo tipo di perfetto è proprio dei temi in vocale lunga dopo la quale il suffisso assume la forma semivocalica -ui (- vi) es: ama-vi – audi-vi quando la vocale tematica è breve il suffisso assume la forma vocalica -ui in quanto la vocale breve per apofonia si assimila alla u del suffisso es: dom-ui Infine l'analogia ha avuto larga parte nella diffusione di questo tipo con una specie di reazione a catena. IL PERFETTO A RADDOPPIMENTO Prosegue in gran parte il perfetto indoeuropeo; la vocale di raddoppiamento è -ebreve es: do ► dedi in alcuni casi, però, si potevano avere casi di assimilazione alla vocale radicale es: curro ► cucurri. Il raddoppiamento si perdeva nei composti con poche eccezioni come, ovviamente, i perfetti bisillabici. La scomparsa del raddoppiamento nei composti ha avuto tre conseguenze • omofonia con alcune forme del presente • la formazione di un altro tipo di perfetto nel composto • il passaggio del perfetto senza raddoppiamento dal composto al semplice IL PERFETTO AD ALTERNANZA VOCALICA RADICALE Prosegue in parte il perfetto indoeuropeo. L'alternanza può essere solo quantitativa es: lego (e breve) ► legi (e lunga) o anche qualitativa ago (a breve) ► egi (e lunga) IL PERFETTO SIGMATICO Esce in -si e interessa la maggior parte dei verbi la cui radice termina in consonante velare dico, dentale sentio, labiale scribo, sibilante gero e nasale maneo.

I VERBI ANOMALI Sono i verbi atematici e i loro composti: sum – volo – fero – eo – edo SUM – POSSUM Sum è caratterizzato da tre fatti • la desinenza della 1° pers. sing in -m che è forse l'unico residuo latino della desinenza -mi dei verbi atematici indoeuropei • l'alternanza e/zero della radice es/s; dal grado e con rotacizzazione derivano le forme atematiche e l'indicativo futuro ed imperfetto, mentre dal grado zero le altre forme • il suppletivismo del perfectum fui derivato da una radice indoeuropea che indica il divenire Il più importante dei composti di sum è possum; il primo elemento è potis, potente capace, da una radice indoeuropea diffusa in greco e latino; il perfectum potui deriva da un verbo di stato, poteo, il cui infectum riaffora ancora nel latino volgare per normalizzare alcune forme anomale di possum. VOLO – NOLO – MALO Volo è caratterizzato da due fatti: • l'alternanza vocalica vel/vol dovuta ad una legge fonetica latina, il timbro della vocale,infatti, dipende dalla natura della l che segue, se la l è palatale, davanti ad i – l, si mantiene e, se la l è velare, davanti a a – o – u – consonante, diventa o • il suppletivismo nella II pers. sing. del presente indicativo dove il posto lasciato vuoto forse da vels è stato preso da vis che ha la medesima radice di invitus. Il perfectum volui è analogico di potui. Nolo e malo sono rispettivamente composti da nevolo ► neolo ► nolo e magisvolo ► mavolo ► maolo ►malo; i dettagli della formazione sono oscuri e discussi. FERO Le caratteristiche di fero sono • l'atematismo • il suppletivismo del perfectum comune al greco essendo la radice indoeuropea bher imperfettiva. Tuli era l'originario perfetto di tollo, portare sollevando, poi integrato nella flessione di fero; tollo riceverà in cambio il perfetto sustuli, composto di subs, dal basso in alto, + tuli. Anche latus è della radice tollo con diversa gradazione vocalica. Fero era troppo irregolare e problematico per sopravvivere nella lingua parlata e il romanzo lo sostituì con il regolare porto.

EO – NEQUEO – QUEO Anche eo, come sum, presenta un'alternanza vocalica radicale indoeuropea e/zero ben conservata in greco: ei/i. Il latino ha esteso il grado pieno ovunque tranne per • il supino itum • il nominativo singolare del participio presente iens All'interno del grado pieno ei si è instaurata un'alternanza secondaria tutta latina, e/i, dovuta al fatto che davanti a vocale i cadeva, mentre davanti a consonante il dittongo ei si chiudeva in i. Il participio presente aggiunge un'alternanza e/o del suffisso. Il nominativo singolare ha il grado i radicale ed il grado e suffissale, mentre gli altri casi hanno il grado ei radicale ed il grado o suffissale. Discussa è l'origine dei composti queo – nequeo; forse la locuzione impersonale neque it ► nequit, non è possibile, è stata il punto di partenza per tutta la flessione di nequeo,falsamente scomposto in ne – queo, da cui poi,sul modello scio – nescio si è ricavat...


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