Docsity riassunto umberto saba vita e opere PDF

Title Docsity riassunto umberto saba vita e opere
Author Marichiara Casini
Course Scienze dell educazione
Institution Università degli Studi Roma Tre
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UMBERTO SABA Umberto Saba, nome di penna di Umberto Poli, nasce a Trieste nel 1883 dal matrimonio tra Felicita Rachele Cohen, di confessione ebraica, e Edoardo Poli. Nonostante le nozze tra i due si fossero svolte nel 1882, già al momento della nascita del piccolo Umberto, l’anno successivo, il padre si dilegua, abbandonando moglie e nascituro. Sicuramente la scelta del Poli d’ignorare le sue responsabilità di marito e di padre ha contribuito a far sì che Umberto scegliesse sin da subito uno pseudonimo per firmare il proprio lavoro, rigettando il cognome paterno: il termine saba in ebraico significa "nonno". Inoltre la balia adorata da Umberto, con cui il poeta trascorse i primi tre anni della sua vita e che egli considerava come una madre, si chiamava Peppa Sabaz. Quando in maniera improvvisa Felicita Cohen reclama suo figlio, il distacco feroce dalla balia viene riconosciuto dallo stesso Saba come il primo trauma subito nella sua vita, e anima - molto più avanti - la raccolta Il piccolo Berto, pubblicata nel 1926. Così Saba prosegue la sua esistenza e formazione in un universo totalmente femminile, tra le cure della madre e delle due zie, soffrendo molto per la mancanza di un padre. Intraprende studi classici al ginnasio Dante Alighieri di Trieste, ma non risulta, quantomeno in apparenza, portato per questo tipo di studi. Nel 1903 si stabilisce a Pisa per frequentare l’Università, ma nell’estate dell’anno successivo torna nella città natia a causa di una forte depressione (una nevrastenia che lo accompagnerà poi per tutta la vita), e inizia a collaborare con vari giornali. L’anno seguente si trasferisce a Firenze, dove conduce un’intensa vita culturale. In questo periodo conosce anche Carolina Wölfler, che in seguito prende come moglie (seguendo il rito matrimoniale ebraico) e compagna di vita. Nel 1909 nasce la figlia Linuccia, nel 1910 viene pubblicata Poesie, subito succeduta da Coi miei occhi (1911). Allo stesso periodo risale Il mio secondo libro di versi (poi noto col titolo Trieste euna donna). Nel 1913 la famiglia Saba emigra a Bologna e l’anno dopo a Milano. La Prima guerra mondiale vede un Saba fortemente interventista, tanto da trovarsi a collaborare al Popolo d’Italia con Mussolini. Partito per la guerra (pur in posizioni di retrovia e con compiti amministrativi) ne uscì provato da crisi nervose e psicologiche sempre più profonde, fino al ricovero nell’ospedale militare di Milano nel 1918. Terminata l’esperienza bellica Saba e la famiglia tornano a Trieste, dove lo scrittore apre una libreria, la LIbreria antica e moderna. Nel 1921 esce la prima edizione del Canzoniere, cui seguono le altre fino a quella definitiva pubblicata nel 1961, dopo la morte dell’autore. A seguito di un periodo molto duro per le sofferenze psicologiche e le ricorrenti crisi nervose, Saba decise di entrare in analisi con il dottor Weiss, psicanalista anche diSvevo. Nel 1938 deve lasciare Trieste per Parigi a causa delle leggi razziali e, tornato in Italia l’anno successivo, cerca rifugio prima a Roma e poi a Firenze, dove gode dell’aiuto di Eugenio Montale. Nel 1943 viene pubblicato a Lugano la raccolta Ultime cose, che verrà poi rieditata da Einaudi nel 1945. Nel dopoguerra Saba si trasferisce a Milano dove collabora col Corriere della sera per circa dieci anni e pubblica con Mondadori Scorciatoie e raccontini, e successivamente la Storia e cronistoria del Canzoniere, in cui auto-commenta la propria opera maggiore. In questo periodo inizia a collezionare premi e riconoscimenti e riceve la laurea honoris causa dall’Università di Roma. Negli ultimi anni della sua vita Saba ebbe una svolta mistica e si convertì al cattolicesimo. Nel 1955 compie una scelta estrema e definitiva, e si fa ricoverare in una clinica di Gorizia, dove si spegne nel 1957. Il suo romanzo, Ernesto, lasciato incompiuto, viene pubblicato postumo nel 1961. Umberto Saba iniziò a concentrarsi sin dal 1913 sul progetto letterario di un Canzoniere che racchiudesse al suo interno tutta la sua produzione poetica. La prima edizione di questa vasta e organica raccolta poetica appare nel 1921, e presenta al pubblico il risultato di venti anni di lavoro, riunendo le poesie scritte da Saba tra il 1900 e il 1920. Le edizioni successive a questa trovano poi una collocazione nelle due edizioni del Canzoniere risalenti al 1948 prima, e a quella definitiva del 1961 poi. Quest’ultima, pubblicata dopo la morte di Saba ma che si suppone rispecchiare le sue ultime volontà, è composta da diverse raccolte, che scandiscono cronologicamente la vita del poeta: [Poesie dell’adolescenza e giovanili (1900-1907), Versi militari (1908), Casa e campagna (19091910), Trieste e una donna (1910-1912), La serena disperazione (1913-1915), Poesie scritte durante la guerra, Tre poesie fuori luogo, Cose leggere e vaganti (tutte composte nel 1920), L’amorosa spina (1920), Preludio e canzonette (1922-1923), Autobiografia e I prigioni (1924), Fanciulle (1925), Cuor morituro (1925-1930), Preludio e fughe (1928-1929), Il piccolo Berto (1929-1931), Parole (19331934), Ultime cose (1935-1943), Varie e Mediterranee (1946), Epigrafe (1947-48), Uccelli (1948), Quasi un racconto (1951), Sei poesie della vecchiaia (1953-1954).]

Nel 1948 Saba pubblicò Storia e cronistoria del Canzoniere, un testo critico tramite cui spiegare e commentare la propria opera, fornendo una chiave di lettura della stessa. Il Canzoniere come si presenta nella sua versione definitiva del 1961appare diviso in tre parti, che si rifanno all’idea di una scansione cronologica, riferendosi alla giovinezza, alla maturità e alla vecchiaia dell’autore. Ogni sezione del Canzoniere può essere considerata come un’opera compiuta e a se stessa. In primo piano si nota il rapporto costante con il mondo naturale e animale, in cui vengono trasposti molti temi della poesia di Saba. Centrale anche il tema cittadino, con il ruolo protagonistico assegnato alla città natia, Trieste, e quello degli affetti familiari. Ritorna infatti di continuo la figura della moglie Lina e la riflessione sulle fasi della propria vita, con particolare attenzione all’infanzia e ai traumi legati a quel periodo della vita del Saba. Forte è anche il contrasto tra le radici dei genitori, che si traducono nell’arianità del padre e nell’ebraicità della madre. L’autobiografia è quindi la costante della produzione del Saba, con cui la poesia diventa il mezzo per indagare la psicologia umana, il dolore e l’amore che l’accompagnano. La poetica di Saba è caratterizzata da un linguaggio semplice e quotidiano e da un autobiografismo pregnante, in cui rintracciamo anche una certa inquietudine e fragilità dovute all'instabilità psicologica e nervosa dell’autore. Centrale nella poetica di Saba è il ruolo della sua città natia, Trieste, con cui vive in un rapporto continuo di amore e odio. Per Saba la poesia ha funzione analitica, in quanto deve portare a scoprire se stessi. La sua lirica nasce dalla ricerca di sé, da un’urgenza di autoanalisi. (vita del poeta, drammi, emozioni, rapporto con il mondo..) il poeta ricerca l’autenticità della vita, la verità che giace in fondo alle cose (come vediamo in amai, le cose della quotidianità). Saba si emoziona davanti al mondo, e manifesta sentimenti di amore e amicizia verso ogni essere vivente. Ogni elemento della quotidianità penetra nelle sue opere. Lui vuole aderire all’autenticità della vita. Saba attribuisce alla parola un’assoluta referenzialità, in quanto egli ha la capacità di definire con chiarezza l’oggetto in questione. Egli utilizza quindi una parola chiara, semplice e umile. (no crepuscolarismo perché no ironia e di esibizione prosastica). Fonde la lingua quotidiana parlata, comune con la lingua aulica. Fa cozzare l’aulico e il prosastico, in strutture metriche tradizionali. Esiste una solidarietà/unione tra l’autore, il mondo ed il lettore. Egli si pone in netta opposizione ai poeti modernisti. Rientra nella linea dei novecentisti. Il Canzoniere è la storia di una vita. Il titolo richiama il modello trecentesco, in particolare l’opera di Petrarca. Entrambi vogliono rappresentare il percorso esistenziale (autobiografico, ma idealizzato e stilizzato) di un personaggio, entro una struttura organica e cronologicamente organizzata. Saba, al contrario di Petrarca, rappresenta la contingenze della realtà che è frammentaria e impura. Saba mantiene i modi e gli aspetti formali ma ne stravolge il significato. Quest’opera mira alla rappresentazione della realtà nel suo costante divenire. L’io lirico è un personaggio a cui l’autore affida la narrazione in versi al quale vengono concesse delle licenze poetiche rispetto ai reali dati biografici. Sebbene Saba si prefigga di analizzare analiticamente la realtà, spesso quest’ultima viene piegata a suo piacimento. Abbiamo una disposizione dei temi che ne prevede il ritorno ciclico. I temi vengono ripresi e variati. È un’opera dal carattere romanzesco. (va letta secondo la disposizione cronologica stabilita dall’autore. TESTO, LA CAPRA DA ‘IL CANZONIERE’ In questo componimento, inserito nella sezione Casa e campagna del Canzoniere, Umberto Saba, attraverso una delle tante “apparizioni elementari della vita animale” (come ebbe a definirle, con felice formulazione, Gianfranco Contini nella sua Letteratura dell’Italia unita 1861-1968), così ricorrenti nella sua lirica, riflette sull’universale condizione di dolore che affratella tutti gli esseri viventi. È infatti l’incontro fortuito con una capra a innescare la riflessione del poeta: al belato dell’animale, avvertito come un disperato grido di dolore, egli risponde dapprima “per celia” (v. 7) e, poi, con accorata e sincera empatia.

Il ritmo della poesia è lento e cadenzato, scandito da rime, assonanze, enjambements, nonché dall’isolamento del verbo “belava”, che avvia l’introspezione. Lo stile è semplice e quotidiano, ma arricchito da preziosismi lessicali (“celia”, “querelarsi”). Metro: tre strofe di endecasillabi e settenari, a eccezione dell’ultimo verso, quinario. Rime o assonanze sparse arricchiscono la tessitura fonica del breve testo. Ho parlato a una capra 1. HO PARALTO AD UNA CAPRA, Era sola sul prato, era legata 2. ERA SOLA, SUL PRATO LEGATA Sazia d’erba, bagnata AVEVA APPENA MANGIATO L’ERBA, ERA BAGNATA dalla pioggia, belava 3. DI PIOGGIA E BELAVA Quell’uguale belato era fraterno QUEL BELATO MI SEMBRVA SOLIDALE CON IL MIO DOLORE al mio dolore. Ed io risposi, prima ED IO RISPOSI, PRIMA per celia, poi perché il dolore è eterno 5, PER SCHERZO, POI PERCHE’IL MIO DOLORE è ETERNO ha una voce e non varia 6. UGUALE A SE STESSO E IMMUTABILE Questa voce 7 sentiva QUESTO MIO STESSO LAMENTO SENTIVO gemere in una 8 capra solitaria. PROVENIRE DA UNA CAPRA SOLITARIA In una capra dal viso semita IN UNA CAPRA DAL VISO SIMILE A QUELLO DEGLI EBREI sentiva 10 querelarsi ogni altro male, SENTIVO IL LAMENTO DI TUTTI I MALI ogni altra vita 11. DI OGNI ALTRA CREATURA. In pochi versi dal ritmo lento e solenne Saba esprime la condizione universale del dolore e dell’angoscia della vita. Il componimento in endecasillabi e settenari è strutturato su tre strofe irregolari e si chiude con un quinario. Nella prima strofa di quattro versi con una descrizione ridotta all’essenziale il poeta triestino presenta la situazione: il poeta incontra una capra, legata, sazia e bagnata dalla pioggia, che bela. “Belava” è proprio il verbo che chiude la strofa ed è posto in netta evidenza, poiché è l’azione che permette a Saba di riflettere sul dolore universale, come si legge nella strofa successiva: “Quell’uguale belato era fraterno | al mio dolore”. Viene così posta una comunanza della condizione esistenziale delle creature: la capra esprime la stessa angoscia del poeta, che risponde al suo gemito accorato, prima per gioco, poi per empatia. Il belato della capra esprime “ogni altro male” della vita ed è quindi espressione della sofferenza che accomuna ogni essere vivente. Il lessico del componimento è colloquiale e quotidiano, anche se presenta alcuni termini colti e letterati, come “celia”, “querelarsi” e l’uso della forma arcaica dell’imperfetto di prima persona singolare (“sentiva” invece di sentivo). La struttura della poesia è discorsiva e paratattica e prevale la coordinazione, ma presenta, anche in questo caso, scelte stilistiche arcaizzanti, come l’inversione al v. 9 del complemento oggetto, che precede, così, il verbo (“questa voce sentiva”); sistemazione sintattica atta a sottolineare e mettere in evidenza la parola “voce”. Nella descrizione della capra, il poeta tende a presentare l’animale in forma umanizzata; un celebre esempio è l’aggettivo “semita”, usato da Saba in quanto il volto della capra gli ricordava quello di alcuni ebrei, prevalentemente per l’aspetto visivo, come l’autore stesso dichiara nel suo Storia e cronistoria del "Canzoniere": “è un verso prevalentemente visivo. Quando Saba lo trovò, non c’era in lui nessun pensiero cosciente né pro né contro gli ebrei”. TESTO: LA CITTA’ VECCHIA da Il canzoniere In Città vecchia è la città di Trieste (e i suoi eterogenei abitanti...) che diviene protagonista, insieme a Lina 1, la moglie del poeta, della sezione Trieste e una donna del Canzoniere: il contatto con la realtà di quel “detrito | di un gran porto di mare” (vv. 7-8), che ingloba in sé, quasi ponendoli sullo stesso piano, merci e uomini, è volutamente ricercato dal poeta, che spesso decide di immettersi per quelle strade. È anzi proprio immergendosi in quel mondo che Saba riesce a trovare “l’infinito | nell’umiltà” (vv. 9-10), e quasi un “sentimento di religiosa adesione”, come ebbe a dire il poeta stesso in Storia e cronistoria del Canzoniere: ed ecco che un “Signore” (v. 19) gli disvela il lato più puro e autenticamente umano dell’umanità, proprio laddove “più turpe è la via”. Metro: componimento di endecasillabi, intervallati da versi più brevi(dal ternario al settenario), con libero gioco di rime. Spesso, per ritornare alla mia casa/ spesso, per ritornare a casa mia prendo un'oscura via di città vecchia./ prendo una via oscura nella città vecchia Giallo in qualche pozzanghera si specchia/ qualche fanale si specchia, giallo,

qualche fanale, e affollata è la strada./ In qualche pozzanghera e la strada è affollata Qui tra la gente che viene che va/ qui, tra la gente che viene e la gente che va dall'osteria alla casa o al lupanare,/ dall’osteria fino a casa, o al bordello dove son merci ed uomini il detrito/ dove merci e uomini sono entrambi rifiuti di un gran porto di mare,/ di un gran porto di mare, io, io ritrovo, passando, l'infinito/ passandovi in mezzo, ritrovo l’infinito nell'umiltà. /nell’umiltà Qui prostituta e marinaio, il vecchio/ qui la prostituta, il marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega,/ che bestemmia, la donna che litiga il dragone 8 che siede alla bottega/il soldato che siede alla bottega del friggitore, la tumultuante giovane impazzita/ una ragazza sconvolta e impazzita d'amore, /per amore sono tutte creature della vita e del dolore 9; s'agita in esse, come in me, il Signore. /il signore è in loro, come è in me Qui degli umili sento in compagnia,/ qui mi sento in compagnia degli umili il mio pensiero farsi/ il mio pensiero divenire più puro più puro 10 dove più turpe è la via. / proprio laddove la realtà è più squallida Contenuta nella sezione Trieste e una donna (1910-1912) del Canzoniere, Città vecchia è ovviamente ambientata nel capoluogo giuliano, di cui descrive, quando in apertura il poeta prende sommessamente la parola, il degradato quartiere portuale (appunto il “gran porto di mare” del v. 8). I toni sono volutamente dimessi e colloquiali, come a voler narrare un’esperienza comune e non affatto esclusiva: il rientro a casa implica il contatto con la realtà concreta (“affollata è la strada”), introdotto dalla posizione rilevata del “Giallo” del v. 3, ed è, per chi scrive, un’importante occasione di indagine su se stesso. La seconda strofe presenta infatti l’eterogeneo mondo della “città vecchia”: dall’abitazione privata alla bettola di marinai (l’“osteria”) fino al bordello (il “lupanare”, individuato con un cultismo quasi stridente), è chiaro che l’occhio del poeta si sofferma, nella sua piana descrizione, su una realtà mediocre e - a tratti infima. Anche il quadro umano tende ad aprirsi verso i ranghi più bassi della scala sociale, come la terza strofe, costruita quasi come un elenco, spiega: uomini di mare, prostitute, figure popolaresche (il “vecchio | che bestemmia, la femmina che bega”) e soldati (il “dragone” alla “bottega | del friggitore”) sono, tuttavia, con un salto di valore netto ed evidente, “creature | della vita e del dolore”, figlie di un Dio che è comune a loro e al poeta medesimo. Già alla fine della seconda strofe, Saba aveva annunciato di ritrovare “nell’umiltà” dei luoghi della “città vecchia” un che di “infinito”; ora, nei tre versi conclusivi egli può dar conto esplicitamente della sua scoperta per le vie del quartiere popolare: il contatto con la vita nelle sue manifestazioni più semplici ed immediate (o anche “turpi”) è preziosa occasione per una paradossale purificazione (“sento in compagnia | il mio pensiero farsi | più puro”) del proprio intimo essere, della propria identità di uomo. Il gioco, finemente organizzato da Saba, tra realtà esterna e riflessione privata è allora funzionale a mettere al centro di Città vecchia il tema dell’“umiltà” (che non a caso ritorna, variata, al v. 10 e al v. 20), che l’autore trasfigura poeticamente, nel tentativo di unire aulico e prosastico, ricomponendo il disordine del mondo alla luce di una verità (esistenziale e poetica) superiore e nascosta. Come spesso nel Canzoniere la sensazione di esclusione dalla vita percepita dal poeta diventa la spinta più urgente e pressante per solidarizzare con gli altri, per rinvenire in loro una comune traccia di umanità. La struttura metrica obbedisce a questo proposito: il rispetto delle misure tradizionali e la tecnica tipica dell’autore di unire versi lunghi e brevi (Città vecchia si compone di endecasillabi e misure più brevi, dal ternario al settenario, con schema rimico libero) danno il senso di quello che è stato definito il “conservatorismo metrico” di Saba che, nel quadro della poesia della prima metà del Novecento, colpisce semmai per la sua innovazione tematica, in una sorta di canto dimesso della quotidianità che si apre, in certe occasioni, ai valori più profondi dell’uomo. Come dirà Saba stesso in Storia e cronistoria del "Canzoniere", Città vecchia è “una delle poesie più intense e rivelatrici” da lui composte. TESTO: TRIESTE, DA IL CANZONIERE

Tra le più note liriche della sezione Trieste e una donna (1910-1912) del Canzoniere, questa poesia dà libera voce all’amore che lega Saba alla sua città natale, protagonista, insieme alla moglie Lina - come suggerito dal titolo prescelto per la sezione - delle poesie qui contenute (e nella sezione Casa e campagna troveremo la celebre A mia moglie). Qui Saba trasfigura letterariamente il sentimento poi espresso in Storia e cronistoria di un Canzoniere: tanto la città quanto Lina, infatti, ”assumono i loro inconfondibili aspetti […] e sono amate appunto per quello che hanno di proprio e di inconfondibile”. A legarlo alla città natia è un sentimento sincero, ma non privo di contraddizioni. Una camminata in salita, che rende possibile la visione dall’alto della città, è anche occasione per celebrarla, con un'efficace sequenza di personificazioni, similitudini, analogie. Dalla descrizione della sua “scontrosa grazia” (vv. 8-9) , al paragone con un “ragazzaccio [...] dalle mani troppo grandi” (vv. 10-12), nella designazione di Trieste prevalgono le tinte ossimoriche: una città affollata (“popolosa”, v. 3), brulicante di vita - quel brulicare di vita così efficacemente descritto in Città vecchia, lirica della stessa sezione del volume - e al contempo pronta ad offrire al poeta, desideroso di condurre una vita pensosa e schiva, un cantuccio dove poter meditare. Metro: canzone libera in strofe di endecasillabi, settenari e versi più brevi, con frequenti rime alternate e baciate. Ho attraversato tutta la città. Poi ho salita un'erta,/ poi ho percorso una strada in salita popolosa in principio, in là deserta ,/ prima affollata, più in la deserta chiusa da un muricciolo:/ che terminava con un piccolo muro un cantuccio in cui solo/ un cantuccio dove siedo; e mi pare che dove esso termina/ mi siedo...


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