Sent casssis dassonville e keck PDF

Title Sent casssis dassonville e keck
Author erika mattiello
Course Diritto delle istituzioni internazionali
Institution Università degli Studi di Trento
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Summary

Riassunto esaustivo delle 3 sent con un'introduzione sulla libera circolazione delle merci ...


Description

LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI Base giuridica: Articolo 26 e articoli da 28 a 37 del TFUE Il diritto alla libera circolazione dei prodotti originari degli Stati membri e dei prodotti provenienti da paesi terzi che si trovano in libera pratica negli Stati membri è uno dei principi fondamentali del trattato (articolo 28 del TFUE). In una fase iniziale, la libera circolazione delle merci era stata concepita nel quadro di un'unione doganale tra gli Stati membri con l'abolizione dei dazi doganali, delle restrizioni quantitative agli scambi e di tutte le altre misure di effetto equivalente, e con la fissazione di una tariffa doganale comune nei rapporti della Comunità con i paesi terzi. In seguito è stato posto l'accento sull'eliminazione di tutti gli ostacoli restanti alla libera circolazione delle merci, in modo da realizzare il mercato interno, definito come uno spazio senza frontiere interne ove le merci circolano liberamente come all'interno di un mercato nazionale. Risultati L'abolizione dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative (contingenti) fra gli Stati membri è stata portata a termine entro il 1o luglio 1968, vale a dire un anno e mezzo prima. Per contro non è stato possibile conseguire entro la stessa scadenza gli obiettivi supplementari, ovvero il divieto di misure di effetto equivalente e l'armonizzazione delle norme nazionali pertinenti. Tali obiettivi sono divenuti fondamentali nello sforzo continuo di conseguire la libera circolazione delle merci. Libera circolazione delle merci All’interno delle quattro libertà di circolazione previste dal TCEE!(delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali), la libera circolazione delle merci ha, fin dalle origini, svolto un ruolo fondamentale, rappresentando il punto di partenza per la realizzazione del mercato comune. Questa libertà, enunciata fra gli scopi del Trattato all’art. 2, e prevista in dettaglio dagli artt. 23-31 Trattato CE (Trattato della Comunità europea, TCE), ha trovato attuazione mediante due strumenti: -l’Unione doganale!(a integrazione della quale si devono considerare le previsioni di cui all’art. 90 sul divieto di imposizioni fiscali interne discriminatorie nei confronti dei prodotti importati) - l’abolizione delle restrizioni quantitative agli scambi. In questo modo si è reso possibile il graduale raggiungimento del mercato interno comunitario. Alle previsioni contenute nel Trattato si sono poi affiancati numerosi atti di diritto secondario, come i regolamenti sull’istituzione della Tariffa doganale comune e le direttive finalizzate ad abolire gli ostacoli alla libertà di circolazione. Le disposizioni sulla libera circolazione delle merci hanno come destinatari gli Stati membri, obbligando anche le rispettive articolazioni interne territoriali o settoriali (regioni, province, enti locali, amministrazioni pubbliche) a garantirne il rispetto, pena l’infrazione del diritto comunitario a opera dello Stato e le relative conseguenze. Nel caso in cui la violazione delle previsioni in materia sia effettuata da soggetti privati (ad esempio operatori commerciali), lo Stato risulterà comunque responsabile della violazione alla libera circolazione delle merci se e in quanto abbia tollerato il comportamento lesivo, non intervenendo per interrompere e/o sanzionare il comportamento di questi. >le disposizioni sulla libera circolazione delle merci sono state più volte valutate dalla Corte di giustizia come produttive di effetto diretto negli ordinamenti nazionali: a prescindere dalla loro mancata attuazione nel diritto interno sarà quindi possibile per i singoli invocarne l’applicazione davanti all’autorità giurisdizionale nazionale.

L’attuazione del divieto di restrizioni quantitative agli scambi e di misure di effetto equivalente a queste (artt. 28-29 TCE) ha dato origine a un’interessante evoluzione a opera della giurisprudenza comunitaria. Restrizioni quantitative —> concetto che comprende sia disposizioni nazionali che prevedono un divieto assoluto di importazione (o un rifiuto di rilasciare licenze di esportazione), sia quelle che prevedano un quantitativo massimo di beni. Misure di effetto equivalente —> secondo la cd “formula Dassonville” sono tutte le misure che, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, restringano gli scambi commerciali fra gli Stati.

Sentenza Dassonville Fatto: la questione è stata sollevata nel corso d'un procedimento penale pendente in Belgio contro dei commercianti (padre e figlio- i Dassonville) che, dopo aver regolarmente acquistato una partita di scotch whisky in libera pratica in Francia, l'hanno importata in Belgio senza essere in possesso del certificato d'origine, da rilasciarsi dalla dogana britannica, richiesto dalla legislazione belga. Il tribunale ritiene sottoporre alla CG 2 questioni pregiudiziali: 1. Se tale norma nazionale costituisce una misura di effetto equivalente Emerge fin da subito che un commerciante, intenzionato ad importare in Belgio dello scotch whisky già in libera pratica in Francia, incontra gravi difficoltà nel procurarsi tale certificato, sconosciute a chi importa direttamente dallo Stato produttore. Va considerata come una misura d'effetto equivalente a restrizioni quantitative ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari (formula Dassonville) Data la mancanza di una normativa comune sull'autenticità della denominazione di origine d'un prodotto, gli Stati membri possono adottare provvedimenti in materia a condizione che : 1. siano ragionevoli 2. i mezzi di prova richiesti non ostacolino il commercio fra gli Stati membri, ma siano accessibili a tutti i cittadini comunitari. 3. Ex art 36 secondo periodo, non siano utilizzati ai fini d'una discriminazione arbitraria o d'una restrizione dissimulata al commercio fra gli Stati membri (ad le formalità, richieste da uno Stato 4. membro per la prova dell'origine d'un prodotto, che possono essere agevolmente soddisfatt solo dagli importatori diretti). La normativa in questione, richiedendo un certificato di origine più facilmente ottenibile dall'importatore diretto d'un prodotto, che non da chi lo abbia acquistato regolarmente il in un altro Stato membro (diverso dal paese d'origine) dov'esso si trovava in libera pratica, pone in essere una misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa incompatibile col trattato. 2. Se è nullo il contratto di esclusiva che consenta, o non vieti all'importatore esclusivo di impedire importazioni parallele, facendo valere la normativa interna in materia di certificato d’origine.

Un contratto d'esclusiva ricade sotto il divieto dell'art. 85 (vieta un contratto di esclusiva quando il concessionario esclusivo sia in grado di impedire le importazioni da altri Stati membri nella zona d'esclusiva da parte di altri soggetti, grazie all'effetto combinato dell'accordo e della norma in materia di certificato d’origine, ostacolando il commercio fra Stati membri e alterando le condizioni di concorrenza). Un'esatta valutazione della fattispecie richiede l'esame non soltanto dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto, ma altresì del contesto economico e giuridico in cui il medesimo si colloca: in particolare, si dovrà tener conto dell'eventuale esistenza di contratti analoghi stipulati dal medesimo produttore con concessionari di altri Stati membri. Sotto questo aspetto, la sensibile differenza dei prezzi praticati nei diversi Stati può giustificare un'indagine diretta ad accertare se il contratto di esclusiva sia utilizzato per impedire agli importatori di procurarsi il mezzo di prova dell'origine del prodotto. In ogni caso, un contratto che semplicemente permetta, o non vieti, l'utilizzazione d'una simile norma interna non può, per questo solo fatto, venir considerato radicalmente nullo. [L’articolo 36 del TFUE consente agli Stati membri di adottare misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative quando esse siano giustificate da un interesse generale di natura non economica (ad esempio per motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico o di pubblica sicurezza). Trattandosi di eccezioni a un principio generale, tali deroghe: * richiedono una rigida interpretazione * le misure nazionali non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri. * Le eccezioni non sono più giustificate se nello stesso ambito è entrata in vigore una normativa unionale che non le consente. * le misure devono inoltre essere in diretto rapporto con l'interesse generale che va tutelato e non deve superare il livello necessario (principio di proporzionalità). * gli Stati membri sono tenuti a notificare qualsiasi misura di deroga nazionale alla Commissione. * per facilitare il controllo di tali misure nazionali derogatorie, sono stati introdotti procedure d’informazione reciproca e un meccanismo di controllo] Sentenza!Cassis de Dijon.! Fatto: la società Rewe voleva importare dalla Francia una partita di Cassis de Dijon (dov’era liberamente venduto) nella Rep.fed di Germania però l’amministrazione del monopolio dell’alcool le ha negato tale autorizzazione essendo che, la legge tedesca prevedeva che per mettere in commercio un liquore alla frutta fosse necessario che lo stesso avesse almeno il 25% di alcool, mentre il Cassis de Dijon oscillava tra i 15-20%. Il tribunale ha sottoposto alla CG due questioni pregiudiziali, chiedendo se tale norma nazionale, che prevede un contenuto minimo di alcol per la messa in commercio del liquore, fosse: - misura di effetto equivalente vietata sulla scorta dell’art 30 TCEE - una discriminazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto concerne le condizioni relative all’approvvigionamento e agli sbocchi ex art 37 —> si tratta di una disposizione specifica per i monopoli nazionali a carattere commerciale mentre la legge in questione disciplina la produzione e il commercio di bevande alcoliche, indipendentemente dal fatto che rientrino nel monopolio in questione (quindi si analizza solo la prima questione).

In mancanza di una normativa comune in materia di produzione e di commercio dell’alcool, spetta agli Stati membri disciplinare, ciascuno nel suo territorio, tutto ciò che riguarda la produzione e il commercio dell'alcool e delle bevande alcoliche. Gli ostacoli per la circolazione intracomunitaria derivanti da diversità delle legislazioni nazionali in materia vanno accettati qualora tali prescrizioni siano necessarie per rispondere ad esigenze imperative attinenti, in particolare: * all'efficacia dei controlli fiscali * alla protezione della salute pubblica, * alla lealtà dei negozi commerciali * alla difesa dei consumatori. Sul punto infatti, il Governo della Rep.fed di Germania aveva addotto come giustificazione esigenze di: - tutela della salute pubblica -fissando la % minima di alcool si eviterebbe la proliferazione di bevande con gradazione alcolica moderata che sono quelle che generano maggiore assuefazione —> non è vero perché il consumatore può procurarsi svariate bevande alcoliche con gradazioni diverse. - protezione dei consumatori -si sarebbe un vantaggio concorrenziale rispetto alle bevande con una gradazione maggiore dato l’elevato costo dell’alcol dovuto al relativo onere fiscale applicabile; se si consentisse la circolazione di bevande con una gradazione conforme alle norme del paese d’origine, si finirebbe per ammettere, a livello di comunità come standard, il contenuto alcolico più basso previsto da qualche disciplina nazionale o, addirittura rendere inoperanti tutte le prescrizioni in materia qualora più discipline nazionali non imponessero alcun limite —>non è di certo una garanzia della lealtà dei negozi commerciali essendo che è facile garantire l’adeguata informazione dell’acquirente, rendendo obbligatoria l’indicazione della provenienza e ella gradazione alcolica sull’imballo dei prodotti. A ben vedere la fissazione di una gradazione minima di alcool finisce per avvantaggiare le bevande con alta gradazione alcolica, allontanando dal mercato nazionale i prodotti importati non rispondenti a questa specificazione. Ecco che la normativa nazionale costituisce una misura di effetto equivalente non giustificata da uno scopo d'interesse generale. In questo modo la Corte afferma il il principio di mutuo riconoscimento, in base al quale gli Stati devono avere una fiducia reciproca nelle rispettive norme tecniche sulla commercializzazione dei prodotti, non potendo quindi richiedere ai prodotti importati il rispetto delle proprie norme nazionali sul punto, salvo la necessità di salvaguardare le esigenze imperative quali ad esempio la tutela dei consumatori e la lealtà dei negozi commerciali. Quindi, fissato il principio che ogni prodotto legalmente fabbricato e commercializzato in uno Stato membro, conformemente alla regolamentazione e ai procedimenti di fabbricazione legali e tradizionali di quel paese, deve essere ammesso nel mercato di ogni altro Stato membro, gli Stati membri, anche in assenza di misure europee di armonizzazione (diritto europeo secondario), devono consentire che le merci prodotte e commercializzate legalmente in altri Stati membri siano distribuite e commercializzate sui loro mercati.

Sent Keck Fatto: nell’ambito di procedimenti penali a carico dei signori Keck e Mithouard, per aver violato la legge francese che fisava un divieto di rivendita a sottocosto di birra e caffè, il tribunale di prima istanza di Strasburgo solleva la seguente questione pregiudiziale alla CG: Il divieto di rivendita sottocosto è compatibile con: -principi della libera circolazione delle persone, servizi e dei capitali -> non rientrano nell’oggetto della causa che si occupa di mess in commercio delle merci; -creazione di una libera concorrenza nel mercato comune -> il giudice chiede chiarimenti su eventuali effetti anticoncorrenziali ma non indica le disposizioni del Trattato che costituiscono attuazione di tali principi nel settore della concorrenza. -non discriminazione in base alla nazionalità -> non si ha poiché la legge francese si applica a qualsiasi attività di vendita effettuata in Francia, indipendentemente dalla nazionalità dei soggetti che la svolgono. In particolare, può alterare la concorrenza nelle zone di frontiera fra i diversi operatori economici in base alla nazionalità e al luogo di stabilimento e poiché si applica solo ai rivenditori e non ai produttori. Quindi il divieto va esaminato solo sotto il profilo della libera circolazione delle merci e va ricordato che, ex art. 30 del Trattato, sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all'importazione nonché ogni misura di effetto equivalente. Secondo costante giurisprudenza, costituisce misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa qualsiasi misura che possa ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi commerciali intracomunitari. La CG ha voluto riesaminare e precisare la sua giurisprudenza precedente circa l’interpretazione del divieto di misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative all’importazione, a fronte della sempre più frequente tendenza degli operatori economici a contestare, sulla base dell’art 30, qualsiasi normativa che, pur non riguardando i prodotti importati, limiti la loro libertà commerciale. Con riferimento alla normativa dello Stato di importazione la Corte ha distinto tra: > norme nazionali che dettino requisiti ai quali le merci devono rispondere —> nella sent Cassis de Dijon esse costituiscono misure di effetto equivalente, ancorché: - si applichino indistintamente ai prodotti importati e a quelli nazionali; - la loro applicazione ai beni importati non sia giustificata da finalità di interesse generale. > norme nazionali che limitino o vietino talune modalità di vendita (caso di specie)—>non rappresentano misure di effetto equivalente, a condizione che siano non discriminatorie, cioè: -valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che esercitano la propria attività sul territorio dello Stato di importazione; - incidano allo stesso modo sui prodotti nazionali e su quelli importati....


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