Riassunto Potenziali di sviluppo e di apprendimento nelle disabilità intellettive. Indicazioni per gli interventi educativi e didattici - psicologia dello sviluppo e dell\'educazione - a.a. 2015/2016 PDF

Title Riassunto Potenziali di sviluppo e di apprendimento nelle disabilità intellettive. Indicazioni per gli interventi educativi e didattici - psicologia dello sviluppo e dell\'educazione - a.a. 2015/2016
Course Psicologia dello Sviluppo e dell'Educazione
Institution Università degli Studi di Padova
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Potenziali di sviluppo e di apprendimento nelle disabilità intellettive (Renzo Vianello) Capitolo 1 - Cosa mi hanno insegnato 40 anni d’integrazione: commento critico. Percorso storico dell’integrazione. L’applicazione della legge 517 del 1977, che stabilì: a) L’abolizione delle classi differenziali e di aggiornamento; b) Forme di integrazione e sostegno a favore di alunni portatori di handicap sia nella scuola elementare sia media inferiore; c) Che le classi che accolgono portatori di handicap fossero costituite da un massimo di 20 alunni (oggi questa legge è superata); d) Che per gli alunni in situazioni di handicap fossero previsti anche insegnanti specializzati per il sostegno. Le esperienze di Vianello in quegli anni dimostrano che le conoscenze sulle varie sindromi erano estremamente limitate e raramente avevano il conforto di indagini genetiche che ci indicassero la presenza di disturbi specifici. Vianello ha sempre prestato particolare attenzione alla sindrome di Down, riscontrando che i minori con sindrome di Down italiani conseguivano nei test di intelligenza punteggi superiori rispetto ai minori con sindrome di down istituzionalizzati. I risultati a quei tempi erano discordanti, non dimostravano se inserire allievi con sindrome di Down in classi normali fosse positivo o negativo. Ora sappiamo che la risposta è positiva. In un articolo del 1978 si può constatare che l’età mentale media in soggetti con sindrome di Down a quei tempi non arrivava mai a 48 mesi (circa 4 anni). Inoltre fino agli 10-11 anni l’età mentale è sotto ai 3 anni. Le medie emerse da ricerche con allievi italiani ha dimostrato che le medie mentali si collocano fra i 5 e i 6 anni (a partire dai 10-12 anni di età cronologica). Quindi c’è un amento proporzionale attorno al 50%. Questi dati si riferiscono alla popolazione generale degli allievi italiani con sindrome di Down e non solo a quella di gruppi ben seguiti a livello educativo e abilitativo. Questi dati ci dicono che: – 4 minori con sindrome di Down su 6 forniscono ai test di intelligenza prestazioni paragonabili a quelle di bambini di età compresa fra i 4 e i 7 anni; – 1 su 6 evidenzia una età mentale inferiore; – 1 su 6 ha prestazioni superiori ai 7 anni. Quindi 5 su 6 hanno una intelligenza superiore a quella media valutata nel 1978 in allievi inseriti in scuole speciali. Secondo le opinioni di Vianello la grande maggioranza delle persone con Sindrome di Down avrebbe prestazioni superiori ai 7 anni. Attualmente la età mentale è raggiunta da una minoranza di loro, questo dimostra che c’è un ampio margine di progresso raggiungibile attraverso adeguati interventi educativi, scolastici, abilitativi e sociali. Vianello ritiene che in futuro si potrà raggiungere questo progresso, visti quelli avvenuti dal 1978 ad oggi. Però non tutta la totalità dei soggetti italiani con sindrome di Down sono compresi in questo progresso, perché alcuni presentano quadri sindromici più gravi. Anche se si è parlato solo di intelligenza, si può dire che è una buona base di partenza ma non basta, ci sono altri aspetti dello sviluppo da valutare in questi casi e che non sono sempre legati allo sviluppo dell’intelligenza. Vianello ha constatato che adeguati interventi educativi, scolastici, abilitativi e sociali permettono il raggiungimento di prestazioni scolastiche e di adattamento sociale anche con basi cognitive inferiori rispetto a quelle di norma utilizzate dai bambini con sviluppo tipico. Questo è l’effetto surplus. Le persone con sindrome di Down che hanno prestazioni nei test di intelligenza equivalenti a quelle dei bambini con sviluppo tipico di età superiore ai 7 anni hanno potenziali di apprendimento scolastico e adattivo che permettono di raggiungere prestazioni tipiche di ragazzi che frequentano la scuola secondaria di primo grado. L’inserimento di allievi con sindrome di Down in classi normali produce due effetti: – Gli effetti diretti che comprendono i progressi a livello di apprendimento scolastico e sociale. – Gli effetti indiretti ci sono ad esempio: o A livello extrascolastico c’è una maggiore accettazione sia nei confronti dell’individuo con disabilità che dei suoi familiari; o Si riducono i sentimenti di esclusione e aumenta la motivazione all’apprendimento e alla socializzazione da parte della persona con disabilità; o Diminuiscono i sentimenti di esclusione da parte dei familiari e questo permette loro una maggiore libertà sociale, maggiore accettazione delle difficoltà, un miglior rapporto educativo con il figlio o la figlia con disabilità, minor senso di colpa, ecc. Rispetto al passato quindi hanno raggiunto un livello intellettivo superiore e prestazioni scolastiche e adattamenti sociali superiori al livello intellettivo. Inoltre sono diminuiti i processi di esclusione e i processi inibitori collegati. Sono aumentato l’autodeterminazione e la motivazione sociale.

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Vianello attribuisce molta importanza al ruolo educativo dei genitori, perché possano esprimersi in modo adeguato, senza lasciarli soli, ma fornendo un adeguato counseling. Alcuni genitori possono esprimere un eccesso di ottimismo o un eccesso di disperazione. Vianello in passato alcuni anni fa assieme a sette giovani psicologhe, hanno seguito una ventina di famiglie aventi un figlio/a con sindrome di Down, abitanti nel Veneto. È stata una ricerca longitudinale che prevedeva almeno 10 incontri annui con le famiglie. Questa esperienza ha dimostrato che se adeguatamente seguiti, i genitori evidenziano quasi sempre buone o ottime capacità educative, evitando errori che invece compiono se non sono seguiti, come quelli di sostituire insegnanti o professionisti, di iperstimolare o iperproteggere il figlio, di responsabilizzarsi troppo, ecc. Quindi Vianello ritiene che abbia un ruolo determinante il counseling ai genitori fin dalla nascita dei loro figli con disabilità intellettive. Questo in Italia non è ancora stato realizzato e Vianello spera in un miglioramento nelle istituzioni che possono permettere questi servizi. Infine è giusto “preparare l’inclusione” dei bambini con disabilità in classi normali, deve essere ben preparato. Anche se questo ha portato in Europa ancora in piccola percentuale (2%) l’utilizzo delle classi speciali. Le ricerche di Vianello sull’atteggiamento della popolazione, degli insegnanti e dei coetanei nei confronti della collocazione di allievi con disabilità intellettive in classe speciale e normale dimostrano che per migliorarlo bisogna vivere insieme in modo coinvolgente ai soggetti con disabilità.

Capitolo 2 - Fondamenti teorici. Vygotskij e la zona di sviluppo potenziale. Ha introdotto il concetto di “zona di sviluppo prossimale”: secondo l’autore l’apprendimento del bambino si svolge con l’aiuto degli altri, di conseguenza la zona di sviluppo prossimale è definita come la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale che può essere raggiunto con l’aiuto di altri con competenze maggiori. Nel descrivere lo sviluppo del bambino, Vygotskij sintetizza l’interazione tra pensiero e linguaggio nelle seguenti tappe: 1) il comportamento del bambino è regolato dal linguaggio dell’adulto; 2) il bambino dice a se stesso cosa fare a voce alta; 3) il bambino parla a se stesso “nella mente” per regolare il proprio comportamento; 4) con il linguaggio il bambino struttura il suo modo di pensare. Per Vygotskij esistono però dei concetti fondamentali che si riferiscono allo sviluppo spontaneo: a) Concetto di tempi ottimali dell’apprendimento, che esplica il fatto che il bambino debba essere arrivato a un certo grado di maturità nello sviluppo affinché l’apprendimento di una materia diventi possibile; b) Concetto di periodi sensibili dello sviluppo, che esplica il fatto che per ciascun apprendimento sussistono delle scadenze ottimali, nel senso che eccedenze sia in un senso che nell’altro risultano sempre nocive. Bisogna determinare due livelli di sviluppo del bambino per trovare la relazione tra sviluppo e capacità potenziale di apprendimento: 1) lo sviluppo effettivo, che è il momento in cui si stabilisce l’età mentale del bambino con l’utilizzo di test; 2) l’area di sviluppo potenziale, cioè ciò che il bambino può fare oggi con l’aiuto dell’adulto e che domani farà da solo. Quindi i potenziali di sviluppo si realizzano solo se l’individuo ha raggiunto certi apprendimenti e se ci sono adeguati stimoli ambientali (si pone l’enfasi sulle potenzialità dell’individuo); invece i potenziali di apprendimento costituiscono ciò che l’individuo può imparare non solo spontaneamente ma anche grazie a educazione, istruzione e interventi attivi (si pone l’enfasi su ciò che l’individuo può imparare). Si dà per scontato che individui con disabilità intellettive abbiano un potenziale di sviluppo minore, ma un intervento, migliore qualitativamente e quantitativamente, può produrre non solo specifici apprendimenti ma anche un aumento dei potenziali di sviluppo. Un intervento abilitativo ed educativo che consideri la zona di sviluppo prossimale richiede di: – Comprendere la fase di sviluppo in cui si trova il bambino; – Conoscere la fase che di norma segue quella in cui si trova il bambino; – Individuare i potenziali di apprendimento. Quando si è in presenza di disabilità intellettive bisogna tenere presente che: – Per cause ambientali e potenzialità maturazionali le varie fasi possono realizzarsi a età diverse; – Gli effetti maturazionali e ambientali interagiscono tra loro; – Per individuare i potenziali di sviluppo e di apprendimento è opportuno interpretare prestazioni, abilità e competenze in termini di età equivalenti; – Lo sviluppo delle varie funzioni (linguaggio, memoria, capacità visuo-spaziali) tende ad avvenire in modo meno coerente, con punti di forza e di debolezza; – A parità di età equivalente, i potenziali di apprendimento tendono a essere minori.

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Conflitti cognitivi e sociocognitivi, tener conto di ciò che il bambino sa già: ricerche di orientamento piagetiano. Apprendimento e strutture della conoscenza. Bärber Inhelder, Hermine Sinclair e Magali Bovet mettono in evidenza tre condizioni fondamentali per la realizzazione di un vero apprendimento: 1. L’attività del soggetto, infatti tanto più un soggetto è attivo tanto più fruttuosa sarà la situazione di apprendimento; 2. La coordinazione degli schemi, perché ogni nuova struttura integra, coordinandoli, schemi anteriori; 3. Le tappe dell’evoluzione, poiché lo sviluppo cognitivo segue delle tappe precise. Secondo la posizione piagetiana è possibile accelerare i processi di sviluppo ma rispettando le tappe di sviluppo del soggetto. Per questo vengono valorizzate situazioni che stimolano nel bambino curiosità, interesse, scoperta di qualcosa di problematico, desiderio di pervenire a una soluzione. Per studiare questo, Inhelder, Sinclar e Bovet hanno condotto delle ricerche che prevedevano: 1. Un pre-test che proponeva delle prove per stabilire il livello di partenza del bambino; 2. Un training che proponeva delle situazioni che favorivano il conflitto cognitivo e quindi l’apprendimento ; 3. Un post-test che valutava un eventuale progresso rispetto al pre-test, sia a breve (1-3 gg) che a lungo termine (4-6 set). I risultati hanno mostrato che: 1. È possibile accelerare lo sviluppo cognitivo. 2. Il livello di progresso è in funzione del livello cognitivo emerso nel pre-test e che può esserci un progresso differito. Quindi i bambini intermedi progrediscono di più rispetto a bambini con competenze iniziali molto scarse per questo aumentano le differenze individuali. 3. «Progresso differito»: ci sono bambini che rivelano progressi nel secondo post-test rispetto al primo. Dimostra che il training ha messo in azioni conflitti cognitivi nel bambino tali da portare ad una propria rielaborazione che ha dato i risultati nel secondo post-test. 4. Generalizzazione dell’apprendimento: il training pertinente ad una certa area ha prodotto risultati nel posttest in un'altra area. Gli studi di Inhelder. Sinclar e Bovet hanno dimostrato l’importanza di un insegnamento che rispetti l’attività del soggetto, considerato il protagonista del suo apprendimento. Le loro proposte cercano di essere flessibili da permettere che il bambino operi all’interno della propria zona di sviluppo prossimale. Questo approccio è molto importante nelle disabilità intellettive.

Il gioco cooperativo. Doise e Mougny nelle loro opere illustrano come l’interazione sociale tra bambini costituisca un luogo privilegiato di apprendimento. In particolare il «gioco cooperativo» (gioco per bambini) valorizza la cooperazione tra pari producendo risultati ottimali nell’apprendimento (solo se ha i requisiti per apprendere). Anche Vygotskij l’approccio dei pari favorisce la realizzazione dei potenziali di sviluppo e di apprendimento. Da queste ricerche è emerso che: – Il rapporto fra pari suscita un conflitto – cognitivo, favorisce lo sviluppo cognitivo e promuove le relazioni (solo se se è messo in una condizione alla pari, confrontandosi con l’altro) – Le prestazioni di un allievo sono migliori se assume il ruolo di insegnante. Questi risultati sono importanti nelle disabilità intellettive, perché dimostrano l’importanza dei coetanei, la necessità di un insegnamento non troppo direttivo, ma tendente “alla pari” e anche il valore che si impara di più se si assume il ruolo dell’insegnante.

Le idee del bambino sulla scrittura...prima di leggere e scrivere. Ferreiro e Teberosky hanno continuato gli studi di Piaget sullo sviluppo delle conoscenze dei bambini, in particolare sulle loro idee sulla lettura prima di saper leggere e scrivere. Di solito i bambini imparano a leggere a scrivere in prima elementare, ma già a partire dai 3 anni il bambino “sa” qualcosa su cosa significhi scrivere. Questo sviluppo è influenzato dall’ambiente, infatti lo svantaggio socioculturale porta ad un evoluzione minore rispetto agi altri.

Quando c’è qualcosa da leggere? Fino da 2-3 anni il bambino ha delle idee su ciò che è oggetto di scrittura o lettura. Inizialmente distingue il disegno dalla scrittura, dai segni alle immagini, cioè cose che si leggono e cose che si guardano. A 3-4 anni i bambini pensano

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che solo certi segni si possono leggere. In seguito differenzia le lettere dai numeri. Solo in scuola primaria e secondaria impara la differenziazione tra lettere e segni di punteggiatura. Interessante valutare che i bambini non si pongono il problema se si legge a destra o a sinistra.

Cosa c’è scritto? All’inizio per il bambino non si scrive tutto quello che si può dire. Inizialmente scrivono i nomi, in seguito scoprirà e aggiungerà il predicato verbale, nominale, le preposizioni, gli articoli. Riguardo all’ordine con cui sono scritte le cose, i bambini si basano sull’ordine spaziale che non sempre corrisponde al linguaggio parlato.

Sillabazione e ulteriori divisioni. Solo a partire dai 4-5 anni i bambini tendono a pensare che la parola singola sia scritta con più caratteri e solo con il passare del tempo, verso i 5-6 anni si avviano verso la suddivisione alfabetica e la comprensione che le parole sono divise da uno spazio bianco.

Primi tentativi di scrittura. Già dai 2-3 anni i bambini incominciano a scrivere alcune lettere. Il primo soggetto si scrittura è il proprio nome. Dai 23 ai 5-6 anni ci sono 5 livelli: – Primo livello: distinzione corsivo/stampatello. – Secondo livello: cerca di fare grafismi che somigliano a lettere. – Terzo livello: tende a scrivere una lettera per ogni sillaba. – Quarto livello: cerca di far corrispondere più di una lettera per ogni sillaba. – Quinto livello: impara a scrivere al livello che l’adulto considera il minimo perché si possa dire che il bambino sa scrivere. Come applicare queste ricerche sui potenziali di sviluppo e di apprendimento nei casi di disabilità intellettive? Importante tenere conto della “ricchezza già presente nel bambino (sia in casi di sviluppo tipico che non). Per trovarla bisogna tenere conto: – credere che questa ricchezza ci sia; – ricercarla se non la si è ancora trovata; – dare a ognuno i suoi tempi per farla emergere; – coordinare tale ricchezza con la programmazione.

Il testing dinamico come test del potenziale di apprendimento: la sintesi di Robert J. Sternberg e Elena L. Grigorenko. Sternberg e Grigorenko riprendono il concetto di zona potenziale di sviluppo per valorizzare l’uso dei test dinamici accanto a quelli statici. I test statici sono di gran lunga più usati (le Scale Wechsler ne sono un esempio): vengono somministrati agli individui per valutare il livello già raggiunto dal soggetto. I test dinamici si propongono invece di valutare il livello di conoscenze e competenze che il soggetto raggiunge se viene aiutato, in pratica si prefiggono di valutare anche i potenziali di apprendimento. Anche se l’utilizzo di test dinamici comportano delle problematiche è opportuno valutare lo studio dei test dinamici per valutare più obiettivamente i potenziali di apprendimento degli individui. I due autori fondano la loro proposta di potenziamento dell’uso dei test dinamici su una base teorica, le quali assunzioni cruciali sono: 1. Le abilità degli individui sono meno stabili di quanto si pensa e sono dovute a un processo continuo di acquisizione e consolidamento di abilità, in sintesi le abilità sono forme di expertise in sviluppo; 2. I test di abilità misurano aspetti molto ristretti di expertise in sviluppo e quindi sono limitate le generalizzazioni e le previsioni sulle prestazioni future; 3. Tutti i test misurano il profitto in tipi diversi di expertise in sviluppo; 4. Il costrutto fondamentale comune ai test è quello di expertise in sviluppo; 5. Nell’intelligenza possono essere distinti tre aspetti, quali analitico, creativo e pratico; 6. Tutte le abilità creative e analitiche risentono delle influenze ambientali. Il modello di expertise considera le interazioni fra sei diversi elementi: 1. Abilità metacognitive (l’identificazione, la definizione e la descrizione del problema, la formulazione della strategia, l’assegnazione delle risorse, il monitoraggio e la valutazione del problem solving); 2. Abilità di apprendimento (esplicite e implicite);

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Abilità di pensiero (le abilità di pensiero critico che includono l’analisi, la critica, il giudizio, la valutazione, il confronto e la contrapposizione e l’accertamento – le abilità di pensiero creativo che includono la creazione, la scoperta, l’invenzione, l’immaginazione, la supposizione e il fare ipotesi – le abilità di pensiero pratico che includono l’applicazione, l’uso, l’utilizzazione e la pratica); 4. Conoscenza (la conoscenza dichiarativa, quella dei fatti, dei concetti, dei principi, delle leggi – la conoscenza procedurale, quella delle procedure e delle strategie); 5. Motivazione (al risultato e alla competenza) 6. Contesto (non è fisso e uniforme e bisogna tenere conto dell’influenza della lingua madre, dell’enfasi del test su una prestazione veloce, dell’importanza attribuita dal soggetto al successo e della familiarità con il materiale). In sintesi per il potenziamento cognitivo è necessario che: 1. Ogni intervento di potenziamento cognitivo si concretizzi nella gestione di processi complessi che considerano le interazioni tra abilità metacognitive, di pensiero, di apprendimento, conoscenze, motivazione e contesto; 2. La motivazione abbia un ruolo centrale perché guida gli elementi; 3. Il potenziamento delle abilità intellettive richiede interventi equilibrati sui vari aspetti dell’intelligenza (creativa, analitica e pratica) poiché gli studenti che hanno appreso in modo triarchico hanno prestazioni migliori rispetto agli altri; 4. Si applichino interventi specifici perché i progressi in singoli ambiti hanno scarsa generalizzabilità; 5. Ogni apprendimento sia consolidato e mantenuto nel tempo.

Capitolo 3 - Potenziali di sviluppo e di apprendimento degli allievi con disabilità intellettive: risultati della ricerca. Lo sviluppo dell’intelligenza nelle persone con sindrome di Down nelle scuole speciali e in quelle normali. Individui con sindrome di Down inseriti in classi inclusive presentano un livello di intelligenza maggiore rispetto ai coetanei istituzionalizzati, inoltre studenti con sindrome di Down possono raggiungere pr...


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