Riassunto Alberto Manzi PDF

Title Riassunto Alberto Manzi
Author Stefania Della Valentina
Course Pedagogia sociale
Institution Università degli Studi di Verona
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Summary

Riassunto completo del libro di Farnè "Alberto Manzi: l'avventura di un maestro."...


Description

Lezione 28 marzo

INCONTRO CON FARNÈ ALBERTO MANZI Alla sua morte la moglie propose all'università di Bologna di prendere in carico tutti i suoi scritti, come ringraziamento per l'attenzione data a Manzi durante la sua vita da parte dell'università.

VIDEO INTERVISTA Fu il direttore didattico a mandarlo a fare il provino per insegnare in tv con "Non è mai troppo tardi", lui non voleva, ma non si trovava il maestro adatto. Non avevo mai visto uno studio televisivo e non sapeva come funzionasse, aveva il copione ma decise di fare di testa sua; decise di disegnare su carta da pacchi per mantenere l'attenzione. Definisce il suo programma un modo per capire il mondo e noi stessi, oltre che per imparare a leggere e scrivere. "Le parole sono dei simboli, e con questi simboli possiamo scrivere ciò che vogliamo e leggere ciò che altri hanno scritto" Con lui i diplomi emessi dallo stato sono aumentati a vista d'occhio. Il trucco era quello del disegno, chiamando anche a volte artisti che potevano interpretare una lettera, perché iniziale di nome o cognome. Non è mai stato pagato, perché lui era un insegnante dello stato e non voleva essere retribuito. (Gabelli, lui tra i 21-22 anni e loro, i carcerati ragazzi, tra i 9 e 17 anno e mezzo / entra in carcere e lo confondono con un ragazzo arrestato, fa a botte con Oscar, Ricotta nel film, per aggiudicarsi il diritto di insegnare e non di stare in un angolo... dopo un mese di incomprensioni inizia il suo percorso per educarli, scrivendo anche il giornalino dei ragazzi "La Tradotta". Alla fine del suo percorso con i ragazzi solo 2 su 94 allora detenuti sono tornati in carcere, percentuale di dimissione o poeta eccellente) "L'imposizione non forma un concetto". Bisogna ottenere una tensione cognitiva per unire ciò che si sa con ciò che è reale. La scuola aveva una composizione errata, vi insegnava o vi aveva parte solo chi era parte di un partito, dirigente, preside ecc.… lui era un "cane sciolto", non faceva parte di nulla. 1 milione e mezzo circa sono le persone che hanno conseguito un diploma elementare ascoltando il programma di Manzi. Fenomeno di tipo socio-pedagogico molto importante. Insegnava anche agli insegnanti attraverso un programma Rai, come fare scuola. 2 milioni e mezzo di analfabeti censiti agli inizi degli anni '90, più i semianalfabeti. In questo periodo si capì che la televisione poteva essere usata per formazione e scolarizzazione e sviluppo di cultura. I facevano vedere partite di calci, messa, ma anche la scuola (insegnante ripreso che faceva scuola a dei ragazzi, con un calendario di lezioni trasmesse per ogni settimana). Così ci si accorse che non poteva funzionare, era noioso. Si decise quindi di cercare un insegnante comunicatore, da qui il titolo "Non è mai troppo tardi" (Nazareno Padellaro diede il nome, pedagogista durante il fascismo). L'insegnante non doveva fare scuola ai bambini lì seduti, ma alle persone a casa, guardando gli spettatori. Manzi aveva una capacità creativa e comunicativa eccezionale, con uno straordinario successo del programma televisivo, quindi non solo un fare scuola, lo guardava anche gente già alfabetizzata, perché Manzi era di compagnia, spiritoso e bravo. Andava in onda in un orario accessibile e visibile a tutti, e dopo il video nei punti di ascolto c'era un professore che faceva svolgere esercizi sulla lezione appena trasmessa. 1

"Non è mai troppo tardi" ebbe una rivisitazione per gli extracomunitari che secondo Manzi era un flop ed una presa in giro, perché non c'era chi seguiva da casa gli extracomunitari, mancava l'aspetto sociale e non quello pedagogico dato da Manzi. Mantenere la tensione cognitiva attiva riesce a far apprendere, perché attiva la curiosità; utilizzava per insegnare quindi video di esperienze, immagini per spiegare il linguaggio. Puntare l'attenzione massima quindi sull'esperienza. A Manzi interessa come la persona si forma i concetti , usando strategie per modificare il concetto formato se sbagliato, risolvendo un problema di apprendimento attraverso un'esperienza. Lavorava sui processi cognitivi legati all'esperienza dei bambini. L'esperienza diventa educativa usando diventa linguaggio Nel suo metodo di insegnamento cercava qualcosa che stimolasse, che andasse oltre alla prima risposta data, sfidava i suoi studenti per aggiungere cose a risposte date. Gli studenti di Manzi avevano le basi cognitive per apprendere nuove materie in maniera facile e veloce. Un educatore se crede nell'insegnamento con l'esperienza, rea possibilità di fare esperienza.

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ALBERTO MANZI – L’avventura di un Maestro 1. INIZIA DAL CARCERE LA CARRIERA DI UN MAESTRO Alberto Manzi comincia la propria carriera di maestro nel 1946, nel carcere minorile Aristide Gabelli di Roma. L’ ambiente carcerario rende impossibile (o quasi) la costruzione di una relazione educativa a causa sia della diffidenza e dello scetticismo degli alunni, sia della mancanza di tutti quei sussidi indispensabili per l’insegnamento come i banchi, i libri, quaderni, le penne e le matite. Nel primo capitolo si vuole porre enfasi sul fatto che Manzi desideri essere una figura innovativa all’interno del carcere per poter instaurare un vero rapporto educativo basato sulla fiducia. Per fare questo Manzi organizza delle uscite dal carcere a scopo educativo-didattico riprendendo ideologie della pedagogia attiva e dello scoutismo, che è definito da Farnè come un’operazione di “trasformismo pedagogico”, che elabora un metodo ed un setting educativo volto a dare una presa di coscienza del rapporto fra l’uomo e la realtà, data dall’ambiente naturale. Questo rappresenta una svolta nell’ambito educativo e un’eccezione alle regole del carcere. Le innovazioni in campo pedagogico utilizzate da Manzi vengono raccolte e raccontate dagli stessi ragazzi del carcere A. Gabelli nel periodico mensile “La Tradotta” che diventerà il mezzo per dare voce ai loro pensieri. Un’opera famosissima di Manzi è “Grogh, storia di un castoro”, che nasce grazie ad un lavoro collettivo dei ragazzi del Gabelli e Manzi. Viene pubblicato nel 1950 e vince il premio “Collodi”; è tradotto in più di 20 lingue. Grogh introduce un nuovo metodo di insegnamento, lo “sfondo integratore”, che fornisce al lettore temi di riflessione come il concetto di libertà, adattamento e fiducia reciproca. In ambito scolastico lo sfondo integratore è un contesto in cui il soggetto è al centro delle attività formative mantenendo cosi una “tensione cognitiva”. Altra opera famosa di Manzi è “Orzowei”, il quale è un autentico repertorio della pedagogia scout, basata sull’apprendimento e l’osservazione, sulle lezioni apprese nella scuola della vita quotidiana. Pubblicato nel 1955 vince il premio “Andersen” ed è tradotto in oltre 30 lingue. E’ l’esempio perfetto dell’imparare facendo. “La natura non è un parco divertimenti e nemmeno un luogo regressivo o di fuga, dove tutto appare buono e bello. E’ piuttosto un ambiente duro, a tratti crudele, eppure un “mondo della vita” dove un uomo può sia costruire la propria identità e la propria formazione autentica, sia esercitare il proprio potere distruttivo” . Manzi in questo testo inserisce delle situazioni dure e cariche di pregiudizio e razzismo volte all’elaborazione di anticorpi contro odio e razzismo. Il capitolo si conclude sottolineando l’importanza che la tensione cognitiva ha nella pedagogia di Manzi, ovvero il sollecitamente della naturale curiosità umana.

2. UNA SCUOLA INTELLIGENTE E “DISOBBEDIENTE” Manzi dopo l’esperienza al Gabelli torna nella scuola elementare di Roma dove le innovazioni che realizza non vengono definite come “esperimenti” isolati, anzi utilizza modalità e tecniche educative che da circa mezzo secolo caratterizzavano la ricerca psicopedagogica e didattica in Europa e Nord America, trovando una sintesi scientifica nel concetto di “educazione attiva”. La pedagogia italiana è sempre stata molto restia all’attivismo, anche se non sono mancate esperienze e figure significative che si sono differenziate dalla scuola tradizionale. Esempi noti sono don Milani, Mario Lodi, Danilo Dolci, Gianni Rodari e Albino Bernardini. L’educazione attiva si salda si unisce strettamente ai temi della pedagogia popolare e quindi concepisce l’educazione nuova come via di riscatto culturale, con particolare attenzione alle classi subalterne. 3

Questo impianto pedagogico ridefinisce il modo di concepire il rapporto insegnamento/apprendimento, cercando la valorizzazione dell’apprendimento attivo e dell’”esperienza” attiva. Si tratta di un metodo che lascia ampio spazio all’insegnante nell’impostare il setting educativo. Chi fosse entrato nella scuola di Manzi si sarebbe trovato in un ambiente molto simile a un laboratorio dove l’attività che si svolge richiede comunicazione reciproca, movimento, uso di strumenti e materiali diversi. L’attività didattica è un continuo esercizio di pensiero, linguaggio e azione. Si tratta di un “ambiente cognitivo” che, se abilmente gestito, sopporta un certo grado di “disordine” per arrivare alla conquista ordinata di concetti e di abilità. “L’insegnamento, liberato dagli schemi tradizionali, si riassume nello spazio di abituare i ragazzi a ragionare da soli, a fare la sintesi dei problemi in modo che ciascuno sviluppi a pieno la propria responsabilità, metta in luce doti e attitudini, soprattutto trovi nella scuola l’interpretazione, la spiegazione di ciò che vede fuori.” Emergono qui alcuni dispositivi che si richiamano alla pedagogia scout: la classe divisa per sestile , il gioco come fattore intrinseco all’educazione sia intellettuale che sociale, il valore dell’aiuto reciproco. Ovviamente Manzi non compie un’operazione di mero adattamento dello scoutismo alla scuola, poiché lo scoutismo è esperienza educativa del tempo libero. Questo modo di fare scuola richiede una competenza nel “mestiere” di insegnante decisamente superiore allo standard medio di preparazione. Diventa indispensabile la capacità di “tenere la classe su un modello di autodisciplina e gestione di gruppo Manzi non voleva prendere per mano il bambino, non voleva guidarlo passo passo, ma bensì prefigurargli un percorso fornendogli gli strumenti da usare e insegnandogli come usarli per raggiungere la meta. Il percorso in sé deve caratterizzarsi come un’avventura cognitiva, nella quale l’errore è possibile, ma quando avviene deve essere fonte di apprendimento. Solo così si sviluppa la “didattica dell’errore”. Il metodo è quello della ricerca applicata alla didattica. Manzi ha spesso fatto riferimento al concetto di tensione cognitiva , decidendo di impostare il suo stile didattico da un lato su modalità orientare allo scaffolding e al coaching, cioè il sostengo e l’accompagnamento all’apprendimento del bambino, senza sostituirsi a lui ma incoraggiandolo; dall’altra al fading, cioè la progressiva sottrazione dell’intervento diretto dell’insegnante che lascia spazio al bambino di muoversi nel campo dell’apprendimento. Alla base c’è una profonda fiducia che Manzi ha nei suoi ragazzi. Il metodo che Manzi utilizza pone le conoscenze e gli apprendimenti al centro dei campi di esperienza; luoghi di apprendimento è sì la scuola ma anche l’ambiente esterno, è nell’outdoor education che si collocano campi di esperienza e ambienti di apprendimento. Quindi è evidente che per Manzi non si tratta di fare di tanto in tanto uscite didattiche, ma di concepire il mondo esterno sulla base delle esperienze di vita che può offrire ai bambini. Perdere il rapporto con il mondo della vita significa perdere il senso autentico dell’imparare, e della fatica necessaria per questo. Mani vuole dirci che a scuola si può imparare la poesia sulla pioggia ma il gusto della pioggia sul viso è un’esperienza vissuta. Parlando di curriculum invece Manzi ha ben chiaro il percorso didattico nel qual portare il bambino ad acquisire conoscenze e competenze, che si differenzia quindi dal classico curriculum lineare, a spirale o reticolare.

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“Chi ha detto che tra studiare e giocare c’è incompatibilità di carattere? […] Sui banchi vedo cose severamente bandite da tutte le scuole della Repubblica: automobiline, macchinette, farfalle, piante di fiori. I ragazzi mi dicono con naturalezza che servono per rendere visive le nozioni astratte, difficili da afferrare. Comunque quelle cose non stanno lì per distrarre, ma per concentrare l’attenzione.” Manzi ha diviso il gioco in tre categorie:  gioco tipo famiglia felice: in un ambiente allegro e sano. Giochi di corta durata che vogliono dare al ragazzo la certezza che egli vive in una famiglia felice;  gioco di tipo tecnico: far acquisire al ragazzo determinate qualità e capacità, questi giochi vanno ripetuti finché non vengono eseguiti con la massima precisione;  grande gioco: insieme dei due esposti. Svolto all’aperto, è come mettere il punto su che cosa è stato raggiunto. Tra questi tre tipi di gioco vi è anche il gioco di interruzione: un piccolo gioco che frena l’entusiasmo prodotto dalla prima attività e prepara l’attenzione alla seconda. L’apparato scolastico aveva ben poco a che fare con l’idea di patica di scuola di Manzi. Manzi non ha mai voluto affermare pubblicamente la qualità del suo metodo, preferiva dare prova del suo lavoro didattico cercando il consenso nelle famiglie e nei dirigenti scolastici. In una sola occasione Manzi si permise di andare contro l’istituzione scolastica, riferendosi al tema delle pagelle. Lui non aveva la minima intenzione di classificare i suoi alunni; egli vedeva il percorso educativo come un lungo cammino, non necessariamente lineare, e solo alla fine di questo cammino si può delineare un profilo dell’alunno. In questo senso Mani non era un insegante disposto a scendere a compromessi, è una forma di “obiezione di coscienza” quella che Manzi mette in atto contro l’obbligo di classificare gli alunni. Celebre riguardo a questo tema è la frase:” Fa quel che può. Quel che non può, non fa.”

3. DI CHE

COSA È ESTERNO OGNI INTERNO…? SCIENTIFICA

LA CENTRALITÀ

DELL’EDUCAZIONE

Manzi lavorava con i suoi allievi nel campo dell’educazione scientifica; un campo a cui ha dedicato un impegno per certi aspetti superiore agli altri ambiti didattici. Manzi era consapevole della trascuratezza didattica con cui venivano generalmente trattate nelle scuole le scienze naturali. Una trascuratezza sia legata alla rilevanza nell’ambito del curriculum, sia nell’ambito metodologico. Nel primo caso il problema che Manzi sollevava era che all’educazione scientifica si dedicava nella scuola una quantità di tempo decisamente inadeguata. La sua idea è che negli anni in cui lo sviluppo dell’intelligenza del bambino è cruciale ed è accompagnato da una straordinaria tensione a conoscere e esplorare la realtà, sottovalutare il ruolo che possono avere le esperienze, il pensiero e il linguaggio scientifici è un grave errore pedagogico. Un altro grave errore è sul piano metodologico-didattico. Non si possono insegnare le scienze senza rispettare il loro status epistemologico che si basa sulla formulazione di ipotesi, l’osservazione della realtà, la sperimentazione, la descrizione di processi fino alla formalizzazione di concetti che a loro volta possono aprire su nuove domande. In altre parole è il laboratorio a definirsi come lo spazio metodologicamente corretto per fare la scienza a scuola. Nel racconto delle corde vocali, dove il bambino afferma che le corde vocali siano 21 e il maestro Manzi dimostra con la chitarra che solo 4 corde possono fare tanti suoni, emergono tre punti significativi:  Il rapporto esperienza/conoscenza del bambino. L’esperienza produce conoscenza e ogni conoscenza che il bambino fa viene elaborata e diventa esperienza cognitiva. Oltre al suo 5





bisogno di muoversi e di agire nello spazio e sulle cose, sono attivi i suoi pensieri: le sue sinapsi cognitive” operano continuamente collegamenti fra ciò che sa e che non sa ma su cui da ipotesi, opera transfert da esperienze pregresse a nuove esperienze.; Il rispetto dell’insegnante per le conoscenze pregresse, spontanee, ingenue dei bambini . Nell’educazione scientifica, ma non solo, è necessario che l’insegnante sappia ciò che il bambino sa. Ignorare questa base costituisce un errore sul piano psicologico e metodologicodidattico se alla nuova conoscenza non si arriva sulla base di un percorso nel quale il bambino parte da sue esperienze che confronta con nuove ipotesi. L’elaborazione didattica, dove deve emergere la vera e propria professionalità dell’insegante che utilizza strumenti e tecniche, mette in atto strategie che consento al bambino di acquisire un nuovo apprendimento e quindi di crescere sul piano cognitivo.

Alberto Manzi recupera il metodo che Comenio per primo definì alla metà del Seicento con il termine “autopsia” applicata ad ogni tipo di esperienza diretta nel campo della didattica. Su tale procedimento da una parte di fonda il metodo scientifico, dall’altra si pone la centralità dell’esperienza diretta del bambino sulle cose. Il concetto di “educazione scientifica” per Manzi non è relegare unicamente alle cosiddette “materie scientifiche” e ai loro contenuti. Ma diventa un tratto fondamentale dell’educazione linguistica. Manzi vuoleva insegnare un “linguaggio scientificamente corretto”. Manzi intende attraverso le esperienze didattiche, spiegare il senso e la specificità del “linguaggio descrittivo”, che è fondamentale nel metodo scientifico dove l’analisi precisa e ordinata di un fenomeno nei suoi elementi costruttivi è alla base della possibilità di comprendere un procedimento, di riprodurlo, di verificarlo. La capacità logica e linguistica di formulare un problema è tanto importante quanto la capacità di saperlo rappresentare e risolvere. Manzi non si limita ad applicare un “atteggiamento scientifico” alla didattica riferita a contenuti di questo tipo, ma al suo stesso lavoro. Potremmo dire che Manzi è “scientifico” con sé stesso, nel modo con cui elabora un percorso didattico e ne fa oggetto di registrazione, narrazione e riflessione successiva all’esperimento stessa. L’educazione scientifica realizzata da Manzi con i suoi alunni è un esempio di quella “manipolazione didattica” con cui l’insegante esercita non solo la professionalità di insegnare ma il suo potere culturale. Alberto Manzi era un’eccellente manipolatore. Evidenziando come il concetto di manipolazione sottintenda il processo di “dare forma”. “per oi la manipolazione è quindi una tecnica della formazione, non p la formazione. Anzi essa è un insieme di tecniche volte a 1) strutturare i momenti della situazione o esperienza formativa, 2) creare illusioni, 3) indurre confronti e contrasti” (Demetrio) La responsabilità pedagogica che attiene a questa techne manipolatoria sta nel fatto che l’insegnante deve essere consapevole che è il tramite di un processo di cambiamento. Egli mette in contatto, crea transizioni, provoca attenzioni tra ciò che c’è già e ciò che potrebbe esserci. La didattica è insieme una scienza dell’educazione e una scienza della comunicazione, di una comunicazione finalizzata all’apprendimento secondo Manzi. Un’ultima considerazione relativa all’impegno di Manzi nell’educazione scientifica è che egli era convinto che il suo valore pedagogico stesse nel fatto che il pensiero scientifico rende il soggetto libero, elaborando così un particolare significato del concetto di “libertà”. L’educazione scientifica nel bagaglio di Manzi era un “educare a pensare”, e qui entra in gioco la libertà del pensiero, il libero fantasticare, la creatività. 6

4. LA MAESTRIA DEL LEGGERE Manzi aveva le idee chiare su che cosa doveva essere un libro di testo scolastico. Non ignorava il problema dei libri di testo e dei loro contenuti culturali, ma al tempo stesso non lo assolutizzava come problema, preferendo assumere uno sguardo sistemico: il libro di testo nel contesto del lavoro scolastico. Il problema che Manzi si pone è centrato sull’educazione alla lettura, consapevole che su di essa il libro può giocare un ruolo importante. Egli distingue fra il processo di apprendimento del leggere e l’educazione alla lettura, sostenendo che questi due ambiti debbano rimanere distinti nella proposta editoriale. I libri di lettura deve essere semplicemente tale, senz...


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