Orazio vita e opere PDF

Title Orazio vita e opere
Author Marco Leo
Course Letteratura latina 
Institution Università degli Studi di Salerno
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Summary

appunti di orazio, completi di vita e opere!!!!!!!!!!!! ecco a vooi...


Description

Orazio Quinto Orazio Flacco nacque a Venosa (al confine tra Puglia e Lucania) l’8 dicembre del 65 a.C. Suo padre era un liberto, dunque il poeta era di umili origini, ma di condizione economica non disagiata: poté infatti seguire un regolare corso di studi, prima a Roma e poi ad Atene, dove frequentò le scuole di filosofia. I suoi studi furono interrotti dalla partecipazione alla guerra civile: Orazio si arruolò nell’esercito di Bruto e partecipò alla Battaglia di Filippi (42 a.C.). Tornato in Italia scoprì che i suoi possedimenti terrieri erano stati confiscati e si guadagnò da vivere come segretario di un questore. Iniziò in questo periodo la sua fase poetica: conobbe Virgilio, il quale lo presentò a Mecenate che, dopo nove mesi, lo ammise nel suo circolo. L’amicizia con quest’ultimo era favorita dalla comune fede epicurea. Orazio amava la tranquillità di campagna e proprio grazie a Mecenate ottenne una villa in Sabina. Orazio, in una lettera al poeta Tibullo, afferma "Epicuri de grege porcus", tradotta letteralmente, significa "porco del gregge di Epicuro”: la adoperò per definire se stesso seguace dell'Epicureismo. La frase è divenuta proverbiale per indicare una persona eccessivamente legata ai piaceri materiali.

Le Odi Anche Orazio, come Virgilio, diede il suo contributo alla propaganda augustea componendo carmi, tra cui spiccano le cosiddette “odi romane”. Nelle Odi esalta il valore della poesia e si presenta come vates: ispirato e protetto dalle divinità. I modelli principali sono i poeti di Lesbo, Alceo e Saffo: essi sono il punto di riferimento più importante anche per la metrica. Orazio conferisce ai suoi componimenti un’impostazione “allocutiva” (il verbo latino alloqui significa “rivolger la parola”), sono infatti rivolti ad un destinatario e raramente si presentano come monologhi interiori. Alcuni tra i molteplici temi sono: 





La coscienza dell’incertezza del futuro e l’incombere della morte; da qui l’esortazione a godere pienamente del breve tempo della vita da cui deriva il carpe diem (il consiglio di cercare la felicità nel presente e non in un inaffidabile futuro); Tematiche amorose: a differenza di quanto avviene nella poesia di Catullo, i carmi non si collegano ad un’unica storia d’amore, ma si presentano come episodi riguardanti diverse figure femminili; a differenza di Catullo, Orazio evita il coinvolgimento affettivo mantenendo la propria metriotes, cioè un equilibrio tra gli eccessi, detto anche aurea mediocritas. Tema dell’amicizia come riparo dalla società, così come l’angulus che ognuno deve ritagliare per raggiungere la tranquillità.

L’autarkeia (“autosufficienza”) consiste nella limitazione dei desideri per evitare i condizionamenti esterni, che impediscono di raggiungere la piena libertà interiore (invito ad accontentarsi del proprio stato e a cercare di soddisfare nel modo più semplice le esigenze naturali). Fu incaricato da Augusto della composizione di un inno agli dèi protettori di Roma: è il Carmen seaculare, che venne cantato da ventisette giovinetti e altrettante fanciulle sul Palatino e sul Campidoglio.

Le Satire Chiamate da Orazio “sermones” (colloqui), sono 18 componimenti in esametri raccolti in due libri. Nelle Satire rappresenta i vizi e i comportamenti umani, avendo come punto di riferimento due principi: la metriotes (giusto mezzo) e l’autarkeia (autosufficienza). Il modello riconosciuto da Orazio è lo scrittore latino Lucilio, definito da Orazio il fondatore della satira; a lui infatti risalgono sia l’introduzione dell’esametro, sia i temi caratteristici del genere, come la denuncia dei vizi umani attraverso le armi del comico e del sarcasmo. Orazio prende le distanze da Lucilio applicando il principio labor limae, ossia della necessità di un’accurata elaborazione stilistica, egli afferma che Lucilio “scorreva fangoso”. Racconta momenti di vita quotidiana per descrivere il mondo attorno a sé. Non impone principi da seguire, ma consiglia di vivere lontano dagli eccessi e di avere indipendenza, metodi per poter raggiungere la felicità secondo l’epicureismo.

Gli Epodi Orazio introduce nella letteratura latina l’epòdo, un sistema metrico in cui a un primo verso più lungo se ne aggiunge uno più breve e fu utilizzato dal poeta giambico Archìloco. L’autore chiamava questi componimenti Iambi, ma il verso più corto costituiva una sorta di ritornello che in greco si dice epòdo. Quando Orazio compose gli Epodi era da poco terminata la guerra civile: il giovane Orazio compose versi carichi di indignatio, versi dove l’invettiva (accusa o rimprovero) e l’eccesso erano punti cardinali dell’opera. Assume importanza la magia, il cui tema viene trattato con accentuato realismo. Vi sono epòdi che mettono in risalto la confusione successiva alla battaglia di Filippi e nell’epòdo 16 invita i Romani a seguirlo in un’utopistica fuga verso le Isole dei beati, dove permane la condizione dell’età dell’oro. In questi componimenti assume il ruolo di vates. Nell’epodo 14 parla dell’amore che domina completamente il poeta impedendogli di comporre versi.

Le Epistole Le Epistole sono componimenti in cui Orazio, fingendo di rivolgersi a un destinatario, esprime riflessioni morali ed esistenziali. Le Epistole rivelano un uomo che rinuncia alle gioie mondane e si isola. Le sue tensioni interiori diventano sempre più forti, la morte lo spaventa e cerca di esorcizzarla con il “carpe diem”. È maturato il pessimismo del poeta a causa della difficoltà del rapporto con il pubblico e Mecenate: il poeta è sempre più vicino al ritiro.

Sermones I, 9: Un incontro sgradevole Un incontro spiacevole e casuale con un invadente scocciatore è l’occasione da cui prende avvio una delle satire più famose di Orazio. Detta 'satira dell'attacca bottiglia' o 'del seccatore', è interamente incentrata sui comici tentativi del poeta di liberarsi dall’interlocutore. Orazio evita un confronto con l’uomo, anche nell’unico momento in cui sembra istaurarsi un vero e proprio dialogo, in seguito alla richiesta di essere presentato a Mecenate. Mentre il poeta passeggia per le strade romane, gli si avvicina una persona di cui conosce a mala pena il nome e che si presenta come un aspirante poeta (v. 7). Orazio cerca di liberarsi di questa scomoda compagnia, dapprima mostrandosi indaffarato (vv. 8-10), poi fingendo di andare a trovare un amico malato al di là del Tevere (vv. 16-18). Tutto però si rivela inutile: il seccatore intuisce chiaramente (vv. 14-16) le intenzioni del poeta e si mostra pronto a seguire un Orazio ormai rassegnato. Con ironia Orazio riferisce al lettore (v. 29) le parole che una vecchia fattucchiera, che egli inventa di aver conosciuto, aveva pronunciato profetizzando la sua morte: essa sarebbe stata causata non dalle armi, ma da un chiacchierone. Il seccatore dovrebbe recarsi a questo punto in tribunale e chiede a Orazio di fargli da advocatus; sperando di liberarsi una volta per tutte dell’inopportuno compagno, il poeta rifiuta, sostenendo di non esserne in grado. Dopo un attimo di incertezza, però, l’interlocutore decide di abbandonare il processo e di continuare a seguire il poeta. È solo adesso (v. 43) che il seccatore rivela il motivo della sua insistenza, cioè il desiderio di essere presentato a Mecenate. Orazio tronca la conversazione in quanto l’uomo continua a credere di poter entrare nel circolo mediante raccomandazioni e non grazie alle proprie doti. Compare sulla scena Aristio Fusco, al quale Orazio fa immediatamente capire la situazione tramite occhiate e gesti disperati; l’amico ne approfitta per prendersi gioco dell’amico e lo lascia in balia del seccatore.

Quest’ultimo però è trascinato in tribunale dal suo avversario, apparso quasi d’incanto sulla scena.

Epistola I, 4: Ad Albio Si tratta di una lettera consolatoria ad Albio, dalla maggior parte dei critici identificato con il poeta elegiaco Tibullo, che, a dispetto delle condizioni oggettive favorevoli (qualità fisiche, doti intellettuali e ricchezze), è affetto da uno stato d’animo di insoddisfazione e malinconia. Orazio gli scrive per conoscere come egli trascorra il tempo in campagna e per chiedergli di venirlo a trovare. Nella richiesta di informazioni gli propone già implicitamente due consigli per vincere lo stato di depressione: l’attività letteraria o le meditazioni filosofiche. Ma il suggerimento esplicito, l’antidoto all’inquietudine esistenziale, arriva solo verso la chiusa della lettera (vv. 12 14), dopo un elogio dell’amico: saper godere di ciò che si ha, vivere intensamente il presente come se non esistesse il futuro. Negli ultimi due versi la serietà degli ammonimenti è stemperata dall’autoironico ritratto che Orazio fa di sé stesso: grasso, ben pasciuto, con la pelle curata, insomma un vero epicureo. Ma il sorriso suscitato dalla scherzosa identificazione con la rappresentazione che il volgo ignorante o i denigratori davano degli epicurei impedisce di prendere questo ritratto troppo sul serio.

‘Albio, giudice schietto dei miei Sermones, che penserò mai che tu faccia ora nella regione pedana? Che tu scriva versi, da oscrurare i volumi di Cassio parmense? O che in silenzio ti apra a stento la via tra le selve salubri, meditando ciò, che s’addice all’uomo savio e onesto? Tu non sei già un corpo senza intelletto. Gli dei ti hanno concesso la

bellezza, gli dei le ricchezze e l’arte di goderne. Che può richiedere di più per il suo caro pargolo l’affettuosa nutrice, che abbia senno e sappia esprimere ciò che sente, e che gli tocchino d’avanzo la benevolenza la reputazione la salute, con la buona tavola e la scarsella piena. Fra le speranze e le ansie, fra i timori e gli sdegni, tu fa’ conto che ogni, giorno che spunta sia l’ultimo per te: sopravverrà gradita l’ora che non si attende. Se vuoi farti buon sangue, vieni a visitarmi, e mi troverai grasso e netto, con la pelle ben tirata, come un porcello del gregge di Epicuro.’...


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