Riassunto Metodologie e tecnologie didattiche PDF

Title Riassunto Metodologie e tecnologie didattiche
Author Sabrina Bellini
Course Tecniche e Metodologie Didattiche
Institution Università telematica e-Campus
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Metodologie e Tecnologie Didattiche Schema riassuntivo del corso:

L’apprendimento L’apprendimento non avviene in maniera isolate dalle altre sfere della vita di un individuo. I bisogni di conoscenza, la capacità di cogliere le opportunità disponibili e le modalità attraverso cui si apprende sono dimensioni largamente determinate dalla società. La globalizzazione e la tecnologia sono due forze che incidono sugli accadimenti che attraversano il contesto in cui si vive e, quindi, influenzano l’apprendimento di un adulto. Queste forze interagiscono tra di loro e sono incarnate nel sistema di valori della cultura in cui si vive. L’educazione degli adulti riflette e risponde a tali forze. L’apprendimento in età adulta è il modo in cui l’adulto acquisisce, interpreta, organizza, modifica o assimila gruppi d’informazioni, competenze e sentimenti tra loro collegati e costituisce significati da attribuire alla vita quotidiana (Marsick V., 1987). L’apprendimento può limitarsi a un cambiamento specifico e circoscritto, o può svolgersi in un arco temporale più lungo.

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L’apprendimento formale è quello promosso e riconosciuto istituzionalmente, avviene in aula ed è altamente strutturato. Viene svolto attraverso l’insegnamento sistematico da parte di docenti e l’uso di manuali, esami e crediti (Knowles M., 1975). L’apprendimento non formale descrive le opportunità di apprendimento che avvengono fuori dal sistema educativo formale. In genere sono percorsi di breve durata e che non richiedono prerequisiti specifici. Ne sono un esempio i programmi culturali offerti da musei, biblioteche, organizzazioni civili o religiose e dai mass media. L’apprendimento informale accade ovunque gli individui avvertono necessità, motivazione e opportunità di apprendimento. Avviene, quindi, in contesti destrutturati, esperienziali e non istituzionali (Coombs P., 1958; Marsick V., Watkins K., 1990). Avvicinarsi al tema dell’apprendimento informale richiede, pertanto, di enucleare un insieme di concetti interconnessi tra loro e allo stesso tempo non utilizzabili in modo sinonimico, quali l’apprendimento incidentale, la conoscenza tacita, l’apprendimento trasformativo, l’apprendimento esperienziale e l’apprendimento situato. L’apprendimento autodiretto è un processo con cui gli individui possono diagnosticare i propri bisogni di apprendimento, articolarli in obiettivi, scegliere e attuare delle strategie d’apprendimento appropriate e valutarne i risultati (Knowles, 1984). Tale risultato comporta spesso il supporto di altri soggetti, quali docenti, tutor e colleghi. La teoria dell’autore è legata al suo concetto di andragogia che descrive l’arte e la scienza di aiutare gli adulti ad apprendere. Tale concetto verrà messo in discussione più volte e subirà diverse modifiche e revisioni, infatti a metà degli anni ’70 l’andragogia non è più intesa come la controparte della pedagogia, ma queste due scienze vengono intese come gli estremi di uno spettro che va dall’apprendimento diretto dal docente a quello diretto dal discendente. L’apprendimento incidentale rappresenta un effetto collaterale di qualche altra attività, non è quindi intenzionale e gli outcome non sono necessariamente comprensibili. Queste forme di apprendimento avvengono naturalmente nel corso delle interazioni, che caratterizzano la quotidianità di chiunque, e accadono in modo casuale, idiosincratico e in occasioni di serendipità (Marsick V., Volpe M., 1999). Ciò rende difficoltosa la loro progettazione ma Marsick e Watkins individuarono tre condizioni particolarmente promettenti per facilitare e migliorare questi insegnamenti: la riflessività, la proattività e la creatività.

L’apprendimento esperienziale L’apprendimento esperienziale evidenzia le connessioni tra le esperienze maturate da un adulto e gli “insegnamenti” che questo può trarne. Nel 2003, Fenwick individua cinque differenti prospettive teoriche che hanno analizzato e sollevato importanti interrogativi sulla natura dell’apprendimento esperienziale:

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Teoria costruttivista: si focalizza sullo studio dei processi di riflessione attraverso cui l’adulto costruisce conoscenze e significati da attribuire alla propria esperienza, pone quindi l’attenzione sulla riflessione sull’esperienza concreta; Teoria situazionale: l‘apprendimento avviene all’interno di una cornice sociale in cui a ogni esperienza è associato un significato. Tale significato è dato dalla la somma delle diverse prospettive dei vari partecipanti. Tale approccio pone l’attenzione alla partecipazione a comunità di pratica CdP. Teoria psicoanalitica: affronta il ruolo del desiderio nell’apprendimento e riconosce la necessità di elaborare i propri conflitti psichici, per questo pone l’attenzione al rivelare i desideri inconsci e le paure. Teoria culturale: pone l’attenzione del learner alla comprensione delle norme sociali dominanti e strutturanti dell’esperienza, in questo modo il soggetto può analizzarle e metterle in discussione Teoria della complessità: sostiene che l’apprendimento sia l’esito dell’interazione tra consapevolezza, identità, azione e interazione. In questa teoria l’attenzione è posta sulle relazioni che intercorrono tra tali dinamiche e i sistemi che le generano.

Nel 1938 Dewey ha formulato alcune osservazioni circa le possibili connessioni tra le esperienze di vita e i processi di apprendimento. La natura di tali connessioni può essere sintetizzata attraverso le seguenti affermazioni: -

Tutto ciò che può genuinamente definirsi educazione avviene attraverso l’esperienza; L’esperienza per essere considerata tale deve manifestare i principi di continuità e interazione; Il principio di continuità dell’esperienza implica che ogni esperienza assorbe qualcosa da quelle che l’hanno preceduta e, allo stesso tempo, modifica in qualche modo la qualità di quelle che verranno in seguito; Il principio di interazione dell’esperienza significa che l’esperienza è tale a causa di una transazione che avviene tra l’individuo e ciò che, in un dato momento, costituisce l’ambiente in cui si muove. L’autore precisa che non tutte le esperienze hanno una valenza educativa che necessariamente porta alla crescita di esperienze sempre più ampie e profonde. Stabilire se le esperienze producono apprendimento può essere difficoltoso dato che ogni esperienza si presenta come una forza in movimento, il cui valore può essere analizzato solo attraverso e dento il contesto che l’ha generata. Di conseguenza, l’apprendimento esperienziale è un processo olistico, di costruzione attiva dell’esperienza, socialmente e culturalmente costruito e influenzato dal contesto socioemotivo in cui accade. Gli studi condotti da diversi autori quali Jarvis, Dewey e Kolb riconoscono che l’apprendimento esperienziale richiede quattro differenti abilità: aperura e disponibilità a coinvolgersi in nuove esperienze, capacità d’osservazione e riflessione, abilità analitiche e capacità di decision making e problem solving.

Il modello di Jarvis è un processo di trasformazione in cui le esperienze vengono convertite in sistemi di conoscenze (come affermato anche da Dewey però, il potenziale di apprendimento insito in ogni esperienza non sottintende che qualsiasi esperienza generi apprendimento). Per Jarvis, l’apprendimento esperienziale può essere di tipo riflessivo, se le esperienze vengono progettate, controllate e riflettute, o ti tipo non riflessivo (ripetizione automatica di un ricordo o di ciò che ci è stato detto di fare). L’autore infatti considera le pratiche riflessive e l’apprendimento sperimentale le più alte forme di apprendimento adulto. Jarvis sostiene che l’inizio del processo di apprendimento si configuri come una disgiunzione tra la propria biografia (tutto ciò che una persona è in un particolare momento) e l’esperienza (intesa come un accadimento che non si è preparati ad affrontare). Tali forme di disgiunzione avvengono perché il repertorio biografico dell’adulto non è sufficiente a far fronte alla situazione che a chiamato a gestire. Questo è un passo fondamentale, in quanto per Jarvis l’apprendimento può avere inizio solo quando il soggetto è alle prese con un‘esperienza la cui elaborazione non possa essere automaticamente accomodata o assimilata. In sintesi, egli considera l’apprendimento adulto come un fenomeno interattivo, rappresentato da una concomitanza di processi grazie ai quali l’adulto sperimenta situazioni sociali i cui contenuti semantici attraversano trasformazioni cognitive, emotive e pratiche e vanno a integrarsi in una biografia individuale, che per certi aspetti descrive un soggetto maggiormente esperto. Secondo gli studiosi Usher, Bryant e Johnston il significato dell’esperienza non è mai permanentemente stabilito e il suo testo rimane sempre aperto a nuove interpretazioni. Il loro modello si struttura attorno a due continuum intersecanti (autonomia-adattamento ed espressioneapplicazione) e ai quattro quadranti da loro formati (che rappresentano i luoghi in cui le differenti tipologie di apprendimento possono verificarsi): -

Stile di vita: sono le pratiche incentrate sul raggiungimento dell’autonomia attraverso l’individualità e l’espressione del proprio gusto. Vocational practices: sono le azioni connesse alla necessità di adeguare e motivare i propri bisogni in direzione di un cambiamento personale scandito dalle esigenze del contesto socioeconomico. Confessional practices: l’enfasi è posta sui processi di auto-miglioramento, come una realizzazione personale o la presa in carico di responsabilità. Critical practices: nascono dal riconoscimento che l’esperienza non può essere assunta come un dato ineluttabile. L’attenzione è rivolta al cambiamento dei contesti sociali e di appartenenza in cui la persona si muove, piuttosto che al tentativo di adattarvisi.

Il modello di Usher, Bryant e Johnston fonda su paradigmi situazionali e quindi è interessato a promuovere modelli metodologici in grado di costruire e coltivare comunità di pratica.

In sintesi, autori come Kolb (1984) e Jarvis (1987) riconoscono nei paradigmi costruttivisti la chiave dell’apprendimento esperienziale. Usher, Bryant e Johnston (1997) vedono invece i paradigmi situazionali alla base dell’apprendimento esperienziale in quanto consentono di costruire e coltivare comunità di pratica.

La pratica riflessiva La pratica riflessiva è un metodo particolarmente promettente per progettare e attuare interventi educativi che supportino le diverse forme che l’apprendimento esperienziale può assumere, permettendo di formulare giudizi in situazioni complesse e contradditorie. Richiede un’interruzione intenzionale dell’azione che permetta al soggetto di prendere in considerazione la molteplicità delle prospettive che possono concorrere a definire una situazione o un problema. Le dimensioni peculiari della pratica riflessiva sono le credenze (le teorie dichiarate) e le pratiche (le teorie in uso, le azioni svolte). L’outcome della riflessione è la possibilità di guadagnare consapevolezza delle proprie strutture tacite e la capacità di comprendere come metterle in discussione. Distinguiamo quindi le riflessioni sull’azione dalle riflessioni nel corso dell’azione. La riflessione sull’azione è uno step fondamentale del processo riflessivo, in quanto permette di tornare consapevolmente sull’esperienza vissuta, di rivalutarla, di decidere che cosa poteva essere fatto diversamente e di provare ad attuare ciò che si è scelto di cambiare, perché percepito come disfunzionale. In sintesi, la pratica riflessiva è un processo ciclico che può aiutare l’adulto a divenire consapevole delle discrepanze tra le sue credenze e ciò che realmente compie, e metterlo nella condizione di agire di conseguenza. Quando l’adulto avverte di avere la necessità di confrontare le teorie dichiarate con l’azione, solitamente si trova a interrogarsi sulla relazione fra l’azione intrapresa e l’intenzione che l’ha mossa, e sulla percezione di coerenza tra l’agito e i valori che avrebbero dovuto muoverlo. Dal punto di vista metodologico, i metodi più diffusi per la “riflessione sull’azione” sono: il portfolio development, la mappa concettuale, la scrittura del diario e la riflessione critica, tutti strumenti in cui l’utilizzo di osservazioni critiche e forme d’interrogazione sono pare integrante del processo stesso di riflessione. La riflessione nel corso dell’azione si contraddistingue dagli altri tipi di riflessioni in quanto ha un significato immediato per l’azione stessa. Questa è innescata dall’esperienza della sorpresa, dalla scoperta che quanto pensato e fatto fino ad allora non funziona più. L’adulto, pertanto, ha l’opportunità di riflettere criticamente su una situazione percepita come problematica e che, allo stesso tempo, fornisce un’occasione per riconfigurare le strategie dell’azione, la comprensione dei fenomeni, o i modi di strutturare il problema. Ciò avviene nel mezzo dell’azione -senza interromperla- e dà luogo a una sorta di esperimento sul campo. Secondo Schön, questa forma di pratica riflessiva permette agli adulti di andare oltre l’applicazione ordinaria di regole e conferisce loro la libertà di creare nuove modalità di pensiero e azione circa i problemi concreti.

Nel 1993 Schön parla di “ricerca riflessiva” che può aiutare i professionisti ad assumere consapevolezza delle proprie strutture tacite e a criticarle. Questa ricerca, non si configura come una pratica individuale, ma riguarda i modi attraverso cui si appartiene ad una comunità e l’autore individua quattro tipologie di ricerca riflessiva: 1.

Analisi della struttura: in un certo momento della vita di un professionista (o più generalmente di un adulto), cominciano ad affermarsi determinati modi di strutturare i problemi e i ruoli. Questo, può avviene in maniera inconscia e il professionista in questione non presta più attenzione ai modi in cui costruisce la realtà in cui agisce. Diventare consapevoli della realtà è per Schön diventare consapevoli di possibili modi alternativi di strutturare la realtà della pratica posta in atto. La consapevolezza della struttura ha come seguito quella che è definita la “consapevolezza dei dilemmi” secondo cui quando una comunità di professionisti incorpora idee, molteplici e contrastanti, sulle strutture adatte alla costruzione di problemi e di ruoli, allora i professionisti si trovano di fronte a questi dilemmi. 2. Ricerca per la costruzione del repertorio: è il modo per far circolare le conoscenze scaturite dalla pratica. 3. Ricerca sui metodi fondamentali di indagine e sulle teorie dominanti. 4. Ricerca sul processo di riflessione nel corso dell’azione.

L’apprendimento situato Nel 1991, Lave e Wenger delineano il concetto di apprendimento situato e lo collocano nel contesto di specifiche forme di compartecipazione sociale, ponendo l’accento sulle forme di partecipazione sociale che fornisce il contesto. Gli studiosi non d’interrogano su quali processi cognitivi e strutture concettuali siano coinvolte nell’apprendimento, ma sulle forme di partecipazione sociale che forniscono il contesto appropriato per il compiersi di tale processo. Richiamano, quindi, l’attenzione sul ruolo interattivo e produttivo della persona nell’acquisizione di abilità nel processo di apprendimento.

L’apprendimento infatti, inteso come dimensione della pratica sociale, è un processo distribuito fra i partecipanti e non un atto individuale e ciò implica che sia la comunità a intraprendere tale processo. Il concetto di apprendimento situato si configura come una forma di partecipazione periferica legittima ossia, una particolare modalità di partecipazione della persona-che-apprende coinvolta nella pratica di un esperto, ma solo in misura parziale e con una responsabilità limitata rispetto al prodotto finale complessivo. Dal concetto di apprendimento situato emerge quello di comunità di pratica elaborato da Wenger. L’autore definisce le CdP come “gruppi di persone che condividono un interesse, un insieme di problemi, una passione rispetto a una tematica e che approfondiscono la loro conoscenza ed esperienza in quest’area mediante interazioni continue”. Alla base di queste comunità quindi, vi è la partecipazione, intesa come l’essere partecipanti attivi nelle pratiche di comunità sociali e nella costruzione di identità. Parallelamente, ciò che accomuna tutti i membri delle CdP è lo svolgimento di una pratica, che può essere definita come il frutto di una negoziazione fra aspetti materiali (ex: le azioni) e immateriali (il significato delle azioni) e deve essere considerata in base al contesto, che dà alla pratica un determinato significato. La comunità di pratica, quindi, nasce spontaneamente e a partire da un network preesistente (condizione necessaria). Le pratiche sono finalizzate, nel senso che tendono verso un fine pratico e questo fine emerge dall’attività lavorativa stessa (in questo senso la pratica non è mai un mezzo) e dietro ad ogni pratica c’è una comunità di praticanti, cioè un gruppo di persone che sono in qualche modo riconosciute socialmente come partecipanti legittimi di un fare situato. Tutto ciò, conferisce identità al praticante, legittima il suo fare e fornisce anche l’occasione per elaborare i criteri per decidere quale pratica sia la migliore, la più promettente o la più disdicevole. Tuttavia, non tutte le comunità sono CdP poiché per sussistere tale relazione devono essere presenti 3 aspetti: 1.

Impegno reciproco: una CdP necessita di mantenere nel tempo intense relazioni di impegno reciproco, organizzato intorno ai compiti da svolgere 2. Impresa comune: il risultato di un processo collettivo di negoziazione che riflette tutta la complessità dell’impegno reciproco 3. 3. Repertorio condiviso

Per quanto riguarda la progettazione e lo sviluppo delle CdP, queste sono più legate a stimolare la riflessione che a pianificare, dirigere e organizzare l’apprendimento. Dato che le comunità sono costruite su un network esistente e si evolvono al di là di qualsiasi sforza progettuale, lo scopo della progettazione non è quello di imporre una struttura, ma di aiutare la comunità a svilupparsi (Wenger E., 1998). I principi secondo cui avviene la progettazione delle CdP si concentrano sugli aspetti essenziali delle CdP stesse e intendono solo segnalare le questioni su cui riflettere quando si progetta. Ne vengono individuati sette: 1.

Progettare l’evoluzione: gli elementi di progettazione dovrebbero porsi come dei catalizzatori per un’evoluzione naturale della comunità; 2. Aprire un dialogo tra prospettive interne ed esterne: il confronto con l’esterno può favorire una migliore comprensione del potenziale della comunità; 3. Favorire differenti livelli di partecipazione: fare in modo che i membri della comunità, siano centrali (core), attivi (active) o periferici (peripheral) e ricoprano ruoli specifici 4. Sviluppare spazi di comunità pubblici e privati: la dimensione pubblica e quella privata sono strettamente correlate, la loro efficace gestione è la chiave per il successo della comunità; 5. Concentrarsi sul valore: creare occasioni per incoraggiare i membri a esplicitare il valore attribuito alla comunità nel corso del suo sviluppo. 6. Combinare esperienze familiari ed eventi inconsueti: 7. Dare ritmo alla comunità: In sintesi, il costrutto delle CdP fornisce uno schema interpretativo per descrivere una specifica forma dell’apprendimento situato e propone un modello metodologico che postula la possibilità, in determinati ambienti e a certe condizioni, di promuovere, costruire e coltivare CdP.

L’apprendimento trasformativo L’apprendimento trasformativo è un apprendimento inestricabilmente legato a un cambiamento che può assumere connotazioni drammatiche, critiche e sostanziali in cui l’adulto osserva sé stesso e il mondo in cui vive. La costruzione mentale dell’esperienza, i sistemi di significato e le riflessioni sono le componenti fondamentali di questo approccio (Taylor E., 2003). La teoria dell’apprendimento trasformativo descrive come gli adulti, alle prese con dei passaggi critici dell’esistenza, possano aiutare sé stessi a superare i vincoli all’apprendimento, determinatisi ...


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