Cartesio, vita e opere PDF

Title Cartesio, vita e opere
Course Istituzioni di storia della filosofia moderna
Institution Università di Pisa
Pages 5
File Size 156.5 KB
File Type PDF
Total Downloads 92
Total Views 160

Summary

Breve riassunto su Cartesio...


Description

Descartes Vita Descartes nasce a La Haye, in Touraine, nel 1596 da una famiglia della piccola borghesia. Compie i suoi studi bel collegio di La Flèche e si laurea in diritto. Si arruola in seguito nell’esercito come volontario nella Guerra dei Trent’anni e presta servizio in Germania e in Olanda. Abbandonata la carriera militare comincia a viaggiare per tutta l’Europa fino al 1628, anno in cui comincia a vivere di rendita e del patrimonio accumulato negli anni. Si ritira poi in Olanda e si astiene dalla vita politica e dalle polemiche religiose del suo tempo. In questo stesso anno comincia “Le regole per la guida dell’intelligenza” che tuttavia lascia incompiuta e che sarà pubblicata solo postuma (1671) in cui espone le regole che dovrebbero consentire la ricostruzione di un sapere universale. Nel 1633 evita di pubblica due trattati in cui espone le sue teorie scientifiche per colpa della recente condanna di Galileo da parte della chiesa. Le sue idee infatti sono molto simili a quelle galileiane e non vuole subire la stessa condanna. Il trattato verrà pubblicato anche questo postumo con il titolo “Il mondo” e “L’uomo”. Cartesio vivrà stabilmente in Olanda fino al 1649, anno di pubblicazione delle “Passioni dell’anima”. Da questa data, Descartes, si trasferisce a Stoccolma, invitato dalla regina Caterina e lì muore nel 1650 a causa di una malattia, forse dovuta alla scarsa abitudine del filosofo per il clima rigido della Svezia. Negli anni che precedono la pubblicazione delle “Passioni”, Cartesio, pubblica circa una decina di altri trattati. Nel 1637 da alle stampe a Leida “Discorso e saggi” e i tre trattati scientifici “Diottrica”, “Meteore”, “Geometria”, in seguito, quando il filosofo è ancora in vita, viene pubblicato in francese “I discorsi sul metodo” in cui espone le teorie del suo nuovo metodo di indagine scientifica. Nel 1643 pubblica “Meditazioni metafisiche” dove riprende i concetti espressi ne “Il discorso” e a cui fa seguire le principali obbiezioni che gli erano state rivolete contro dai maggiori filosofi e le relative risposte. Nel 1644 vede la luce i “Principia philosophiae”, un’opera a carattere sistematico dove sono riassunti, secondo un filo rosso, i punti principali del suo pensiero filosofico. A questo seguono lunghi anni di polemiche, ma in questo periodo nasce anche l’intenso scambio epistolare con la principessa palatina Elisabetta, conosciuta nel 1642 grazie a Pollot, e con la quale, dal 1643 al 1649, scambiò continuamente lettere su temi di varia natura. A lei dedica “I Principia”. Grazie a questo rapporto, si ha già nel 1645 un primo abbozzo delle “Passioni” e quando, nel 1649, questo viene pubblicato, una precedente versione era già stata letta dalla principessa. Paul Valery, che scrive su Descartes riprendendo dal Baillet, raccontando del rapporto che vigeva tra il filosofo e il prete Marsenne, religioso aperto e pieno di curiosità che proponeva problemi ed enigmi all’Europa seicentesca. Egli era amico d’infanzia di Descartes, promotore delle sue teorie e fautore a sua volta dello sviluppo del pensiero cartesiano attraverso lettere e richieste di approfondimento su vari temi. Era solito inoltre riportare al filosofo le critiche e i commenti fatti dal suo pubblico, ma spesso, la sua freddezza e il fatto di fraintendere alcune argomentazioni furono causa di scontri tra Descartes e altri filosofi. Quando Descartes giungeva in visita a Parigi, amici e intellettuali potevano fargli visita nel convento dei minimi, oggi caserma, dove viveva il prete, qui infatti, nel 1645/1646 incontra Pascal il quale, una volta che il filosofo torna in Olanda, gli invia una copia del suo trattato sugli esperimenti sul vuoto. Descartes, però, non è stato un filosofo che ha avuto molto successo infatti sono pochi gli elementi o gli arredi urbani che permettano di ricordarlo, ma egli, da uomo prudente, ha provveduto a creare da solo la sua tomba e ha posto su di essa la statua del suo intelletto, così nitida che sembra quasi che ci parli, come se non ci fossero anni a separarci, ma solo uno spazio tra menti. Il suo monumento è sicuramente rappresentato da “Il Discorso sul metodo”, un’opera inattaccabile nel tempo come tutte quelle scritte con estremo rigore. In essa, un linguaggio familiare, ma allo stesso tempo alto che ci permette di capire i principi fondamentali del suo pensiero e gli atteggiamenti comuni a tutti gli uomini che rendono l’opera non solo un capolavoro, ma anche una presente realtà che si alimenta dell’esperienza comune di tutti gli uomini. In esso non c’è niente di scolastico. Il suo intento era quello di farci capire se stesso, noi dovevamo trovare in noi quello che lui trovava in se stesso ed è questo il punto originale del suo metodo di scrittura: attraverso la sua vita e gli atti e le sensazioni che si sono susseguite in essa, ci introduce al suo pensiero attraverso il pensiero stesso. Il racconto all’inizio ci permette di sentirci simili a lui e quindi di seguirlo nel seguito. Finisci gli studi, che disprezza e ritiene vani e prende a viaggiare per l’Europa. Partecipa ad una delle tante guerre del tempo e tenendosi alla larga dai libri che nell’esercito sono d’impaccio si dedica alla matematica. Ciò che avviene per caso, gli eventi superficiali, stimola no e illuminano quanto di più profondo c’è nell’individuo votato a destini spirituali, se infatti l’anima è indipendente il suo piacere di esistere consiste nel vederci chiaro e più assorbe e più si riorganizza in se stessa e si libera e questa libertà altro non è che l’uso del proprio possibile e il coincidere con il proprio tutto. Descartes si isola da tutto e arriva anche a mettere in dubbio la sua stessa esistenza nel bel mezzo del racconto della sua vita, ma una volta ripresa coscienza di sé, rende relativo tutto il sistema di valori e delle nostre certezze comuni. Egli contrappone l’essere all’uomo, ma cogliere l’essere nell’uomo e distinguere tra i due tanto nettamente sono i primi segni di filosofia. Il pensiero di Descartes è un pensiero che si costruisce per risposte e le lettere sono il collante di un pensiero che a lungo si è creduto diviso in compartimenti stagni e difficilmente irriducibili quali la fisica, la metafisica e la matematica. Le lettere costituiscono lo sfondo dal quale emergono le opere a stampa e i diversi volti del filosofo. In esse troviamo risposte alle domande dei corrispondenti o di chi, avendo letto alcuni testi, non aveva capito appieno dei punti oppure non riusciva a distaccarsi dai modelli tradizionali di sapere che erano diffusi, ma anche risposte a critiche oppure a consigli di amici e discepoli quali Hygens, Regius e Elisabetta, o ancora sono risposte alle questioni poste alla sua attenzione da Marsenne che è a contatto con un ampio numero di dotti. Il minimo svolge un ruolo importante infatti funge da filtro e mediatore: sollecita e trasmette le obiezioni, ma evita anche che Descartes corrisponda con critici da lui stesso espressamente rifiutati perché non interessati alla verità, ma alla polemica. Poiché rispondo a delle domande, le lettere consegnano un’immagine del filosofo moto varia: composta nelle risposte rivolte a teologi e filosofi, sciolta per gli interlocutori estranei all’accademia. Anche per quanto riguarda il linguaggio notiamo delle diversità: per prima cosa tiene sempre conto del suo interlocutore e a lui si rivolge con tutti i rispetti del caso (es. Elisabetta), ma esso può anche variare rispetto al tipo di risposta, può infatti essere più formale se si tratta di teorie scientifiche e filosofiche, più informale se si tratta di risposte ad amici e conoscenti. Ma le lettere vivono anche di una vita autonoma su due fronti: quello scientifico-filosofico (sviluppano dottrine cartesiane che non avranno posto nelle stampe) e quello più privato poiché contengono giudizi su persone e su fatti resi senza autocensure. Tuttavia per conoscere e capire la filosofia cartesiana non si può prescindere dalle lettere come dalle opere a stampa. il suo è un epistolario che attraversa tutti gli stili: consolatorio, satirico, persuasivo con un linguaggio altalenante tra il tecnico e l’amicale. Il linguaggio è usato anche con un’altra variante: si carica di insofferenza verso chi si dimostra ostile a comprendere i suoi principi, oppure è offensivo quado si rivolge ai matematici che lo criticano sulla sua “Geometria” e sprezzante invece quando si rivolge a Marsenne. Elisabetta di Boemia, Principessa palatina era figlia dell’elettore palatino Federico V e di Elisabetta Stuart, riformata, nasce nel 1618 e muore nel 1680. Dopo la sconfitta della Montagna Bianca, dove il padre perde la corona, segue la famiglia in esilio nelle Province Unite, ove studiò presso la Corte dell’Aia. Nel 1646 tornò in Germania ritirandosi presso Federico Enrico, elettore di Brandeburgo. In seguito fu nominata badessa del convento luterano di Herdford. Nel 1642, Pollot, su richiesta di Descartes, la mise in contatto con il filosofo con il quale iniziò una corrispondenza epistolare che durerà dal 1643 al 1649 su temi di svariata

natura. Descartes le dedica i “Principi della filosofia” e durante una malattia della Principessa le inviò una serie di lettere in cui le esponeva i principi della morale. Fu grazie al rapporto con Elisabetta che Descartes scrisse “L e passioni” di cui, una prima copia era già nelle mani della donna nel 1646.

Le passioni dell’anima Come nasce? Risulta sia da Baillet che dalla corrispondenza epistolare che il tempo impiegato per la stesura del trattato sia stato relativamente breve. Sappiamo infatti che un piccolo trattato sulla natura delle passioni aveva tenuto occupato Descartes nel 1646 con la precisazione che il suo scopo non era quello di scrivere un qualcosa da dare alle stampe, ma solo di fare esercizi di morale e verificare se la sua fisica lo avrebbe aiutato a creare dei principi certi in tale materia. Questa notizia trova testimonianza anche in una lettera dello stesso anno inviata da Descartes a Chanut. Tuttavia la riflessione di Descartes su questo tema è di lunga data e lo documentano le numerose indicazioni che si trovano in “Compendio” e “Uomo”, ma anche nella corrispondenza epistolare che attesta l’esistenza della problematica già a partire dagli anni ’30 con personaggi come Marsenne, Pollot, Regius. Tuttavia è solo nella corrispondenza con la principessa Elisabetta che il problema delle passioni diventa centrale. Un accenno si trova già in un lettera della principessa del 1643 dove vengono riprese le tre nozioni primitive e tra queste, la terza, quella relativa all’unione mente corpo è lo spunto che serve a Elisabetta per chiedere al filosofo di approfondire e spiegare meglio questo tema: “…di dirmi in quale maniera l’anima dell’uomo può determinare gli spiriti del corpo, ed eseguire le azioni volontarie. infatti sembra che ogni movimento sia determinato dalla pulsione della cosa mossa, dalla maniera in cui essa viene spinta da quella che la muove, oppure dalla qualità e dalla figura della superficie diq uest0ultima. Nei primi due casi è richiesto il contatto, nel terzo l’estensione. Voi escludete quest’ultima dalla nozione che avete di anima, mentre il contatto mi sembra incompatibile con un qualcosa di immateriale. […] definizione di anima più particolareggiata che nella vostra Metafisica […] anche se noi le supponiamo inseparabili, possiamo considerandole separatamente acquisirne un’idea più perfetta.” Gli studi su tale tema aumentano e si arriva a collegarlo anche il Sommo Bene e le continue sollecitazioni della donna spingono Descartes a scrivere su esse un trattato. Le richieste della principessa però servono a Descartes anche per realizzare una classificazione delle varie passioni che gli permetta di approfondirle meglio senza escluderne nessuna. Lettera di Descartes a Elisabetta (1645) relativa al Sommo Bene e a come gestire le passioni e noi stessi per poterlo seguire. “Possono essere richieste solo due cose per essere sempre pronti a ben giudicare: la conoscenza della verità e l’abitudine grazie alla quale ci si ricorda di questa conoscenza e la si segue ogni volta che l’occasione la richiede. Ma poiché solo Dio conosce tutte le cose, noi dobbiamo accontentarci di sapere solo quelle che ci servono di più: 1) c’è un Dio, le cui perfezioni sono infinite e da lui dipendono tutte le cose. Questo ci permette di ricevere di buon grado tutte le cose che ci capitano perché vengono interpretate come azioni inviate direttamente da Dio. E poiché il vero oggetto dell’amore è la perfezione, quando eleviamo la nostra mente a considerare Dio, ci scopriamo così inclini ad amarlo che accettiamo di buon grado tutte le nostre gioie e i nostri dolori pensando di fare la sua volontà. 2) conoscere la natura della nostra anima, in quanto sussiste senza il corpo ed è molto più nobile di questo è capace di godere di un’infinità di gioie che non si colgono in questa vita: questo ci permette di non temere la morte e distacca i nostri affetti dalla cose del mondo. 3) avere una buona opinione delle opere di Dio e avere quella vasta idea dell’infinita vastità dell’universo; infatti, se immaginiamo che tutto ciò che è stato creato serve all’uomo, pensiamo che la Terra sia la nostra dimora principale e questa la nostra vita migliore, ma così non succede, infatti invece di conoscere le nostre perfezioni attribuiamo alle altre creature delle imperfezioni che ci permettono di innalzarci sopra di loro e che non con poca impertinenza ci crediamo di essere consiglieri di Dio e di condividere con lui il peso di governare il mondo. Tutto questo causa una grande moltitudine di fastidi e turbamenti. 4) sebbene ciascuno di noi sia separato da tutti gli altri individui, dobbiamo tuttavia pensare che non sapremo sussistere da soli e che siamo una delle parti dell’universo e più precisamente una delle parti di questa terra, una delle parti di questo stato, di questa società, di questa famiglia, cui siamo uniti per dimora, patto e nascita. Bisogna sempre preferire gli interessi del tutto di cui facciamo parte rispetto agli interessi personali, ma con misura e discrezione perché avremmo torto se per procurare un piccolo bene ai nostri parenti dovremmo esporci ad un grande male. Ma se riferissimo tutto a noi stessi, non avremmo nessun problema a nuocere agli altri se pensiamo di poterne trarre un minimo vantaggio; non ci sarebbe nessuna vera amicizia, nessuna fedeltà e nessuna virtù, ma considerandoci come parte di una collettività proviamo piacere nel fare del bene a tutti e non temiamo di mettere a rischio la nostra vita per essere utili agli altri quando se ne presenti l’occasione. Questa considerazione è fonte di tutte le gesta eroiche degli uomini. Coloro che si espongo alla morte per sola temerarietà o perché pensano di ricavarne gloria, non sono degni di essere presi in considerazione, cosa ben diversa da chi compie tali gesti per il vero bene altrui. Questa generosità è solitamente più sviluppata in chi ama veramente Dio, allora, rimettendosi alla sua volontà ci si spoglia dai nostri interessi e l’unica cosa di cui abbiamo veramente interesse è quella di compiere azioni a lui gradite. Da ciò derivano soddisfazione personale e appagamento. 5) totale controllo sulle nostre passioni in modo che non ci si lasci muovere da impulsi passeggeri e di scarsa qualità. Sono infatti le passioni dell’anima quelle che garantiscono un maggior appagamento rispetto a quelli del corpo che sono brevi e non spesso così grandi quanto si credevano. Quando siamo in preda a qualche passione la cosa da fare è sospendere il giudizio, aspettare che la nostra agitazione si sia placata e solo dopo agire perché non si è influenzati dall’eccitazione momentanea a si possono meglio valutare tutti i rischi e tutti i pregi del caso. 6) esaminare in dettaglio gli usi e i costumi del proprio paese per sapere fino a che punto debbano essere seguiti. Dobbiamo prendere posizione e abbracciare solo le opinione che ci sembrano più verosimili a proposito di tutte le cose di comune utilità affinché non restiamo mai indecisi. Solo l’indecisione causa rimpianti e pentimenti. 7) per poter ben giudicare è necessaria anche l’abitudine, infatti dal momento che non possiamo essere continuamente attenti ad una stessa cosa, per quanto chiare ed evidenti ci siano sembrate le ragioni che ci hanno convinto in precedenza di una qualche verità, delle false apparenze possono in seguito distoglierci dal credervi se una lunga meditazione non l’ha fatto prima in modo da imprimerla nella nostra mente e renderla abitudine. Nota introduttiva Questo scritto, l’ultimo a essere pubblicato mentre Descartes è ancora in vita, vede la luce nel 1649 quando il filosofo è già in Svezia. Le “Passioni dell’anima” viene stampato e distribuito in Olanda e ne abbiamo testimonianza da una lettera del novembre dello stesso anno inviata a Descartes dal presidente dell’Aia, Brasset che ne aveva ricevuto due copie, una per sé e una per la figlia, e ringrazia il filosofo. Anche le lettere di Picot danno conferma di tale data, ma da esse si scorge anche un fatto e cioè che non sia stato Descartes a curare la stampa e a correggere le bozze, ma che ci sia l’intervento di una seconda persona il quale potrebbe anche essere lo scrittore delle due lettere che si trovano come prefazione del testo. Nel 1649 l’opera viene diffusa ad Amsterdam e a Parigi. i due frontespizi variano: nel primo figura come editore Lodewijk Elzevier, nel secondo Henry le Gras. Con tutta probabilità l’opera venne stampata ad Amsterdam.

Il tempo impiegato nella redazione fu relativamente breve infatti, da Baillet, sappiamo che già nel 1646 un piccolo trattato sulle passioni aveva tenuto il filosofo impegnato, ma che non era da lui visto come un testo da dare alle stampe, ma solo come degli esercizi di morale con i quali voleva capire se la sua fisica gli permettesse di arrivare a dei precetti stabili. Se la composizione è di breve durata, la riflessione sulle passioni in realtà è di lunga data e ne troviamo traccia sia in Compendio che in Uomo. Già nelle lettere degli anni ’30 inviate a Regius, Pollot e Marsenne fanno notare una tendenza in questo senso. Tuttavia fu solo la corrispondenza epistolare con la principessa palatina Elisabetta che spinse il filosofo a dare una forma testuale a queste riflessioni. In una lettera del 1643, la principessa parlando delle tre nozioni primitive, approfitta della terza, quella sull’unione tra mente e corpo per chiedere spiegazioni al filosofo in base a tale argomento, ma sempre su richiesta di Elisabetta, Descartes, lavora anche ad una classificazione delle passioni in modo da non poterne escludere alcuna. La discussione con Elisabetta tocca l’apice nel 1646, ma sul problema delle passioni Descartes non ha più solo un’interlocutrice, ma è soggetto anche alle pressioni dei suoi discepoli come Hygens, Chanut, Newcastel. Già nel 1646, Elisabetta ha in mano una copia del trattato, di cui si sapeva già l’esistenza in una lettere inviata a Chanut. La principessa però non è l’unica protagonista femminile della storia de Le passioni dell’anima, infatti Caterina Wasa, Regina di Svezia, ascolta una prolusione sul Sommo Bene e scrive al filosofo chiedendogli il suo parere al riguardo. Descartes non solo le risponde, ma le invia anche una serie di sei lettere su tale tema precedentemente inviate a Elisabetta e il trattato sulle passioni. L’annuncio per l’uscita del trattato viene fatto in una lettere a More che gli aveva domandato chiarimenti sull’unione mente corpo, ma è nella lettera a Clerselier che Descartes, racconterà anche la struttura del testo: diviso in tre parti, la prima sulle passioni in generale e sulla natura dell’anima, la seconda sulle sei passioni primitive e la terza su tutte le altre. Essendo il testo in francese, esso fu fatto poi tradurre in latino cosa che avvenne anche per Il discorso sul metodo. Carteggio di prefazione al testo Esso si compone di due lettere inviate a Descartes dal curatore della stampa e correttore delle bozze molto tempo prima che l’opera vedesse la luce o anche solo una realizzazione scritta. Alle lettere si aggiungono anche le risposte del filosofo. Lettera 1: Descartes, nei Principi, parla di alcune parti della filosofia da cui si devono ancora ricavare i frutti e che quindi non sono state sufficientemente indagate. Lui stesso si dice pronto a farlo e di confidare nelle sue forze, ma teme di non riusc...


Similar Free PDFs