Riassunto + Recensione L\' Airone PDF

Title Riassunto + Recensione L\' Airone
Author Jacopo Noferi
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Firenze
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Summary

Recensione + riassunto del libro " L'airone "...


Description

Airone recensione riassunto RECENSIONE Nel primo dopoguerra, in un nebbioso dicembre che invade le campagne ferraresi anestetizzandole con la sua penetrante umidità, il proprietario terriero Edgardo Limentani decide di riprendere un’abitudine abbandonata da molti anni, dedicandosi a una solitaria battuta di caccia sulle sponde limacciose del Po. Ma già durante la meticolosa preparazione mattutina viene sopraffatto da un’invincibile stanchezza e ripugnanza per tutto ciò che lo circonda, a cominciare dal suo stesso corpo descritto con implacabile e disgustata severità nelle sue esigenze fisiologiche. Anche la vicinanza della moglie volgare e avida, la bambina indifferente, la madre senescente e smemorata, i domestici pigri, le trattorie fumose e dozzinali non fanno che aumentare il suo fastidio insopprimibile per la vita: “non c’era più niente che non lo urtasse, non lo ferisse...”. Immerso in un “cupo pozzo di tristezza accidiosa”, qualsiasi cosa gli provoca “il consueto, amaro senso di estraneità, quasi di repulsione”, e la giornata di caccia in cui non riesce a sparare un colpo (mentre osserva la natura, gli uccelli, l’agonia di un airone ucciso con crudele e gratuita noncuranza), diventano metafora della sua banale esistenza: "Come diventava stupida, ridicola, grottesca, la vita, la famosa vita... E come ci si sentiva bene, immediatamente, al solo pensiero di piantarla con tutto quel monotono su e giù di mangiare e defecare, di bere e orinare, di dormire e vegliare, di andare in giro e stare, in cui la vita consisteva!” La realtà ambigua, l’opportunismo politico di ogni ambiente, i tradimenti coniugali, la cupidigia economica da cui si vede assediato vengono osservati dal protagonista come attraverso una spessa lastra di vetro, che lo difende e insieme lo separa da tutto: e Giorgio Bassani, in questo bellissimo romanzo, L’airone, che gli valse il Campiello nel 1969, accompagna il lettore con essenziale misura verso un finale inevitabile e tragico. Riassunto Siamo negli anni dell’immediato dopoguerra. Edgardo Limentani è un piccolo possidente terriero, che un giorno d’inverno esce per andarsene a caccia. Fin dal risveglio è colto è colto da uno strano senso di nausea. Si guarda in giro, allo specchio, scambia blandi convenevoli con la moglie; tutto gli sembra straordinariamente inutile, assurdo. Esce nel gelo delle prime ore del mattino senza capire bene cosa sta facendo, soprattutto perché lo sta facendo. Parte comunque, si ferma in un paese intermedio rispetto al luogo convenuto per la battuta di caccia. Entra in un bar, sempre più vittima di un disorientamento cui non riesce a dare spiegazione. Chiama a casa di un cugino che non sente da anni, gli risponde un’anziana governante, poi ode voci di bimbi. Riattacca. Sente di aver bisogno di riflettere e riparte in auto verso la riserva di caccia, pur non essendo per niente convinto di quanto sta per fare. Con ritardo considerevole arriva all’appuntamento. Non spara un colpo, ed osserva inebetito Gavino, l’uomo che lo accompagna nella battuta di caccia, far strage di volatili d’ogni genere, senza battere ciglio, un vero esecutore silente, implacabile. Ciò che maggiormente impressiona Edgardo è un maestoso airone che, colpito in pieno, volteggia ancora un poco poi, agonizzante, crolla sulla palude, a pochi metri da lui. Gavino carica nel baule della macchina di Edgardo l’intero suo carico di carcasse. Schifato, Edgardo se ne disfa non appena arriva al paesello intermedio, regalandolo al gestore del bar. Ma proprio in quel bar comincia a dare segni di squilibrio, come direbbero oggi gli psichiatri. Si rimpinza di cibo e vino sino al voltastomaco. Sale in camera, senza poter dormire. Richiama il cugino Ulderico, la cui moglie Cesarina, ambiguamente, gli risponde che è sola in casa e lo invita ad andare a trovarla. Lui esce dalla trattoria, è il primo pomeriggio, si trova immerso in una nebbia inquietante, spessa di solitudine. Rinuncia a passare da Cesarina. Bighellona stancamente per le strade del paesino, finchè giunge davanti alla vetrina dell’imbalsamatore, e tra le bestie esposte nella loro fissità priva di vita, vede riflessa la propria immagine. ! Quinto episodio della serie “Il romanzo di Ferrara”, premio Campiello 1968, “L’airone” è opera permeata d’un alone di tragicità che occupa i capillari della storia molto lentamente, in modo

inopinato, direi, trasformando il protagonista in un automa che scivola in un baratro di vacuità esistenziale. E’ il trionfo della figura che invece di vivere, sopravvive. Di colui che elucubra ragionamenti, sviluppa progetti, compie azioni dalle quali non ricava nessuna sensazione vitale, sia essa positiva o negativa, che fa perché deve, o perché è sempre stato abituato a fare. Fino al punto in cui si rende conto dell’assurdità di quella vita meccanica. E si badi bene, il protagonista non è un poveraccio disoccupato costretto all’elemosina, un operaio sottoposto ad infiniti turni in miniera; è un possidente, una persona tutto sommato benestante, che non ha bisogno di lavorare per vivere. Eppure non per questo, il malessere si manifesta in maniera meno assordante. L’inconsistenza della vita che conduce si fa strada incontenibile, nell’irrazionalità degli atti che compie o non compie, che si susseguono schizofrenici, e convogliando ognuna la propria stilla d’inconcludenza. Prosciugata la linfa essenziale della propria esistenza, Edgardo trova chimerico e semplicemente superfluo ogni nuovo piano, qualsiasi progetto di vita futura. In un punto preciso del romanzo risulta evidente come il protagonista provi invidia verso i cadaveri, belli puliti, macabramente sorridenti, liberi da ogni preoccupazione e sofferenza, quasi irridenti dell’umano tribolare.. Come raggiungesse un’oasi agognata in un deserto di sofferenza, non appena raggiunge la vetrina dell’imbalsamatore, Edgardo capisce in un lampo come può calmare la propria ansia e dare un senso alla vuotezza che lo ha impregnato. Sarà, è evidente, una decisione tragica. Bassani poi è maestro nel lasciare l’epilogo in sospeso; sul finire della narrazione Edgardo incontra la madre, tranquilla, serena, splendente nella sua ovattata quarta età. Questo dissuaderà il protagonista dall’estrema risoluzione presa? Una lettura sommessa e compenetrata di ineluttabilità, che l’autore considererà il suo vero capolavoro rispetto al “Giardino dei Finzi Contini”.

Il romanzo presenta, oltre alla trama, pregi indiscutibili, come la capacità di ricreare l’atmosfera ovattata della Bassa nella nebbia e la corrosiva presa di coscienza dell’autore, in un ritmo lento che amplia i tempi di un giorno e che invita a soffermarsi sui singoli periodi, sempre funzionali alla vicenda. Lo stile è quello tipico di Bassani, mai impetuoso, quasi pudico, ma sempre incisivo, in un italiano che oggi può apparire a tratti desueto, ma che è quanto di meglio un narratore possa esprimere. Sarà che questo dolore di vivere finisce con il rendere partecipe piano piano il lettore, sarà forse perché dilatare il tempo di un giorno a un’intera vita rallenta un po’ troppo il ritmo, sta di fatto però che, pur apprezzando l’opera, la ritengo inferiore al romanzo di Bassani che, almeno, fino a ora, mi è piaciuto di più: Gli occhiali d’oro. Certamente è una questione di gusto, perché il gradimento c’è stato, tanto che mi sento di consigliarne vivamente la lettura....


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