Riassunto I significati dell\'educazione di G. Chiosso - Pedagogia generale PDF

Title Riassunto I significati dell\'educazione di G. Chiosso - Pedagogia generale
Author Eleonora Bergesio
Course Pedagogia generale
Institution Università degli Studi di Torino
Pages 31
File Size 825.8 KB
File Type PDF
Total Downloads 1
Total Views 123

Summary

Download Riassunto I significati dell'educazione di G. Chiosso - Pedagogia generale PDF


Description

I SIGNIFICATI DELL’EDUCAZIONE: 1. La realtà dell’educazione: L’educazione era un esperienza condivisa nel suo quotidiano dipanarsi anche se gli scopi perseguiti o da perseguire potevano essere diversi. Era scontato che le pratiche educative coincidessero con l’avviamento dei giovani nella vita sociale. Oggi ci troviamo di fronte all’idea di introduzione all’età adulta alquanto diversa. Nei giovani è molto più diffuso che in passato il senso di insufficienza, di libertà, di consapevolezza del proprio valore. Gli adulti, hanno ridotto il loro ruolo a quello di semplici compagni di viaggio dei rispettivi figli e/o allievi fin quasi alla rinuncia di qualsiasi atteggiamento che possa in qualche modo produrre frustrazioni o piccole sofferenze. Nel 1979 il filosofo francese Lyotard in un celebre libro, la condizione post-moderna coniò l’espressione “ fine delle grandi narrazioni” per indicare l’esaurimento della forza dei grandi movimenti quali l’illuminismo, l’idealismo e il marxismo. Da quel volume in poi la riflessione si è arricchita di numerosi altri apporti che hanno convenuto sul fatto che la società attuale è l’esito del superamento/rovesciamento del principio di società organica. La realtà del nostro tempo è molto più complessa: anziché perseguire l’obiettivo dell’integrazione della pluralità si prende atto che non c’è, o almeno non c’è più, una forza di guida e di controllo che dia al pluralismo una forma e un significato. Tutti gli ambiti sociali e culturali sarebbero piuttosto segnati da un mutamento continuo. Il pensiero assume di conseguenza la fisionomia di uno strumento narrativo. Prevalgono perciò le esperienze provvisorie perché il presente è per sua natura provvisorio. Non ci sono più eventi che segnano la storia e la vita degli uomini e ne orientano le scelte ideali, ma soltanto strutture che il metodo scientifico deve enucleare. La provvisorietà dei significati si configura infine come una manifestazione della cultura dell’individualismo incentrata non soltanto sulla libertà personale, ma vista come struttura fondamentale del tessuto sociale. Il termine individualismo fu coniato da Tocqueville all’inizio dell’Ottocento per definire una condizione di isolamento sociale che cominciava allora a manifestarsi nella società americana. Dal pluralismo pubblico e dal primato del soggetto stanno compiendosi due altre imponenti trasformazioni: l’irruzione delle culture degli immigrati e la crescita esponenziale della società dell’informazione. Se si considera che le popolazioni diverse sono prevedibilmente destinate a ridisegnare il volto dell’occidente europeo, si può cogliere l’entità della posta in gioco che la nuova pluralità culturale pone alle società europee. Il perseguimento di una società nella quale convivano pacificamente differenti culture e differenti stili di vita presuppone interventi educativi condotti a vasto raggio volti a formare personalità capaci di dialogo, disposte a confrontarsi con la diversità. La televisione ne è ancora il simbolo più ovvio, rinforzato da tutte le opportunità offerte dal web e dai vari strumenti digitalizzati. La “telebanca”, la “televendita”, il “telelavoro” stanno entrando a far parte sempre di più della nostra realtà. La nuova realtà dell’informazione globalizzata e di facile e di immediato consumo influisce sul modo con cui vediamo il mondo e viviamo in esso. La globalizzazione delle informazioni e delle comunicazioni rimanda alla possibilità che emerga una nuova struttura della cittadinanza. Al tempo stesso, la crescente privatizzazione e la tendenza all’individualismo, due processi che puntano in una direzione diversa o quasi opposta. I cambiamenti in corso si devono poi misurare non solo con gli immensi problemi che interpellano l’intera umanità e che possono condizionare la vita delle generazioni future, ma in modo più ravvicinato con il complessivo impoverimento dei Paesi più ricchi. Alcuni segnali critici contro l’eccesso di soggettivismo giungono da alcuni autorevoli intellettuali come l’economista Sen, il politologo Putnam e il filosofo Habermas. Alla concezione illimitata della libertà Sen oppone l’improprietà di giudicare il benessere di una persona e di una società solo in base al criterio della felicità. Il modo migliore di gurdare al senso personale e sociale non è infatti da considerare soltanto a riguardo dei risultati raggiunti o di espansione delle proprie possibilità di agire. La stessa economia potrebbe essere resa più produttiva qualora si presentasse maggiore attenzione alle considerazioni di natura etica che influenzano il comportamento e il giudizio sociale umani. Putnam si interroga su come contenere i rischi di disarticolazione sociale delle società del nostro tempo e il conseguente eccesso di individualismo da lui indagato in specie nella realtà degli Stati Uniti. La qualità della convivenza tra le persone non dipende soltanto dai capitali finanziari, da

adeguate competenze professionali. Essa è strettamente legata a quella formidabile risorsa coesiva rappresentata dall’insieme delle reti sociali. E’ proprio attraverso di esso che si consolida il sistema di valori che garantisce il senso di responsabilità dei diversi attori sociali. La costruzione del bene comune è insomma legata alla ragionevole presunzione che gli altri agiranno in modo responsabile e costruttivo. Habermas concentra la sua analisi sui limiti e sui potenziali rischi del relativismo etico. La secolarizzazione andrebbe perciò vissuta come un processo di apprendimento continuo mediante il dialogo incessante tra esperienze e idealità diverse per approdare a principi etici condivisi dal maggior numero di persone. I non credenti non dovrebbero escludere a priori il contenuto razionale dei contributi formulati in linguaggi religiosi. Le persone credenti, non soltanto dovrebbero sfuggire alle tentazioni fondamentaliste. Le trasformazioni di carattere generale di cui abbiamo fin qui sommariamente detto hanno immesso in circolazione nuove interpretazioni dell’uomo e sono accompagnate da cambiamenti. La prima è collegata alla critica che da pare di vari settori culturali contemporanei è stata condotta verso la nozione di autorità. L’autorità è qualcosa cui si assoggetta mal volentieri, l’autorità è legata al potere, alla costrizione e al dogmatismo. A questa transizione culturale è corrisposto, a livello di vulgata comune, un pathos libertario che si è sostanzialmente tradotto nella convinzione che l’educazione sarebbe soprattutto una presa d’atto dello sviluppo naturale. Con la formula teoria critica della società o anche Scuola di Francoforte, è denominato un movimento di pensiero che nel secondo Novecento ha sviluppato un’analisi negativa verso la realtà sociale. L’autorità che sa essere autorevole e non autoritaria non contempla infatti soltanto esiti negativi e illiberali. La radice della parola autorità si trova nell’espressione latina augere che significa far crescere. L’educazione si può rappresentare proprio come la crescita della persona umana, nozione molto più complessa e impegnativa di quella che individuiamo con l’espressione sviluppo. L’indebolimento del principio di autorità si combina perfettamente con gli esiti della ragione postmoderna che non crede più alle grandi narrazioni; questa è la seconda ragione del cambiamento educativo. L’uomo vivrebbe dentro il reticolato di infinite possibilità di interpretazione del reale, dal momento che tutte sarebbero prive di qualsiasi radicamento obiettivo. La realtà sarebbe semplicemente un gioco di interpretazioni. Il decostruzionismo è una corrente culturale contemporanea attraverso cui si mira a mettere in risalto i significati sottesi a testi, situazioni, concetti che si insidiano nel non detto e cioè negli spazi vuoti dell’argomento. Lo scopo è quello di demistificare le tradizionali categorie di pensare indagando e svelando nuovi significati. Nella impossibilità di ritrovare finalità educative condivise prevale una impostazione pragmatico-tecnologica. Alla letteratura si preferisce, lo studio della lingua, alla storia degli uomini narrata dai grandi miti viene anteposta la storia sociale, al sapere cosiddetto disinteressato si sostituisce il confronto con l’immediatezza. Non si tratta soltanto della tradizione difficoltà delle generazioni più anziane a dialogare con quelle più giovani, bensì di una transizione che ha oscurato quella particolare dimensione dell’educazione. Nell’ultimo quarto di secolo si è molto indebolita quella impostazione educativa che faceva leva sui valori di appartenenza: religiosi, politici, sociali, comunitari. Si è sostituita la cultura definita del narcisismo e cioè esasperatamente ripiegata sulla centralità dell’io con l’espansione dei diritti rispetto ai doveri e l’incapacità di controllare frustrazioni e delusioni. Negli ultimi decenni si è affermata una presunta scuola neutrale, l’unica che nella complessità attuale sarebbe in grado di rispondere alle esigenze del nostro tempo. Questi cambiamenti sono l’esito dell’infeudamento di larga parte della pedagogia europea dell’ultimo terzo del secolo scorso alla cultura psico-pedagogica con uno stretto intreccio tra le psicologie del comportamentismo e i modelli gestuali derivati dalla sociologia dell’organizzazione. Il comportamentismo è una corrente psicologica fondata sulla tesi che il comportamento esplicito è l’unica realtà che la psicologia possa studiare scientificamente. Black box è una scatola nera il cui funzionamento interno è inconoscibile e per certi aspetti, irrilevante. La prospettiva di una scuola più efficiente in quanto più organizzata e più funzionale ai bisogni sociali. L’uomo è considerato una risorsa da valorizzare soprattutto perché in grado di produrre nuove applicazioni tecnologiche. Morin costituisce un caso emblematico con il suo cosmopolitismo giustificato da quella che viene definita la cittadinanza terrestre dell’uomo. Il libro bianco parla della società cognitiva: moltiplicare la formazione, distribuirla sull’intero arco della vita, accrescere le capacità competitive. Non si possono ovviamente sottovalutare le esigenze e le pressanti e legittime istanze del mondo produttivo: si tratta di non confonderle con l’esigenza di un modello

educativo e formativo che non può essere definito soltanto o in netta prevalenza in relazione alle dinamiche e necessità economiche. Maritain a proposito dell’educazione del suo tempo parlava di un bivio tra due diverse prospettive pedagogiche. Oggi la suggestione del bivio appare non più sufficiente a rendere conto della pluralità delle tendenze in gioco. L’educazione del nostro tempo sembra piuttosto simile a un crocevia da cui si dipartono numerosi itinerari lungo l’educazione che si stanno modificando gli automatismi educativi tradizionali. Chi è impegnato nel campo educativo è chiamato a decidere qui e ora ed è perciò invitato a prendere coscienza di una realtà che sta cambiando. La nozione di educazione sarebbe cioè fatalmente compromessa da un dover essere inconciliabile non solo con la piena espansione del sé individuale. L’attrattiva dei valori è inevitabilmente fragile perché i modelli educativi tendenti alla sublimazione al differimento dell’esercizio del piacere, alla limitazione delle spinte pulsionali si presentano come alienanti, mentre i sistemi educativi centrati sulla riscoperta del corpo e sul suo primato sono progressivi e vincenti. Alla nozione di educazione vengono preferite altre alternative: quella di sviluppo, di accompagnamento e soprattutto quella di tecnica formativa. La formazione avrebbe il doppio merito di essere più neutra e più dinamica e flessibile al tempo stesso. Più neutra perché non sarebbe compromessa con qualche dover essere con cui l’individuo è tenuto a fare i conti. L’esito di queste strategie di indebolimento dell’educazione è quello di valutare tutte le esperienze come eguali tra loro. Si tratta di pedagogia nera ovvero quando accade qualche grave episodio di devianza o di malcostume giovanile in genere si comincia a ragionare su cosa è mancato e su come si possono raddrizzare coscienze un po’ distorte. Un secondo significato della nozione odierna di educazione è strettamente associato alla necessità di sviluppare e potenziare la capacità cognitiva dell’uomo. L’apprendimento umano consiste nella continua organizzazione e riorganizzazione dell’equilibrio/disquilibrio di un contesto dato rispetto al nuovo e all’imprevisto. Apprendere in modo autentico significa quindi, sapersi riposizionare consapevolmente all’interno di un contesto e di intrecci relazionali. Il vero sapere è quello che genera altro sapere. L’apprendimento accompagna la vita dell’uomo fin dal suo sorgere. L’accumulo delle conoscenze si organizza e si sistema con nuovi e sempre più complessi livelli di coerenza, avvalendosi e intrecciandosi con altre disposizioni dell’uomo come la memoria, la motivazione e le emozioni. Per molti secoli all’apprendimento è stata associata la nozione di istruzione. L’istruzione era associata all’educazione tradizionalmente concepita come l’avviamento alla condivisione. La stretta associazione tra istruzione ed educazione è spesso apertamente criticata. Gli apporti delle teorie di segno costruttivista rappresentano un passaggio di notevole portata con studiosi come Astolfi e Bentley. L’uomo educato bene sarebbe insomma colui che viene rifornito soprattutto delle competenze necessarie per raggiungere la propria autostima cognitiva, capace di apprendere ad apprendere nelle varie forme in cui questa formula può essere interpretata. L’educazione andrebbe vista come un congegno predisposto per risolvere problemi, adattarsi a una realtà mutevole e imprevedibile. L’intelligenza emotiva tiene conto degli aspetti motivazionali per migliorare l’apprendimento, prevalgono in questo modello l’approccio metodologico, un registro linguistico analitico e tecnologico, il principio della superiorità logica della scienza positiva, con una implicita demarcazione tra saperi e non-saperi. La nozione di educazione si confonde con quella di educazione del pensiero e viene identificata con la plasmabilità/ trasformabilità. Una terza nozione di educazione è riconoscibile nelle tesi di quanti guardano all’uomo educato nella prospettiva della socializzazione etica e cioè della interiorizzazione/condivisione di valori visti sia come valori in sé. L’associazione educazione-socializzazione vanta una prestigiosa tradizione, ma quando oggi si parla di educazione e valori si dà a questo binomio una interpretazione più complessa. La nozione di socializzazione negli ultimi decenni si è infatti arricchita di un’idea di un valore non già totalmente dato a cui l’uomo deve conformarsi, ma fa riferimento a valori e soprattutto a esperienze di valore da costruire e condividere. La pedagogia dei valori, sviluppatasi in Germania, ha rilanciato le cosiddette etiche dei valori comuni costituiscono infatti la risposta all’esigenza di condividere alcuni essenziali principi. Tali valori comuni rappresentano una sorta di contatto etico che consente di identificare non tanto il bene in sé quanto il bene in relazione. Dewey nel 1934 con il suo celebre richiamo alla fede comune o, come oggi si dice, nell’ottica della religione civile. Rousseau distingue per questo la religione civile da altre forme religiose e la riconduce di fatto a un’etica, il cui compito è quello di alimentare il senso dell’appartenenza collettiva e di disporre a

comportamenti coerenti sul piano civile. Ai valori condivisi va riconosciuto il merito di concorrere a contenere gli eccessi individualistici del nostro tempo. Gli stessi valori condivisi rischiano di restare sul piano delle buone intenzioni se non ci sono persone robuste sul piano della sensibilità etica e cioè capaci di non comprendere, ma anche di volere il bene. Si tratta di andare più in là e cioè pensare alla formazione di un carattere personale capace di disciplina di sé, di esercizio della responsabilità personale e sociale. La persona è un valore in sé e la sua educazione non può essere ordinata in funzione subalterna alle esigenze del mondo economico e produttivo. In quanto valore in sé l’uomo non può essere considerato un semplice tassello più o meno istruito/formato di un sistema il cui scopo primario è quello di produrre ricchezza. L’essere umano non può neppure essere pensato come un suddito di una società governata imperiosamente dalla politica. Le pedagogie della persona sono antifunzionalistiche nel senso che pongono invece il fine educativo nel bene personale e non in qualche ragione esterna all’uomo. L’essenziale storicità e culturalità dell’essere umano: l’educazione di conseguenza si configura come una specifica azione orientata ad assicurare il maifestarsi dell’umano proprio di ogni persona. Il secondo approccio personalistico: l’educazione può essere descritta come un processo attraverso cui gli adulti di una società si prendono cura della generazione più giovane. L’idea di educazione si basa la capacità di guardare le cose come sono, di distinguere tra realtà e sogni, tra utopie e legittime aspirazioni. Il venire meno delle grandi narrazioni non nega la possibilità e il valore delle piccole narrazioni. Occorrono alcune condizioni: Per prima cosa, bisogna riconoscere un ruolo positivo all’adulto credibile e autorevole, il cammino educativo di una persona non è mai un evento solitario, ma un incontro. La seconda condizione è l’educazione della volontà: non basta conoscere il bene, bisogna anche volerlo. Questo bene non è mai un bene solo personale. L’esperienza umana è sempre segnata dalla prossimità e cioè dalla partecipazione a reti sociali di cui siamo parte. I diversi significati dell’educazione che abbiamo fino qui esaminato appartengono tutti alla cultura pedagogica occidentale. La cultura della cosiddetta Africa nera è fortemente impregnata di un’idea educativa che si manifesta secondo ritmi graduali e naturali. L’inserimento dei bambini e dei ragazzi nella vita sociale si svolge attraverso un processo comunitario in cui un grande ruolo hanno la figura femminile e la vita familiare. L’educazione è vista come un sapere concreto e vitale che unisce le conoscenze teoriche alle attività pratiche. La morte non è il dopo della vita. Nelle culture asiatiche e in quella indiana l’educazione è finalizzata in primo luogo a rispettare l’equilibrio e l’armonia del reale e ad aiutare l’uomo che cresce a trovare il proprio posto tra gli altri uomini. L’uomo è concepito come una totalità nella quale la continua ricerca dell’armonia e dell’equilibro interiore si fonda sulla partecipazione all’insieme della funzione metabolica dell’universo. L’educazione viene immaginata come un’azione di risveglio. L’educatore è colui che risveglia le attitudini profonde mentre spetta agli insegnanti attivare le facoltà razionali. Nella tradizione musulmana sono profondamente intrecciate le nozioni di famiglia, educazione e fede religiosa. I genitori hanno ruoli diversi: mentre al padre spetta la responsabilità di sostenere economicamente la famiglia e di provvedere ai suoi bisogni e alle sue esigenze a carico della donna è responsabilità di allevare ed educare i figli e di far funzionare il mènage familiare. Secondo Maometto la comunità dei fedeli in Allah si dovrebbe distinguere dalle altre proprio per l’amore, la tenerezza e l’attenzione verso il benessere psico-fisico dei bambini. Il dibattito intorno a quali condizioni siano necessarie perché sia possibile far convivere modelli educativi tanto diversi è apertissimo. La necessità di opporre alla monolitica identità-radice, granitica e inaccettabile, l’identità-relazione, radicata in contesti molteplici e anche molto diversi tra loro. Una prima opzione è l’identità meticcia sarebbe ormai giunto il momento di pensare all’identità dell’io plurimo o io multiplo e cioè di un io in costante costruzione. Decostruire l’identità nel senso che siamo soliti a pensarla in tal senso l’antropologo Remotti ha suggerito di andare contro l’identità. Nella tesi l’identità meticcia si manifesta, la reinterpretazione in chiave post moderna dell’ideologia dell’universalismo illuministico. La seconda opzione applica alla società multietnica il principio della democrazia delle culture, non si può immaginare l’uomo sganciato dalla cultura di cui fa parte e che, di conseguenza, la tutela del diritto di appartenere a una società o a un gruppo e rappresenta un irrinunciabile fat...


Similar Free PDFs