Scuola, Società, Politica e Democrazia. Dalla riforma Gentile ai Decreti delegati PDF

Title Scuola, Società, Politica e Democrazia. Dalla riforma Gentile ai Decreti delegati
Course Storia Della Riflessione e Della Progettualita' Pedagogica
Institution Università degli Studi di Cagliari
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Scuola Società Politica Democrazia. Dalla riforma Gentile ai Decreti delegatiNella prefazione Francesco Susi ci dice che nel sito dell’Ocse si afferma che “i sistemi educativi sono il riflesso della società, delle culture e delle economie nazionali sulle quali influiscono. La formazione è collocata ...


Description

Scuola Società Politica Democrazia. Dalla riforma Gentile ai Decreti delegati Nella prefazione Francesco Susi ci dice che nel sito dell’Ocse si afferma che “i sistemi educativi sono il riflesso della società, delle culture e delle economie nazionali sulle quali influiscono. La formazione è collocata dall’Ocse sullo sviluppo nazionale e alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale in ogni fase di vita”. Sulla stessa linea si muove Francesco Susi in questa ricostruzione dei percorsi e degli sviluppi della scuola nei tre decenni successivi alla caduta del regime Fascista, nel nuovo contesto istituzionale e socio-culturale dell’Italia liberata e repubblicana. In questa ricostruzione Susi non privilegia in forma esclusiva il dibattito tra differenti scuole pedagogiche convinto che la questione della scuola è strettamente legata alle trasformazioni economiche, politiche e istituzionali e ai cambiamenti delle culture e delle mentalità. Appoggia infine le parole di Mario Lodi quando dice che “i Decreti delegati del 1974 rappresentano con molta probabilità il punto più alto del processo di democratizzazione del sistema scolastico italiano”.

I Capitolo Dall’Unità al Fascismo Per poter capire la realtà scolastica dopo la caduta del regime fascista bisogna tener conto delle caratteristiche principali del sistema scolastico, così come si era costituito nell’arco di tempo dall’Unità (1861) al fascismo, in modo da capire se la scuola abbia modificato o riproposto il precedente modello scolastico. IL SISTEMA SCOLASTICO DOPO L’UNITA’. Nel riflettere sulla storia scolastica italiana dall’Unità in poi, Lamberto Borghi ha affermato che in regime liberale la scuola con i suoi istituti classici diede vita a una classe dirigente fermamente impregnata nella difesa del suo posto egemonico, e con le scuole tecniche creò un ceto di impiegati minori e di operai specializzati, mano d’opera destinata alla produzione a vantaggio della classe dirigente. Afferma che la tendenza, a salire dal basso e a rompere questa stratificazione sociale fu repressa dal fascismo. In effetti dall’analisi storica evidenzia la natura fortemente classista del sistema scolastico e ne sottolinea la continuità dalla Legge Casati del 1859 alla riforma Gentile del 1923 fino alla Carta della Scuola del ministro dell’Educazione nazionale Bottai del 1939. Con l’Unità nazionale, la legge pensata per il Piemonte e la Lombardia da Gabrio Casati, Ministro della PI del Regno sardo (1859-1860), venne estesa a tutto il regno d’Italia; fu redatta nel giro di quattro mesi e venne promulgata il 13 novembre del 1859 in forma di decreto legge. La legge Casati era destinata a restare per oltre 60 anni l’ossatura della scuola italiana. La scuola che veniva istituita rifletteva la volontà del ceto sociale e intellettuale che aveva costituito un regime di governo fondato su una rappresentanza estremamente ristretta e su un sistema elettorale che ammetteva al voto solo una piccola parte della popolazione, da questo non poteva che nascere una scuola gerarchica e piramidale, con una rigida distinzione fra istruzione tecnico-professionale, riservata alle classi medio-inferiori, e istruzione umanistica destinata ai figli delle classi dirigenti. Caratteristiche principali della legge: rifletteva la realtà della società piemontese e lombarda per cui era stata concepita; governo della scuola sulla strada dell’accentramento come gli anni precedenti; nessuna responsabilità per l’istruzione professionale affidata al ministero dell’Agricoltura che dal 1861 avrà anche la responsabilità degli istituti tecnici; obbligo scolastico limitatissimo, affidato ai comuni, privo di una solida garanzia finanziaria e perciò del tutto inadeguato ad affrontare i problemi posti dall’analfabetismo; affrontava in modo inadeguato il problema del personale, sia

dell’istruzione secondaria che primaria, dove i maestri, spesso privi di qualsiasi formazione professionale, erano lasciati in balia delle amministrazioni comunale da cui dipendevano e che tendevano a pagare loro stipendi inferiori rispetto a quelli degli operai. Nel suo insieme il sistema scolastico disegnato da Casati puntava a ribadire l’esistente pietrificando la fisionomia di ogni classe sociale, razionando l’istruzione e comprimendo il bisogno di promozione. Il fine della scuola era quello della conservazione della pace sociale, della riproduzione delle classi e della perpetuazione del sistema di rapporti esistenti. Come disse Gramsci “ogni gruppo sociale ha un proprio tipo di scuola, destinato a perpetuare in questi strati una determinata funzione tradizionale”. LA SCUOLA ELEMENTARE. La scuola elementare pubblica per tutti è stata in Italia una delle più grandiose novità dell’800, non meno del telegrafo o della locomotiva e di tante altre invenzioni e scoperte che hanno rivoluzionato scienza, tecnologia, società e cultura. Presentata come il principale mezzo di elevazione delle classi popolari, l’istruzione per tutti fu vantata come lo strumento per sanare i mali del mondo. Un ottimismo che si rivelò solo in parte fondato: senza istruzione non si sarebbe andati avanti ma tuttavia questa da sola non avrebbe portato all’eden sognato, in secondo luogo, la scuola pubblica obbligatoria incontrò forti resistenze con forti oppositori come ad esempio la Chiesa che vide strapparsi dalle proprie mani il controllo e la gestione dell’istruzione, dagli asili all’università. Ciò spiega le esitazioni e ambiguità mostrate dalla classe dirigente nei confronti dell’istruzione popolare, solitamente riconducibili alla concezione che aveva del popolo, visto come una classe bisognosa non tanto di istruzione ma di educazione ai valori e ai comportamenti ammessi, al fine di diventare uomini operosi e devoti alla monarchia e alla patria. Dopo l’Unità nazionale, l’Italia si presentava come un paese essenzialmente agricolo: quasi il 70% della popolazione lavorava nelle campagne, lo sviluppo industriale era debole e circoscritto solo a poche province del settentrione, come riflesso anche di una quasi inesistente rete nazionale di trasporti. Mancanza di strade, tant’è che non poche province erano costrette all’isolamento geografico, economico e culturale. La situazione economico-sociale era particolarmente grave nel Mezzogiorno, dove intere zone per decenni sono caratterizzate da una debole penetrazione del capitalismo, con una scarsa diffusione dell’azienda moderna, dall’arretratezza dei sistemi produttivi, la pastorizia, che a lungo aveva alimentato lo sviluppo dell’industria pastorale, perse via via importanza per molteplici cause rimanendo confinata in poche zone. Nel contesto di arretratezza del nuovo Regno, alla diffusa e profonda miseria si accompagnavano bassissimi livelli di istruzione della popolazione, con un tasso medio di analfabetismo del 78% sull’intera popolazione nazionale (72% maschile e 84% femminile, con picchi più alti nel meridione e nelle isole). Davanti a questa situazione tuttavia la Destra storica non adottò risolute politiche di diffusione dell’istruzione, non solo per mancanza di finanze, ma anche per non alterare i precari equilibri del paese chiuso in una concezione elitaria e classista della società e della cultura. Per capire la dimensione ideologica della scuola italiana di questi anni basta esaminare i libri in uso nelle scuole. Primo elemento è la lunga durata dei testi scolastici, spesso ristampati per oltre 50 anni, una forte resistenza alle innovazioni. Altra caratteristica è la forte carica di idealizzazione, la volontà di inculare una morale basata sul rispetto dei ruoli sociali accettati come oggettivi. Ciò è vero soprattutto per i testi elementari. L’istruzione elementare era distinta in due gradi, inferiore e superiore e regolamentata insieme alle scuole normali per la preparazioni dei maestri, dai 58 articoli del Titolo V della legge Casati. Solo il grado inferiore era gratuito e formalmente obbligatorio da istituire in borgate di almeno 50 bambini;

il grado superiore invece poteva essere istituito in comuni con oltre 4000 abitanti. Il programma didattico del grado inferiore prevedeva l’insegnamento religioso, lettura, aritmetica elementare, lingua italiana, nozioni elementari sul sistema metrico. Il grado superiore oltre a continuare con lo svolgimento delle materie del grado inferiore, comprendeva le regole della composizione, la calligrafia, la tenuta dei libri, geografia elementare, fatti più notevoli della storia nazionale. A queste materie poi verranno aggiunte, nelle scuole maschili superiori, i primi elementi della geometria ed il disegno lineare, mentre nelle scuole femminili i lavori donneschi. Le spese per la scuola erano a carico dei comuni che intervenivano in base alle loro disponibilità per pagare gli stipendi di maestri/e e alle altre spese per lo stabilimento e la conservazione delle rispettive scuole. La legge prevedeva l’intervento dello stato solo attraverso stanziamenti annuali ma solo in sostegno di comuni con scarse entrate e con cittadini in situazioni poco agiate. Questo era previsto formalmente, di fatto però la legge Casati si mostrò particolarmente carente nel garantire i finanziamenti necessari per far funzionare il sistema scolastico. Non solo la spesa statale era quasi assente, ma il poco si concentrava principalmente sull’università e l’istruzione secondaria classica. I maestri venivano “eletti” da municipi e assunti con un contratto da uno a tre anni rinnovabile. Per poter essere chiamato ad insegnare in una scuola elementare il candidato doveva essere munito di patente di idoneità all’insegnamento, di un attestato di moralità e doveva aver compiuto 18 anni se uomo e 16 se donna. Le patenti si ottenevano attraverso un concorso a cui potevano accedere gli abilitati delle scuole normali per la formazione degli insegnanti della scuola elementare; l’attesto di moralità invece veniva rilasciato dal sindaco. Ma a causa di un numero non sufficiente di persone abilitate dalle scuole normali, la legge prevedeva la possibilità di presentarsi agli esami di patente nelle scuole normali e magistrali anche senza aver conseguito il corso di studi. Inoltre, in caso si carenza di candidati abilitati, il regio ispettore per gli studi primari aveva il potere di affidare l’incarico a persone sprovviste di titolo ma reputate in grado di tale compito; nonostante prevista come eccezionale fu una prassi a cui si ricorse frequentemente per almeno due motivi: le scuole normali non bastavano a formare un numero sufficiente di maestri, e comunque rimaneva troppo ristretto il numero di coloro che potevano permettersi il prolungamento degli studi tale da consentire di frequentare la scuola normale e conseguire l’abilitazione. Per un non breve periodo, i docenti costituirono un personale improvvisato e instabile. La legge Casati fissava per i maestri il minimo dello stipendio annuo differenziandolo secondo il grado di scuola, superiore e inferiore, la popolosità dei comuni sedi di scuola elementare, e il sesso dell’insegnante. La legge Casati stabiliva l’obbligo scolastico ma si fece ben poco per attuarlo e farlo rispettare. Alla caduta della Destra storica, la Sinistra parlamentare, nel suo periodo di riforma, con la Legge Coppino (1877) compì un non trascurabile passo avanti. La legge innalzò l’obbligo scolastico fino ai 9 anni cercando di rendere effettivamente operante tale principio almeno nel grado inferiore della scuola elementare attraverso l’introduzione di sanzioni per gli inadempienti, stanziò anche finanziamenti statali destinati ad aumentare il numero delle scuole, ad ampliare e migliorarne i locali, a fornirgli degli arredi necessari e ad accrescere il numero dei maestri. Tuttavia, il processo di scolarizzazione continuava ad incontrare difficoltò, non tutte le famiglie erano in grado di vedere nella scuola un’opportunità, in quanto per lungo tempo l’istruzione non sembrò consentire un percorso, anche modesto, di mobilità sociale ascendente. Inoltre, restava diffuso il pregiudizio nelle classi dirigenti che l’istruzione del popolo portava come fatale conseguenza, la ribellione, il disordine, la delinquenza, fu vista per un lungo periodo con sospetto dalla classe dirigente, timorosa dell’alfabetizzazione perché convinta che avrebbe potuto allargare il malcontento tra i ceti popolari più umili, resi più consapevoli della propria condizione.

L’ETA’ GIOLITTIANA E L’ORGANIZZAZIONE DEI MAESTRI. (1901-1914) coincise e contribuì a dei mutamenti positivi: - Nello sviluppo del paese: la valorizzazione di nuove risorse e l’applicazione delle più recenti scoperte scientifiche portarono alla trasformazione industriale e allo sviluppo del paese, con conseguente aumento delle esportazioni. - Crebbero gli investimenti e l'attività manufatturiera. Venne incoraggiata l'industria e incrementate le opere pubbliche. La classe dirigente cercava di ottenere una più larga adesione per cui operò al fine del miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori (legislazione sociale, incremento delle opere pubbliche, riconoscimento dei diritti politici del movimento operaio. 1892 nascita partito socialista, conquista di migliori salari). - L’età giolittiana si caratterizzò anche per la richiesta di una maggiore laicità nelle istituzioni e nella vita pubblica del paese, causando forti tensioni poiché Giolitti cercava invece di rafforzare i rapporti con i cattolici. Nel 1904 si tenne il Congresso del Libero Pensiero che fu movimento di emancipazione intellettuale e sociale che voleva liberare i popoli dall'oppressione delle Chiese. In questo clima, grazie alle capacità politico-organizzative del radicale Luigi Credaro, nacque nel 1901 l’Unione magistrale nazionale (UMN), organizzazione di impronta democratica capace nel tempo di esercitare una pressione sufficiente per indurre i governi a adottare concreti provvedimenti per il miglioramento della scuola. I soci dichiarati al congresso costitutivo erano 30 180 salendo poi un paio di anni dopo a 34 000, su un totale di circa 65 000 maestri. L’UMN concentrò le proposte e l’azione organizzativa su obiettivi condivisi come: la formazione e il reclutamento, la libertà di insegnamento, il rapporto tra scuola pubblica e provata, tra i metodi e le discipline d’insegnamento e infine lo stato giuridico e l’aumento degli stipendi. Quella dei maestri infatti era una categoria vicina al proletariato come livello retributivo e non ne era molto al di sopra a livello di considerazione sociale. Per migliorare le condizioni dei maestri, dell’insegnamento e in generale della scuola pubblica, era necessario che si irrobustisse nei partiti, nei movimenti e nell’opinione pubblica la consapevolezza della rilevanza della questione scolastica. Questa fu la funzione svolta dai comizi pro-schola che iniziarono intorno alle fine del 1902. Queste mobilitazioni fecero in modo che si approvassero provvedimenti importanti come la riforma del monte pensioni e la legge Nasi sullo stato giuridico (1903), che fissava un eguale stipendio per maestre/i e li garantiva dai licenziamenti immotivati e dai soprusi delle amministrazioni comunali. Anno successivo venne emanata la legge Orlando (1904) che prolungò l’obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età, istituì le scuole serali e festive per analfabeti, l’assistenza scolastica a carico dei comuni per i più poveri, contribuì al miglioramento delle condizioni retributive dei maestri. Le due leggi, Nasi e Orlando, indicarono una nuova sensibilità governativa. Se la prima cercò anche di impedire vessazioni di cui i maestri erano sottoposti dai comuni e di moralizzare l’ambiente scolastico, la seconda aumentò in qualche misura gli stipendi dei maestri, che tuttavia continuarono a presentare forti disparità a livello retributivo. Bisognerà aspettare il primo dopoguerra (decreti del 1919 e del 1920) per vedere finalmente abolite le ventiquattro categorie e le relative sottocategorie sulla cui base si differenziavano i salari di maestri/e. Come detto nei punti precedenti, l’età giolittiana si caratterizzò anche per la richiesta di una maggiore laicità nelle istituzioni e nella vita pubblica del paese. In un clima di forti tensioni sociali e politiche, che vedeva Giolitti impegnato a rafforzare i rapporti con il mondo cattolico, la questione della laicità della scuola divenne un tema di confronto politico che chiamava in causa anche valori e

principi fondamentali. Le istanze laiche e anticlericale crebbero al punto da sfociare in numerose iniziative in sostegno della mozione presentata alla Camera il 1908 in cui si richiedeva la completa laicità della scuola elementare. La mozione venne respinta, ma il dibattito ebbe una vasta eco sulla stampa. Il movimento per una maggiore laicità delle istituzioni toccò l’apice quando si diffuse in Italia la notizia della fucilazione di un maestro spagnolo, l’esecuzione avvenne nel 1909 e si configurò come un nuovo tragico episodio della lotta tra ragione e superstizione. Il sistema educativo spagnolo infatti era controllato interamente dalla Chiesa assumendo gli insegnanti e decidendo i programmi; la pedagogia era fortemente autoritaria, la disciplina severa, le punizioni corporali in uso. L’uccisione dell’educatore spagnolo alimentò il conflitto tra laici e cattolici. Le associazioni degli insegnanti, UMN e Federazione nazionale insegnanti scuole medie (FNISM), che avevano assunto fin dalla loro costituzione come valori di riferimento quelli della democrazia, dell’antidogmatismo e della laicità, furono presenti nei comizi organizzati in numerose città italiane. L’intervento che meglio corrispose a questa fase di profonde trasformazioni economiche/culturali e che contribuì al progresso dell’istruzione elementare fu la legge Credaro (1911). Promuovendo un più deciso intervento dello Stato nella gestione della scuola primaria e imprimendo un forte impulso alla scolarizzazione e alla lotta all’analfabetismo, la legge affermò il principio della scuola elementare come servizio pubblico statale, attribuendo le scuole primarie allo stato (scuole avocate) e sollevando i comuni dalla relativa spesa. L’avocazione della scuola elementare allo stato e quindi una organizzazione più organica dell’obbligo scolastico, sottratta alle possibilità e alle capacità dei comuni, si colloca sicuramente in un’esigenza condivisa anche dall’industria che iniziava ad aver bisogno di una manodopera culturalmente più mobile e integrata nella società industriale ed urbana. La legge Credaro costituisce un passaggio fondamentale nella storia scolastica italiana: si avvia la costruzione della scuola elementare come un servizio che lo Stato deve garantire alla popolazione dovunque essa risieda e si sottraggono gli insegnanti elementari ad una condizione fino ad allora caratterizzata da precarierà ed insicurezza, trasformando il maestro in dipendente statale. Questo processo di rinnovamento si interruppe con l’insorgere della crisi 1913-1914 che scosse il sistema economico nazionale. L’Italia ora appariva come un paese in profonda trasformazione, segnato da gravi contraddizioni sociali con un aumento della disoccupazione e del costo della vita, una flessione dei salari, una forte emigrazione. Nel giro di pochi anni si precipitò negli eventi che portarono alla Grande guerra con il successivo instaurarsi della dittatura fascista. LA SCUOLA SECONDARIA. Come abbiamo visto, lo scopo della legge Casati era quello di selezionare una classe dirigente ristretta ma ben preparata. La selezione si basava sulla cultura umanistica che veniva proposta come valore unificante per l’élite e come filtro sociale per gli esclusi. Il compito di realizzare l’alfabetizzazione era delegato ai comuni l’istruzione secondaria e universitaria, che rappresentavano il pilastro della formazione dei nuovi quadri dirigenti, vennero poste alle dipendenze dell’amministrazione centrale. Si era consapevoli del fatto che solo attraverso il sistema scolastico ci si poteva dotare del personale burocratico, amministrativo, intellettuale, necessario alle nuove funzioni dello stato liberale. L’istruzione secondaria fu distinta da Casati in scuola umanistica con latino, propedeutica all’università, ed in scuola utilitaria, senza latino e senza ulteriori sbocchi. L’istruzione classica aveva lo scopo di istruire i giovani in quegli studi mediante i quali si acquista una cultura letteraria e filosofica che apre poi le porte alle universi...


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