Riassunto Letteratura.it 3B - Giuseppe Langella, Pierantonio Frare, Paolo Gresti, Umberto Motta PDF

Title Riassunto Letteratura.it 3B - Giuseppe Langella, Pierantonio Frare, Paolo Gresti, Umberto Motta
Author Francesco Sermarini
Course Letteratura italiana moderna e contemporanea
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
Pages 19
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Riassunto Letteratura.it tomo 3B (sono esclusi gli autori)...


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IL SECONDO NOVECENTO (1919-1943) LE AVANGUARDIE STORICHE IN EUROPA Il Futurismo fu la prima delle cosiddette avanguardie storiche, cui seguirono altri movimenti d’avanguardia, su tutti il Dadaismo, il Surrealismo e l’Espressionismo. Prima di parlare di queste avanguardie, è interessante notare che il Futurismo si era diffuso in Europa e perfino oltreoceano, attecchendo particolarmente in Russia. Qui il Futurismo assunse una connotazione politica/rivoluzionaria: il poeta e drammaturgo Vladimir Majakovskij nella sua opera celebra la classe operaia e sferza l’ottusità dei quadri di potere. 





DADAISMO: sviluppatasi mentre in Europa infuriava la guerra nel 1916 in Svizzera, a Zurigo. Qui trovarono rifugio artisti e intellettuali di diverse nazioni, tra cui ricordiamo il poeta Tristan Tzara e lo scultore Hans Arp. Nell’immediato dopoguerra il movimento mise radici a Parigi, a Colonia e a Berlino. Il movimento dada volle affidarsi al canone unico di libertà assoluta; SURREALISMO: tra i fiancheggiatori del Dadaismo ci fu anche, per qualche tempo, la rivista parigina “Littérature”, redatta da André Breton e altri. Ad un certo punto i redattori di Littérature si resero conto che il programma proposto da Tzara e compagni mancava di proposte costruttive. Per questo motivo se ne staccarono e fondarono il Surrealismo. L’obiettivo inseguito da questi poeti fu portare alla luce il mondo sepolto nell’inconscio. I surrealisti misero l’arte al servizio dell’immaginario, componendo opere che rispondevano alla logica allucinatoria del sogno. Per liberare l’inconscio dal controllo inibitore esercitato dalla ragione, i surrealisti praticarono la scrittura simultanea, eseguita cioè in uno stato di trance; ESPRESSIONISMO: l’Espressionismo designa una costellazione di esperienze artistiche sviluppatesi nei primi decenni del secolo. L’Espressionismo caratterizzò anzitutto un movimento pittorico, di cui i massimi esponenti furono Kandinskij e Paul Klee. Poi si affermò anche in campo musicale, cinematografico ecc. Presupposto comune a tutte queste esperienze è lo spiccato soggettivismo della visione artistica, che non mira tanto alla rappresentazione della realtà esterna, quanto all’espressione del vissuto interiore, di cui gli oggetti ne sono la rappresentazione.

IL RITORNO ALL’ORDINE E “LA RONDA” Il secondo periodo del Novecento registrò un fenomeno inedito nella storia della letteratura italiana: per la prima volta le vicende letterarie del nostro paese non erano in sintonia con i percorsi europei. In Italia la stagione eroica del Futurismo si concentrò in pochi anni, arrivando a malapena alle soglie della I WW. Gli anni del primo dopoguerra furono caratterizzati da un diffuso “ritorno all’ordine”, ovvero dal recupero dei valori tradizionali. Una completa inversione di rotta, ma sintomo di una rinnovata esigenza di armonia e di equilibrio dopo le sperimentazioni del passato. Il ritorno all’ordine del primo dopoguerra dovrà essere visto come argine all’improvvisazione. Questa

rinnovata esigenza di buon gusto, di perizia tecnica e di misura nacque dall’esperienza traumatica e formativa della guerra. A dominare il panorama letterario del primo dopoguerra fu “La Ronda”, una rivista romana diretta da Vincenzo Cardarelli. Essa fu l’espressione di un gruppo omogeneo di scrittori che trovarono nel giornalismo letterario la loro cifra peculiare. Nei ranghi della Ronda furono arruolati scrittori come Giuseppe Raimondi, Lorenzo Montano, Carlo Linati, Nino Savarese ecc. I prosatori della Ronda spinsero lo sguardo al di fuori di sé. Spesso e volentieri essi attinsero la materia prima delle loro opere dal repertorio mitologico-letterario. In questo modo essi trovarono, rispetto al tema, il distacco necessario a frenare il pathos dell’animo esacerbato. Va detto che il contenimento dell’emozione non sfociò mai in una visione solare e ottimistica del mondo. Il loro classicismo fu due volte anomalo: sia perché non rifletteva alcuna visione olimpica delle cose umane, sia perché il reimpiego della fonte non ebbe mai i contorni di un devoto omaggio, ma piuttosto di una profanazione, di un rimaneggiamento comico-parodistico, sottraendo dignità ai soggetti prelevati dal patrimonio collettivo. A creare questo effetto di straniamento concorse anche lo stile basso e antiletterario dei testi, che sviluppò un contrappunto ironico efficacissimo alla materia sacra. Quella che affiora dalle opere di questi scrittori è una saggezza che non nutre illusioni. La loro fu la filosofia della sottomissione al destino. Sarebbe riduttivo affermare che i prosatori della Ronda non avessero altro fine che svolgere raffinati esercizi di stile. La svolta avvenne nel 1921, con la pubblicazione di una ragionata antologia di pensieri leopardiani estratti dallo Zibaldone. Da allora la ricerca della parola peregrina e il valore supremo dell’eleganza prelevati dall’esempio leopardiano cominciarono a soppiantare lo stile colloquiale della prima poetica rondesca. Sulle ceneri della Ronda nacque il rondismo, a cui si associa la fortuna della cosiddetta “prosa d’arte”. Essa è quel genere minore che esalta la perizia formale della confezione. Celebratissimo autore di prose d’arte fu Emilio Cecchi.

IL ROMANZO DELL’ESISTENZA E LA COSCIENZA DELLA CRISI Se nel primo periodo del Novecento il romanzo non aveva dato particolari segni di vitalità né tanto meno di rinnovamento, gli anni seguenti furono invece caratterizzati da una forte ripresa e da un totale ripensamento del genere. Questa profonda metamorfosi del genere romanzesco non fu tanto il frutto di una decisione concordata da un gruppo di scrittori e formalizzata in termini di poetica, quanto il risultato convergente di alcune eccezionali personalità isolate: tra cui Marcel Proust, Thomas Mann, Robert Musil, James Joyce e Franz Kafka. Accanto a questi meritano un posto d’onore i nostri Italo Svevo, Luigi Pirandello e Carlo Emilio Gadda. Da ricordare anche la nascita della filosofia esistenzialista di cui i principali esponenti furono Jean-Paul Sartre e Albert Camus. Un elemento comune a questa narrativa è lo sviluppo che vi ottiene il mondo interiore del personaggio. Si può parlare proprio in questo senso di romanzo dell’esistenza. Gli scrittori che lavorarono nei primi decenni del Novecento trovarono molto più interessante indagare nelle zone più nascoste dell’animo umano. Nel romanzo dell’esistenza la vita viene interiorizzata. I soli movimenti che interessano solo quelli della coscienza.

L’espediente dell’indagine nell’interiorità del personaggio non era certo una novità, ma nel romanzo dell’esistenza novecentesco venne introdotta una nuova modalità di esplorazione del vissuto, quella del monologo interiore. Esso è più diretto e immediato della descrizione dei moti interiori del personaggio procurata in precedenza dal narratore. Il monologo interiore dà voce alla coscienza del personaggio stesso. Quando poi l’autore vorrà riprodurre nella maniera più esatta il normale funzionamento della mente che si abbandona alle associazioni di idee, mescolando pensieri e fantasticherie si arriverà al flusso di coscienza. Se nel monologo interiore i pensieri conservano ancora un qualche primato, nel flusso di coscienza salta ogni gerarchia. L’altra grande rivoluzione introdotta dal romanzo dell’esistenza riguarda la percezione soggettiva del tempo. Questo non è più il tempo lineare e oggettivo che si misura con i calendari e con gli orologi, ma quello mutevole della coscienza. Questo tempo interiore, proprio perché continua a fluttuare, è un tempo misto, in cui la memoria ha parte preponderante. Il tempo del romanzo dell’esistenza è privo di eventi, di azioni, di colpi di scena. In un’esistenza priva di eventi rilevanti e tutta raccolta tra le pieghe della coscienza, quello che avviene all’esterno si salva dall’insignificanza solo se produce delle risonanze interiori. È la coscienza ad attribuire importanza alle cose. Può accadere così che un’esperienza accidentale acquisti agli occhi del personaggio un rilievo eccezionale. Joyce parlava in questo caso di epifanie. Le epifanie sono dunque i momenti conoscitivi per eccellenza. Assimilabili in parte alle epifanie di Joyce sono le intermittenze del cuore di Proust: un episodio, anche banale, può caricarsi di un inatteso potere evocativo. Il romanzo dell’esistenza si fa carico di rappresentare la crisi epocale del Novecento: i personaggi sono spesso nevrotici e falliti. Tutto il contrario degli eroi romanzeschi dell’Ottocento. Nei personaggi del romanzo dell’esistenza viene portata a conseguenze estreme la crisi dell’uomo novecentesco, alienato, solo, succube di una volontà o di un potere inaccessibili che inspiegabilmente ne persegue la rovina. L’assunzione di una prospettiva marginale consente, però, nello stesso tempo di guardare alla realtà con il distacco necessario per comprenderne l’assurdità e giudicarla più lucidamente. Questo paradossale privilegio è la prerogativa dei tanti protagonisti malati, veri o presunti, del romanzo dell’esistenza. La malattia diventa così un innesco per la conoscenza del mondo. Se per un verso il romanzo dell’esistenza è uno specchio della crisi epocale che ha colpito l’uomo del Novecento, per un altro si distacca sensibilmente dalle forme narrative della tradizione ottocentesca. Ai tratti distinti già indicati aggiungiamo altre tre linee di tendenza: la mania dell’analisi (lo spirito analitico non si applica solo alla psiche ma non lascia sfuggire nessun dettaglia), il taglio saggistico (la coscienza del personaggio non è solo flusso, ma anche autoanalisi; pieni di discorsi intellettuali, prendono addirittura una piega saggistica, ovvero la funzione argomentativa incomincia a prevalere sulla narrazione), la forma enciclopedica (gli scrittori fissavano sulla pagina ogni minimo dettaglio del microcosmo che avevano deciso di raccontare).

“SOLARIA” E IL ROMANZO DI FORMAZIONE La più importante rivista italiana uscita durante il ventennio fascista fu “Solaria” di Alberto Carrocci. Essa divenne il centro di raccolta di quasi tutti i migliori poeti e prosatori del momento: Umberto Saba, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Cesare Pavese ecc. Pur senza rinunciare alla lezione di stile ricevuta in eredità dalla Ronda, i solariani tornarono decisamente alla narrativa di ampio respiro, con l’intento di fornire una radiografia dei mali di cui era affetta la società contemporanea. In particolare, i solariani riportarono in auge il romanzo di formazione. I solariani elessero a loro modello i maestri della Nouvelle revue francaise, i quali avevano rinnovato il genere, capovolgendone la formula originaria. Infatti all’inizio la formazione del giovane prevedeva uno sbocco positivo: ci si poteva considerare maturi quando si trovava un accomodamento tra i propri progetti iniziali e la necessità della vita. Ora questo schema dell’integrazione era stato liquidato da Gide, Radiguet e Cocteau, che avevano inscenato nei loro romanzi il conflitto generazionale. La loro era una rivoluzione copernicana vera e propria nel concepire l’età della crescita: prima si era guardato a questa come a un tempo di preparazione; ora essa era vista come l’unico periodo autentico della vita, libero dai condizionamenti, dalle ipocrisie. Di conseguenza, mentre nel modello dell’integrazione si aveva fretta di crescere per trovare il proprio posto nel mondo, nel modella della rivolta si faceva di tutto per inceppare il meccanismo. Il capolavoro della letteratura solariana fu senza dubbio Il Garofano Rosso di Elio Vittorini, uscito tra il ’33 e il ’34. All’origine dello scontro con il mondo degli adulti ingaggiato da Alessio Mainardi e dagli altri adolescenti protagonisti del romanzo, non ci sono però le stesse motivazioni dei giovani protagonisti dei romanzi di Gide e compagni. Gli adolescenti di Vittorini inseguono un ideale di vita che ha i contorni avventurosi di una favola, rivendicando il diritto di essere autentici, di decidere in piena libertà e di agire spontaneamente.

IL FANTASTICO, IL MAGICO, IL SURREALE Nel campo della narrativa, il secondo Novecento conobbe la massima fioritura del genere dell’inverosimile. Il tentativo fu di suggerire ina visione non superficiale delle cose, mostrando l’essenza metafisica delle cose. Si trattò di una strategia per rimettere in moto la facoltà di sorprendersi davanti alla molteplicità del mondo, per riattivare la curiosità di conoscere la realtà tra le pieghe senza adagiarsi sui luoghi comuni. La narrativa inverosimile presenta al suo interno diverse articolazioni, come diverse furono le suggestioni da cui essa presa le mosse. Alle spalle c’era la tradizione ottocentesca della letteratura fantastica. A partire dagli anni Venti, poi, si affiancarono gli stimoli incrociati provenienti dalla psicanalisi. Partendo dall’arte dei fratelli De Chirico, compito dell’artista diventa il raffigurare, in maniera allusiva e inquietante, una verità che trascendesse la realtà fisica delle cose. Lo svelamento di questa verità non avrebbe dovuto però essere totale: l’artista metafisico, infatti, non dice né nasconde, ma accenna. A tal fine egli adotta una strategia ironica, deformando e velando la visione in modo da suggerirla. L’ironia metafisica è un modo insinuante e sottile di comunicare gli indizi. Dalla metafisica dei fratelli De Chirico prese le mosse Massimo Bontempelli. Anche per lui l’arte ha il compito di sbloccare la conoscenza profonda del mondo, descrivendo una realtà in cui tutte le leggi ordinarie sono sconvolte o sospese. L’ingresso in un mondo fittizio diventa un momento

privilegiato di conoscenza. Sempre per Bontempelli, l’uomo ignora che cosa sia strano e cosa sia comune. Per questa poetica dell’ambiguità percettiva, Bontempelli adottò la formula “Realismo magico”: egli invitò gli scrittori a scoprire il senso magico riposto nella vita quotidiana degli uomini e delle cose. Alla linea del racconto fantastico si rifecero Tommaso Landolfi e Dino Buzzati, fornendo una rappresentazione della realtà che lascia il lettore esitante, indeciso se credere o meno alla parola del narratore. Tra i grandi maestri dell’inverosimile un posto d’onore posta allo scrittore argentino Luis Borges, per la singolarità dei mondi e delle situazioni che ha evocato nella sua opera. I suoi racconti hanno sempre il taglio di un’indagine conoscitiva. Per questo, non di rado si svolgono secondo le regole investigative del genere poliziesco. Borges si diverte a costruire mappe spaziali e concettuali, teoremi e congetture, ma il mondo gli appare sempre enigmatico e sfuggente.

IL MODERNISMO: LA RICERCA POETICA IN EUROPA E IN ITALIA “Modernismo” fu definito il movimento di rinnovamento del gusto e delle forme poetiche promosso a Londra da Thomas Stearns Eliot. Erede della grande lezione simbolista, il Modernismo mosse nella direzione di una poesia complessa, dalle forti implicazioni intellettualistiche, di difficile decifrazione, per il suo carattere simbolicamente o allegoricamente allusivo e per la pregnante densità dei significati. Il Modernismo nacque anche da un’esigenza di impegno conoscitivo, di stile alto, di rigore geometrico e di architettura, e non sparò a zero sulla tradizione ma procedette a un suo recupero selettivo. I grandi maestri europei furono: 









Ezra Pound: poeta modernista di origini americane ma presto trapiantato in Europa (soprattutto in Italia). Esso guardò con estremo interesse alla nostra poesia medievale. Nei Cantos egli tentò di scrivere un poema che chiudesse tutto lo scibile umano e una compiuta visione del mondo; Thomas Stearns Eliot: nella sua opera più famosa, La terra desolata, esso si rifece all’Inferno e al Purgatorio dantesco. In quest’opera diede forma allegorica al sentimento della crisi epocale che aveva investito l’Occidente. Al di là delle presenze dantesche, il testo incastona una quantità di citazioni tratte dalle fonti più disparate, ma tutte ad alto potenziale mitico; Paul Valéry: insieme a La terra desolata, uscì nello stesso anno a Parigi gli Charmes di Paul Valéry, il più grande poeta francese del secolo. Esso volle combinare il simbolismo con un bisogno di ordine razionale, interpretando la poesia nel senso più geometrico e astratto. Gli Charmes sono perciò il calcolatissimo poema dell’intelligenza; Rainer Maria Rilke: poeta di origini tedesche, nello stesso anno di Eliot e Valèry (il 1922) portò a compimento le Elegie duinesi e scisse Sonetti a Orfeo. Le due opere costituiscono il testamento spirituale e il capolavoro poetico di Rilke. Entrambe presentano i caratteri formali comuni al Modernismo: organicità di concezione, metafisica profondità dei contenuti, arditezza di passaggi ecc; La “generazione del ‘27” in Spagna: il Modernismo approdò anche in Spagna con la cosiddetta “generazione del ‘27”, i cui maggiori rappresentanti furono Federico Garcia Lorca e Rafael Alberti. Questi poeti riuscirono a fondere, in una sintesi originale, la

tradizione gongorista con il folclore andaluso e con le suggestioni oniriche del Surrealismo francese. I principali esponenti del Modernismo in Italia furono invece Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale.

DALLA POESIA ORFICA ALL’ERMETISMO Alla ricerca di verità profonde tra le pieghe più inconsuete e sorprendenti della realtà, si può in qualche modo apparentare, sul versante della poesia, la linea che va dagli orfici agli ermetici. Questa linea poetica rilancia la sfida temeraria di addentrarsi nel mistero più fitto dell’universo per svelare con il solo mezzo della parola il fondamento delle cose, il senso ultimo del nostro essere. Se la famiglia di poeti che stiamo descrivendo crebbe rigogliosa proprio nel secondo ventennio del secolo, le sue origini cadono però nel primo: capostipite dell’orfismo novecentesco si deve considerare Dino Campana. Quello di Campana non è il mondo reale, ma il mondo visionario degli emblemi e degli enigmi. Nel 1918 Campana venne internato in un ospedale psichiatrico, ma la sua esperienza isolata preguerra prese consistenza di poetica vera e propria. Il principale esponente di questa linea orfica fu Arturo Onofri, accanto a lui si devono ricordare anche Luigi Fallacara e Girolamo Comi. Quest’ultimi approdarono nella fede cattolica che, insieme al panteismo cristiano di Onofri, fecero conoscere questi autori all’interno del “orfismo cristiano”. Tratti in comune sono la contemplazione della natura come opera divina, l’esplorazione metafisica, il superamento dell’io individuale a favore di quello superiore ecc. Fondamentale, inoltre, nella poetica dell’orfismo la memoria, intesa in senso appunto orfico, come traccia ancestrale. Campana, Onofri, Fallaca e Comi appartengono alla cosiddetta prima generazione poetica del Novecento. Della seconda generazione, invece, fecero parte Montale, Giorgio Vigolo, Carlo Betocchi e Salvatore Quasimodo. Essi si staccarono dalla linea maestra dell’orfismo prendendo vie autonome. Comunque rimangono tratti riconducibili all’orfismo, come l’inclinazione a sovrapporre il sogno con la realtà, trasfigurando l’oggetto in senso mistico. Negli anni trenta approdarono a Milano altri poeti più giovani, in particolare Leonardo Sinisgalli e Alfonso Gatto. Insieme a Libero De Libero si formerà il gruppo degli “elegiaci”, che fecero dei rispettivi luoghi d’origine il motivo dominante della loro ispirazione poetica. Al tema dell’allontanamento essi associano anche quello della propria fanciullezza, vissuta come un momento di grazia irripetibile. Momento di parlare dell’ ”Ermetismo”. Questa parola è sinonimo di “poesia oscura”, incomprensibile senza necessità. Viene di solito applicata a tutta una serie di esperienze che vanno dal frammentismo al Decadentismo, dall’orfismo al Modernismo, dal Surrealismo alla poetica della parola e così via. La categoria letteraria dell’Ermetismo va invece correttamente attribuita a una serie di autori e di testi circoscritti nel tempo e nello spazio, accomunati da un’ idea ontologica della poesia.

L’Ermetismo propriamente detto fu un fenomeno principalmente fiorentino, il cui seme poté germinare all’interno della cerchia di coloro che fecero parte de “Il frontespizio”. Tra coloro che mossero proprio i primi passi all’interno della rivista ricordiamo Carlo Bo, i...


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