Riassunto \"La Rivoluzione Militare\" di Geoffrey Parker PDF

Title Riassunto \"La Rivoluzione Militare\" di Geoffrey Parker
Author TOMMASO PAGNANO
Course Storia della Storiografia Moderna
Institution Università degli Studi di Firenze
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Riassunto del libro "la rivoluzione militare" di Geoffrey Parker...


Description

LA RIVOLUZIONE MILITARE

Geoffrey Parker

a cura di Topagna Nel 1956, nel corso di una conferenza per l’inaugurazione dell’anno accademico all’Università di Belfast, lo storico inglese Michael Roberts coniò l’espressione “rivoluzione militare” per il periodo compreso tra il 1560 e il 1660. Più di trent’anni dopo, nel 1988, l’esperto britannico di storia militare Geoffrey Parker pubblicò un lavoro molto interessante, The Military Revolution, con sottotitolo La guerra e lo sviluppo dell’Occidente 15001800. Alla fine del secolo un’ulteriore edizione dell’opera, tradotta in diverse lingue, restringe fra la fine del XV e la fine del XVI secolo la cronologia della “rivoluzione militare”. La “rivoluzione militare” è il risultato dell’azione combinata di diversi elementi che sostanzialmente hanno facilitato il mutamento in profondità dell’arte della guerra, che Geoffrey Parker descrive dettagliatamente nel suo libro. La locuzione rivoluzione militare si riferisce ad un radicale cambiamento nella tecnologia e nelle strategie e tattiche militari, avvenuti tra il medioevo e l'età moderna, che influirono sulle forme di governo in Europa e favorirono l'inizio del dominio coloniale europeo nel mondo e l’esportazione del modello occidentale.

CAPITOLO PRIMO LA RIVOLUZIONE MILITARE E L’EUROPA Sir Roger Williams, soldato gallese di fortuna e teorico militare, che servì la causa protestante, combattendo contro gli spagnoli in diversi teatri di guerra, nei suoi scritti sull'arte della guerra, fu un forte sostenitore della modernizzazione degli eserciti e dello sfruttamento di nuove tecnologie militari. Egli nel 1590 affermava che i più grandi condottieri del passato come Alessandro, Cesare, Scipione ed Annibale, non sarebbero mai riusciti a conquistare così facilmente dei paesi come la Germania, la Francia, i Paesi Bassi ed altri se essi allora fossero stati fortificati come lo sono ora. Secondo Williams e molti suoi contemporanei, l’introduzione delle fortificazioni a pianta geometrica e delle armi da fuoco, aveva rivoluzionato così tanto l’arte della guerra da far sì che non ci fosse più niente di utile da imparare dal passato. Ovviamente non si trattava di una visione universalmente unanime. Antichi e moderni erano però unanimi nel disprezzare il millennio trascorso tra la caduta dell’impero Romano (476) e la presa di Costantinopoli (1453). Quindi il Medioevo appariva come privo di esempi e di analogie interessanti. C’erano scrittori rinascimentali di cose militari che ripugnavano gli esempi dell’antichità, ed altri che li esaltavano. Anche Niccolò Machiavelli, esperto di cose militari, si espresse al riguardo. Parlando delle guerre delle generazioni appena precedenti affermò: “in tanta debolezza vennono che le si cominciavano sanza paura, trattavansi sanza pericolo, e finiansi sanza danno”. In tempi più recenti, molti storici hanno quindi iniziato a considerare gli eserciti medievali nella semplice condizione di “masse”, “completamente, gloriosamente indisciplinate” e hanno anche negato la possibilità di applicare concetti quali quello di “strategia” e di “pianificazione” alla guerra medievale. Questa è in realtà una visione errata, inquantoché gli eserciti medievali venivano sottoposti alla stessa tensione fra tecniche offensive e difensive, da cui derivano la strategia e le innovazioni militari. Le origini di un nuovo modo di fare la guerra in cui i castelli in muratura venivano usati per creare una difesa in profondità sono stati fatti risalire agli Angiò degli inizi dell’XI secolo. Infatti, proprio a partire dall’ XI secolo, con il progressivo diffondersi di castelli e fortificazioni, ci furono tutte le condizioni necessarie ad un pensiero strategico. Questo perché i leader militari di fronte a castelli e fortificazioni erano costretti sostanzialmente ad aumentare le fila degli eserciti, a migliorarne la disciplina e a perseguire una strategia di logoramento che fosse attentamente calcolata. Un assedio poteva durare da qualche mese fino anche a vari anni. L’obiettivo dei leader militari non era quello di paralizzare le forze nemiche, ma di espugnare e catturare i punti fortificati, infatti se non veniva conquistata nessuna roccaforte si finiva per capitolare. L’incastellamento fu un ingrediente indispensabile per l’affinamento delle strategie militari. In un primo momento lo stile delle fortificazioni era del tipo verticale, almeno in quel periodo, e non c’era nessuna necessità di cambiarlo: nelle aree in prossimità di castelli e città fortificate, la guerra rimase per lungo

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tempo più che altro un affare di manovre, scaramucce e assedi prolungati (situazione di stallo) durante i quali le operazioni militari fondamentali erano: assedio, lancio di proiettili, assalto. Nel XV secolo, l’invenzione dei cannoni d’assedio pose temporaneamente fine a questa situazione di stallo à sviluppo delle armi da fuoco in Europa a partire dagli anni ’20 del 1400. Inizialmente l’impiegare anche un solo cannone poteva portare alla resa immediata di una guarnigione. Le bombarde erano estremamente potenti, ma poco pratiche, perché troppo pesanti e scomode da trasportare via terra e quindi rappresentavano un problema solo per le città che potevano essere accessibili via acqua (le bombarde pesavano diverse tonnellate e quindi venivano trasportate solo con imbarcazioni). Un esempio di tali cannoni è il Mons Meg costruito per il Duca di Borgogna nel 1449, del peso di 8,5 t e del calibro di 500 mm. Di conseguenza, armi di tal fatta ebbero un futuro breve in Occidente, anche perché poi esistevano fortificazioni contro le quali, o perché abilmente progettate, o per le loro difese naturali, perfino la più grande bombarda era impotente. Durante tutto il XV si diffusero sempre di più i cannoni di piccolo calibro, più maneggevoli ed efficaci rispetto alle bombarde. Grazie ad essi si poté ritenere conclusa l’età della “difesa verticale”. Il vero catalizzatore del cambiamento fu l’invasione francese della penisola del 1494-95 ad opera di Carlo VIII che condusse in Italia un esercito di 18.000 uomini e un parco di artiglieria ippotrainato di almeno 40 cannoni à l’invasione francese fu considerata uno spartiacque nella storia dell’innovazione militare. Lo sviluppo di cannoni di piccolo calibro e di maggiore mobilità usati in gran numero permise l'espugnazione di numerose fortezze tradizionali da parte dei francesi contro le città fortificate. Guicciardini attribuisce ai francesi tutti i cambiamenti nel modo di combattere le guerre. Inoltre in 10 anni: 1482-92 la corona spagnola espugnò le fortezze moresche del regno di Granada, ritenute per 200 anni inaffrontabili, grazie ad un parco di 180 cannoni d'assedio. RIEPILOGANDO: La tecnologia delle fortificazioni verticali iniziata nell'XI secolo aveva portato alla proliferazione di castelli in tutta Europa spostando la bilancia dell'equilibrio tra difesa ed attacco in favore della prima. Questo predominio si protrasse fino all'inizio del XV secolo, quando l'impiego dei cannoni d'assedio rovesciò momentaneamente il rapporto di forze fra assediati ed assedianti in favore di questi ultimi, fino a comportare la resa di un castello alla sola vista dei cannoni. In un processo dialettico, che si può riscontrare in ogni periodo storico, i progressi nelle tecniche d'assedio comportarono progressi nelle fortificazioni e vice versa. La risposta alla bombarda d'assedio fu teorizzata da Leon Battista Alberti nel suo trattato De re aedificatoria scritto attorno al 1450 e pubblicato nel 1485. Le fortificazioni difensive sarebbero state più efficaci se irregolari: le fortezze avrebbero dovuto avere una forma a stella ed essere dotate di bastioni. Si abbassarono e si rinforzarono le mura e si costruirono bastioni angolati ai quattro lati muniti di bocche da fuoco in grado di tenere a bada l’artiglieria nemica e di coprire gli angoli morti dei bastioni limitrofi. Si costruirono anche ampi e profondi fossati allo scopo di tenere a maggior distanza l’artiglieria nemica e rendere più difficile il posizionamento delle mine sotto le mura. Solo però alla fine del secolo iniziarono a costruirsi queste nuove fortificazioni di stile moderno, ad esempio il bastione di San Miniato a Firenze, Castel Sant’Angelo a Roma, la fortezza di Civitavecchia. Le nuove fortificazioni avevano, però, un costo molto elevato, tanto che i debiti contratti dalla repubblica di Siena per le nuove fortezze, le impedirono di arruolare un esercito di soccorso contro l'assedio dei fiorentini che si concluse con la resa di Siena nel 1555. La rivoluzione militare aveva direttamente portato all’estinzione di uno stato! Solo dopo il 1530 la trace italienne (fortificazione alla moderna, come era conosciuta la trace italienne nella sua terra d'origine) iniziò a diffondersi in Europa occidentale. Per esempio nei Paesi Bassi fra il 1529-72 furono costruiti ben 43 chilometri di difese bastionate. La trace italienne fu esportata anche nei domini d'oltremare spagnoli e portoghesi. Le nuove fortezze richiedevano tempi molto lunghi per essere espugnate e grandi opere di contro-fortificazione per proteggere gli assedianti. Le opere di assedio intorno alla città da assediare potevano essere anche assai estese, anche decine di km. Il bastione aveva reso antiquata la maggior parte delle mura medievali. Così l'equilibrio tra attacco e difesa si ristabilì dopo il Rinascimento in Europa.

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La diffusione delle fortificazioni ridusse l'importanza delle battaglie campali in favore degli assedi. Il castello si può ritenere l’antenato della piazza-forte. Le complesse e poderose fortezze e città-piazzaforti bastionate sono state fra gli elementi chiave della guerra durante l’età moderna. A partire dallo sviluppo della trace italienne nel Cinquecento, e proseguendo attraverso le sue evoluzioni seicentesche le fortezze e piazzeforti hanno condizionato la strategia, tanto quella generale (grande strategia), che militare e operativa. Qualunque piazzaforte poteva essere assediata e presa, non esisteva quella imprendibile in senso assoluto, ma solo quella più difficile da prendere di altre. Ma l’assedio richiedeva tempo, e un esercito non poteva fare a meno di proteggere le sue piazzeforti e di conquistare quelle nemiche se voleva avere controllo del territorio e linee di comunicazione sicure. Per questi motivi, per quanto non invulnerabili, le piazzeforti avevano rappresentato, fin dall’antichità, passando per il Medioevo e poi ancor di più in età moderna, elementi chiave del militare e della guerra. Elementi a cui veniva dedicata particolare attenzione, investendo risorse materiali e finanziarie cospicue. L’avvento del cannone e il conseguente sviluppo della trace italienne aveva, come abbiamo visto, esasperato la centralità delle piazzeforti nell’arte della guerra e nei sistemi militari degli stati europei, convogliando verso di loro, in termini di costruzione e sviluppo, aliquote via via sempre più abbondanti dei bilanci. La trace italienne, e i suoi sviluppi seicenteschi, prendeva forma in opere complesse e costose, estese non solo in termini di lunghezza (pensiamo alle Mura Nuove di Genova) ma anche in profondità, soprattutto per quanto riguarda quelle costruite in pianura: bastioni, fossati, rivellini, spalti e altre opere occupavano spazi territoriali molto ampi, perché, se nell’Antichità e nel Medioevo la difesa si sviluppava in verticale, in età moderna la sua dimensione era orizzontale. Era la profondità, lo spazio orizzontale (non l’altezza, quello verticale) che dava sicurezza nella misura in cui permetteva di proteggere la cinta maestra, ossia la linea di difesa principale della piazzaforte, impedendo al nemico di colpirla direttamente. L’aspetto fondamentale della rivoluzione militare nell'Europa moderna va quindi individuato non già nelle tattiche di fanteria, ma nell'innovazione nelle fortificazioni rappresentate dalla trace italienne. Dove vennero costruite o aggiornate le fortificazioni secondo le nuove dottrine di architettura militare che consideravano e massimizzavano l'utilizzo dell'artiglieria "la guerra diventava una serie di lunghi assedi"; l’elemento comune di queste guerre è infatti la loro durata: una catena di opere d’assedio doveva essere costruita ed armata fino a quando i difensori erano costretti alla resa per fame o le trincee venivano fatte avanzare fin sotto le mura per permettere il bombardamento da vicino o venivano scavate gallerie sotto i bastioni per permettere il posizionamento di mine. Nelle aree dove la trace italienne si sviluppò possiamo individuare una serie di conseguenze tra cui la crescita delle armate per condurre gli assedi, lo sforzo burocratico-logistico per rifornirli e le enormi spese per costruire ed aggiornare i propri forti. Tutto questo, insieme alle coeve innovazioni della guerra navale, portò allo stabilirsi della supremazia militare europea sul resto del mondo. La rivoluzione militare aveva creato un’altra modificazione strategica: in tutte le zone dove erano state erette le fortificazioni l’importanza delle battaglie divenne quasi irrilevante e si ridusse al combattimento tra forze assedianti e colonne di soccorso (venti assedi per ogni battaglia). La rivoluzione rinascimentale della guerra d’assedio si accompagnò ad una rivoluzione nelle battaglie campali, in quanto le tattiche che si affidavano all’uso diretto della forza bruta (cariche, combattimento corpo a corpo) cedettero il passo all’uso delle armi da fuoco. La guerra feudale, di ridotte dimensioni geografiche e senza significative combinazioni strategiche, si riduce a uno scontro fisico di due pesanti cavallerie, armate di ferro, coraggio e onore. Fino ad Azincourt (1415) si tratta del periodo delle armature e degli scudi, degli elmi, delle spade e dell’ascia, quindi degli archi scozzesi o gallesi o delle picche svizzere o fiamminghe, che introducono il fante nella battaglia con una funzione diversa da quella di “sgozzare” il nemico caduto dopo il combattimento. Questo è anche il periodo della comparsa delle prime monarchie, il cui potenziale statale costituisce il preliminare decisivo della crescita della potenza militare e la condizione essenziale del cambiamento dell’arte della guerra alla fine del XV secolo. È a questo punto che si produce una rivoluzione nelle armi con l’utilizzazione della polvere da sparo giunta dall’Oriente. Le armi da fuoco di piccolo calibro, sia portatili che trainate fecero per la prima volta la loro comparsa sui campi di battaglia europei durante il XVI secolo, ma rimasero per lungo tempo inferiori

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all’arco, sia in termini di precisione che di gittata. Le prestazioni di queste prime armi da fuoco lasciavano alquanto a desiderare: un arciere ben addestrato poteva lanciare dieci frecce al minuto ed arrivare con precisione fino a 200 metri, mentre occorrevano diversi minuti per ricaricare un archibugio il cui tiro arrivava fino a 100 metri. Tuttavia l’arma da fuoco esercitava una notevole attrazione perché non richiedeva alcun addestramento, a fronte di numerosi anni di allenamento per produrre un arciere capace. In Italia le armi da fuoco furono subito accettate di buon grado e divennero sempre più importanti, tanto che nel 1508 la Repubblica di Venezia decise di sostituire tutte le balestre con archibugi. Le armi da fuoco diventano l’armamento principale degli eserciti del XVI secolo con la comparsa del moschetto, dopo il 1550 (reggimenti spagnoli in Italia) al punto da innescare una riflessione teorica sulla composizione degli eserciti e sul ruolo rispettivo della cavalleria e della fanteria e di determinare, più tardi, il passaggio dalle formazioni a “quadrato” a quelle in “linea”. Il moschetto era un fucile più moderno e più potente rispetto all’archibugio. Infatti, gradualmente il moschettiere divenne il padrone dei campi di battaglia da dove scacciò tutti gli altri specialisti militari. I primi ad uscire di scena furono gli uomini armati di spadoni, seguiti poi dagli alabardieri e successivamente anche la cavalleria divenne scarsa (Per Machiavelli l’esercito ideale aveva 20 fanti per ogni cavaliere); a seguito ci fu la scomparsa di balestrieri ed arcieri, mentre i picchieri rimasero. La cavalleria del Medioevo fa corpo con il suo destriero, in una massa abbastanza confusa di uomini e di cavalli che sono la sola formazione di combattimento, in un periodo in cui i combattenti a piedi erano fortemente negletti. Il cavaliere del XVI secolo deve cooperare con il fante. Picchieri e archibugieri sono mescolati nella formazione; i primi, mobili, proteggono i secondi immobilizzati dall’impiego della forcella (elemento d’appoggio per il tiro dei moschetti e dei grossi archibugi), schierati secondo le ordinanze, al centro o alle ali del grosso quadrato di uomini a piedi. Gli uomini armati con le armi da fuoco finiscono per imporsi come strumento principale di un esercito in operazioni, nel cui ambito la cavalleria e la fanteria devono mutuamente sostenersi. Nello stesso tempo, la fanteria diventa la regina del campo di battaglia mentre la cavalleria, che domina ancora nel XVI secolo, diventa un’arma di manovra alle ali nel XVII secolo. Fra il 1650 e il 1660 la maggior parte delle unità comprendeva tiratori e picchieri in un rapporto di 3 o 4 ad uno, mentre in precedenza tale rapporto era di 1 (moschettiere) a 3 (picchieri). Il ritmo di fuoco era ancora molto lento ed i picchieri proteggevano i moschettieri. Tra il 1590 ed il 1600 (precisamente in una lettera datata 1594 Guglielmo di Nassau asseriva di aver tratto spunto da uno studio dei metodi militari dei romani), i comandanti dell’esercito olandese: i conti cugini Maurizio e Guglielmo di Nassau per aumentare il ritmo di fuoco dei moschettieri inventarono la tecnica a raffica o fuoco a raffica: i moschettieri venivano schierati in lunghe file consecutive; i componenti della prima fila sparavano insieme e poi si ritiravano per ricaricare l’arma, mentre le file successive avanzavano e facevano lo stesso; in questo modo si poteva mantenere una gragnola continua di pallottole per tenere in scacco il nemico. Le battaglie dell’età moderna finirono per essere combattute in file lunghe e sottili: da un quadrato di picchieri profondo 50 uomini si passava quindi ad una linea di moschettieri profonda 10 à ogni soldato era più esposto al corpo a corpo e ciò richiedeva maggiori coraggio, efficienza e disciplina. Un aspetto fondamentale fu quello dell’addestramento: le truppe andavano istruite a compiere contemporaneamente le operazioni di sparo, contromarcia, caricamento e manovra, pertanto i conti di Nassau divisero il loro esercito in formazioni più piccole e fu loro insegnato come addestrarsi con continue esercitazioni. L’addestramento si rivelava essere il punto focale di maggiore importanza e a tale scopo Giovanni di Nassau, fratello di Guglielmo lavorò assiduamente alla pubblicazione di un manuale di esercitazioni illustrato pubblicato nel 1607 ad Amsterdam da Jacob de Gheyn (maestro incisore) con la supervisione di Giovanni di Nassau, “Wapenhandlingen van roers, musquetten end spiessen” (“Addestramento con archibugio, moschetto e picca”) libro di grande successo che si diffuse in tutta Europa, tanto da essere rapidamente ristampato in numerose edizioni e diverse lingue (olandese, danese, tedesco, francese, inglese) e per molti anni poche furono le opere dedicate all’arte militare a non fare menzione ai nuovi metodi. Esperti istruttori militari olandesi vennero anche inviati in diversi paesi europei per propagare tali innovazioni. Giovanni di Nassau nel 1616 apre un’Accademia Militare a Siegen: Schola Militaris dove l’addestramento dura 6 mesi. Il pieno valore delle riforme tattiche dei conti di Nassau trova espressione in Gustavo Adolfo di Svezia che un quarto di secolo dopo ne dimostrò tutto il potenziale perfezionando la rapidità nel ricaricare le armi per cui le file di moschettieri si riducono a 6 ed inoltre addestra la cavalleria a caricare con le spade sguainate. La superiorità del sistema militare svedese fu dimostrata nella battaglia di Breitenfeld, alle porte

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di Lipsia nel 1631. Dopo questa battaglia la maggior parte degli altri stati iniziò ad acquistare cannoni svedesi in gran numero ed il moschetto rimase per più di due secoli “l’arma regina dei campi di batt...


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