Riassunto di Erodoto Tucidide e Senofonte (letteratura) PDF

Title Riassunto di Erodoto Tucidide e Senofonte (letteratura)
Course Greco
Institution Liceo (Italia)
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Riassunto di letteratura greca --> appunti lezione - libro - collegamenti e spunti di riflessione...


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ERODOTO proemio in italiano creso e solone in greco LE STORIE: L’opera di Erodoto, citata a partire dall’età tardo antica con il titolo di “storie“, inizia con un Proemio nel quale l’autore dopo aver indicato il proprio nome e quello della sua città natale, Alicarnasso,presenta l’opera, illustrandone lo scopo generale e il tema. Nell’enunciare gli obiettivi dell’indagine, Erodoto precisa che è sua intenzione sottrarre all’oblio le imprese grandi e mirabili compiute dagli uomini sia greci sia barbari e, più in particolare, indagare le cause del conflitto che li contrappose e che culminò con le cosiddette guerre persiane degli anni 490 e 480478 a.c. Coerentemente con tale proposito lo spazio cronologico del racconto principale delle storie è il periodo di circa ottant’anni tra l’ascesa al trono di Lidia di Creso e l’occupazione ateniese della roccaforte di Sesto, che pose fine alla seconda delle spedizioni persiane contro la Grecia. I pilastri su cui tale racconto poggia sono i regni dei primi quattro sovrani persiani: Ciro, Cambise, Dario e Serse, i quali dopo la sconfitta di creso, subentrano ai Lidi nel tentativo di assoggettare i greci. Nella tradizione manoscritta medievale le storie sono divise in nove libri, che prendono il nome delle nove muse, secondo l’ordine canonico con cui esse vengono menzionate nella teogonia Esiododea: Clio, Euterpe,Talia,Melpomene,Tersicore,Erato,Polimnia,Urania e Calliope. Tuttavia tanto la divisione quanto il titolo dei libri risalgono probabilmente all’età alessandrina. Erodoto infatti indica le varie parti della sua opera semplicemente con il termine λόγοι ,utilizzato per designare sezioni omogenee dell’opera, di estensione più o meno ampia, dedicata alla trattazione delle vicende di un personaggio importante o alla descrizione di un popolo,e chiama la sua opera ιστοριης αποδεξις. Con Erodoto nasce la vera e propria storiografia, la sua opera segna infatti il passaggio dal μύθος al λόγος, non senza permanenti concessioni al mito. Centro della sua analisi è l’uomo, per cui, se le guerre persiane costituiscono l’argomento della storia erodotea, non sono il nodo focale se considerate nella loro natura di evento bellico: lo sono come centro gravitazionale delle vicende degli uomini. L’esperienza di un conflitto combattuto per la salvaguardia della libertà minacciata, ha creato nei greci il senso della nazione. Ma di quelle guerre lo storico non fa solo una lotta di indipendenza di un popolo civile dal barbaro: egli vi coglie la lotte della libertà contro la tirannide, della civiltà contro la barbarie . Tuttavia in Erodoto non c’è mai uno spirito nazionalistico chiuso e unilaterale, ma vi è anzi un rispetto per le tradizioni di ogni popolo. Lo storico non perviene ad una interpretazione politica della guerra, ma ad una motivazione razionale dell’agire umano, perché costante ed ogni presente è, nella visione della storia, l’incidenza del destino e l’interferenza delle divinità.

Erodoto resta legato al mito anche se delle volte sembra affiorare un atteggiamento scettico verso di esso; permane una visione religiosa del passato perché nelle vicende umane domina il mistero. Tuttavia l’intervento divino non elimina la responsabilità dell’uomo: è estranea alla concezione erodotea l’opposizione predestinazione-libertà. Erodoto ha dunque una concezione tragica dell’uomo e il suo pessimismo, simile a quello sofocleo, non è illuminato dal alcuna luce . L’uomo di Sofocle schiacciato in inesorabilmente dal fato, afferma il suo valore di uomo proprio nel resistervi fino all’ineluttabile annientamento, mentre la caduta dell’uomo erodoteo è desertica, senza gloria. Erodoto sembra oscillare fra una presenza provvidenziale, per cui la punizione è espiazione di una colpa , e l’ inesorabilità di un destino trascendente ogni giustificazione morale. Tuttavia sembra condividere in alcuni passi la concezione arcaica dell’invidia degli dei. Le storie si possono dividere in due grandi sezioni, costituite rispettivamente dei libri 1-4 e 5-9. Se infatti nei primi quattro libri l’opera si configura, almeno nel nucleo principale del racconto, come storia dell’espansionismo persiano, dal libro 5 in poi i greci, fino ad allora comparsi prevalentemente in λόγοι digressivi al pari di altri popoli, si infiltrano nel racconto principale fino a dominarlo. L’opera di Erodoto contiene molto di più del racconto delle vicende del Mediterraneo orientale da Creso alla vittoria dei greci sui persiani. Se queste costituiscono l’asse narrativo delle storie, il filo conduttore dell’opera dall’inizio alla fine, il racconto principale è continuamente interrotto da excursus più o meno lunghi e di contenuto vario, dei quali non di rado se ne diramano altri. La struttura dell’opera Erodotea è stata perciò paragonata a un grandioso sistema fluviale, con un fiume principale numerosi affluenti, nei quali sfociano a loro volta corsi d’acqua più piccoli. Particolarmente numerosi nei primi quattro libri sono gli excursus di vario genere, connessi organicamente al filone principale e che rispondono a ben precise esigenze storiografiche. Quelli di contenuto storico consentono Erodoto di compiere incursioni nel periodo che precede o segue l’arco di tempo oggetto del racconto principale: riguardano per lo più il passato, ma non mancano riferimenti ad avvenimenti posteriori alle 478 a.C. Di gran lunga più numerosi sono gli excursus di carattere geo- etnografico, che traggono spunto in genere del racconto delle operazioni militari dei persiani nelle varie regioni. L’interesse di Erodoto va, in questi casi, alla natura fisica e antropica dei luoghi che descrive: topografia, flora, fauna, clima, monumenti e popolazioni con i loro costumi alimentari e religiosi. Erodoto coglie l’opportunità offerta dagli eventi storici per dare vita a racconti dilettevoli, attenti soprattutto la tradizione orale e popolare. Gli inserti novellistici, destinati in primo luogo a intrattenere il pubblico, consentono anche di narrare in forma drammatica avvenimenti storici (Gige e Candaule) o di illustrare in forma non astratta le idee etico-politico -religiose dell’autore (Anello di Policrate).

Per dare ordine al materiale eterogeneo oggetto della narrazione Erodoto fa un uso larghissimo della composizione anulare, incorniciando le varie sezioni dell’opera con formule di annuncio e di chiusura, che anticipano e riassumono il tema da trattare o quello già trattato. A titolo di esempio si può citare il flashback relativo ai primi sovrani della Lidia: dopo un primo accenno a Creso, lo storico narra le vicende dei suoi predecessori, per poi tornare a creso, concludendo con perfetta simmetria e riprendendo immediatamente il racconto principale.

QUESTIONE ERODOTEA: Il fatto che la prima metà dell’opera sia costituita principalmente da una serie di λόγοι, dedicati alla geografia ,alla storia e all’etnografia della Persia, e di tutti quei popoli con cui l’impero persiano entrò in contatto, mentre la seconda metà sia di argomento prevalentemente storico, e si incentra quindi sulle guerre persiane ,a partire dalla rivolta delle colonie ioniche fino alla presa di sesto ad opera degli ateniesi, diede origine alla questione erodotea. Vi sono due ipotesi principali avanzate dalla critica moderna, una sostenuta dagli unitari l’altra dei separatisti. I separatisti credono che i λόγοι siano stati concepiti originariamente senza un piano unitario prestabilito , che sarebbe maturato in Erodoto soltanto a seguito del contatto con l’ambiente ideologico e culturale di Atene. Gli unitari credono invece che la centralità del conflitto greco- persiano avrebbe dovuto sin dall’inizio costituire il fulcro intorno al quale i vari λόγοι avrebbero dovuto gravitare. La composizione delle storie avvenne sicuramente con l’ausilio della scrittura, ma la loro diffusione fu, almeno in un primo momento, affidata alla prassi delle letture pubbliche. Proprio la necessità di intrattenere giustifica alcune caratteristiche contenutistiche e formali dell’opera: l’inclusione di elementi tradizionali e meravigliosi (come le novelle), le divagazioni dettate dal desiderio di suscitare il piacere dell’ascoltatore, il consistente ricorso alla composizione ad anello e alla drammatizzazione e l’impiego di una prosa per lo più paratattica.

METODO STORIOGRAFICO: Nel paragrafo che segna il passaggio tra la sezione geo-etnografica e quella storica del libro secondo, interamente dedicato all’Egitto, Erodoto sente il bisogno di precisare il suo metodo di lavoro e le sue fonti. Lo storico quindi elenca gli strumenti di cui si è servito nella sua ricerca: la visione diretta (αυτοψία , da αυτός + la radice οπ del verbo vedere),l’ascolto di racconti altrui (l’ακοή)e la riflessione personale (γνώμη),vale a dire la valutazione critica delle fonti raccolte. Erodoto considera l’osservazione diretta, che mette in rapporto con la realtà senza alcuna mediazione, come la fonte più degna di fede. Tuttavia questa ha i suoi limiti, perché serve solo per le realtà durevoli come luoghi, monumenti, usi e costumi e fenomeni naturali.

Per gli eventi lontani nel tempo, nello spazio e per le località geografiche inaccessibili occorre necessariamente ricorrere alle testimonianze altrui. L’indagine erodotea finisce dunque per essere basata inevitabilmente soprattutto su tradizioni orali. Si può presupporre che nei casi più fortunati egli abbia incontrato testimoni oculari ma ,nella maggior parte dei casi, si sarà dovuto accontentare degli ultimi discendenti di una tradizione orale più o meno lunga. Evidente peraltro è che lo storico non sempre riusciva mettersi in contatto con persone competenti e colte, talvolta dovette avvalersi del servizio di guide a pagamento, greche o bilingue, non conoscendo le lingue dei paesi orientali che visitò, e di interpreti, talora inaffidabili. Le fonti scritte di Erodoto sono in primo luogo le opere della letteratura greca prodotte fino ad allora: egli cita una quindicina di poeti, a cominciare da Omero, mentre tra ipensatori conosce certamente Ecateo, che ricorda varie volte. Tra le fonti scritte vanno annoverate anche le raccolte di oracoli, che Erodoto cita spesso. Le iscrizioni che egli menziona sono invece frutto della conoscenza diretta o della testimonianza orale. Non sono rari i casi in cui Erodoto rende il pubblico partecipe della sua inchiesta: ci da due o più versioni dello stesso racconto, ora prendendo posizione ora astenendosi da ogni giudizio, per lasciare la scelta al lettore, dal momento che ciascuno può prestare fede a quella che preferisce. Fedele all’impegno assunto nel proemio dell’opera egli considera una sorta di dovere morale riferire tutte le versioni raccolte, indipendentemente dalla loro credibilità o dalla sua adesione ad esse. Talvolta Erodoto ,tuttavia, si limita a presentare il prodotto finale della sua ricerca: tra differenti versioni della stessa storia sceglie quella che, usando il criterio della logica e della verosimiglianza, gli sembra più convincente. A differenza del suo predecessore Ecateo, che si proponeva ancora di svelare il nucleo di verità contenuto nei racconti mitici, eliminandone i particolari più incredibili, Erodoto abbandona il tempo mitico, impossibile da verificare criticamente e limita il proprio interesse alle azioni e agli eventi umani, gli unici storicamente accertabili. Tuttavia il fatto che Erodoto metta da parte il tempo mitico non significa che egli neghi la storicità dei personaggi e degli eventi principali dell’epica tradizionale. La guerra di Troia e i suoi protagonisti sono per lui fatti e figure storiche; egli ritiene però che i poeti, preferendo la verità alle esigenze dell’arte, abbiano consciamente alterato i fatti. Erodoto quindi non rifiuta il mito, tuttavia egli lo ripropone in modo razionalizzato: ad esempio, la cagna dalla quale, secondo la leggenda, sarebbe stato allevato Ciro, futuro sovrano persiano, in realtà era una donna di nome Cino.

LA VISIONE : Erodoto individua dietro la molteplicità e la mutabilità degli eventi particolari, che mai si ripetono, un modello ricorrente, costituito da un meccanismo ciclico interno, articolato in tre fasi fondamentali: ascesa, apogeo e declino. Erodoto è convinto che tutto ciò che accade appartenga a un corso predisposto da una forza superiore, che domina e governa il mondo e che egli identifica con la divina provvidenza, che si identifica a sua volta in una potenza che tutela l’equilibrio e l’ordine cosmico. L’azione invasiva del fato risulta evidente dalle formule usate da Erodoto per esprimere l’ineluttabilità di certi eventi: era destino, bisognava ,era fatale ecc.

La divinità funge dunque da motore garante del meccanismo ciclico che regola il fluire apparentemente disordinato dei fatti. In alcuni casi l’intervento divino si configura come vendetta che adempie ad una funzione di giustizia riparatrice, poiché si abbatte sugli uomini che peccano di ύβρις. In altri casi però si ha l’impressione che la vendetta divina colpisca gli uomini troppo fortunati e felici, indipendentemente dalle loro colpe. L’intervento degli dei sembra infatti talora provocato non tanto da principi morali quanto dall’invidia, in virtù della quale si abbattono contro colui che emerge solo poiché emerge. In Erodoto compare inoltre il principio arcaico secondo cui le colpe dei padri ricadono sui figli. In un mondo quindi che appare dominato dal destino e della divinità, l’uomo può credere di possedere una certa misura di libero arbitrio, ma si tratta di una libertà illusoria: poiché il fato deve realizzarsi, l’uomo è spinto dagli dei a scegliere la via che meglio serve alla realizzazione del corso predestinato della storia. Il meccanismo ciclico che condiziona lo svolgimento delle vicende finisce così per compiersi grazie alla cooperazione inconscia degli uomini con il destino e con la divinità. Da tutto ciò deriva una concezione tragica della vita umana, effimera e instabile: ogni cosa è predestinata e l’uomo è puro accidente, poiché tutto in lui è caso e circostanza. Stando così le cose all’uomo non resta altro da fare che impegnarsi per non trasgredire i limiti imposti dal destino: egli deve, da un lato esercitare la propria forza morale per astenersi dalla ύβρις, evitando in questo modo di attirare l’invidia degli dei; dall’altro deve far leva sulle proprie facoltà intellettuali per decodificare i segni attraverso cui la volontà divina si manifesta ,e quindi conformarsi a essa. Sogni, oracoli e prodigi occupano infatti un posto notevole nell’opera di Erodoto, tuttavia se da un lato le proverbiali ambiguità ed enigmaticità di tali manifestazioni soprannaturali ne fanno dei mezzi letterari efficacissimi per suscitare la curiosità del lettore /ascoltatore, dall’altro rappresentano un ‘ulteriore conferma della tragicità della condizione umana.

LA POLITICA: Critici antichi e recenti hanno espresso una grande varietà di giudizi sulle posizioni politiche di Erodoto, tanto che lo storico è stato visto ora come un convinto democratico ,ora come un oligarchico, ora come un filo ateniese ,ora come un filo spartano, ora come un nazionalista ora come un filo barbaro. Nessuno dubita tuttavia della sua decisa avversione nei confronti della tirannide, che trova la formulazione più chiara nel discorso con cui il delegato di Corinto si oppone alla proposta degli spartani, convinti della necessità di restaurare un regime tirannico ad Atene. Egli definisce la tirannide come la cosa più ingiusta e sanguinaria che si possa fare tra gli uomini, e ne Illustra le scelleratezze compiute nella sua città dai despoti Cipselo e Periandro. Sebbene abbia riconosciuto i meriti di alcuni tiranni, come Pisistrato, non c’è dubbio che la sua scelta sia in direzione della libertà. Per Erodoto, e per l’ambiente culturale in cui egli vive, uno stato è libero se, oltre a non dipendere da alcuna potenza straniera, è retto da un governo che non agisce in maniera dispotica. Del resto l’ipotesi secondo cui Erodoto sarebbe un ammiratore fanatico della

democrazia si rivela infondata: lo storico mostra apprezzamento per questa forma di governo, ma allo stesso tempo è consapevole dei rischi connessi a tale regime. Altrove nella sua opera elogia il regime spartano, un regime libero in quanto diametralmente opposto alla tirannide, ma opposto anche la democrazie. È pertanto impossibile dire per quale forma di governo egli optasse: le sue preferenze in proposito non emergono chiaramente neppure nel cosiddetto “dibattito sulle tre forme di governo”, presente nel terzo libro. Il sentimento della libertà è profondamente radicato nei greci, tanto che proprio la paura di perdere l’indipendenza ha dato loro l’eccezionale forza d’animo per sconfiggere i persiani, tuttavia Erodoto sa bene che l’aspirazione alla libertà esiste anche tra i non greci: proprio il desiderio di essere liberi spinse i persiani a sottrarsi al giogo dei medi, i quali prima ancora, per l’identico motivo, si erano ribellati agli assiri. È quindi evidente che la consapevolezza della distanza tra i greci e gli altri popoli non si trasforma mai in un giudizio di valore a vantaggio dei primi.

LINGUA E STILE: Grande fu nell’antichità l’ammirazione per lo stile di Erodoto, al quale si riconoscevano doti di grazia, dolcezza, fluidità e naturalezza. Cicerone lo paragonava ad un fiume tranquillo che scorre senza intoppi. Una voce fuori dal coro è quella di Aristotele, che nella ‘retorica’ afferma di considerare lo stile di Erodoto un esempio perfetto di λέξις ειρομενη, lo stile continuo che egli giudica superato, in quanto caratterizzato dalla netta prevalenza di proposizioni paratattiche. In effetti, sebbene la prosa erodotea conosca anche costruzioni ricercate, l’impiego moderato di periodi complessi si spiega anche alla luce dell’originaria destinazione orale delle storie. Alla base della lingua di Erodoto vi è il dialetto ionico che ,nel V secolo ,era ormai la lingua ufficiale della città natale dello storico, Alicarnasso, e aveva raggiunto lo stato di lingua letteraria della prosa. La lingua erodotea non è ionico puro, ma contaminato da elementi vari ed eterogenei, quali atticismi e vocaboli stranieri. Accanto a colloquismi e tecnicismi, non mancano nella lingua erodotea neppure forme e locuzioni poetiche, soprattutto omeriche: di qui l’appellativo di omericissimo assegnato ad Erodoto dall’autore del trattato “sul sublime.”

TUCIDIDE Proemio Epitaffio

LE STORIE: Le fonti antiche hanno tramandato l’opera di Tucidide con diversi titoli quali Ξυγγραφη,Ιστοριαι o Πελοποννησιακά, nessuno dei quali è l’originale. Probabilmente l’autore non aveva dato un titolo alla sua opera, secondo la consuetudine dei tempi. Anche l’attuale partizione in otto libri non risale a Tucidide, ma a un grammatico d’epoca ellenistica. L’opera ha inizio con un proemio nel quale l’autore dichiara di avere intuito immediatamente che la guerra imminente tra Atene e Sparta sarebbe stata più importante di tutte le precedenti, perché è scoppiata quando le due parti in causa avevano raggiunto l’apice della loro potenza. Pertanto egli cominciò subito a lavorare alla sua opera che racconta la guerra del Peloponneso, combattuta a partire dal 431 a.C. e che viene narrata secondo il criterio annalistico, dal suo inizio fino all’autunno del 411 a.C.. Il capitolo 26 del quinto libro delle storie contiene, oltre a notizie di carattere biografico sull’autore, informazioni sulla composizione dell’opera e dichiarazioni di metodo ,ed è stato perciò comunemente definito “secondo proemio”. In esso Tucidide esprime la convinzione che la guerra del Peloponneso durò 27 anni senza una effettiva soluzione di continuità: la cosiddetta pace di Nicia del 421,e rotta nel 413,non fu mai davvero rispettata, in quanto negli anni immediatamente successivi a essa Atene e Sparta non cessarono di danneggiarsi a vicenda. Tale visione unitaria del conflitto è peculiare di Tucidide, dal momento che altre fonti antiche considerano piuttosto le tre fasi di questo conflitto come tre guerre distinte: la prima conclusa dalla pace di Nicia, quella intermedia culminata nel disastro in Sicilia e quella finale che giunge fino alla resa definitiva di Atene nel 404. Da diversi passi delle storie risulta che Tucidide vide la fine della guerra del Peloponneso nel 404; tuttavia la sua opera si interrompe bruscame...


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