16 Giovanni Verga - riassunto vita e opere PDF

Title 16 Giovanni Verga - riassunto vita e opere
Author Carla Pichierri
Course Letteratura italiana
Institution Università del Salento
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riassunto vita e opere...


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GIOVANNI VERGA -VitaNasce a Catania nel 1840, da una famiglia di agiati proprietari terrieri. Compì i primi studi presso maestri privati, in particolare il letterato Antonino Abate, da cui assorbì il fervente patriottismo e il gusto letterario romantico, che furono i dati fondamentali della sua formazione, come testimonia il primo romanzo Amore e patria, scritto a sedici anni e rimasto inedito. I suoi studi superiori non furono regolari: iscrittosi alla facoltà di legge non terminò i corsi, preferendo dedicarsi al lavoro letterario e al giornalismo politico. Questa formazione irregolare segna inconfondibilmente la sua fisionomia di scrittore, che si discosta dalla tradizione di autori letteratissimi e di profonda cultura umanistica. I testi su cui si forma il suo gusto in questi anni, più che classici italiani e latini, sono gli scrittori francesi moderni di vasta popolarità. Queste letture di intrigo o sentimentali, insieme con i romanzi storici italiani, lasciano un’impronta sensibile nei suoi primi romanzi. Nel 1865 Verga lascia la provincia e si reca a Firenze. Vi torna nel 1869 deciso a soggiornarvi a lungo, consapevole del fatto che per divenire scrittore autentico doveva liberarsi dai limiti della sua cultura provinciale e venire a contatto con la vera società letteraria italiana. Nel 1872 si trasferisce a Milano, allora il centro culturale più vivo della penisola e più aperto alle sollecitazioni europee. Qui entra in contatto con gli ambienti della Scapigliatura. Frutto di questo periodo sono Eva (1872), Eros (1875), Tigre reale (1875), ancora legati a un clima romantico. Nel 1878 avviene la svolta capitale verso il Verismo, con la pubblicazione del racconto Rosso Malpelo. Seguono nel 1880 le novelle di Vita dei campi, nel 1881 il primo romanzo del ciclo dei Vinti, i Malavoglia, nel 1883 le Novelle Rusticane e Per le vie, nel 1884 il dramma Cavalleria rusticana, nel 1887 le novelle di Vagabondaggio. Del 1889 è il secondo romanzo del ciclo, Mastro-don Gesualdo. Negli anni successivi Verga lavora assiduamente al terzo, La Duchessa de Leyra, ma non riesce a portarlo a termine. A Milano soggiorna per lunghi periodi, alternati con ritorni in Sicilia. Dal 1893 torna a vivere definitivamente a Catania. Dopo il 1903, l’anno di rappresentazione dell’ultimo dramma, Dal tuo al mio , lo scrittore si chiude in un silenzio pressoché totale. Le lettere di questo periodo mostrano un inaridimento assoluto, anche della passione che fu la più importante della sua vita, per la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo. Le sue posizioni politiche si fanno sempre più chiuse e conservatrici. Allo scoppio della Prima guerra mondiale è fervente interventista e nel dopoguerra si schiera sulle posizioni dei nazionalisti, pur però in un sostanziale distacco da ogni interesse politico militante. Muore nel gennaio del 1922.

I ROMANZI PREVERISTI La sua produzione significativa ha inizio con i romanzi composti a Firenze e poi a Milano. Una peccatrice (1866): pubblicato a Catania, poi ripudiato; fortemente autobiografico, che in toni enfatici e melodrammatici narra la storia di un intellettuale piccolo borghese siciliano, che conquista il successo e la ricchezza ma vede inaridirsi l’amore per la donna sognata e adorata, e ne causa così il suicidio. Storia di una capinera (1871): terminato a Firenze, è un romanzo sentimentale e lacrimevole, che narra di un amore impossibile e di una monacazione forzata. Eva: finito a Milano, è la storia di un giovane pittore siciliano che, nella Firenze capitale, brucia le sue illusioni e i suoi ideali artistici nell’amore per una ballerina, simbolo della corruzione di una società materialista, tuta protesa verso i piaceri. Eros e Tigre reale (1875): sono romanzi che analizzano sottili passioni mondane, Eros è la storia del progressivo inaridirsi di un giovane aristocratico, corrotto da una società raffinata e vuota; Tigre reale segue il traviamento di un giovane innamorato di una donna fatale, divoratrice di uomini, e la sua redenzione segnata dal ritorno alle serene gioie della famiglia. I due romanzi confermano il successo di Verga e sono salutati dalla critica come esempi di realismo, di analisi ardita e impietosa di piaghe psicologiche e sociali. In realtà questi romanzi si inscrivono in un clima ancora tardoromantico, rappresentando ambienti aristocratici o la bohème artistica, incentrandosi su passioni complesse

o violente di anime elevate, e sono scritti in un linguaggio spesso enfatico ed emotivo. Sono quindi molto lontani dal modello del Naturalismo francese, che già in quegli anni si andava imponendo.

LA SVOLTA VERISTA In Verga stava maturando una crisi. Dopo il silenzio di tre anni, nel 1878 esce un racconto che si discosta fortemente dalla materia del linguaggio della sua narrativa anteriore: Rosso Malpelo: storia di un garzone di miniera che vive in un ambiente duro e disumano, narrata con un linguaggio nudo e scabro, che riproduce il modo di raccontare di una narrazione popolare. È la prima opera della nuova maniera verista. È stato spesso interpretato come una vera e propria “conversione”. In realtà si tenga presente che Verga si proponeva di dipingere il vero, pur rifiutando ogni etichetta di scuola, già ai tempi di Eva, di Eros e di Tigre reale. Verga possedeva strumenti ancora approssimativi e inadatti, poco personali e inquinati da una convenzionale maniera romantica. L’approdo al Verismo è quindi una svolta capitale ma non una brusca inversione di tendenza, è piuttosto il frutto di una chiarificazione progressiva di propositi già radicati, la conquista, di strumenti concettuali e stilistici più maturi: la concezione materialistica della realtà e l’impersonalità. Con la conquista del metodo verista Verga non vuole affatto abbandonare gli ambienti dell’alta società per quelli popolari. Anzi, come afferma nella prefazione ai Malavoglia, si propone di tornare a studiarli proprio con quegli strumenti più incisivi di cui si è impadronito. Le basse sfere non sono che il punto di partenza del suo studio dei meccanismi della società, poiché in esse tali meccanismi sono meno complicati e possono essere individuati più facilmente. Poi lo scrittore intende applicare via via il suo metodo anche agli strati superiori, sino al mondo dell’aristocrazia, della politica. POETICA: Nel nuovo metodo narrativo vi è alla base il concetto di impersonalità. Secondo la sua visione, la rappresentazione artistica deve conferire al racconto l’impronta di cosa realmente avvenuta; per far questo deve riportare documenti umani; ma non basta che ciò che viene raccontato sia reale o documentato: deve anche essere raccontato in modo da porre il lettore faccia a faccia col fatto nudo e schietto, in modo che non abbia l’impressione di vederlo attraverso lo scrittore. Per questo lo scrittore non deve comparire nel narrato con le sue reazioni soggettive, le sue riflessioni, le sue spiegazioni, come nella narrativa tradizionale. L’autore deve vedere le cose con i loro occhi ed esprimerle con le loro parole, in tal modo l’opera dovrà sembrare essersi fatta da sé. Il lettore avrà l’impressione non di sentire un racconto di fatti, ma di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi. Verga ammette che questo può creare una certa confusione alle prime pagine: però man mano che gli attori si fanno conoscere con le loro azioni e le loro parole, attraverso di essere il loro carattere si rivela al lettore: solo così, evitando l’intromissione dell’autore che spiega e informa, si può creare l’illusione completa della realtà ed eliminare ogni artificiosità letteraria. La teoria dell’impersonalità non è per Verga una definizione filosofica in assoluto dell’arte e tanto meno un’affermazione dell’indifferenza psicologica dell’autore nei confronti della sua materia, ma è solo u suo personale programma di poetica, la definizione di un procedimento tecnico, di un modo di dar forma all’opera. Per questo Verga parla di artificio, di illusione e impressione: al lettore deve apparire come se l’autore fosse scomparso. LA TECNICA NARRATIVA: Verga applica coerentemente i principi della sua poetica nelle opere veriste composte dal 1878 in poi, e ciò dà origine ad una tecnica narrativa profondamente originale e innovatrice, che si distacca sia dalla tradizione sia dalle contemporanee esperienze italiane e straniere. Nelle sue opere l’autore si cala nella pelle dei personaggi, vede le cose con i loro occhi e le esprime con le loro parole. A raccontare infatti non è il narratore che riproduce il livello culturale, i valori, i principi morali, il linguaggio dello scrittore stesso ed interviene continuamente nel racconto ad illustrare gli antefatti o le circostanze dell’azione, a tracciare il ritratto dei personaggi. Il punto di vista dello scrittore non si avverte mai nelle opere di Verga: la voce che si colloca tutta all’interno del mondo rappresentato. Non è propriamente qualche specifico personaggio a raccontare, ma il narratore si mimetizza nei personaggi stessi, adotta il loro modo di pensare e di sentire, usa il loro stesso modo di esprimersi. È come se a raccontare fosse uno di loro, che però non compare direttamente nella vicenda e resta anonimo.

Tutto ciò si impone con grande evidenza agli occhi del lettore perché Verga rappresenta ambienti popolari e rurali e mette in scena personaggi incolti e primitivi, contadini, pescatori, minatori, la cui visione e il cui linguaggio sono ben diversi da quelli dello scrittore borghese. Questo anonimo narratore, tipico delle opere verghiane che trattano di ambienti popolari, non informa esaurientemente sul carattere e sulla storia dei personaggi, né offre dettagliate descrizioni dei luoghi dove si svolge l’azione: ne parla come se si rivolgesse a un pubblico appartenente a quello stesso ambiente, che avesse sempre conosciuto quelle persone e quei luoghi. Perciò il lettore all’inizio dei vari racconti si trova di fronte a personaggi di cui possiede solo notizie parziali o non essenziali, e solo a poco a poco arriva a conoscerli, attraverso ciò che essi fanno o dicono, o attraverso ciò che altri personaggi dicono di loro. E se la voce narrante commenta e giudica i fatti, non lo fa certo secondo la visione colta dell’autore, ma in base alla visione elementare e rozza della collettività popolare. Di conseguenza anche il linguaggio non è quello che potrebbe essere dello scrittore, ma un linguaggio spoglio e povero, punteggiando modi di dire, paragoni, proverbi, imprecazioni popolari, dalla sintassi elementare e talora scorretta, in cui traspare chiaramente la struttura dialettale. L’IDEOLOGIA VERGHIANA: La tecnica impersonale usata da Verga non è frutto di una scelta casuale, ma scaturisce coerentemente dalla sua visione del mondo pessimistica, ed è per lui il modo più adatto per esprimerla. Alla base della visione stanno posizioni radicalmente pessimistiche: la società umana è per lui dominata dal meccanismo della lotta per la vita, un meccanismo crudele, per cui il più forte schiaccia il più debole. La generosità disinteressata, l’altruismo, la pietà sono solo valori ideali che non trovano posto nella realtà effettiva. Gli uomini sono mossi non da motivi ideali, ma dall’interesse economico, dalla ricerca dell’utile, dall’egoismo, dalla volontà di sopraffare gli altri. È questa una legge di natura, universale, e domina non solo le società umane, ma anche il mondo animale e vegetale. Come legge di natura, essa è immodificabile: perciò Verga ritiene che non si possono dare alternative alla realtà esistente. Se è impossibile modificare l’esistente, ogni intervento giudicante appare inutile e privo di senso, e allo scrittore non resta che riprodurre la realtà così com’è, lasciare che parli da sé, senza farla passare attraverso alcuna lente correttiva. La letteratura non può contribuire a modificare la realtà, ma può solo avere la funzione di studiare e riprodurre fedelmente. Un simile pessimismo ha una connotazione fortemente conservatrice. Vi si associa infatti un rifiuto esplicito e polemico per le ideologie progressiste contemporanee, democratiche e socialiste. Però questo pessimismo conservatore non implica affatto, nella visione di Verga, e tanto meno nella rappresentazione letterarie, un’accettazione acritica della realtà esistente, una sorta di convivenza con essa. Anzi, proprio il pessimismo consente a Verga di cogliere con grande lucidità ciò che vi è di negativo in quella realtà. Anche se non dà giudizi correttivi, Verga rappresenta con grande accuratezza l’oggettività delle cose. Il pessimismo non è dunque un limite della rappresentazione verghiana, ma al contrario è la condizione del suo valore conoscitivo e critico. Non solo, ma proprio il pessimismo conservatore assicura Verga l’immunità da quei miti che trionfano in tanta letteratura contemporanea, il mito del progresso, centrale nella cultura e nella mentalità diffusa del tempo; poi il mito del popolo, sia nella sua versione progressista e umanitaria, sia quella romantico-reazionaria e nostalgica. Anche se le opere di Verga hanno per gran parte al centro la vita del popolo, non si riscontra in essere quell’atteggiamento populistico che affligge tanta letteratura del secondo Ottocento, che consiste nella pietà sentimentale per le miserie degli umili, nella fiducia in un miglioramento delle condizioni dei diseredati. Tracce di una simile tematica umanitaria e sociale si possono trovare nella materia in astratto di alcune opere veriste di Verga. Tuttavia il duro pessimismo, la visione arida e desolata, che si concentra sugli aspetti più crudi della realtà, mortifica in Verga ogni possibile abbandono al patetismo umanitario; anzi, la scelta di regredire nell’ottica popolare, di raccontare proprio dal punto di vista della lotta per la vita, costituisce la dissacrazione più impietosa di ogni mito populistico progressivo. Ma in Verga non è presente neppure il populismo di tipo romantico e reazionario, proteso nostalgicamente, verso forme passate di vita. Pur sottolineando la negatività del progresso moderno, Verga non contrappone ad essa il mito della campagna, della civiltà contadina arcaica e patriarcale, concepita come un Eden di incorrotta autenticità, di una sanità e innocenza di vita ormai perdute, da indicare come antidoto alla società cittadina e moderna. Tracce di una visione del genere si trovano ancora in una prima fase del suo verismo, ma vengono superate nelle opere più mature.

Il pessimismo induce Verga a vedere che anche il mondo primitivo della campagna è retto, nella sua essenza, dalle stesse leggi del mondo moderno, l’interesse economico, l’egoismo, la ricerca dell’utile, la forza e la sopraffazione, che pongono gli uomini in costante conflitto fra loro. Verga non è scrittore che offra facili evasioni o immagini consolatorie, ma è uno scrittore scomodo, aspro, sgradevole, che urta il lettore e stimola così la riflessione critica.

VITA DEI CAMPI La nuova impostazione narrativa inaugurata nel 1878 con Rosso Malpelo è continuata da Verga in una serie di altri racconti, pubblicati su varie riviste tra il 1879 e l’80 e raccolti nel 1880 nel volume Vita dei campi. In questi racconti spiccano figure caratteristiche della vita contadina siciliana e viene applicata la tecnica narrativa dell’impersonalità (con l’eccezione di Fantasticheria, che ha la forma di una lettera rivolta dall’autore ad una dama del gran mondo, con cui rievoca un soggiorno in un paesino di pescatori. Accanto alla scabra rappresentazione verista e pessimistica del mondo rurale, in queste novelle si può trovare ancora traccia di un atteggiamento romantico, di un idoleggiamento nostalgico di quell’ambiente arcaico come di una sorta di paradiso perduto di autenticità e innocenza, antitesi dell’artificiosità della vita cittadina e borghese. In queste novelle ricorre anche dietro, la superficie verista della rappresentazione del mondo popolare, un motivo schiettamente romantico come il conflitto fra l’individuo diverso e il contesto sociale che lo rifiuta e lo espelle. In Verga, in questo periodo, è ancora in atto una contraddizione tra le tendenze romantiche della sua formazione e le nuove tendenze veristiche, pessimistiche e materialistiche, che lo inducono a studiare scientificamente le leggi del meccanismo sociale e a riconoscere che anche il mondo rurale è dominato dalla stessa legge della lotta per la vita che regola la società cittadina.

IL CICLO DEI VINTI Parallelamente alle novelle Verga concepisce anche il disegno di un ciclo di romanzi. Al centro pone la volontà di tracciare un quadro sociale, di delineare la fisionomia della vita italiana moderna, passando in rassegna tutte le classi, dai ceti popolari alla borghesia di provincia all’aristocrazia. Criterio unificante è il principio della lotta per la sopravvivenza: tutta la società, ad ogni livello, è dominata da conflitti di interesse, ed il più forte trionfa, schiacciando i più deboli. Verga però non intende soffermarsi sui vincitori di questa guerra universale e sceglie come oggetto della sua narrazione i vinti. Al ciclo viene premessa una prefazione, che chiarisce gli intenti generali dello scrittore: nel primo romanzo i Malavoglia: si tratta della semplice lotta per i bisogni materiali; in quelle basse sfere il meccanismo sociale è meno complicato e potrà quindi essere osservato con maggior precisione. Nei romanzi successivi sarà analizzata questa ricerca del meglio nel suo progressivo elevarsi attraverso le classi sociali, dall’avidità di ricchezza nella borghesia di provincia ( Mastro-don Gesualdo) alla vanità aristocratica (La Duchessa de Leyra), all’ambizione politica (L’onorevole Scipioni) e artistica (L’uomo di lusso ). Anche lo stile e il linguaggio devono modificarsi gradatamente in questa scala ascendente e ad ogni tappa devono avere un carattere proprio, adatto al soggetto.

I MALAVOGLIA Il primo romanzo del ciclo, è la storia di una famiglia di pescatori siciliani. I Toscano, soprannominati “Malavoglia”, una famiglia di pescatori di Aci Trezza, posseggono una casa e una bara, la Provvidenza, che consentono loro una vita tranquilla. Nel 1863 il giovane ‘Ntoni deve partire per il servizio militare. La famiglia, privata delle sue braccia, si trova in difficoltà, dovendo pagare un lavorante. A ciò si aggiunge una cattiva annata per la pesca, e il fatto che la figlia maggiore, Mena, abbia bisogno della dote per sposarsi. Padron ‘Ntoni, per superare le difficoltà, pensa di intraprendere un piccolo commercio: compera a credito dall’usuraio zio Crocifisso un carico di lupini, per rivenderlo in un porto vicino. Ma la barca naufraga nella tempesta, Bastianazzo muore e il carico va perduto. I Malavoglia, oltre ad essere colpiti negli affetti, si trovano anche di fronte al debito da pagare. Comincia di qui una lunga serie di sventure. La casa viene pignorata; Luca, il secondogenito, muore nella battaglia di Lissa; la madre, Maruzza, è uccisa dal colera. La sventura disgrega il nucleo famigliare: ‘Ntoni, che ha conosciuto la vita delle grandi città, non si adatta più ad una vita di dure fatiche e di stenti; comincia a frequentare l’osteria e le cattive compagnie, è coinvolto nel contrabbando e, sorpreso, finisce per dare una coltellata ad una guardia doganale. Al processo ‘Ntoni ottiene una condanna mite ma Lia, ormai disonorata, fugge dal paese e finisce in una casa di malaffare di città. A causa del disonore caduto sulla famiglia, Mena, non può più spostare compare Alfio. Il vecchio

padron ‘Ntoni, atterrato dalle sventure, muore in ospedale. L’ultimo figlio, Alessi, riesce a riscattare la casa del nespolo, continuando il mestiere del nonno. ‘Ntoni, uscito di prigione, torna una notte in famiglia, ma si rende conto di non poter più restare, e si allontana per sempre. I Malavoglia rappresentano la vita di un mondo rurale arcaico, chiuso in ritmi di vita tradizionali che si modellano sul ritorno ciclico delle stagioni e dominato da una visione della vita anch’essa tradizionale. Ma non si tratta di un mondo del tutto immobile, il romanzo è proprio la rappresentazione del processo per cui la storia penetra in quel sistema arcaico, rompendone gli equilibri. L’azione infatti ha inizio all’indomani dell’Unita, nel 1863, e mette in luce come il piccolo villaggio siciliano sia investito dalle tensioni di un momento di rapida trasformazione della società italiana. La storia ...


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