Società di fatto - Società occulta - Società apparente-1 PDF

Title Società di fatto - Società occulta - Società apparente-1
Course DIRITTO COMMERCIALE
Institution Università della Calabria
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Società di fatto. Società occulta. Per la costituzione di una società di persone non è necessario l’atto scritto. Il contratto di società si può perfezionare anche per fatti concludenti e si parla in tal caso di società di fatto. La società di fatto è regolata dalle norme della società semplice se l’attività esercitata non è commerciale. È invece regolata dalle norme della collettiva irregolare se l’attività è commerciale, con la conseguenza che tutti i soci risponderanno personalmente ed illimitatamente delle obbligazioni sociali. Una società di fatto che esercita attività commerciale è esposta al fallimento al pari di ogni imprenditore commerciale. Ed il fallimento della società determina automaticamente il fallimento di tutti i soci (art. 147 l. fall.); dei soci noti al momento della dichiarazione di fallimento della società (soci palesi), ma anche dei soci occulti; dei soci cioè la cui esistenza sia successivamente scoperta (art. 147, 4° comma, l. fall.). E la prova dell’esistenza di soci occulti può basarsi anche su presunzioni rivelatrici degli elementi essenziali del contratto di società nei soli rapporti interni (conferimento, gestione comune, alea comune), purché gli indizi siano univoci e concordanti. In breve, l’esteriorizzazione della qualità di socio non è necessaria. L’aver tenuto celato ai terzi (rapporti esterni) la propria partecipazione ad una società di fatto non esonera da responsabilità per le obbligazioni sociali e dal fallimento. L’art. 147, 4° comma, l. fall. non lascia dubbi al riguardo. E se problemi sorgono nella pratica, essi riguardano la non sempre agevole valutazione in fatto degli atti e dei comportamenti di un soggetto come indici rivelatori della partecipazione occulta ad una società (palese). Dalla società con soci occulti va tenuto distinto il fenomeno della società occulta. È società occulta la società costituita con l’espressa e concorde volontà dei soci di non rivelarne l’esistenza all’esterno. La società occulta può essere una società di fatto, ma può risultare anche da un atto scritto tenuto ovviamente segreto dai soci; ciò che la caratterizza è comunque il dato che, per comune accordo, l’attività di impresa deve essere svolta ed è svolta per conto della società, ma senza spenderne il nome. La società esiste nei rapporti interni fra i soci, ma non viene esteriorizzata. Nei rapporti esterni l’impresa si presenta perciò come impresa individuale di uno dei soci o anche di un terzo, che operano spendendo il proprio nome. Lo scopo che le parti si propongono di realizzare col patto di non esteriorizzazione della società - patto certamente valido e vincolante fra le parti - è quello di limitare la responsabilità nei confronti dei terzi al patrimonio (di regola modesto) del solo gestore; di evitare cioè che la società e gli altri soci rispondano delle obbligazioni di impresa e siano esposti al fallimento. Obiettivi di per sé leciti, e che possono benissimo essere conseguiti con gli strumenti appositamente apprestati dall’ordinamento. In particolare è possibile costituire e controllare una società di capitali, anche unipersonale. In questo caso la limitazione di responsabilità e l’esenzione dal fallimento dei soci vengono conseguiti in modo trasparente e trovano applicazione una serie di istituti posti a tutela anche dei terzi. Tramite la società occulta i soci mirano invece a conseguire tali benefici segretamente e pertanto al di fuori di ogni regola e controllo. Da tempo la giurisprudenza e parte della dottrina hanno pertanto reagito contro questo fenomeno sostenendo che la mancata esteriorizzazione della società non impedisce ai terzi di invocare la responsabilità anche della società occulta e degli altri soci, ove l’esistenza della stessa venga successivamente scoperta. Necessario e sufficiente a tal fine, si afferma, è che i terzi provino a posteriori l’esistenza del contratto di società e che gli atti posti in essere dal soggetto agente in proprio nome siano comunque riferibili a tale società, sia pure non esteriorizzata. Perciò, dichiarato il fallimento di un imprenditore individuale, il fallimento viene esteso alla società ed agli altri soci occulti, una volta acquisita la prova - anche attraverso presunzioni - che esiste una società fra il fallito e gli altri soggetti interessati alla sua attività di impresa.

E questo orientamento è stato infine recepito anche dal legislatore con la recente riforma del diritto fallimentare (d.lgs. 9-1-2006, n. 5). Infatti, il nuovo art. 147, 5° comma, dispone che qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l’impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile, si applica agli altri soci illimitatamente responsabili la regola del fallimento del socio occulto. In breve, ai fini della dichiarazione di fallimento la legge tratta allo stesso modo il socio occulto di società palese e la società occulta. In entrambi i casi ritiene non necessaria l’esteriorizzazione e sufficiente la prova dell’esistenza del contratto di società nei rapporti interni. Gli indici probatori della qualità di socio occulto sono per la giurisprudenza anche indici probatori dell’esistenza di una società (occulta) fra un imprenditore individuale ed uno o più altri soggetti, anche se legati al primo da vincoli familiari, pur riconoscendosi che in quest’ultimo caso la prova dell’affectio societatis deve essere particolarmente rigorosa. Sono così considerati indici probatori di una società occulta - da soli o in concorso fra loro - il sistematico finanziamento di un imprenditore individuale anche attraverso il rilascio di fideiussioni omnibus, la partecipazione a trattative di affari con i fornitori, il compimento di atti di gestione, sia pure in nome dell’imprenditore individuale, il prelievo di somme di pertinenza dell’impresa e così via. La parificazione così operata e le conseguenze che se ne traggono sotto il profilo fallimentare non devono tuttavia essere fraintese. Socio occulto di società palese e società occulta sono fenomeni molto diversi sotto il profilo giuridico. Nel caso di socio occulto di società palese l’attività di impresa è svolta in nome della società e ad essa è certamente imputabile in tutti i suoi effetti. La responsabilità di impresa della società è fuori contestazione e la partecipazione alla società è titolo sufficiente a fondare la responsabilità ed il fallimento sia dei soci palesi sia di quelli occulti. Nel caso di società occulta invece l’attività di impresa non è svolta in nome della società; gli atti di impresa non sono ad essa formalmente imputabili. Chi opera nei confronti dei terzi agisce in nome proprio, sia pure nell’interesse e per conto di una società di cui è eventualmente socio; agisce cioè come mandatario senza rappresentanza della società occulta. E non vi è dubbio che a lui e non alla società sono formalmente imputabili gli atti di impresa ed i relativi effetti (art. 1705 cod. civ.). Il fallimento della società occulta è dunque norma eccezionale, e la nuova disciplina non comporta che l’attività di impresa sia imputata alla società in tutti i suoi effetti attivi e passivi. A diversa conclusione si potrebbe giungere solo ammettendo che, ai fini dell’imputazione della responsabilità per debiti di impresa, vale non solo il criterio formale della spendita del nome, ma anche il criterio sostanziale della titolarità dell’interesse. Se così è, deve escludersi che la società occulta sia direttamente responsabile verso i terzi per le obbligazioni contratte per conto della stessa, ma in nome proprio, dall’imprenditore individuale, finché quest’ultimo non è dichiarato fallito. Troverà invece applicazione la disciplina del mandato e, pertanto, l’imprenditore individuale (o il suo creditore in via surrogatoria) potrà agire nei confronti della società e dei soci occulti per farsi somministrare «i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratto in proprio nome» (art. 1719 cod. civ.) In breve, fuori dalle procedure concorsuali è l’actio mandati contraria il mezzo di tutela dei creditori dell’imprenditore individuale nei confronti della società occulta successivamente scoperta.

La società apparente. L’atteggiamento di favore della giurisprudenza per il coinvolgimento del maggior numero possibile di persone nel fallimento di un imprenditore individuale - che ispira il fallimento delle società occulte - si manifesta anche sotto altro profilo. Capita spesso che il giudice si convinca che dietro un imprenditore individuale, insolvente o già fallito, ci sia una società. Si convince di ciò in base a comportamenti degli «indiziati» nei confronti dei terzi, quali il rilascio di fideiussioni o di avalli a favore dell’imprenditore individuale, il pagamento di debiti e/o la partecipazione a trattative di affari insieme allo stesso. Nello stesso tempo il giudice si rende però conto che gli indici probatori raccolti sono fragili e non totalmente convincenti. Ed allora? Il giudice rinuncia ad estendere il fallimento alla società? Non sempre! Se è proprio convinto, il tribunale fallimentare si limita a prevenire possibili obiezioni sulla prova dell’esistenza della società invocando il principio dell’apparenza. È nata così la figura della società apparente. Con formula ormai costante, la giurisprudenza afferma infatti che una società, ancorché non esistente nei rapporti tra i presunti soci, deve tuttavia considerarsi esistente all’esterno quando due o più persone operino in modo da ingenerare nei terzi la ragionevole opinione che essi agiscono come soci e quindi da determinare in essi l’incolpevole affidamento circa l’esistenza effettiva della società. È così preclusa la possibilità degli apparenti soci di eccepire l’inesistenza della società e la società apparente è assoggettata a fallimento come una società di fatto realmente esistente. Questa singolare figura di società - inesistente fra i soci ma esistente di fronte ai terzi - non ha mancato di suscitare vivaci reazioni critiche in dottrina. Ed invero il principio dell’apparenza può tutt’al più determinare la responsabilità dell’apparente socio nei confronti dei terzi di buona fede che hanno fatto ragionevole affidamento sui suoi comportamenti esterni. Non mai il fallimento della società apparente, dato che al fallimento partecipano tutti i creditori; anche quelli che con il presunto socio non hanno trattato e che perciò non possono aver fatto affidamento alcuno sulla sua responsabilità. In breve, è lo stesso principio dell’apparenza che si oppone al fallimento della società apparente. Queste ed altre critiche non hanno tuttavia scalfito l’atteggiamento della giurisprudenza che continua a far vivere e ad applicare la sua creatura. E in un certo senso, la posizione della giurisprudenza non manca di una propria coerenza. Se per tutelare i creditori di impresa si fanno fallire le società che esistono nei rapporti interni ma non esistono di fronte ai terzi (società occulta), perché mai i giudici non dovrebbero far fallire le società che, secondo gli stessi giudici, «esistono» di fronte ai terzi ma non esistono nei rapporti interni (società apparente)? È agevole tuttavia replicare che la società occulta fallisce proprio perché viene scoperta la reale esistenza di una società: la legge si limita a stabilire che non è necessario rendere nota ai terzi l’esistenza del vincolo sociale. Nel caso della società apparente il giudice muove invece dal presupposto che non esiste alcuna società. Perciò la situazione sostanziale è completamente diversa. Il problema di fondo è in verità a monte. È ancora e sempre quello della non superabilità del criterio di imputazione formale della responsabilità per debiti di impresa. Ma finquando si penserà il contrario, continueranno a vivere nelle aule dei tribunali società apparenti e presunte società occulte, e con esse continueranno i ricatti economici che in loro nome talvolta vengono architettati. Chi ha avuto «contatti sospetti» con un imprenditore fallito e vede pendere sul suo capo la minaccia del fallimento personale, è pronto - soprattutto se si tratta di un familiare - a cedere a proposte di «composizione amichevole» con i creditori, pur di evitare il fallimento....


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