Riassunto Antropologia culturale. Un approccio per problemi - Richard H. Robbins PDF

Title Riassunto Antropologia culturale. Un approccio per problemi - Richard H. Robbins
Course Antropologia culturale
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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riassunto completo e dettagliato del libro antropologia culturale di Richard H. Robbins ed.2015...


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RIASSUNTO DEL LIBRO ANTROPOLOGIA CULTURALE. UN APPROCCIO PER PROBLEMI Di Richard H. Robbins

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CAPITOLO 1 CULTURA E SIGNIFICATO 1.1 Perché gli esseri umani pensano e si comportano in modo diverso? L’antropologia culturale studia il modo in cui determinati comportamenti si diffondono e vengono messi in pratica in alcune società, partendo dal presupposto che non è possibile dar nulla per scontato sulle proprie e sulle altrui credenze e pratiche. Secondo la “visione antropologica”, le persone che fanno parte della stessa società condividono lo stesso modo di vedere il mondo ovvero la stessa cultura (analogamente, gli individui hanno visioni del mondo differenti se le loro culture sono diverse). Un caso esemplificativo di tale “diversità di vedute” è quello dei diversi modi di concepire la morte presso varie società: per alcuni popoli essa è il semplice passaggio di una persona in un altro mondo, per altri è l’evento finale della vita, per altri ancora è una delle fasi di un ciclo che si ripete e che comprende nascita, morte e rinascita; in alcune società i morti sono temuti, in altre sono venerati; allo stesso modo, in alcune società la morte è considerata un evento naturale mentre in altre essa è frutto di un atto malvagio, di una stregoneria; in alcuni gruppi umani sono previste grandi dimostrazioni di dolore, in altri si preferisce nascondere la sofferenza. Un ulteriore esempio fa riferimento alle preferenze alimentari: ogni società seleziona in base a diversi criteri ciò che si può e ciò che non si può mangiare, e tale selezione è indipendente dall’effettiva commestibilità dei cibi. La specie umana (homo sapiens) è l’unica diffusa su tutta la Terra ed è anche l’unica ad essere intervenuta sui vari ambienti conferendo significati alle cose, agli avvenimenti, alle azioni e ai popoli: ad ogni evento che scandisce l’esistenza degli esseri umani sono stati attribuiti dei significati. È a questo processo che gli antropologi fanno riferimento utilizzando il termine «cultura» e gli esseri umani sono considerati “animali culturali” non solo in virtù dei significati che attribuiscono ma anche poiché agiscono come se tali significati fossero reali. Secondo Clifford Geertz, gli esseri umani sentono la necessità di dare un senso alla propria esperienza in quanto ciò permette loro di comprenderla e di dare un ordine all’universo che altrimenti si presenterebbe come un “caos”. Gli esseri umani, secondo Geertz, sono “animali incompleti o non finiti” che si completano attraverso particolari forme di cultura. Quando le persone danno all’esperienza il medesimo significato, allora esse condividono e manifestano la stessa cultura. Il compito dell’antropologia è proprio quello di capire per quale motivo le diverse società hanno culture diverse, in altre parole, la ragione per cui un gruppo attribuisce ad un’esperienza dei significati mentre un altro gruppo ne attribuisce altri. 1.2 Quali criteri seguiamo per giudicare credenze e pratiche altrui? Studiando le diverse credenze e pratiche umane, se ne incontrano spesso alcune che potrebbero apparire strane o scioccanti. Da tale incontro potrebbe scaturire il rifiuto per tali credenze e pratiche, ovvero un pregiudizio detto etnocentrico in quanto si basa sulla convinzione che le proprie credenze e pratiche siano giuste e adeguate mentre quelle degli altri popoli siano sbagliate, inadeguate. Ogni gruppo ha interiorizzato in modo talmente profondo i propri modi di agire da finire per considerarli naturali, ovvi, quando invece questi sono prodotti culturali e in quanto tali potrebbero essere diversi presso altri gruppi. 2

Gli antropologi culturali si sono opposti all’etnocentrismo, cercando di dimostrare che ogni pratica e credenza è funzionale e logica all’interno di una determinata cultura. Il pregiudizio etnocentrico è intellettualmente intollerabile, in quanto pensando di essere nel giusto (e che di conseguenza gli altri stiano sbagliando) si intraprende un percorso intellettualmente senza via d’uscita. In opposizione all’etnocentrismo, si erge la prospettiva relativistica: secondo il relativismo culturale, nessuna credenza o pratica può essere giudicata strana, sbagliata, inadeguata solo perché diversa dalla propria; pratiche e credenze possono essere comprese solo all’interno della cultura in cui si collocano. Tuttavia, anche il relativismo culturale porta a dei problemi: l’impossibilità di giudicare a prescindere le credenze e le pratiche altrui, anche quando queste violano i diritti umani fondamentali (come ad esempio il cannibalismo), è alla base di un pregiudizio relativistico che non è accettabile dal punto di vista morale ed etico. Durante l’attività di ricerca gli antropologi devono affrontare un ulteriore dilemma morale, ovvero devono scegliere se mantenere una «distanza etica» dall’oggetto di studio o farsi coinvolgere attivamente giudicando credenze e pratiche analizzate. A tal proposito, i diversi studiosi hanno assunto diverse posizioni. Secondo Nancy Sheper-Hughes, l’antropologia deve occuparsi dei comportamenti che ogni persona assume nei confronti degli altri; se vuole essere utile, l’antropologia deve essere “criticamente fondata”; il compito degli antropologi è quello di fornire una testimonianza e una documentazione sulle violazioni dei diritti umani e delle sofferenze dei popoli poveri e oppressi. A tal riguardo, gli attivisti dei diritti umani sollevano la seguente questione: se il rifiuto dell’etnocentrismo impone di tollerare le credenze e le pratiche altrui, come è possibile criticarle quando queste violano i diritti umani fondamentali? Se si abbraccia la prospettiva relativistica, allora le discussioni sui diritti umani perdono ogni significato e qualunque comportamento diviene giustificabile. Elizabeth Zechenter ammette che accettando o condannando alcuni riti si finisce con l’imporre i pregiudizi culturali di alcuni popoli su altri, tuttavia non è possibile esprimere alcun tipo di giudizio senza essere etnocentrici. Ogni cultura, organizzando l’universo in un certo modo, rende difficile se non impossibile a chi vi appartiene la comprensione dei punti di vista differenti: la cultura ci permette di comprendere i significati in essa attribuiti a oggetti, persone, comportamenti, emozioni, eventi, ma allo stesso tempo ci impedisce di comprendere significati alternativi. 1.3 È possibile vedere il mondo attraverso lo sguardo altrui? L’antropologo, per poter comprendere tali significati alternativi, dovrebbe liberarsi dei propri preconcetti su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Gli antropologi per poter studiare le diverse società si servono di diversi metodi: indagini, documentazione scritta, racconti, questionari, ma soprattutto il metodo etnografico che prevede l’immersione dei ricercatori nella vita del gruppo che si vuole studiare. Tale metodo è strettamente connesso alla tecnica dell’osservazione partecipante ovvero la partecipazione dei ricercatori alla vita del gruppo oggetto di studio. Obiettivo dell’antropologo è quello di spiegare perché le persone vedono il mondo in un certo modo; per raggiungere questo obiettivo egli deve mettere da parte il proprio modo di vedere le cose e cercare di assumere visioni diverse. L’antropologo italiano Ernesto De Martino ha proposto il metodo dell’etnocentrismo critico. Egli si opponeva tanto all’etnocentrismo dogmatico, legato al razzismo e al pregiudizio sociale, quanto al relativismo culturale, secondo cui le diverse 3

culture non possono essere giudicate “dall'esterno”: tale posizione non consente alcun tipo di intervento pratico-politico sui portatori delle altre culture. Egli ha così abbracciato la posizione dell’etnocentrismo critico, basata sullo sforzo di allargare la propria coscienza culturale di fronte alle altre culture, prendendo consapevolezza dei limiti della propria storia culturale, sociale, politica. Egli sosteneva infatti che di fronte all’impossibilità di uscire dalla propria tradizione culturale non resta che considerarla in modo critico ovvero ricordando che essa non è che una delle tradizioni possibili e che pertanto non può rappresentare o riassumere tutte le storie umane. Bisogna dunque non solo valutare gli altri in base al proprio metro di giudizio, ma cercare di assumere il modo di pensare ed essere degli altri per giudicare se stessi. 1.4 In che modo possiamo interpretare e descrivere i significati che gli altri attribuiscono all’esperienza? La cultura può essere considerata come un testo formato da alcuni simboli dotati di significato (parole, gesti, oggetti, etc). Per capire un’altra cultura è necessario decifrare i simboli di cui è costituita, ovvero comprendere i significati che tali simboli assumono e che vengono condivisi dai membri di una società. L’uomo ha infatti imparato a comprendere, a interpretare i simboli del proprio testo culturale e in modo analogo dovrebbe applicare le abilità che l’hanno reso capace di capire la propria cultura per comprendere quelle degli altri. Proviamo a spiegare in che modo un antropologo può interpretare un testo culturale. Nell'isola di Bali è possibile assistere al combattimento tra galli: due galli con speroni di metallo affilati legati alle zampe si scontrano in un'arena di fronte ad alcuni spettatori che li incitano l'uno contro l'altro finché uno dei due muore. Per analizzare un simile evento, l'antropologo potrebbe iniziare esaminando il linguaggio con cui i balinesi parlano del combattimento: scoprirebbe così che il gallo è una metafora del pene; il termine gallo, inoltre, ha più significati: eroe, guerriero, campione, candidato politico, scapolo, rubacuori, duro. I combattimenti dei galli vengono paragonati a processi, guerre, competizioni politiche, liti. Analizzando poi il combattimento, è possibile notare alcuni importanti elementi: mentre il proprietario del gallo vincente porta via con sé il gallo ucciso per mangiarlo, il proprietario del gallo perdente appare disperato per la morte dell'animale, considerato il tesoro di famiglia; i proprietari dei galli acquisiscono un grande prestigio sociale; inoltre vi sono rigide convenzioni sociali che regolano le scommesse suli combattimenti: un uomo non può scommettere contro un gallo il cui proprietario appartiene al gruppo parentale o al villaggio suo o di un suo amico, ma può farlo contro il gallo di un nemico o di un suo amico. Tuttavia i balinesi non traggono profitto dalle scommesse: la maggior parte degli scommettitori vuole soltanto arrivare al pareggio e il significato dei combattimenti non è legato alle vincite. Secondo Clifford Geertz, i combattimenti dei galli hanno a che vedere con lo status, ovvero la posizione sociale di una persona rispetto ad un'altra: i galli e il loro destino sull'arena rappresentano i rispettivi proprietari e il loro destino sociale, anche se i combattimenti non hanno alcuna conseguenza sulla realtà. La funzione di questi combattimenti è quella di rappresentare un concetto altamente astratto e difficile (lo status) in modo da renderlo comprensibile. Inoltre non sarebbe corretto pensare che questi combattimenti siano un riflesso del carattere aggressivo, competitivo e violento dei balinesi, in quanto la lotta rappresenta soltanto un aspetto del carattere balinese: la 4

cultura di un popolo, essendo costituita da un insieme di simboli e significati, può essere compresa soltanto se essi vengono considerati nella loro totalità. 1.5 Cosa può dirci su noi stessi ciò che impariamo sugli altri? Spesso gli antropologi applicano allo studio della propria cultura concetti e tecniche usate per comprendere altre culture, infatti uno degli scopi insiti nello studio delle altre culture è quello di migliorare la comprensione dei significati che attribuiamo alle nostre esperienze. L'antropologo statunitense Renato Rosaldo, con la moglie Michelle, si è occupato della tribù degli Ilongot, che vive nelle Filippine. Egli chiese ai membri di questa tribù di spiegargli per quale ragione tagliassero la testa ai nemici; tale domanda fu postas più volte dall'antropologo, che ottenne sempre la stessa risposta: gli Ilongot sostenevano che il dolore per la perdita di una persona cara provocava in loro una profonda rabbia che poteva essere allontanata soltanto uccidendo i nemici (e in particolare decapitandoli). Rosaldo non riusciva ad accettare l'idea che la morte di una persona cara potesse provocare rabbia e furore, e dunque che questi sentimenti potessero spingere una persona ad ucciderne un'altra, così tentò di elaborare delle ipotesi alternative per spiegare la “sete di vendetta” degli Ilongot, tuttavia nessuna gli sembrava plausibile. Quando, durante la ricerca, un incidente causò la morte della moglie Michelle, il dolore e la rabbia che provò aiutarono Rosaldo a capire che la perdita di una persona cara può dar vita al furore e che proprio questo sentimento spingeva gli Ilongot a vendicarsi. Nel momento in cui iniziò a capire gli Ilongot, Rosaldo riuscì anche a spiegarsi meglio anche il proprio dolore e la priopria reazione alla morte della moglie. CASE STUDY N.1: COMPRARE E VENDERE Nella nostra cultura consumista, per rendere più proficua la vendita di beni e servizi, sarebbe utile comprendere in che modo le persone percepiscono questi ultimi. L’antropologo Paco Underhill si è occupato del fenomeno dello shopping, in particolare ha studiato il modo in cui le persone fanno compere. Per far questo, ha osservato come si muovono all’interno dei vari ambienti (negozi, ristoranti, uffici postali, e così via) e ponendo molta attenzione all’interazione tra persone e prodotti e tra persone e spazi di vendita. Egli ha dato vita ad una società, la Envirosell, che svolge ricerche su commercianti, venditori e sull’attività bancaria al dettaglio per capire se questi rispondono alle esigenze dei clienti e come questi ultimi vivono lo shopping. Il lavoro di Underhill si rifà inoltre agli studi di William Whyte sulle modalità con cui le persone utilizzano gli spazi pubblici; Underhill ha applicato metodi e teorie sviluppate da Whyte allo studio degli spazi di vendita. Egli e i suoi collaboratori osservano le persone durante gli acquisti, seguono i loro percorsi all’interno dei negozi e analizzano il loro atteggiamento nei confronti delle merci esposte; essi verificano poi in che modo i modelli trovati cambiano in base al sesso degli acquirenti, quanto tempo questi passano dentro ai negozi o di fronte alle vetrine. Underhill ha scoperto così che la quantità di tempo che un cliente spende in un negozio aumenta all’aumentare della spesa da sostenere; osservò tuttavia che il tempo passato da una donna in un negozio varia a seconda di chi la accompagna negli acquisti: vi trascorre più tempo se è accompagnata da un’altra donna, poco meno se è con un bambino, ancora meno se è da sola e il tempo minimo quando è con un uomo. I venditori dal loro canto 5

possono rendere il tempo speso per gli acquisti più piacevole, soprattutto per chi non ama fare shopping, ad esempio mettendo a disposizione dei posti comodi in cui sedersi. L’arredamento dei negozi infatti è di primaria importanza; quando si entra in un negozio occorre un po’ di tempo per “ambientarsi”: ciò fa sì che sia più facile notare delle merci esposte più all’interno piuttosto che all’ingresso del negozio. Le merci inoltre devono essere esposte in modo da incoraggiare gli acquirenti ad attraversare tutto il negozio, così, ad esempio, le merci più vendute sono “decentrate”. Altro fattore rilevante è la possibilità data al cliente di usufruire in qualsiasi momento della presenza del personale, inoltre un semplice saluto da parte dei commessi riduce i casi di taccheggio. Le modalità di acquisto sono poi legate al genere degli acquirenti. Gli uomini tendono a fare acquisti in modo rapido: una volta trovato ciò di cui hanno bisogno escono fuori dal negozio senza guardare altro. Essi sono poco inclini a chiedere aiuto ai commessi e se non trovano ciò che vogliono acquistare vanno via; sono meno interessati a prezzo e per questo, in genere, spendono più delle donne; infine, quando vanno al supermercato, non hanno mai con sé la lista della spesa e dunque comprano più cose di quelle di cui hanno bisogno. Analizzando il comportamento delle donne di fronte alle merci esposte, Underhill scoprì che queste valutano freddamente ciò che prendono, considerano caratteristiche positive e caratteristiche negative e tengono molto conto del prezzo (gli uomini, al contrario, non esaminano i prodotti che acquistano a meno che non si tratti di macchine, imbarcazioni, computer). Inoltre, le donne sono più esigenti relativamente agli spazi di vendita: sono pazienti e curiose ma non amano gli ambienti affollati; se per caso vengono urtate da qualcuno che si trova alle loro spalle, si allontanano e spesso escono dal negozio. Nei reparti di cosmetici, le donne che attendono il proprio turno spesso acquistano di più di quelle che vengono già servite, in quanto questi reparti mettono a disposizione degli spazi più protetti che consentono di stare in disparte e osservare, valutare (e poi acquistare) i prodotti durante l’attesa. In ogni caso, Underhill fa notare che i ruoli dei due generi stanno cambiando ed esorta i commercianti ad adeguarsi alla nuova situazione: le donne che lavorano sono sempre più numerose e gli uomini devono sempre più spesso occuparsi della spesa; aumentano le donne che fanno acquisti durante la pausa pranzo o prima della cena. Oltre alle differenze di genere non bisogna dimenticare le differenze di età. A tal proposito è possibile rilevare che attualmente la fetta più importante del mercato dei consumi è rappresentata dai bambini. Ciò fa sorgere alcuni suggerimenti: le corsie dei supermercati devono essere abbastanza larghe da permettere gli spostamenti con il passeggino, e inoltre è consigliabile esporre le merci dove i bambini possano vederle e prenderle. Un ultimo importantissimo fattore è quello relativo ai tempi di attesa: i clienti non amano aspettare e i tempi di attesa costituiscono l’elemento primario su cui si basano le opinioni dei consumatori. I negozi possono fare in modo di far apparire i tempi di attesa meno lunghi attraverso conversazioni con gli addetti alle vendite (il semplice interloquire con i clienti dà l’impressione che l’attesa sia stata meno lunga), oppure servendosi di brevi video, merci impilate, cataloghi vicino alle casse. Elemento da non trascurare è il rispetto per il posto che si occupa in una fila. Underhill, oltre a fornire preziosi consigli per migliorare la qualità dei servizi offerti ai clienti, rivolge anche qualche critica ai venditori. Ad esempio, nota come, nonostante le donne utilizzino più frequentemente degli uomini i bagni, questi ultimi vengono costruiti 6

nei centri commerciali e nei supermercati in modo identico. Inoltre, le donne non solo utilizzano i bagni più frequentemente, ma vi spendono anche più tempo, così probabilmente si creeranno delle file fuori dai bagni; i commercianti potrebbero sfruttare il tempo passato dalle donne in bagno ponendo delle pubblicità sulle pareti retrostanti i servizi, eppure non lo fanno. Si potrebbe addirittura concedere la gestione dei bagni nei centri commerciali ai negozi che vendono saponi, cosmetici, profumi, prodotti per la cura personale. Grazie al contributo dell’antropologia, dunque, che permette una conoscenza più approfondita delle persone, e utilizzando un po’ di fantasia è possibile favorire un aumento degli acquisti; Underhill ha creato un campo di ricerca nuovo e una professione fruttuosa, tuttavia attualmente sono pochi (o forse inesistenti) i percorsi professionali che traggono beneficio dall’applicazione delle conoscenze antropologiche.

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CAPITOLO 2 LA COSTRUZIONE SOCIALE E CULTURALE DELLA REALTÀ Introduzione. Il problema principale Uno dei compiti dell’antropologia consiste nel mostrare per quale ragione gli individui possano credere in qualcosa che non è suscettibile di dimostrazione, come ad esempio l’esistenza di una o più divinità. Occorre innanzitutto definire la credenza: con questo termine si indica uno stato mentale di assenso verso delle affermazioni, dei sistemi di idee o uno stato di fede verso qualcosa o qualcuno. Edward Tylor, fondatore dell’antropologia moderna, sosteneva che la religione e la credenza nel soprannaturale non sono altro che il risultato della necessità sentita dall’uomo di spie...


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