Riassuno la frontiera interna di p cervelli PDF

Title Riassuno la frontiera interna di p cervelli
Course Scienze semiotiche del testo e dei linguaggi
Institution Sapienza - Università di Roma
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RIASSUNTO LA FRONTIERAINTERNA di P. CervelliSemiotica Università degli Studi di Roma La Sapienza 30 pag.Document shared on docsityLA FRONTIERA INTERNAIl problema dell’altro, dal fascismo alle migrazioni internazionalidi P. Cervelli – riassunto completo.Cap. 1 - Teoria della frontiera: i modelli semi...


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RIASSUNTO LA FRONTIERA INTERNA di P. Cervelli Semiotica Università degli Studi di Roma La Sapienza 30 pag.

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di Aurora Carola

LA FRONTIERA INTERNA ! Il problema dell’altro, dal fascismo alle migrazioni internazionali! di P. Cervelli – riassunto completo.! !

Cap. 1 - Teoria della frontiera: i modelli semiotici e la definizione dei confini della cultura. ! ! 1.1 L’identità e i processi di autodescrizione della cultura! Lotman ha sostenuto che ogni cultura ha bisogno di un proprio corrispettivo esterno rispetto al quale differenziarsi e che essa interpreta l’alterità come enantiomorfa, cioè come il proprio rovesciamento regolato. Quando un’alterità manca, la cultura la inventa, interpretando le strutture organizzate fuori dalla propria semiosfera come “non strutture”, caotiche e amorfe. Ciò significa rileggere in chiave culturologica e diacronica l’ipotesi teorica sostenuta da Hjelmslev, per cui un linguaggio si produce attraverso la messa in forma di una materia amorfa. Lotman sostiene che la cultura si costituisca attraverso una destrutturazione operata dai linguaggi. Così facendo, s’inverte il processo di formatività linguistica delineato da Hjelmslev poiché, per Lotman, la cultura nasce dalla destrutturazione dell’altro. La riflessione di Lotman ha messo in evidenza almeno due forme di alterità, ossia! 1. alterità radicale→ è tipica dei processi di “costruzione dell’altro” nel Medioevo russo, in cui il rapporto tra cultura e extracultura si concretizza in un rovesciamento completo (ovvero, due culture si relazionano come opposte: l’una si presenta come un’inversione speculare dell’altra); ! 2. alterità più radicale → vede le strutture poste all’esterno della semiosfera come “non strutture”, cioè pura negazione dell’ordine e della regolarità. Per Lotman, la cultura è sia “dispositivo di allontanamento e avvicinamento” e sia un “dispositivo stereotipante”. L’aspetto innovativo della concezione di Lotman è che la cultura viene intesa come autodescrizione. Secondo Lotman, ogni cultura crea il proprio sistema, sostenendo un’ottica strutturale dove la cultura associa caratteristiche pertinenti rispetto al contesto. L’apparizione della cultura come materia formata è legata ad un’auto-immagine della cultura e all’identificazione o produzione di qualcos’altro come diverso o “amorfo”. Per Lotman, la strutturazione della cultura e la destrutturazione di un’altra sono elementi complementari del medesimo processo.! !

1.2 Lo spazio culturale e il concetto di confine semiotico! Lotman ha articolato la dinamicità delle relazioni tra semiotico ed extrasemiotico, oltre che come un sistema di opposizioni e rovesciamenti. All’inizio della riflessione lotmaniana, la dinamica tra semiotico ed extrasemiotico si presentava come una relazione di mutua esclusione, mentre, successivamente la definizione dell’extrasemiotico diventa un processo nell’interazione tra culture diverse o nell’azione di una cultura su un’altra. Lotman definirà il confine semiotico come un’area dotata di un proprio funzionamento specifico, che determina la natura del meccanismo semiotico. Lotman sottolineerà la centralità dei processi di traduzione e la natura “non metaforica” della spazialità semiosferica. Il suo modello teorico si basa su un metalinguaggio spaziale mirato a formalizzare i processi di traduzione tra culture di relazione con l’alterità. Grazie al processo che questo confine permette, inteso come meccanismo che va attivato, l’esterno extrasemiotico non si definisce più all’interno del semiotico, ma è ciò mediante cui il semiotico inizia un problematico processo di “interazione nella differenza”, motivo per cui l’inglobamento della differenza si accompagna alla possibilità di diventare altro rispetto a sé stesso. L’irruzione dell’extrasemiotico 1 !

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di Aurora Carola può produrre momenti di “espulsione culturale”, cioè quando l’alterità che si inserisce nel sistema non può essere tradotta dai meccanismi del confine, ma solo attraverso “esplosioni di metafore”. Nel momento dell’esplosione culturale, l’extrasemiotico è una “nebulosa di significato” che va tradotta, resa pensabile e dicibile.! !

1.3 Figure di confine! La stessa funzione di confine della semiosfera è svolta dai quartieri in cui si trovano le mescolanze culturali. Quando l’alterità extrasemiotica si inserisce in una semiosfera succede che l’ingresso degli elementi estranei passa attraverso il confine semiotico, il quale trasforma l’informazione in un blocco di traduzione sui generis (a sé, particolare, a sé stante), che rende l’alterità “pensabile” nel sistema semantico di una cultura. L’inserimento avviene assegnandogli una posizione nella rete di differenze e nella “scala assiologica della cultura”, la quale gioca un ruolo importante in quanto sono centrali i processi di autodescrizione della cultura che si esprimono attraverso le città capitali. ! !

1.4 La città capitale come modello di universo culturale! La trasformazione urbanistica di Pietroburgo è considerata da Lotman e Uspenskij come una manifestazione della fase di ristrutturazione semiotica della cultura russa, che si definisce nel 1703 fondando Pietroburgo e facendole sostituire Mosca come capitale. La riflessione semiotica sulla capitale mostra come, nella teoria di Lotman, vi sia la compresenza di modello culturale, concreto e unitario, e sistema strutturale, astratto e differenziale. Lotman considera anche il caso della città di Pietroburgo e del suo spazio “teatralizzato”, ovvero una macchina produttrice di percorsi in cui la visibilità e la continuità spaziale manifestano ideologie e programmi geopolitici. Comparando lo spazio di questa città a quello di Mosca, Lotman sottolinea come lo spazio urbano, denso di “simbolicità culturali”, sia sempre orientato secondo il punto di vista di un osservatore ideale Lotman riconosce che Mosca e Pietroburgo esprimono due concezioni opposte dello spazio:! –"Mosca → è centripeta e organizzata per centri che circondano e tendono al Cremlino (cittadella fortificata posta nel centro geografico e storico della città);! – Pietroburgo → è orientata verso il suo esterno, fuori di essa e dalla stessa Russia, verso l’Europa.! Il concetto di “vettore di orientamento spaziale” rappresenta un elemento fondamentale nella semantizzazione delle configurazioni spaziali. Lotman pone l’accento sullo spazio empiricamente e fisicamente dato di Pietroburgo e sulla sua possibilità di esprimere un modello di spazio culturale. Egli sostiene l’esistenza di due sistemi modellizzanti primari, ossia la lingua e il modello strutturale dello spazio. Il modello strutturale dello spazio non è dotato di significazione in sé, ma appare come una griglia di differenze, pronta ad esprimere spazialmente le meta definizioni della cultura espresse linguisticamente. Tutti i tipi di divisione dello spazio formano costruzioni omeomorfiche. La città (punto popolato) si oppone a quello che si trova al di là dei suoi muri (bosco, steppa, paese, natura). Da questo punto di vista, la città è la parte dell’universo dotata di cultura, però, nella sua struttura interna, essa riproduce tutto l’universo, avendo il suo spazio “proprio” e il suo spazio “alieno”. Per Lotman, l’unità minima della cultura è la duplicità sempre e necessariamente relazionale. Un’ulteriore riflessione di Lotman fornisce il quadro in cui si situa un’ipotesi analitica sulla divisione dello spazio in culturalizzato e incolto (caotico). L’orientamento culturale non si riduce a quello dello spazio costruito, ma riguarda l’inserimento al suo interno di modelli culturali circolanti già attraverso altri linguaggi e, in primis, quello verbale. La prospettiva lotmatiana ha posto l’accento sull’impossibilità, per un linguaggio isolato, di accrescere la propria capacità semiotica. Secondo Lotman, è naturale non separare l’europeizzazione della corte zarista e lo spostamento della capitale dell’impero russo con la costruzione di San Pietroburgo in stile 2 !

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di Aurora Carola italiano. Entrambe le operazioni fanno parte del processo semiotico di riorientamento della cultura russa verso l’Europa, che coinvolge le pratiche vestimentarie e la teatralizzazione dello spazio urbano pietroburghese. Si era anche pensato che Mosca fosse una Terza Roma, ma uno sguardo su Pietroburgo, invece, da questa angolatura rivela che l’analogia con Roma era presente con molta determinazione nella coscienza dei costruttori della nuova capitale. Nella cittadella fu, infatti, costruita la cattedrale di Pietro e Paolo, ideata per essere l’edificio più alto di Pietroburgo. E’ possibile che la cultura sia attraversata al suo interno dalla stessa negatività extrasemiotica che aveva espulso al suo esterno: essa riproduce al suo interno, in luoghi particolari, l’extrasemiotico che pone all’esterno di essa per costruirsi. ! !

1.5 Spazio e semiotica strutturale! Una visione simile a quella della semiotica della cultura si trova nella concezione dello spazio espressa dalla semiotica strutturale. Greimas distingue fra estensione e spazio, proponendo di definire lo spazio come la forma umana che rende significante l’estensione indifferenziata (territorio), articolandola. Il territorio diviene l’oggetto semiotico solo se all’estensione che ne costituisce la materia s’impongono una o più forme che lo articolano in sostanza manifestata espressiva di senso. Un territorio può divenire pertinente solo se oggetto di interpretazione e di semantizzazione. Le aporie concettuali e analitiche della semiotica dell’architettura degli anni ’70 del Novecento derivano dall’assumere gli oggetti architettonici tout court come significanti. La descrizione del significato diventava, per la semiotica dell’architettura, la descrizione di una significazione stabilita intuitivamente dall’analista stesso o sulla base di un codice presupposto, i cui significati erano totalmente generali dall’essere esprimibili attraverso una riformulazione linguistica di base (frase). La “lettura” dell’opera avveniva senza far intervenire nell’analisi alcun strumento semiotico. Il paradosso è che anche le architetture da abitare venivano considerate solo per il loro aspetto “formale”, senza tener conto né delle pratiche spaziali degli abitanti e né delle loro riflessioni. Secondo Manar Hammad, il piano del contenuto degli spazi sacri o sacralizzati è ricavato analiticamente attraverso una comparazione fra iscrizioni linguistiche, articolazione topologica e immagini. Il “sistema sincretico”, cioè lo spazio, non è fatto solo di spazio perché di esso sono componente ineliminabile le azioni delle persone che agiscono e gli stessi altri sistemi semiotici correlati a quest’ultime. La proposta analitica di Hammad supera le aporie proprie della semiotica dell’architettura perché mette al centro della riflessione le azioni che possono compiersi e, dunque, lo spazio vuoto. E’ il vuoto ad essere fondamentale in quanto spazio dell’azione narrativa e unico “luogo” in cui sia possibile compiere delle azioni. Ad essere centrale nella semiotica dello spazio di Manar Hammad è, quindi, lo spazio prossemico e delle azioni, e non l’edificio architettonico. Il rapporto tra spazio e azione fonda la possibilità di un’analisi semiotica degli spazi sacri. Per Hammad, la narratività è l’elemento che permette di ricostruire la forma dell’espressione originaria di spazi archeologici oggi frammentati, sulla base di un’articolazione narrativa ipotetica delle cerimonie sacre. ! !

1.6 I linguaggi non verbali: la critica di Garroni a De Fusco! Nella riflessione di De Fusco si cercano di individuare gli elementi del significante architettonico che possano esplicitare un significato minimo, espresso dall’autore prima dell’analisi, e inteso come significato manifesto dell’opera. Gli elementi minimi, ossia i segni che De Fusco considera, non possono essere definibili come manifestazioni selezionate dal contenuto poiché questo è assente dall’importazione di De Fusco stesso e si ritrova solo in un quadro storico-stilistico di riferimento. Non si può, dunque, cogliere alcun contenuto non avendo nessuna dimensione sociale come riferimento. Quello di De Fusco è un corpus costituito da testi lontani da esempi relativi la quotidianità, la cui interpretazione esula dal contesto storico sociale di riferimento. La 3 !

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di Aurora Carola riflessione critica di Emilio Garroni è volta verso i rifiuti aprioristici di considerare il tema della significazione di oggetti non verbali e negare una aprioristica comparabilità tra linguaggio verbale e non verbale. L’alternativa che Garroni propone è quella di considerare le relazioni tra elementi linguistici e non linguistici, ossia di porre la distinzione tra forma e sostanza con la considerazione globale degli oggetti significanti, senza scomporli in singoli elementi assimilabili a quelli del linguaggio verbali o riconducibili ad una descrizione verbale tale da permettere l’identificazione di “segno architettonico”. Garroni sostiene che la distinzione tra forma e sostanza deve essere stabilita sulla base di quella fra espressione e contenuto. ! !

1.7 Emilio Garroni: la metaoperatività delle pratiche! Garroni riflette sullo statuto delle “operazioni che operano su operazioni”, che definisce a elevata componente metaoperativa. Garroni, inoltre, non critica l’impostazione semiotica dell’architettura sulla base di una squalificazione delle operazioni, ma contesta, invece, il postulare che operazioni e atti linguistici possano essere analizzati con lo stesso impianto concettuale e metodologico. Garroni, criticando la concezione del rapporto tra linguistico e non linguistico, ha indicato una condizione della loro traducibilità, che definisce quasi equivalenza. Egli sostiene l’idea di una significatività delle pratiche attraverso il concetto di “metaoperatività”. Il problema non è quello di considerare delle “pratiche”, ma di considerarle metaoperative. Il concetto di metaoperatività sembra equivalente al concetto di “metalinguistico” e capace di definire la metaoperità come riflessiva “relazionale” interna della pratica. La metaoperatività delle pratiche si realizza in una funzione di trasformazione strategica di relazioni. Il portato analitico di queste riflessioni è stato espresso da una riflessione di Paolo Fabbri rispetto la necessita di andare al di là della materialità dei fenomeni e determinare quali componenti materiali abbiano valore formale attraverso la considerazione delle relazioni di equivalenza e quasi equivalenza, le quali rendono possibile l’omologazione formale degli elementi verbali e non verbali.! !

1.8 Michel de Certeau: strategie e tattiche! Nel pensiero di de Certeau, il fare pratico si fonda su una dimensione teorica, intrinsecamente metalinguistica ed equivalente a quella che Garroni definiva metaoperativa. L’obiettivo di de Certeau è concettualizzare lo statuto di un certo tipo di pratiche definite come “tattiche” o “modi d’uso”, mettendone in primo piano la dimensione di trasformazione di senso. A de Certeau non interessano le pratiche in quanto tali, ma quelle particolari pratiche che configurano delle forme di opposizione rispetto al discorso di tipo strategico. Queste pratiche sono definite “tattiche” o “arti popolari”, in quanto procedure di riuso produttivo dei “sistemi” del consumo, della scrittura e della produzione. De Certeau opera un riferimento teorico alla semiotica della manipolazione di Greimas. Il concetto di enunciazione è quello che pare suggerire a de Certeau la maggiore estendibilità a sistemi di segni non verbali: come l’atto di camminare che sta al sistema urbano, l’enunciazione sta alla lingua o agli enunciati prodotti. Si tratta di un’analogia insostenibile in un’ottica semiotica: essa presenta un’'ambiguità dal punto di vista del sistema urbanistico e la significatività delle pratiche non è sufficiente a giustificare l’analogia che de Certeau propone. Il sistema, per essere coerente con l’impostazione semiotica, non dovrebbe essere inteso come una serie di oggetti, bensì come il suo “modello strutturale”, inteso come insieme di relazioni tra elementi. L’inserimento della soggettività del “praticante” può essere concettualizzato in modo adeguato solo come scarto tra le seguenti due configurazioni di relazioni, ossia! – quella di partenza;! – quella desumibile dalla pratica, ossia dagli aspetti pragmatici evidenziati dal punto di vista della trasformazione di una struttura di relazioni in un’altra. ! Il secondo riferimento linguistico di de Certeau è alla retorica. L’autore afferma che le pratiche 4 !

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di Aurora Carola dello spazio devono essere intese come i tropi della retorica e degli scarti rispetto a una sorta di senso letterale definito dal sistema urbanistico. L’analogia con la dimensione retorica e discorsiva si basa sulla possibilità di rinvenire un isomorfismo tra le articolazioni interne alle pratiche linguistiche e non. La sineddoche e l’asindeto fungono da modelli epistemologici per le altre pratiche non linguistiche, ipotizzando una omologia relazionale tra retoriche linguistiche e retoriche podistiche. Tale concezione implica una lettura polemologica del rapporto tra senso letterale e retorica. De Certeau vuole far comparare delle configurazioni che non operino su elementi isolati: le figure retoriche sarebbero i modelli astratti delle configurazioni del percorso, tanto che l’autore le definisce come retoriche podistiche. Dal punto di vista della trasformazione di relazioni, alcuni modi di abitare \ percorrere sono considerati dall’autore equivalenti alle figure retoriche verbali dell’asindeto e della metonimia. Il rapporto con linguaggio rimane, ma sono le articolazioni frastiche e discorsive a fungere da modello linguistico: non contano più i segni isolati, ma le modalità della loro connessione e disconnessione. Il punto di vista della trasformazione di relazioni evidenzia la sua implicita componente metaoperativa in quanto fenomeno non riducibile alla pura materialità del fare, ma ad una processualità o sintassi d’azione. De Certeau sostiene che il “saper fare” delle pratiche è simile alla produzione artistica grazie alla sua capacità di ricreare un nuovo insieme a partire da un accordo pre-esistente e di mantenere un rapporto formale malgrado la combinazione degli elementi. Sarà possibile pensare le pratiche come operazioni che operano non solo su altre operazioni, ma anche sulle relazioni ad esse sottese. ! !

1.9 Definire le pratiche di immanenza: l’approccio etnosemiotico! La concezione etnosemiotica è simile alla considerazione delle “pratiche” proposta da Michel de Certeau. Lo studio delle pratiche d’interazione ha assunto centralità, svincolandosi dallo spazio costruito e ponendo l’accento sulle interazioni tra attori e sulle semantizzazioni dello spazio di interazione da esso derivate. L’approccio etnosemiotico condivide con quello di de Certeau il rovesciamento dell’approccio che vedeva le pratiche come un derivato secondario dello spazio costruito, ma anche con la visione che riconduceva le pratiche ad una processualità narrativa rigidamente articolata sintatticamente. La proposta teorica di Marsciani non considera le pratiche solo nella loro omologabilità, ma le pensa anche come oggetto analitico. Marsciani ristruttura il modo di considerare la narratività all’interno del percorso generativo del senso. Il suo approccio etnosemiotico è uno sviluppo dinamico della semantica dell’azione di Greimas. Si tratta di una metodologia alternativa a una concezione delle “pratiche” intese in senso comportamentistico, ma anche a una concezione semiotica delle “pratiche” intese come fenomeni di produzione di senso non verbale. Le pratiche sono pertinenti se presentano una traducibilità \ correlazione con il discorso verbale. Eco identificava l’opera di Gr...


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