Riassunto “Sicuterat” di G. L. Beccaria PDF

Title Riassunto “Sicuterat” di G. L. Beccaria
Course Linguistica italiana
Institution Università degli Studi di Milano
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Riassunto molto sintetico del libro “Sicuterat. Il latino di chi non lo sa” riorganizzato per temi....


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PERCEZIONE DEL LATINO LITURGICO! Le parole derivate dal latino chiesastico, nei dialetti, assumono spesso un significato negativo. Infatti tale idioma era considerato come insistente manifestazione fastidiosa. In bocca al celebrate, il latino poteva assumere carattere di un’imposizione, in bocca al fedele diventare un gergo ripetitivo. La partecipazione attiva alle messe è infatti un fatto recente. ! Il latino ha ispirato sentimenti di riverenza, ma anche di insofferenza. Per esempio, il termine “bibbia” ha popolarmente finito col significare “discorso o scritto interminabile”. Altri concetti negativi espressi con formule liturgiche sono quello di noioso e prolisso, saccente e vanaglorioso, furbo matricolato, sciocco o semplicione, crudele. Le inversioni semantiche possono anche avere carattere paradossale ed antifrastico: in Sicilia “loriapatri” significa “bestemmia”. ! Nella cultura popolare, inoltre, è di larga diffusione una sorta di diffidenza per il religioso, per la parola del colto, del dotto: per l’appunto in march. “teollicu”/“tiollicu” letteralmente sta per “teologo”, ma assume accezione di “saccente, vanitoso”. Le stesse desinenze latine conferiscono alla neoformazione un tocco di saccenteria (“latinorum” di Renzo). Nel latino, l’umile vede il veicolo della legge, del codificato, della costrizione che impone limiti e divieti. Così ciò che è fuor di regola, disordinato, senza costrutto, stravagante, strano, è talvolta espresso con modi pescati dal latino liturgico (esempio: “essere come la messa del venerdì santo”= essere privo di coerenza logica).! Il clero, oltre che depositario della parola, era visto anche come una classe beatamente privilegiata, non tormentata dagli affanni della vita: “canonico”=persona beata, che lavora poco e guadagna molto”; “stare da papa”. Stessa cosa per gli angeli = bambino con la faccia paffuta, grassoccio, bellezza. ! FONTI! - Inni (“Adeste fideles”, “Miserere”, ...);! - Inizio di preghiere, schegge di formule liturgiche fanno da incipit a detti proverbiali;! - “Dies irae” era uno dei canti liturgici latini più impressi nella memoria perchè eseguito in momenti di particolare partecipazione;! - Vite dei santi: San Paolo, San Rocco, San Pietro, Santa Lucia, San Martino... anche santi inventati. Erano una presenza costante nella vita di ogni giorno, erano concepiti in modo pratico per cui ognuno aveva ben definiti poteri;! - Nomi propri dalle Scritture > l’ignoto è scherzosamente assimilato al noto (per esempio in Piemonte una varietà di pesca è chiamata “pesca del re David” ma viene dall’inglese “red Haven”);! - Vecchio testamento: molti prelievi costituiti da parole o locuzioni di matrice colta (“sodomia”, “vendere qualcosa per un piatto di lenticchie”, “fare da capro espiatorio”, “essere il beniamino”, “essere nella fossa dei leoni”, “ai tempi di Noè”, ...). Hanno avuto fortuna soprattutto gli eroi negativi, come per esempio Caino;! - Nomi del mondo ebraico: i cristiani ci hanno voluto vedere la quintessenza dell’anticristianesimo e dell’eresia, per cui sono stati soggetti nell’Europa cristiana ad una sistematica negativizzazione. “Babele” = luogo confusionario, caotico, “cafarnao” = luogo di confusione e rovina”, “ebreo” = avaro, usuraio. Al contrario, “cristiano” = normale, regolare, perfetto;! - nuovo testamento: Caifas, Barabba, Pilato sono nomi propri cui viene assegnato un significato generalizzabile, partendo dalle qualità negative del possessore. “Un giuda” = traditore, “bacio di G.”, “falso come G.”, ecc.;! LA SCOMPARSA! L’italiano (e il dialetto) ottocentesco era colmo di lasciti del latino, ma nel Novecento il loro uso è andato pian piano scemando. Infatti, l’apporto maggiore veniva dal latino liturgico, ma col morire di quelle pratiche sono cadute anche le parole. La stragrande maggioranza delle voci di origine liturgica è decaduta o sta decadendo dagli usi colloquiali. Una data fondamentale è il 1965, anno del Concilio Vaticano II che determina la fine del latino come lingua della messa. L’abolizione ha accelerato il decadimento di molte espressioni latine. Inoltre, con la caduta di certe prescrizioni o tradizioni religiose (come il digiuno quaresimale), cade anche l’espressione che ad esse si riferiva. Oggi, però, il linguaggio familiare si sta gradualmente desacralizzando. Una volta, un tratto rilevante dell’italiano popolare scritto erano i fitti intercalari di matrice religiosa: “grazie a Dio”, “voglia il cielo”, “Dio non voglia”, e così via. Sopravvivono solo in pochi casi delle espressioni vulgate il cui significato cristiano originario è ancora riconosciuto dal parlante (es. “ira di Dio”, “cielo” al posto di “Dio”, “cercare la pagliuzza nell’occhio altrui”). Nella maggioranza dei casi, nel

passaggio dallo specifico al generale, la percezione che si tratti di “cristianismi” è svanita (es. “pietra angolare”, “la carne è debole”; “aver talento”, “rosso di sera bel tempo si spera”) > l’origine si è neutralizzata, le frasi evangeliche sono usate in senso prettamente profano. ! LATINO E VOLGARE! La mescolanza-opposizione di latino e volgare risale al medioevo romanzo, con la tecnica della farcitura: introdurre parti romanze come interpolazione in un testo latino preesistente > bilinguismo. Le parti latine e quelle romanze erano autonome fra loro. Questa opposizione ricorreva spesso in componimenti liturgici, dove il latino era l’incontrastato depositario delle verità indiscutibili, mentre il volgare offriva la possibilità di un intervento soggettivo. La parodia del latino, ovvero il latino “macaronico” era cosa diversa: operazione colta, non popolaresca. La miscela latino-volgare è attestata anche nelle prediche, o sermoni: testi dal bilinguismo consapevolmente letterario il cui fine era creare un contrasto tra il contenuto sacro ed il tono informale delle narrazioni in volgare per promuovere in ultima fine effetti comici, divertiti. Questo accadeva anche nelle parodie delle orazioni o degli inni di chiesa, più comuni in ambiente francese che in italiano. Attestate nel Morgante di Pulci. Nell’Ottocento la tecnica del frammettere tessere di latino in un continuum volgare o viceversa è sfruttata dal Belli, poeta dialettale romano. Ricorre spesso anche il gioco delle citazioni corrotte di passi evangelici e liturgici.! DEFORMAZIONI FORMALI! Nel passaggio dal latino, le parole così create subivano spesso trasformazioni. ! A volte la catena fonica incompresa si fondeva in un solo nome perchè gli incolti intendevano malamente il latino della messa, preti compresi. ! La ripresa di elementi del latino liturgico nel dialetto si accompagna di solito ad una distorsione delle forme o del significato. Autori come il Belli, prendendo spunto dalla storpiata pronuncia della plebe degli incolti, danno luogo ad un realismo grottesco che abbassa e corrompe la maestà del latino. Abbondano le arbitrarie divisioni di parole latine. I dialetti sono colmi di crasi, conglomerati, ecc.! L’adozione di espressioni in veste latina, invece, ricopre varie funzioni, come quella accrescitiva (“in saecula saeculorum”), oppure crea immediato contrasto tra veste linguistica e toni (specialmente quando il latino si innesta su argomento banale > effetti burleschi). Per esempio, “fate vobis”. Alcune espressioni passate dal latino ecclesiastico all’italiano per via colta sono “sancta sanctorum”, “habemus papam”, “urbi et orbi”, ...! DEFORMAZIONE DEL SIGNIFICATO! La parola latina, la sua formulazione incompresa, ripetizione mnemonica di un alcunché privo di un supporto concreto, reale, assume nella lingua dei semicolti un significato approssimato, legato parzialmente al segmento da cui è estrapolata, al contesto, al co-testo, oppure diventa contenitore di svariate possibilità semantiche non illimitate: i significati sono infatti prevedibili, compresi entro certe aree semantiche privilegiate. In alcuni casi il cambiamento di significato avviene già a livello del latino.! Talvolta basta una sola parola di pregnanza significativa e contestuale. ! - Dalla situazione del rito il testo è ricondotto a episodi del quotidiano > riso rituale = sorto da una formula usata in ambito diverso, che non le è proprio. Raggiungono effetti parodici per via inversa a quella dei componimenti macaronici: un piano alto del linguaggio è rimodulato in dialetto. Effetto straniante. Il cambiamento di significato cercava per lo più di ridurre a misura d’uomo l’incomprensibile astrattezza del latino: avviene un capovolgimento di quanto è spirituale nel suo contrario intriso di corporeità.! - Erotico ed osceno. Attraverso l’equivoco, che promuove due messaggi in un solo segno. La metafora erotica o volgare si applica ad un materiale vulgatissimo come quello liturgico per evitare l’immediatezza corporea e la carnalità > eufemismo. L’effetto di tale metafora è rilevante per la distanza tra i due campi semantici relazionati, si ha una violazione della presupposizione connessa al significato abituale della parola. Spesso il filone comico-giocoso nasce proprio dalla cultura clericale. Esempi: in Boccaccio l’atto sessuale è definito “suonare mattutino”. Il ribaltamento nell’osceno è frequente anche nella cultura popolare.! - Parole passe-partout = parole più comuni e notorie della religione o del rito cristiano cui vengono attribuiti molteplici significati. Assumono un significato molto esteso perchè il parlante le riempie a piacimento di sensi svariati. Esempi: “apostolo” = sempliciotto (negli affreschi delle chiese erano infatti rappresentati come seduti in silenzio accanto a Cristo nell’ultima cena) o

furbo (come da un’irradiazione di Giuda su tutti gli altri) > “apostolo” è diventata una parolaguida, buona per tutti gli usi; “re magi” = furbacchioni, tipi fuori dal comune, pellegrini.! - Rietimologizzazioni = la libertà linguistica del parlante è soggetta ai limiti dell’associazione con altre parole. Esempio: matusalemme si incrocia con “matto” o con “lemme” assumendone parte del significato. Per attrazione del verbo “magnar” in Veneto “l’ora del magnifica” = “l’ora del pasto”. “Fare repulisti” deriva dall’incrocio fra il verbo “ripulire” con una parola dei salmi in cui significa “mi respingesti”.! - Vecchiaia o antichità: “avere gli anni di Noè”! - Noia, lunghezza, lentezza, lamentela: “lungo come la Quaresima”! - Rimprovero. La messa in latino era sofferta come una lunga paternale, una interminabile ramanzina. Abbondano nei dialetti espressioni tratte dal sacro che fanno riferimento a colpi, botte, pugni.! Tuttavia, la parodia come irriverenza ai limiti del blasfemo non ha mai avuto corso nella cultura popolare, salvo casi sporadici: si assiste, più che ad una contestazione, ad una riproduzione ironica e allusiva, a un momento di espressività. La parodia nasce dalla volontà di disintossicarsi dalla presenza di una parola religiosa quotidianamente assillante. Se ne fa un controcanto non per radicale irriverenza e scherno, ma perchè è la parola più nota dei momenti seri, la più riconoscibile > quindi la più efficace ai fini dell’ironia (che senza riconoscibilità non funziona). ! FURBESCO E GERGHI! Sono ricchi di voci e locuzioni tratte dal settore religioso. Per esempio, “santino” = foto segnaletica. “Barabba” = malavitoso torinese. La messa è fonte di citazioni che permettono al gergante di distaccarsi dalla lingua comune ed infondere qualcosa di particolarmente vivace e pittoresco nell’oggetto espresso. ! LA MESSA! Il gesto liturgico ha con la sua evidenza introdotto varie espressioni ironico-allusive nel linguaggio popolare. Il segno della croce è un segno di inizio, per cui nella tradizione popolare “nomine patris” indicava la fronte perchè è lì che si comincia il segno della croce. ! Da quella parte della messa in cui il celebrante recita “Lavabo inter innocentes manus meas” si è tratto “lavabo”, dapprima = “acquaio della sagrestia”, poi “lavamano, lavandino”. ! Dalle messe dipendono alcune espressioni conclusive: “deo gratias”, “amen”. A volte, l’espressione liturgica era usata come unità di misura (“sbrigarsela in un amen”). Ma, soprattutto, la messa era l’occasione in cui il fedele sentiva e risentiva una determinata espressione, e per la ricorrenza questa finiva per imporsi. La recita del “credo” ha promosso quella nota storpiatura di “andare in visibilio” derivata da “invisibilium”. !...


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