Saba - riassunto dettagliato PDF

Title Saba - riassunto dettagliato
Course Letteratura italiana contemporanea
Institution Università degli Studi di Palermo
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riassunto dettagliato...


Description

UMBERTO SABA Saba lavora tutta la vita al Canzoniere, che lui definiva un romanzo lirico autoconoscitivo , il cui intento fu quello di chiarire le zone oscure della sua reale biografia e del suo rapporto con la realtà. Nasce da madre ebrea (cosa che avrà un peso enorme per la sua vita, come sappiamo). L'esordio poetico è degli stessi anni in cui esordisce Montale, nonostante sia più grande di lui. Nel 1921 c'è la prima edizione del Canzoniere, nel quale confluiscono poesie composte e pubblicate già a Trieste, cambiando il suo nome in Umberto Saba, in omaggio alla balia che lo aveva allevato nei primi anni di vita. Il padre aveva abbandonato sua madre incinta e lui ne ha sempre sofferto portandogli rancore. Da piccolo viveva la scissione tra la presenza materna sempre molto sacrificata e austera, che aveva patito la sofferenza trasformandola in avarizia affettiva e rigore, e la balia affettuosa. Le poesie dedicate alla balia sono presenti specialmente nella sezione del Canzoniere intitolata Il piccolo Berto, ispirata dalla sua infanzia. Lui stette con la balia per 3 anni, e la madre lo riportò con sé. Saba voleva comprendere i turbamenti della sua infanzia, che non fu felice. Per sua scelta, si mise in cura con uno degli allievi più dotati di Freud e credeva profondamente sia nel potere conoscitivo della psicoanalisi sia al potere terapeutico. Le vicissitudini della vita, durante la seconda guerra mondiale, lo portarono ad allontanare anche questa convinzione. A Firenze, dovette barricarsi dentro il suo piccolo alloggio, ricevendo la visita di pochissimi amici, tra cui Montale. Pur nel dolore, c'è un elemento vitale nella sua vita: la balia, da piccolo. Poi si sposa con Carolina, chiamata Lina dal poeta, la quale incarnava un po' l'austerità materna. Lui ritrova la stessa immagine di tenerezza e affetto nella figlia, Linuccia. Lui ritrova all'interno della tragedia della vita un battito vitale; tiene desto il desiderio di farsi il dolore amico. La seconda edizione viene pubblicata nel 1946, e l'ultima viene pubblicata postuma nel 1961 (lui muore nel 1957). Lei gli dedica uno scritto che doveva fare da prefazione all'ultima edizione del 1961, in cui ribadisce questo: Elsa Morante definì Saba il poeta di tutta la vita, per la grazia suprema della sua poesia, della delicatezza con cui, pur attraversando l'informe e la morte, di fatto poi lui sapeva riconvertire tutto in chiarezza, sapeva sempre riscattare la vita sulla morte. Non lo fa attraverso l'evasione, ma attraverso la tensione conoscitiva orientata ad esplorare fino in fondo, non ad evitarlo. Poi, di fatto, non ci riuscirà mai. La poesia può solo coprire l'abisso di rose, non colmarlo. Si può rendere più dolce la convivenza con il dolore, ma non lo si può sopire né tantomeno eliminare del tutto. La sua poesia è fatta di scenari quotidiani in cui tutti si riconoscono. La Morante definiva il Canzoniere ''il poema iridescente della condizione umana'', ''lo zodiaco in cui si possono riflettere tutte le costellazioni'': con questo suo modo di poetare, lui ha creato un mondo poetico in cui gli uomini di ogni tempo potessero ritrovarsi. Nel canzoniere si attraversa tutta la sua vita, come se fosse la sua storia e la storia di un'epoca, e di conseguenza un romanzo. Saba teneva molto a presentarlo come un romanzo lirico autoconoscitivo, talmente tanto che scrisse, negli ultimi anni della sua vita, storia e cronistoria del canzoniere , in cui commentava le sue poesia più significative, per spiegare cosa lui stesso pensava mentre scriveva. Per lui, infatti, la poesia deve essere onesta, cioè non bisogna scrivere se non per ragioni che provengano dalla coscienza, non per ' 'la lusinga del bel verso'' come diceva Tozzi. PARAGONE CON UNGARETTI

Per Ungaretti, il riscatto della vita sulla morte coincideva all'atto di attingere per barlumi al senso misterioso dell'esistere, per Saba invece non sono barlumi, si ha nella dimensione del vivere quotidiano, in ogni aspetto, anche quello miserabile. Entrambi operano all'interno della coesistenza della vita con la morta. L'allegria è

un ossimoro evidente, in Ungaretti è tutto più estremo, fulmineo e dirompente anche per lo stile poetico, invece questa dimensione è leggermente più attenuata in Saba, perché in lui la dimensione ossimorica della vita è una consapevolezza raggiunta lentamente, viene costruita attraverso la ricerca del battito vitale attraverso il desiderio di farsi il dolore amico.

''Amai'' fu una delle ultime poesie ad essere composte. E' la sua dichiarazione di poetica e perché possa configurarsi come tale, si tratterà sicuramente di una poesia della maturità. Racchiude le scelte poetiche di Saba. Amai (Mediterranee, 1946). Amai trite parole che non uno osava. M'incantò la rima fiore amore, la più antica, difficile del mondo Amai la verità che giace al fondo, quasi un sogno obliato, che il dolore riscopre amica. Con paura il cuore le si accosta, che più non l'abbandona. Amo te che mi ascolti e la mia buona carta lasciata al fine del mio gioco.

Elsa Morante dice di Saba che ''solo chi ama conosce, povero chi non ama!''. E' importante porre in evidenza l'affezione, il rapporto forte costantemente desto tra il poeta e la realtà (biografica e storica che si voglia). Se non c'è amore, non può esserci la poesia onesta. Amai si riferisce alle prime poesia pubblicate nel 1910 circa, pubblicate a sue spese. Saba, nel primo decennio del 900, era circondato da tendenze poetiche opposte alle sue. Da una parte c'erano i futuristi, il cui manifesto fu pubblicato nel 1909 e che proponeva la frattura con la tradizione, dall'altro lato c'erano gli ermetici e Ungaretti, i quali assolutizzavano la parola poetica e puntavano alla rarefazione. La poesia era scarnificata nella sua essenzialità più assoluta. Invece, Saba usa parole che nessuno osava più scegliere per poetare. La rima fiore-amore è difficile perché intenzionale, la poesia onesta è costruita e limata. Iterazione anaforica: la stessa parola all'inizio di due strofe diverse, ''amai''. Alla base di tutti i poeti c'è l'amore per la vita e la continua tensione conoscitiva, al di là delle scelte formali che hanno fatto. Il dolore è una condizione ontologica nel 900, ma è una risorsa. In particolare, per Saba: se non si accetta di solcarlo non si può capire il senso dell'esistere, anche se ci si accosta al dolore con paura. Amo te: il ''te'' è il lettore di ogni tempo. Spesso questo ''te'' non è rivolto solo al lettore, ma anche alla moglie e alla figlia. Sono tanti gli interlocutori delle poesie del Canzoniere. ''te che mi ascolti'' --> Saba parte dal presupposto che il lettore ascolti la sua poesia, che condivida la sua condizione e che lui chiama a condivisione. Lui ama la sua ''carta'', la sua poesia, che lui lascia al fine di portare avanti la sua scommessa con la vita. Il senso della sua poesia è l'amore, il senso doloroso che costella la vita che non si può abbandonare ma grazie al quale nasce la poesia.

''città vecchia'' fa parte della sezione ''Trieste, e una donna''  la donna è Lina. La compone attorno al 1911, è una delle più vecchie. Lui parla della Trieste più popolare, ma le persone che abitano queste parte lui le sente più vicine. La poesia è dedicata ai sobborghi di Trieste, che lui imboccava consapevolmente. Il lessico adoperato è tratto dalla sfera quotidiana e la descrizione è estremamente riconoscibile, senza metafore. Nella pozzanghera (importante!) c'è il giallo, come in Montale. In questi sobborghi c'è una umanità

spesso mercificata (l'allusione è al postribolo). Lui qua sente tutto il battito della vita per come essa è nei suoi aspetti più degradata. ''Battere'' non è riferito alle prostituta, ma al cuore della vita, alla vitalità che sprigiona la giovane che brucia d'amore. Sono tutte creature della vita e del dolore. Il Signore non è inteso come cattolico, anzi era ateo. Il Signore è il senso dell'esistenza, la connessione profonda e spirituale con gli altri esseri viventi. L'attraversamento del dolore non è mai assestato sul senso di perdita! Le vie di Trieste ricordano le vie di Sbarbaro, ma in senso antitetico ( quando traverso la città di notte). Le immagini (come il lumicino accanto alle bestie squartate, la prostituta, il vecchio ecc) vogliono veicolare non un senso di immedesimazione, ma follia, il desiderio di spossessarsi di sé, in un mondo diverso, non con il quale si sente in armonia e comunione.

''Il poeta''

(1923, si trova in Preludio e canzonette)

Non contraddice ''amai'', anzi pone in evidenza il fatto che amare porti momenti di sconforto e di abbandono, perché non è facile amare la vita nella sua coralità di emozioni. Lui trova scampo nella poesia. La vita rende difficile riuscire ad amarla, quindi l'unica possibilità di interagire con lei in modo proficuo è la poesia. ''molcere'' è un latinismo, significa accostarsi dolcemente. Il ritmo della poesia, se scorta amichevolmente il lettore a seguirlo, d'altro canto nasconde la disciplina del poeta che vuole rendersi il dolore amico. Vuole comunicare la dolcezza nella sua poesia: il suo punto di forza secondo la Morante è il riuscire a scortare e accogliere il lettore nel mondo in cui potesse sentirsi partecipe, e potesse sentire i propri turbamenti e tensioni in un modo conciliante, come se anche al lettore il dolore fosse amico. Tanto più i versi sembrano semplici e chiari, tanto più c'è la sua fatica dietro --> chi beve il vino e dell'agricoltore sa la fatica? E' una similitudine. La musicalità della sua poesia è ricercata con fatica. Il tono della poesia è abbastanza accorato (ci sono molti punti esclamativi). La sua poesia è mossa da istante autoconoscitive e di relazione con la realtà. Saba reinterpreta la tradizione, e la arricchisce con la sensibilità del suo tempo. Il negozio è un latinismo, è l'impegno intellettuale. L'impegno di scrivere non è facile, è una guerra, questa ora di negotium è aspra. E da qui si vede quanto lui ami la vita, quanto sia portato a tradurla in poesia. Il bello è la grazia suprema a cui si riferiva la Morante, comporre i versi in modo che tutto appaia pieno di senso, persino l'uomo e il suo male o le proprie vicissitudini dolorose.

''A mia moglie'' fa parte della sezione Casa e Campagna. Saba dispone le sezione in modo ordinato, in modo cronologico. Infatti, le poesie di questa sezione vengono prima di Trieste e una donna. L'ispirazione gli viene da una cagna che gli posa il muso sulla gamba e lui si perde negli occhi ''dolci e feroci'' (ossimoro), qui allude all'essenza felina che hanno tutti i viventi dentro, la parte più istintuale. E' una poesia che scrive di getto. È un omaggio alla creaturalità di Lina (che ha in sé un dono aggiuntivo rispetto al maschio: la riproduzione, l'accudimento). La femmina partorisce con dolore e con dolore comincia la vita (il pianto). In sé racchiudono proprio il senso misterioso della vita e della sua compresenza con il dolore. Ribadisce all'inizio e alla fine ''io ti ritrovo in tutte le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio''. Non c'è l'elogio di Lina come donna migliore di altre donne, ma attraverso di lei fa un omaggio a tutte le creature animali femmine per il miracolo della creatura. Tuttavia, non si riferisce a Dio, ma è proprio il suo sentirsi parte dell'infinito nell'umiltà. Esso si incarna proprio nelle femmine, perché riproducendosi ci si rigenera ed è una forza creaturale che persiste. Lo si legge nell'accezione di un cantico delle creature. C'è poco la riconoscibilità dei tratti di Lina perché qua diventa una riflessione del senso dell'esistere.

''Mio padre è stato per me l'assassino'' È un sonetto (aba aba dce dce) --> è un metro tradizionale. È inserita nella sezione '' autobiografia'' che accoglie poesie composte nel 1924. Il poeta, adulto, ha sentito il rapporto con la moglie a volte costrittivo a causa dell'austerità di Lina e aveva avuto un rapporto un po' conflittuale. Saba, ormai maturo, coglie nelle debolezze del padre parte delle sue debolezze. I versi non sono mossi da un intento accusatorio, ma dalla riflessione intima e profonda. La sezione ''autobiografia'' è la sezione in cui il poeta si confronta con le forze ''a me secrete'', che riguardano la sua vita. ''tenzone'' è un componimento poetico della tradizione, indica un conflitto. La parola ''assassino'' è l'appellativo che la madre dà al padre di Saba, lui è l'assassino della famiglia. Ma non è solo l'atto di riportare quanto la madre gli ripeteva, ha anche un'accezione che deriva dal lessico triestino: significa '' mascalzone''. Le virgolette rispondono ad entrambe le esigenze (qualcosa che viene riferita e anche un termine dall'accezione diversa). Sceglie nessi e lessico molto discorsivi, come se fosse un colloquio, all'interno del metro tradizionale. Lui l'ha conosciuto solo a 20 anni. Allora, lui aveva visto che era un bambino (l'immaturità del padre). Il dono a cui si riferisce è il dono della poesia. Lui usa l'astratto per il concreto, la metonimia--> lo sguardo azzurrino. Nella dolcezza del padre lui vede la furbizia, ma risulta un difetto se ferisce gli altri: infatti lui se n'è andato per il mondo. Lui ha nutrito il nomadismo affettivo e il nomadismo in sé, perché gira sempre. Il riferimento non è a se stesso, però, perché lui è sempre rimasto con Lina. La leggerezza in relazione allo sguardo gli consente di fare il poeta (perché lo ha ereditato dal padre), ma eredita anche la severità della madre. E' alla madre che il padre sfugge come sfugge il pallone dalle mani del bambino (perché lui era gaio e leggero). Come lui, sfuggì a lei la possibilità di portare avanti il progetto familiare. Lui lo comprende da grande cosa voleva dire ''non somigliare a tuo padre''. Non solo sono due razze diverse perché lui è veneziano e lei ebrea, ma è riferito anche al diverso modo di intendere la diversità culturale. Probabilmente suo padre, nobile, era caratterizzato dalla leggerezza di retaggio antropologico, mentre la madre apparteneva ad una etnia vessata dalla storia come dalla società. Questa poesia è importante perché mostra un Saba che non si schiera, ma che cerca di comprendere le radici delle relazioni, che non sono mai bianchi o neri, c'è sempre un groviglio da districare....


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