Riassunto dettagliato della Rivoluzione Francese PDF

Title Riassunto dettagliato della Rivoluzione Francese
Course STORIA MODERNA
Institution Università della Calabria
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Questo è un riassunto molto dettagliato della rivoluzione francese, con vari approfondimenti delle cause che hanno indotto alla rivoluzione....


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Cap. 19 La rivoluzione francese 19.1 Crisi e mobilitazione politica La rivoluzione francese trasformò il sistema di potere, i contenuti e i metodi della politica non solo in Francia, ma in tutta l’Europa continentale. Fu una trasformazione radicale, profonda: mescolò sangue e violenza, passioni civili e immaginazione politica. La rivoluzione scoppiata nel 1789 affondava le sue radici nella lunga crisi attraversata dalla Francia nel XVIII secolo. Dalla morte di Luigi XIV (1715) l’assolutismo si era indebolito senza riuscire a riformarsi. Costanti erano i conflitti e gli attriti fra il sovrano e i Parlamenti, senza che nessuna delle due istituzioni riuscisse a prevalere. Il paese che aveva prodotto le opere più nuove del pensiero politico settecentesco era anche il paese in cui la vita politica ristagnava nelle forme più tradizionali. LA CRISI FINANZIARIA Fra i tanti problemi di governo, uno sembrava riassumerli tutti: l’incapacità di risolvere la crisi finanziaria. L’indebitamento statale aveva raggiunto da tempo dimensioni tali da esigere l’adozione di energici provvedimenti. Il re e i suoi ministri propendevano per la tassazione dei ceti privilegiati. Nell’ordinamento tradizionale del regno, il clero e la nobiltà erano effettivamente esonerati dalle contribuzioni ordinarie, clero e nobiltà tuttavia si opponevano. Per di più l’esenzione dalla «taglia» e dalle altre imposte ordinarie costituiva il segno distintivo degli appartenenti ai due ordini privilegiati, rispetto al resto della popolazione, e veniva quindi considerata come una delle leggi fondamentali del regno, sulle quali il re non poteva intervenire senza il consenso delle assemblee rappresentative. In assenza degli Stati generali (l’assemblea generale dei tre ordini del regno), che non erano più stati convocati dal 1614 [ ►8.3], il Parlamento di Parigi (composto da magistrati nobili e quindi privilegiati) si era infatti arrogato il ruolo di rappresentante della nazione e si contrapponeva al re e alle sue pretese. E il re Luigi XVI (succeduto al nonno Luigi XV nel 1774) non aveva né il prestigio per trovare il consenso a una riforma fiscale né la forza per imporla. L’opposizione alla corona e alla corte attraversava infatti tutta la società e si nutriva di una crescente elaborazione culturale e politica. Il paese si era di un forte benessere negli ultimi decenni, portando con sé una crescita culturale, che si era estesa a tutta la popolazione. Anche in Francia si era avuto un grande sviluppo dell’editoria e nella vicina Olanda si potevano far stampare tutte le opere che la censura vietava di pubblicare in patria. Negli anni precedenti il 1789 c’era quindi stata una vivace circolazione di letteratura clandestina di tipo propriamente politico, ma anche francamente pornografico e ciò aveva contribuito a formare un’opinione pubblica criticamente anticonformista. Fu su questo distacco dalla cultura e dalla morale tradizionale che agirono i fermenti e le speranze, che confluirono alla convocazione degli Stati generali e a tutti i successivi avvenimenti. Nell’estate del 1787 aveva infatti cominciato a prendere corpo la richiesta di affidare la soluzione della questione fiscale agli Stati generali e i mesi successivi videro una progressiva mobilitazione politica della società che costrinse il re, nel 1788, alla convocazione degli Stati generali. L’obiettivo di restaurare l’antica rappresentanza dei ceti registrò una provvisoria coincidenza di interessi fra nobiltà e Terzo stato. Il clero: da tempo in tutti i paesi cattolici si discuteva dei privilegi della Chiesa. La nobiltà: era stata protagonista di un notevole dinamismo politico. Sotto la reggenza di Filippo d’Orleans ai nobili era stato nuovamente affidato un attivo ruolo di governo, e il diritto a partecipare all’amministrazione della res pubblica. Grazie al generale sviluppo dell’agricoltura, la nobiltà aveva

inoltre beneficiato di un incremento delle proprie entrate e in molti casi alla maggiore ricchezza si erano accompagnati maggiori interessi culturali e più grande apertura mentale. Ciò non toglie che forti sentimenti antinobiliari attraversassero l’intera nazione, come dimostra la diffusione di satire in cui un contadino/a portano sulle spalle un gentiluomo e un prete o una gentildonna e una suora, a indicare il peso che gravava sui ceti produttivi in virtù delle posizioni parassitarie occupate dai ceti privilegiati. Terzo stato: raccoglieva indistintamente tutti i francesi che non erano né nobili né ecclesiastici: la grande borghesia dei commercianti, delle manifatture, finanza, la borghesia media, i proprietari terrieri medi e piccoli, gli artigiani, i contadini e i braccianti rurali. La popolazione era in stragrande maggioranza insediata nelle campagne: quella francese era la struttura tipica della società di ancien régime. Su una popolazione totale di 24-25 milioni, il Terzo stato rappresentava in percentuale il 98%. Finanzieri e banchieri erano le figure di maggiore prestigio della borghesia. Ma più importanti si riveleranno nelle successive vicende politiche gli uomini di legge, gli avvocati soprattutto. VOTAZIONE PER TESTA O PER ORDINE? Gli Stati Generali erano un'assemblea in cui ogni ordine sociale (nobiltà, clero e terzo stato) doveva avere un numero eguale di deputati, inoltre era previsto che si votasse per ordine e non per testa, con l’attribuzione cioè, di un solo voto per ciascuno degli ordini, in questo modo l’alleanza fra ceti privilegiati avrebbe potuto prevalere sistematicamente sul Terzo stato. Il re concesse, dunque, il raddoppio dei membri del Terzo stato, ma lasciò irrisolto il problema fondamentale del sistema di votazione. Portatore delle richieste di raddoppio e di una diversa procedura di voto fu il partito nazionale, raggruppamento eterogeneo di intellettuali del Terzo stato, nel quale confluirono anche nobili illuminati ed esponenti del clero. Il «partito nazionale» fu l’espressione dell’opinione pubblica illuminista e liberale, dei suoi strumenti di comunicazione (giornali, pamphlets, circoli, logge massoniche, ecc.) e di un programma mirante all’eguaglianza politica, al governo rappresentativo, al benessere del popolo. (Il quadro più ampio delle aspettative del Terzo stato e degli altri corpi fu quello fornito dai cahiers de doléances (quaderni di lagnanze), documenti che raccoglievano le rimostranze e le proposte espresse a livello locale. Redatti in seguito alla consultazione promossa dal sovrano per la riunione degli Stati Generali, i cahiers furono, insieme all’elezione dei rappresentanti, il momento più significativo della mobilitazione politica e l’espressione più estesa del malessere della Francia. Un esame dei cahiers consente di capire come il clero e nobiltà si pronunciavano per il mantenimento della società d’ordini, mentre il Terzo stato sosteneva l’eguaglianza giuridica, l’abolizione dei privilegi e della venalità degli uffici insieme all’adozione del criterio del merito e del talento come forma di promozione sociale.) 19.2 1789: il rovesciamento dell’ancien règime Il sistema di voto rimaneva dunque irrisolto, e questo sarà visibile nel marzo del 1789 quando si tennero le elezioni (a solo suffragio maschile) dei deputati agli Stati generali. In ogni circoscrizione, i rappresentanti del clero e della nobiltà furono eletti direttamente. Per il Terzo stato era previsto invece un sistema diverso: gli elettori, che dovevano aver compiuto 25 anni ed essere contribuenti, designavano i loro delegati – della parrocchia, della corporazione o del quartiere –, i quali confluivano in un’assemblea che a sua volta eleggeva i deputati. Nonostante l’ampiezza dell’elettorato contadino e artigiano, i deputati del Terzo stato furono tutti di estrazione borghese uomini di legge, commercianti, mercanti e finanzieri, proprietari terrieri, uomini di

scienza e molti medici. Furono eletti nel Terzo stato anche due transfughi dagli altri ordini, l’abate Sieyès e il conte Mirabeau, esponenti di spicco del «partito nazionale». Al momento della seduta inaugurale degli Stati generali, a Versailles il 5 maggio la maggioranza numerica dei deputati era dunque favorevole a un profondo rinnovamento delle strutture politiche e amministrative. Ma questa maggioranza non era in grado di far valere il proprio peso finché non venisse riconosciuto il voto per testa. LA SEDUTA DELLA PALLACORDA-L’ASSEMBLEA NAZIONALE COSTITUENTE Ancora una volta l’iniziativa spettò al Terzo stato che, con l’appoggio di alcuni membri del basso clero, il 17 giugno si autoproclamò Assemblea nazionale. Il 20, i deputati, trovata chiusa per ordine del re la loro sede, riuniti nella Sala della Pallacorda (un locale adibito a un gioco simile al tennis), giurarono di non sciogliersi prima di aver dato alla Francia una Costituzione. A essi si aggiunse la maggioranza del clero e, dopo qualche giorno, il re dovette cedere e ordinò alla nobiltà e alla minoranza del clero di unirsi al Terzo stato: a questo punto gli Stati generali cessavano di esistere e di lì a poco nasceva (9 luglio) l’Assemblea nazionale costituente. LA PRESA DELLA BASTIGLIA: 4 LUGLIO 1789 Luigi XVI sconfitto sul piano politico, decise di ricorrere alla forza: il licenziamento di Necker, direttore generale delle Finanze ed elemento moderato del governo, apparve come l’inizio di un tentativo di annullare con le armi i successi del Terzo stato. A Parigi, come risposta a queste preoccupazioni, cominciò a formarsi (13 luglio) una milizia borghese con lo scopo di contrapporsi alla repressione regia. Nelle stesse ore strati consistenti di popolo minuto si venivano armando. Il 14 luglio, alla ricerca di armi, un corteo popolare giunse sotto le mura del castello della Bastiglia, la prigione-fortezza posta nella parte orientale della città. La guarnigione aprì il fuoco e fece un centinaio di morti, ma dovette arrendersi al minacciato assalto della folla: vennero uccisi anche il governatore della Bastiglia e il capo dei mercanti (che si era opposto all’armamento del popolo): le loro teste infilzate su una picca fecero il giro della città. Il 14 luglio sarà considerata in seguito la data iniziale della rivoluzione, per divenire, dal 1880, festa nazionale francese. E in effetti la presa della Bastiglia impresse una svolta alla vicenda rivoluzionaria. In meno di un mese, una serie di atti rivoluzionari – la formazione dell’Assemblea nazionale, l’organizzazione della milizia borghese, l’instaurazione di nuove rappresentanze municipali che, iniziata a Parigi, si estese a tutte le province – testimoniava il progressivo sgretolamento dell’ancien régime. L’ABOLIZIONE DEL SISTEMA FEUDALE Nella seconda metà di luglio fu rilevante la sollevazione delle campagne dovuta alla difficile situazione economica per via del cattivo raccolto del 1988, l’innalzamento del frumento e di conseguenza del pane. A tal motivo si aggiungeva la paura di congiure aristocratiche e la diffusione di confuse notizie da Parigi, esplose in una violenta rivolta antifeudale. Furono assaliti e devastati i castelli, incendiati gli archivi signorili, dove era conservata la documentazione dello sfruttamento feudale. E’ così che l’Assemblea Nazionale costituente decise l’abolizione del regime feudale. Nei giorni seguenti questa decisione fu tradotta in decreti che sopprimevano tutti i privilegi giuridici e fiscali, la venalità delle cariche e la decima ecclesiastica. Per i diritti feudali fu stabilito che quelli gravanti sulle persone (come le corvées) erano interamente aboliti, mentre i diritti sulle terre (diritti reali), considerati una forma di proprietà, dovevano essere riscattati. In realtà i contadini si considerarono da allora interamente liberi, non pagarono alcun indennizzo e, nella stragrande maggioranza, si legarono indissolubilmente al nuovo regime. LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO In quello stesso mese, il 26 di agosto, fu discussa e approvata dall’Assemblea la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, il documento più celebre della rivoluzione, destinato a divenire un

punto di riferimento per tutti i regimi liberali e democratici della società contemporanea. Espressione delle idee illuministe, la Dichiarazione rivendicava i princìpi fondamentali della libertà e dell’uguaglianza («Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti», art. 1) e poneva come obiettivo «di ogni associazione politica [...] la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione» (art. 2). Per i princìpi dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e del libero dispiegarsi delle capacità senza nessuna distinzione di ceto o di privilegio, nonché per l’attribuzione della sovranità alla nazione, la Dichiarazione costituì, come è stato scritto, «l’atto di morte dell’ancien régime». Tuttavia, il re infatti si rifiutò di sanzionare i decreti. IL 5 OTTOBRE E IL CORTEO DELLE DONNE A Parigi cresceva intanto il livello della partecipazione politica in rapporto all’elezione dei rappresentanti al Comune, ma aumentava anche la tensione popolare per la scarsità dei generi alimentari e per il timore di una reazione aristocratica. Il 5 ottobre un corteo composto prevalentemente da donne si diresse alla volta di Versailles per reclamare pane e per riportare il re a Parigi. Nella notte il re cedette sui decreti antifeudali e la mattina successiva, dopo che un’invasione nel palazzo fu ostacolata dalla Guardia nazionale, acconsentì, sotto la pressione della folla, a trasferirsi a Parigi, nella reggia delle Tuileries. Il lungo corteo che il 6 ottobre mosse verso la capitale vide provvisoriamente uniti in una concordia apparente tutti i protagonisti di un dramma politico: il re e la sua famiglia, i deputati dell’Assemblea, il popolo parigino, la Guardia nazionale. L’indebolimento della monarchia, ormai prigioniera di Parigi, forse avrebbe potuto essere arginato se il re avesse accettato l’obiettivo di una soluzione costituzionale all’inglese. Ma Luigi XVI non aveva né le capacità politiche, né la mentalità, né il temperamento per accettare il nuovo regime e quindi venire coerentemente a patti con i suoi rappresentanti. LA REQUISIZIONE DEI BENI ECCLESIASTICI L’ultima spallata alla struttura dell’ancien régime fu, nel novembre, la requisizione dei beni ecclesiastici. In seguito, nel febbraio 1790, furono proibiti i voti monastici e aboliti gli ordini religiosi, salvo quelli dediti all’insegnamento e all’assistenza ospedaliera. Dopo la requisizione dei beni della Chiesa apparve inevitabile che spettasse allo Stato il mantenimento degli ecclesiastici, equiparati ai funzionari pubblici dalla Costituzione civile del clero, votata nel 1790. Questa profonda modifica dell’organizzazione ecclesiastica fu, prevedibilmente, condannata dal papa, Pio VI (marzo- aprile 1791). Solo 7 vescovi su 130 prestarono il giuramento, mentre il basso clero si divise a metà fra favorevoli (costituzionali) e contrari (refrattari) alla Costituzione civile. Il gravissimo scisma che si venne così aprendo nella Chiesa di Francia ebbe come conseguenza lo schierarsi di una parte consistente e progressivamente maggioritaria del clero tra le file della controrivoluzione. Cessarono infine le discriminazioni nei confronti dei protestanti ai quali, nel dicembre 1789, furono riconosciuti i diritti civili. Tale riconoscimento fu esteso agli ebrei del Sud nel gennaio 1790 e a quelli dell’Est nel settembre 1791. L’abolizione della schiavitù nelle colonie sarà invece decretata solo nel febbraio 1794 19.3 La monarchia costituzionale: 1790-1791 Il 1789 suscitò entusiasmi e aspettative diffuse: crebbe in tutta la Francia la mobilitazione intorno agli ideali rivoluzionari. si celebrò a Parigi, il 14 luglio 1790, nell’anniversario della presa della Bastiglia, la grandiosa Festa della federazione. La Festa della federazione testimoniò l’ampiezza dell’adesione e del consenso alla rivoluzione. Ma gli aspetti celebrativi mascheravano un’unanimità fittizia e provvisoria. In realtà le differenze di orientamento politico erano profonde e già pienamente visibili e manifeste, se solo si prendono in esame i due principali canali di mobilitazione e di propaganda: i club e la stampa.

Fra i club la Società dell’89 era di tendenze moderate. Posizioni radicali aveva invece la Società degli amici dei diritti dell’uomo e del cittadino, FONDATA NEL 1790. Ad essa aderirono alcuni protagonisti della fasi più accese della rivoluzione: Danton, AVVOCATO, il medico Marat e il giornalista Hébert. Ma il club più importante si rivelerà quello dei giacobini (dal nome dell’ex convento di S. Giacomo) nato nel 1789. Organizzati secondo una rigida disciplina i giacobini miravano, con un’intensa attività, a esercitare un controllo serrato sull’attività delle istituzioni. Fra i membri di maggiore spicco dei giacobini ricordiamo Robespierre e Brissot futuro leader dei girondini. La libertà di stampa (ART.11 della dichiarazione dei diritti) aveva favorito il proliferare di numerosissime pubblicazioni periodiche di ogni tendenza: democratica, moderata, controrivoluzionaria. Quando nel dicembre 1789, si trattò di decidere i criteri in base ai quali attribuire i diritti politici, i cittadini furono distinti in attivi e passivi in base al censo (cioè alla ricchezza), gli appartenenti agli strati più poveri della società, circa 3 milioni erano considerati cittadini passivi ed erano esclusi dal diritto di voto. Nonostante la sua importanza, la questione dei diritti politici rimase sullo sfondo anche perché le elezioni si tennero solo nel 1791. L’ATTEGGIAMENTO DI LUIGI XVI E LA CONTRORIVOUZIONE Luigi XVI continuava a subire passivamente la rivoluzione. Era inoltre sempre più legato al «partito» della regina Maria Antonietta (figlia di Maria Teresa D’Austria) decisa controrivoluzionaria, e alla consistente emigrazione nobiliare che si organizzava all’estero in previsione di un ritorno dell’ancien régime, se necessario con l’aiuto delle grandi potenze europee. LE NUOVE STRUTTURE AMMINISTRATIVE-L’ASSEMBLEA LEGISLATIVA Nello stesso arco di tempo, fra il 90 e il 91, l’Assemblea costituente proseguì nella grande opera di edificazione delle nuove strutture amministrative. La Francia fu suddivisa in 83 dipartimenti, e i dipartimenti in circondari, geograficamente omogenei, per consentire di recarsi e tornare in giornata dal centro amministrativo più vicino. Fu instaurato un compiuto decentramento che rovesciava il sistema accentrato voluto dalla monarchia assoluta e realizzato dagli intendenti. Parigi fu divisa in 48 sezioni (o circoscrizioni) che corrispondevano ad altrettante assemblee elettorali. L’Assemblea, ispirata da princìpi liberisti e anticorporativi, non solo soppresse tutte le corporazioni di mestiere, ma vietò altresì, le coalizioni operaie e gli scioperi. Il regime politico che veniva definendosi con le riforme era un regime liberale, fondato sulla separazione dei poteri. I giudici divennero elettivi. Fu previsto un Parlamento composto da una sola camera, L’Assemblea legislativa, della durata di 2 anni. -I ministri, di nomina regia, erano responsabili solo di fronte al sovrano e non potevano essere membri dell’Assemblea. -Il re aveva facoltà di opporre un veto sospensivo alle leggi votate dall’Assemblea. Il sistema previsto dalla Costituzione del’91 per un suo corretto funzionamento esigeva un accordo fra sovrano e Assemblea. Ma l’equilibrata realizzazione di una monarchia costituzionale, fu spazzata via dalla fuga del re da Parigi nel 20-21 giugno 1791. Il gesto del re mostrava la sua chiara adesione ai programmi degli emigrati e della controrivoluzione. Riconosciuto e fermato a Varennes, il re fu ricondotto a Parigi, insieme alla famiglia. 19.4 La svolta del 1792: AFFERMAZIONE DELL’ASSEMBLEA LEGISLATIVA SOSTITUITA A QUELLA NAZIONALE Nel settembre 1791 si sciolse l’Assemblea nazionale costituente e si riunì il nuovo Parlamento, l’Assemblea legislativa, costituita da deputati moderati, costituzionali (che si riconoscevano nella costituzione) e giacobini (alcuni dei quali erano brillanti deputati della Gironda, zona di Bordeaux da cui il nome girondini). L’AUSTRIA E LA PRUSSIA

Nel frattempo gli emigrati continuavano a organizzare la controrivoluzione, appoggiati dall’Austria e dalla Prussia. Il 20 aprile 1792 fu dichiarata guerra all’Austria soprattutto per volere dei girondini, cer...


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