Sidereus Nuncius - G. Galilei Riassunto PDF

Title Sidereus Nuncius - G. Galilei Riassunto
Author Angela Baronchelli
Course Storia della scienza
Institution Università degli Studi di Bergamo
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SIDEREUS NUNCIUS Introduzione Nel 1609 Galileo era uno scienziato ormai maturo, prossimo alla cinquantina. Parecchi anni di docenza all’università di Padova gli avevano assicurato una buona fama locale di insegnante e di matematico, estesa tutt’al più alla sua Toscana. La sua notorietà era circoscritta al giro delle persone da lui direttamente frequentate. D'altro canto la repubblica veneziana di era rivolta a lui perché voleva un tecnico, un in geniere, un abile costruttore di strumenti scientifici in grado di contrapporsi alle astrattezze metafisiche degli aristotelici. E Galileo che a Pisa si era specializzato negli studi di meccanica di adeguò subito alle esigenze circoscritte dalla Serenissima, che gli commissionò volta a volta macchine idrauliche per irrigare terreni, compassi, progetti di fortificazioni, calamite, bussole, orologi ecc.. In quel tempo uno strumento iniziava ad avere l’ammirazione di gran parte dei nobili, e non solo, d’europa. Anche Galileo decise di puntare il cannocchiale al cielo, vi fu indotto in primo luogo dalla curiosità.Galileo cominciò a esplorare al telescopio la misteriosa superficie della luna, gli spazi siderali attraversati dalla via lattea e i fiammeggianti punti luminosi di stelle e pianeti. Le scoperte risultarono sconvolgenti: era questa l’occasione per mostrare al mondo il suo valore. Vi fu uno scarso entusiasmo degli intellettuali veneti per le osservazioni celesti, inoltre lo stile del suderete parve aridus. Malgrado le apparenze, Galileo era rivoluzionario anche nella scelta stilistica adottata, modernissimo nella scrittura, sobrio e asciutto. Il sidereus nuncius, pubblicato nel 13 marzo 1610 con una tiratura di 550 copie, dopo meno di una settimana era già introvabile, mentre la fama di Galileo si diffondeva a macchia d’olio, cambiando profondamente la sua esistenza: si ritrovò improvvisamente un personaggio pubblico , sulla bocca di tutti, in breve conosciuto in ogni angolo del mondo. A sole due settimane dall’uscita del sidereus, non appena a Firenze si sparse la voce dell’arrivo in città di un pacco da parte di Galileo, la gente che era al mercato si strinse attorno al’invidiato destinatario per sapere che cos’era, pensando che fosse un contabile; e anche quando si seppe ch'egli era il libro non cessò la curiosità. Nel 1612 il messaggio del sidereus nuncius, delle scoperte celesti, arrivava a Mosca e in India; tre anni dopo se ne ebbe una sintesi in lingua cinese, nel ’31 il cannocchiale fu segnalato in Corea e nel ’38 in Giappone, mentre nel ’40 il nome di Galileo venne traslitterato in cinese (Chia-Li-Lueh). Non tutti si rassegnarono, però, ad accettare quanto veniva annunziato dal suo libro. I suoi avversari erano docenti universitari, astrologi che vedevano collocare i loro postulati, gli uomini di chiesa che credevano di poter spiegare la Bibbia soltanto con la cosmologia di Aristotele. Queste critiche erano dovute al fatto che il sidereus, ponendo implicitamente in discussione la centralità della terra e l’ordine di un cosmo antropocentrico, avrebbe potuto mettere a repentaglio anche l’ordine e la stabilità sociale, che erano gli specchi altrettanto chiusi e finiti del mondo naturale. Il sidereus, infatti, era un testo che segnava una svolta epocale, destinata a far riflettere e a incidere durevolmente non solo sugli astronomi, ma sugli epistemologi, sui filosofi e perfino sui letterati e sugli artisti. Le poche decine di pagine pubblicate da Galileo abbattevano d’un tratto le credenze più radicate e incontrollabili. Da tempi immemorabili si riteneva che il cielo fosse inalterabile e perenne, incorruttibile perché costituito di etere, una quintessenza solida, cristallina, trasparente e del tutto diversa dalla terra, sede di ogni metamorfosi, della nascita e della morte, della formazione e della distruzione. All’improvviso, la configurazione del paesaggio lunare scabro, ineguale, dimostrò che non esisteva alcuna differenza tra la terra e gli altri corpi celesti (nel senso che anche quest’ultimi sono esposti alla corruzione e alla contingenza del fenomenico).

Era poi ferma la convinzione che l’universo, per quanto esteso, fosse finito, cinto dal cielo delle stelle fisse. Adesso, invece, le nebulose e la via lattea risultavano formate da un numero inquietante di stelle, ciascuna delle quali pari se non molto maggiore al volume della terra. Galileo smentì la gerarchizzazione degli spazi, distinti nell’antichità e nel medioevo tra celesti e terrestri, sacri e profani, proibiti e accessibili. Oltretutto la sconfitta dell’antropocentrismo sancita dal sidereus, ossia la presunzione che l’intero cosmo fosse stato creato in funzione dell’uomo, minacciava la credibilità dell’astrologia, fondata sul pregiudizio che i cieli esercitassero la loro influenza sulle vicende della terra. La terra non era più il centro fisso dell’universo (si approvano da qui le discussioni sull’attendibilità della cosmologia geocentrica). Le rifrazioni scientifiche e simboliche del cannocchiale: il sidereus, nella storia della scienza, ha il merito di aver investigato il mondo naturale per mezzo di strumenti che miglioravano le prestazioni dei sensi umani. Galileo sconfisse l’ostacolo epistemologico degli aristotelici, diffidenti verso il cannocchiale sia perché, essendosi perfezionato solo per via empirica, non aveva alcun sostegno teorico, sia perché, provenendo dal mondo dei meccanici, non godeva di alcuna dignità presso l’aristocrazia scienza ufficiale. Le illustrazioni del sidereus non si offrono come cornice decorativa, ma come guida didascalica innalzata a parte integrante del discorso scientifico. Le illustrazioni rimasero un ausilio irrinunciabile del sidereus. D’altro canto non sarebbe nemmeno immaginabile concepire senza disegni il sidereus, dopo che di fatto tutta l’opera consiste nella riproduzione di ciò che è stato visto con il cannocchiale. Al cannocchiale spetta un ruolo di primo piano nella trasformazione del sensorio umano dal mondo del pressappoco all’universo della precisione (la sua importanza trascende le scoperte). Galileo non solo ne comprese il valore scientifico, non solo lo perfezionò, ma lo utilizzò al meglio, ne insegnò l’uso e soprattutto ne fece la sigla del nuovo abito scientifico. Per Keplero il telescopio era più prezioso di uno scettro perché strumento di molte conoscenze e “Galileo, che lo impugnava, era diventato re e signore delle opere divine”. Il potenziamento della vista umana permessa dal cannocchiale faceva di questo strumento il segno tangibile delle intraprendenti risorse dello spirito umano ad ampliare i propri orizzonti. I referti galileiani non hanno in se nulla di magico, tanto più che la procedura del rilievo visivo è razionale e si appunta su fenomeni neutri che il cannocchiale seziona quasi chirurgicamente. Non erano in pochi ad intuire che il nunzio galileiani notificava la fine del vecchio ordine del mondo e la conseguente instaurazione di un disordine che minacciava di investire anche il mondo dei valori morali e religiosi. A turbare gli animi era la malinconica sensazione che la terra veniva spodestata dalla sua antica centralità, sperduta negli spazi infiniti privi ormai di sicuri punti di riferimento una volta che non esisteva più nulla di immobile nell’universo. In questo modo l’uomo perse la sua dignità, umiliandosi a considerarsi “men che niente nell’universo”. Telescopio--> suscettibile di diventare un terribile strumento che subissa la terra e l’uomo è tutte le nostre glorie e grandezze. Le verità del sidereus se per un verso indussero al pessimismo perchè cancellarono le tranquille certezze cosmologiche e segnarono la fine di un’epoca, per un altro verso annunciarono ottimisticamente tempi nuovi. Nel revocare tutti al dubbio, la nuova scienza liberò l’uomo dall’angustia di un mondo finito. L’ebrezza e l’estasi inculcate dal telescopio cambiarono il senso della prospettiva, acuirono la percezione della verticalità, accompagnata da un moto di stupore e di fascino, aumentarono la

sensibilità per le distanze, convertendo la geografia in cosmografia, mentre la terra subì un processo di rimpicciolimento. A causa della viscosità delle convenzioni letterarie il paradigma chiuso e mono centrico del mondo continuò per altro ad esistere ancora a lungo, ma è certo che dopo la comparsa del sidereus andò in frantumi la descrizione unitaria e concorde del cosmo. La spaventosa dilatazione dei confini del cosmo aumentò i problemi da affrontare, vanificando le pacifiche certezze di chi si fidava passivamente delle auctoritates. Dopo il sidereus, la scienza Impose freni anche alla libertà dei libri di fantascienza, tanto che lo stesso viaggio cosmico, che anticamente avveniva con mezzi prodigiosi, a poco a poco venne ad affrontare problemi di fisica meccanica e a escogitare tecnologie in grado di vincere l’attrito e la forza di gravità. I viaggi aerei sulla rotta tracciata dal cannocchiale suggerirono istintivamente l’immagine di Galileo navigatore negli spazi siderali. E per analogia lo scienziato che scoprì le irregolarità della luna o i satelliti di Giove venne paragonato a Cristoforo Colombo. Si stabilisce un parallelo tra il cannocchiale e le caravelle, identificati nell’audacia di essersi spinti in spazi sconosciuti e nell’essere il frutto dell’ingegno umano. È inevitabile che ogni vero ricercatore per il solo inoltrarsi nei territori misteriosi dell’ignoto finisca prima o poi per incorrere in qualche rischio. Colombo dovette solcare i marosi dell’atlantico, Galileo, trasferendosi a Firenze, si trovò subito nel mezzo di altre procelle non meno insidiose, perchè proprio da Firenze partirono gli attacchi più malevoli (dapprima di Francesco Sizzi, poi di Lodovico Delle Colombe... Che dedicarono le opere antigalileiane a Giovanni dei Medici. Il sidereus, invece, era per il suo autore un primo manifesto, un cartello di sfida che attendeva con urgenza il suo sistematico compimento, da fare consistere in un nuovo assetto cosmico. Galileo per giunta guardava più lontano di una semplice riforma astronomica, perché ambiva con chiarezza sempre maggiore a perseguire una politica culturale in cui la teoria copernicana di sarebbe dovuta conciliare con la fede cristiana per rigenerarne la spiritualità, in modo che la nuova scienza venisse accolta dalla chiesa superandone i limiti obsoleti del pensiero scolastico e controriformisti o a cui ancora si conformava ufficialmente. Il sidereus aveva radicalmente trasformato la sua vita, e non sempre in meglio: per un verso si era sì liberato delle fatiche dell’insegnamento dopo avere conseguito sul piano delle soddisfazioni personali una fama europea, per un altro verso però le sue ricerche astronomiche subirono un arresto, dovuto alle continue distrazioni imputabili questa volta all’obbligo di replicare alle molte obiezioni oppostegli, ora sui galleggianti, ora sulle macchie solari, ora sui rapporti tra la teoria copernicana e la Bibbia, ora sulle comete. La frenetica politica culturale mirante a trascinare le autorità ecclesiastiche dalla parte dell’eliostatismo gli impedì di curare una progettata ristampa.

SIDEREUS NUNCIUS Libro La luna, secondo Galileo, non è affatto rivestita da una superficie liscia e levigata, ma piuttosto scabra e ineguale e, allo stesso modo della faccia della terra, è ricoperta in ogni parte da grandi prominenze, di profonde valli e di anfratti. Circa 10 mesi fa giunse la voce che un certo fiammingo aveva fabbricato un occhiale, mediante il quale gli oggetti visibili, per quanto molto distanti dall’occhio dell’osservatore, si vedevano distintamente come se fossero vicini. Ciò spinse Galileo ad applicarsi e a ricercarne le ragioni e ad escogitare mezzi per i quali potesse giungere all’invenzione di un simile strumento.

Descrizione da parte di Galileo del telescopio: preparò un tubo di piombo alle cui estremità applicò due lenti, ambedue piane da una parte, dall’altra invece una convessa è una concava; accostando poi l’occhio alla concava scorse gli oggetti abbastanza grandi e vicini, poichè apparivano tre volte più vicini e nove volte più grandi di quando si guardavano con la sola vista naturale. Galileo, lasciando le cose terrene, si rivolse alla speculazione delle celesti. Ammirò la luna ed in seguito osservò l’animo delle stelle, tanto fisse che erranti, e vedendole tanto fitte cominciò a pensare sul modo con cui potesse misurare le loro distanze; e lo trovò. Per prima cosa è importante procurarsi un cannocchiale perfettissimo, il quale rappresenti gli oggetti chiari, distinti e sgombri d’ogni caligine e che li ingrandisca almeno di 400 volte. Per stabilire poi con poca fatica l’ingrandimento dell’apparecchio, bisogna tracciare il contorno di due circoli o di due quadrati di carta, di cui uno sia 400 volte maggiore dell’altro, il che si avrà quando il diametro del maggiore sia venti volte più lungo del diametro dell’altro. Preparato un simile strumento si dovrà cercare il modo di misurare le distanze. La faccia lunare: Galileo distingue, innanzitutto, la parte chiara da quella più oscura. La più chiara par circondare e cospargere di sè tutto l’emisfero, la più oscura, invece, offusca a guisa di nuvola la faccia stessa e la fa apparire macchiata. Queste macchie, al quanto scure e abbastanza ampie, sono visibili ad ognuno e perciò le chiameremo grandi, o antiche, a differenza di altre macchie minori per ampiezza, ma così fitte da ricoprire tutta la superficie lunare, specialmente la parte più lucente. Queste non furono osservate da nessuno prima di Galileo.. Da queste sue osservazioni è giunto alla convinzione che la superficie della luna non è affatto liscia, ma al contrario disuguale, scabra, ripiena di cavità e di sporgenze. Già nel quarto o quinto giorno dopo la congiunzione il termine che divide la parte oscura dalla luminosa non si stende uniformemente secondo una linea ovale, ma è segnato da una linea disuguale. Ma non solo i confini tra le tenebre e la luce si vedono ineguali e sinuosi, ma nella parte tenebrosa della luna appaiono moltissime punte lucenti, totalmente divise e staccate dalla regione illuminata. Galileo ha notato un’altra meraviglia: il luogo centrale della luna è occupato da una cavità maggiore di tutte le altre. Alcuni hanno sostenuto che la luna avesse un proprio e naturale splendore, altri sostennero che questa luminosità le fosse impartita da Venere, altri ancora da tutte le stelle, altri dal sole ecc.. Se però la luce fosse propria o fornita dalle stelle, la luna la manterrebbe e la mostrerebbe soprattutto nelle eclissi, quando si perde nel cielo oscurissimo; il che è contraddetto dall’esperienza: il fulgore che appare nella luna durante le eclissi è minore, rossiccio e quasi color rame. Senza alcun dubbio si comprende che ciò avviene per la vicinanza dei raggi solari tangenti una qualche più densa regione che cinge circolarmente la luna; dal quale contatto una specie di aurora si diffonde nelle vicine plaghe lunari. Con giusto e grato ricambio la terra rende alla luna una illuminazione pari a quella che essa stessa riceve dalla luna per quasi tutto il tempo nelle tenebre più profonde della notte. La luna, nelle congiunzioni, quando è situata tra il sole e la terra, è illuminata dai raggi solari nel suo emisfero superiore, opposto alla terra; mentre l’emisfero inferiore è ricoperto di tenebre. Allontanatasi poi gradatamente dal sole, la luna si va ormai illuminando da qualche parte nell’emisfero inferiore a noi rivolto e di tenue luce illumina la terra. Cresce nella luna l’illuminazione solare, aumenta sulla terra la riflessione della sua luce e le nostre notti rifulgono più chiare. Dunque il fulgore lunare largisce a noi illuminazioni mensili ora più chiare ora più deboli e, in eguale misura, il beneficio è ricambiato dalla terra: anche la luna stessa, quindi, è illuminata dalla terra. Nei medesimi periodi in cui la terra è maggiormente illuminata dalla luna, a sua volta, la luna è illuminata dalla terra, e viceversa.

Le stelle: un altro fatto è degno di attenzione--> le stelle tanto fisse che erranti, quando si osservano col cannocchiale, non sembrano affatto aumentare di grandezza nella medesima proporzione secondo cui gli altri oggetti, ed anche la luna stessa, s’ingrandiscono; nelle stelle take aumento sembra minore. Anche degna di nota sembra esser la differenza tra l’aspetto dei pianeti e quello delle stelle fisse. I pianeti, infatti, mostrano i loro globi esattamente rotondi e delineati, mentre le stelle fisse non si vedono mai terminate da una periferia circolare ma hanno l’aspetto come di fulgori vibranti e scintillanti. Quest’ultime, guardate al cannocchiale, appaiono di figura simile a quando son guardate ad occhio nudo e, sempre col cannocchiale, ne scorgeranno tante altre (un numeroso gregge di stelle) che sono sfuggenti pure alla vista naturale. Per dare una o due prove della loro inimmaginabile frequenza, Galileo ha aggiunto la figura di due costellazioni: 1. Nella prima ha disegnato per intero la costellazione di Orione 2. Nel secondo esempio ha disegnato le sei stelle del Toro, dette Pleiadi In terzo luogo fu da Galileo osservato l’essenza della via lattea: la galassia, una congerie di innumerevoli stelle, disseminate a mucchi. Le stelle chiamate fino ad oggi dai singoli astronomi NEBULOSE, sono greggi di piccole stelle disseminate in modo mirabile; dall’intreccio dei loro raggi si genera quel candore che è stato creduto fin ora essere una parte più densa del cielo, capace di riflettere i raggi delle stelle o del sole. Galileo ne ha osservate alcune di due ha voluto riportare le costellazioni: 1. Nella prima si ha la nebulosa, chiamata Testa di Orione, nella quale hanno contato 21 stelle 2. La seconda contiene la nebulosa chiamata presepe, che non è una stella soltanto, ma una congerie di più di 40 stelline. I quattro pianeti: GENNAIO 1610 il 7 gennaio 1610, mentre Galileo guardava gli astri celesti col cannocchiale, gli si presentò Giove e s’accorse che gli stavano accanto 3 stelline piccole, ma pur lucentissime. Apparivano disposte secondo un’esatta linea retta e parallela all’eclittica. Dalla parte orientale c’erano due stelle, una sola, invece, ad occidente. La più orientale quella occidentale apparivano più grandi della rimanente. Della distanza tra esse è Giove Galileo non si curò affatto, avendole ritenute fisse.  Ma il giorno dopo (8 gennaio) trovò una disposizione molto diversa: tre stelline tutte occidentali rispetto a Giove e da uguali intervalli fra loro separate.  Col più gran desiderio aspettò la notte seguente, ma fu deluso perchè il cielo era ricoperto di nubi.  Ma il giorno 10 c’erano solo due stelle, ambedue orientali, stando la terza, come suppose Galileo, nascosta sotto Giove. Galileo, date le sue osservazioni, riconobbe che non vi era nessun movimento di Giove, ma il movimento era riposto nelle stelle osservate (che erano sempre le stesse).  Il giorno 11 Galileo vide soltanto due stelle ad oriente, delle quali la più orientale era quasi del doppio maggiore dell’altra. Fu pertanto da lui stabilito e concluso che nel cielo vi erano tre stelle vaganti intorno a Giove, a somiglianza di Venere e di Mercurio intorno al sole. Nelle successive osservazioni, invece, Galileo riconosce che non sono tre stelle a girare attorno a Giove, ma sono quattro.  Il giorno 12 la stella orientale era maggiore rispetto all’occidentale, ambedue però molto visibili e lucenti e ambedue distavano da Giove di due minuti primi. La terza stellina 



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incominciò ad apparire dopo due ore e dalla parte orientale quasi toccava Giove ed era molto piccola. Tutte erano sulla medesima retta e coordinate secondo la linea dell’eclittica. Il giorno 13 furono viste quattro stelline: tre occidentali e una orientale. Formavano pressappoco una linea retta, la media delle occidentali di un poco si scostava dalla retta verso settentrione. Il giorno 14 fu nuvoloso Il giorno 15, all’ora terza di notte, quattro stelle erano situate tutte ad occidente e disposte pressappoco sulla medesima retta, ma all’ora settima erano presenti soltanto tre stelle, esattamente disposte sulla medesima retta. Il giorno 16 Galileo vide due stelle che intercludevano Giove, mentre la terza, a occidente, distava da G...


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