Sociologia Generale 17-11-2020 PDF

Title Sociologia Generale 17-11-2020
Author Federica S.
Course Sociologia Generale
Institution Università degli Studi di Cagliari
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Appunti di Sociologia Generale....


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Sociologia Generale – lezione del 17/11/2020

Le disuguaglianze sociali. Per dare una definizione generale di “disuguaglianze sociali”, si può dire che si tratta di una stratificazione sociale come accesso differenziale alle risorse (economiche, culturali, di potere) in base alle posizioni che un soggetto ricopre nella gerarchia sociale. In questa definizione non sono presenti alcuni elementi importanti: anzitutto, le risorse che sono alla base di queste disuguaglianze non sono solo economiche, ma anche culturali e politiche. C’è una relazione e una connessione tra questi aspetti, che non sono del tutto indipendenti l’uno dall’altro. Non c’è un aspetto di causazione diretta, nessuna di queste dipende direttamente da un’altra. Sono interconnesse tra loro e insieme compongono il capitale su cui si basa la stratificazione sociale. Queste risorse non sono disponibili a tutti allo stesso modo. La loro distribuzione e le differenze di accesso ad esse porta alla gerarchia; non è solo una differenza normale ma che determina la posizione sociale in cui l’averne una specifica ti pone in vantaggio o svantaggio rispetto agli altri. Uno strumento sociologico ed analitico utile per parlare delle disuguaglianze sociali è il concetto di “ classe”, che dipende dalla posizione che i soggetti possiedono riguardante la posizione che si ricopre rispetto all’organizzazione del lavoro e nella disposizione dei mezzi di produzione o possesso di questi. Ci sono diverse configurazioni e diversi posizionamenti in una struttura organizzativa del lavoro e di produzione del lavoro sempre più complessa. Ogni posizione porta con sé delle identità e autorappresentazioni oltre a una posizione nella gerarchia sociale. La lettura di classe deriva da un classico della sociologia e del pensiero occidentale, ovvero Karl Marx, che va ripreso per la sua importanza principalmente metodologica: la ricostruzione che fa a livello storico è applicabile ad oggi sino ad un certo punto, in quanto le riconfigurazioni di quel rapporto capitale-lavoro che introduce evolvono e cambiano. È comunque importante dal punto di vista metodologico perché ancora oggi vale il fatto di leggere le disuguaglianze sociali a partire dal rapporto coi mezzi di produzione e questo permette di avere una lettura sociologica di esse che supera l’aspetto normativo, giuridico e culturale della questione. I mezzi di produzione sono quegli strumenti con cui viene prodotto il valore economico, e non solo, attraverso il lavoro. Chiedersi qual è la propria posizione rispetto a questi continua a diventare utile a capire quali sono le disuguaglianze e che passano largamente nella questione lavoro. Bisogna applicare uno sguardo intersezionale: la lettura di classe è utile e fondamentale in quanto il discorso sulla gerarchia sociale sarebbe mancante, ma la classe non basta a spiegare le diverse disuguaglianze (genere, razza, abilità, etc). Le classi sociali non hanno un carattere “fisso” (non sono come il censo o altre organizzazioni di stratificazione sociale che rimangono fisse e non possono essere mutate) ma tendono a riprodursi più che a cambiare. C’è la possibilità sia individuale che collettiva di partire da un punto per poi salire o scendere; è più facile che questi movimenti vengano fatti col decadimento di una classe, piuttosto che ascesa e cambiamento personale che è meno frequente. Le istituzioni in questo hanno un forte ruolo nel mantenimento delle disuguaglianze sociali: un classico esempio sono le traiettorie scolastiche, sin dall’orientamento nelle scuole medie. Da un lato abbiamo un’organizzazione scolastica che già divide tra licei e istituti tecnici-professionali, in cui c’è un chiaro indirizzo su quali classi un soggetto è indirizzato, in cui la scelta della scuola viene fortemente orientata anche dai famigliari e una serie di elementi strutturali di posizionamento del soggetto in cui l’orientamento segue non solo un percorso di libera volontà ma riproduce una questione di classe. Inoltre è un quadro scolastico in cui mancano risorse tali per cui il soggetto può andare a colmare delle lacune sociali, ambientali di accesso a cultura e una serie di cose che gli permetterebbero il miglior accesso al diritto allo studio possibile. Le stesse istituzioni, come la scuola e in parte l’università (che però è già il prodotto di ampie selezioni avvenute gli anni prima), che dovrebbero portare ai mezzi di auto-realizzazione personale, diventa elemento di riproduzione delle disuguaglianze in cui il soggetto si ritrova inserito in termini di classe. Inoltre queste disuguaglianze vengono incorporate: diventano parte del soggetto e anche aspetti personali come il gusto, le propensioni, modi di parlare, di vestire, stile di vita in realtà sono vincolate e passano attraverso l’accesso alle risorse economiche e culturali e vengono riprodotte nella vita quotidiana e

nelle interazioni tali per cui diventa anche in un certo modo visibile capire l’interazione quotidiana a quale appartenenza di classe ha un determinato soggetto e che posizione sociale esso ricopre. — Andy Capp: Questo porta al tema della soggettivazione, ossia al fatto che la classe diventa un elemento testo dell’oggetto. Il personaggio di Andy Capp rappresenta lo stereotipo e il simbolo della working class inglese. Questo personaggio viene rappresentato così come le classi agiate (quella borghese inglese) vedeva i lavoratori delle fabbriche e dei sobborghi popolari. È un tipo incapace di lavorare, che vive di sussidi, alle spalle del Welfare State, tendenzialmente maschilista, manesco, spesso ubriaco, etc. Questo perché la classe diventa una lettura del soggetto stesso in cui ci sono delle forme simboliche di caratterizzazione ed inclusione che a volte diventa autoesclusione. Un importante studioso italiano, Valerio Marchi, parla di sindrome di Andy Capp. Sarebbe la malattia delle classi agiate che rappresenta e crea un panico rispetto alle classi popolari, viste come incivili, rozze, portate a togliergli quegli elementi della loro agiatezza e della loro quotidianità. Questo aspetto da un lato crea un panico morale, strumentalizzato anche politicamente, e dall’altro un’incorporazione di questi elementi in cui, per esempio, lo stile rude e modi di fare spicci diventano anche una forma di auto-identificazione per chi si ritrova in una posizione di lasse popolare. Questo comporta a rafforzare la propria categorizzazione e a porre ancora di più il soggetto al margine.

Le disuguaglianze urbane. Collegare le città alle disuguaglianze è importante perché la città è da sempre sorta intorno a criteri di accentramento di persone, possibilità d’incontro e relazione, di economie e lavoro, conoscenze e potere. Un importante autore, Piroddi, afferma che “la città è cultura, potere e politica divenuta pietra”. Questo aspetto permette di connettere le disuguaglianze sociali ed urbane perché individua un elemento: non è la disuguaglianza che trova espressione nella città, ma è la città stessa che viene definita all’interno delle dinamiche di potere e delle relazioni gerarchiche della società. Questo implica che la società non è mai uno spazio socialmente neutro. La città è attraversata dalle disuguaglianze, che hanno connotazioni specifiche che caratterizzano la città: le politiche dell’abitare ne sono esempio (l’avere una casa, poter avere determinate utenze di servizi essenziali e il riconoscimento che l’accesso all’acqua/elettricità/connessione internet/etc siano diseguali all’interno della città costituisce aspetti di disuguaglianze sociali); il welfare urbano, avere mobilità (alcune zone sono collegatissime e raggiungibili e altre isolate o raggiunte solo in alcuni modi); la qualità degli spazi pubblici (il quartiere, il paese, il poter stare in strada…). Questi elementi non sono uguali per tutti. Il modo in cui si connettono le disuguaglianze sociali ed urbane è rilevante nel capire come la città le riproduce. C’è un legame stretto tra disuguaglianze di classe e quella urbana, in quanto le classi agiate normalmente vivono in zone della città in cui le situazioni delle case e di tutte le utenze è migliore che in altre zone, c’è una buona mobilità, ci sono spazi pubblici vivibili. Mentre le classi popolari si trovano in situazioni difficili in cui tutti questi elementi vengono a mancare o sono parziali. Al tempo stesso questa relazione non è diretta, e le disuguaglianze urbane permettono di leggere intersezioni che complessificano la classe. — Periferie: Normalmente le disuguaglianze urbane vengono lette attraverso un asse di distinzione classico (nelle città europee; questo perché negli USA lo sviluppo è al contrario dove le classi agiate scappano dal centro e vanno verso le periferie) che è quello fra centro e periferia, in cui il centro rappresenterebbe la situazione agiata e la periferia diventa il luogo della disuguaglianza. Sia il centro che le periferie stanno avendo delle trasformazioni tali per cui le disuguaglianze urbane non si riducono a questo moralismo. Da un lato i centri stanno avendo dei processi di trasformazione per cui non sembrano essere più il luogo della borghesia: svuotamento della popolazione residente (es. Venezia negli anni ‘60 e le due parti in cui si divide la città – parte lagunare e terraferma – erano pari come popolazione. Col

passare del tempo la terra ferma è cresciuta di abitanti mentre quella lagunare è scesa. Questo cambia il rapporto nelle disuguaglianze e nel rapporto della città: da un lato perché quei pochi residenti rimasti si ritrovano una fortuna e un capitale nell’abitare a Venezia e non nella terra ferma. Dall’altro, uno svuotamento della popolazione significa che nella terra ferma si stanno creando situazioni di composizione diversa all’interno di quella considerata come periferia); causa di questo è il fatto che il centro non è più a disposizione della popolazione urbana ma pensati e a disposizione intorno alla figura dei turisti e dei consumatori per poi spostarsi - su questo ha un ruolo chiave le piattaforme (es. AirBnB); foodificatori, la bolla economica che gira intorno alla ristorazione. Si ha poi la diversificazione delle periferie: nascono come quartieri di dormitorio per i lavoratori, al trarre dell’organizzazione della grande fabbrica al periodo ottocentesco nella città. In un secondo passaggio nascono come quartieri di dormitorio nell’immediato dopoguerra. In seguito questo va a cambiare con tentativi di piani di funzionalità, il grande progetto brutalista. I quartieri come il Corviale a Roma, Scampia a Napoli, etc sono quartieri che in un certo senso rappresentano la periferia e volevano essere funzionali e con una serie di servizi, che spesso non sono mari arrivati e sono rimaste solo dimensioni abitative in serie. Ora le periferie sono anche molto altro: ci sono progetti di qualificazione in cui spesso però diventano un imborghesimento della periferia e con meccanismi di espulsione delle famiglie che ci vivono per rendere più appetibile al mercato immobiliare una determinata zona. Esistono le “gate communities”, un caso interessante dei quartieri completamente chiusi e autosufficienti posti in periferia al cui interno c’è tutto e fatto in modo per cui l’abitante di quel quartiere, di classe molto alta, possa non uscire da lì. Sono comunità chiuse ed è forse un modello diffuso negli USA. In Italia l’esempio più forte è Milano 2, quel quartiere di Milano costruito prima da Mediolanum con un tentativo di autosufficienza e diventa una periferia fortemente agiata; quell’aspetto non è più leggibile con la chiave del centro/periferia.

Abitare informale. Un esempio importante per capire qual è la questione delle disuguaglianze è quella di abitare informale. Ci sono forme dell’abitare che producono e riproducono le disuguaglianze sociali e la questione di dove e come si abita è una presa di forma di queste disuguaglianze urbane. Per abitare formale si intendono una serie di aspetti diversi che vanno dalla morosità (avere dei ritardi nel pagamento di un debito); occupazioni abitative (prendere una casa sfitta e illegalmente andarci ad abitare perché non si ha accesso e risorse altrimenti); campi; configurazioni spaziali specifiche (es. slum) e che superano gli stereotipi. Lo slum arriva anche in Europa e nei paesi ampiamente sviluppati, e soprattutto spesso con configurazioni molto simili a quello che si ha in mente di uno stereotipo altrove. Ciò che veniva considerata come una questione marginale, e che il progresso economico avrebbe sostituito, è diventata anche attraverso le varie crisi economiche degli ultimi vent’anni elemento strutturale dello sviluppo urbano.

Città e metropoli. Si parla di “Peripherie ist überall”, un mondo completamente urbanizzato. Ciò vuol dire non che tutte le forme di insediamento rispondono alla forma della città, ma che tutti i processi urbani non si limitano al confine della città stessa ma si articolano su territori, sociali e spaziali, molto più ampi. A livello spaziale con quella che viene chiamata “città diffusa”, che si sviluppa spesso al di fuori della città e anche per molti chilometri all’interno dell'hinterland e molto spesso in maniera non programmata perché attraversa territori comunali differenti, con una caratteristica di consumo di suolo molto alta, e quindi di bassa sostenibilità, bassa densità abitativa e scarso accesso a quelle risorse che compongo le disuguaglianze urbane. A livello sociale la metropoli, oltre ad essere uno spazio concreto è anche il fatto che la città è un punto all’interno di una rete di connessione tra territori, risorse, logistica, mobilità ed è attraversata da influssi economici organizzativi. Quando si parla di urbanizzazione non si intende solo la città in espansione, ma anche che lo spazio non urbano, ampiamente fuori dalle città, è attraversato da quelle logiche organizzative che la città stessa si dà. L’esempio più immediato e contraddittorio è sul mondo agricolo: è la cosa più lontana dall’economia urbana, mentre il bracciantato contemporaneo è del tutto diverso da quello classico

perché è diventato metropolitano, essendo attraversato non più dai vecchi di criteri di lavorazione della terra ma da processi finanziari che ci sono sulle terre, dalle politiche del cibo e della loro distribuzione se la città ha imposto il suo sviluppo sotto la foodification e a quel punto l’accesso alla materia prima diventa fondamentale per lo sviluppo urbano. Diventa parte di un discorso di politiche migratorie e della cittadinanza, ricopre questioni abitative, di reddito, etc. Nei campi di qualunque territorio lontano dalle città, la chiave di lettura è metropolitana perché non esiste più la distinzione tra la città come istituzione e territorio definito e un altro al di fuori di quest’altro è in rapporto di subalternità rispetto alle dinamiche urbane.

Metropoli e conflitto. È importante evidenziare come la comprensione delle disuguaglianze sociali. La città è simbolo di queste disuguaglianze nel momento in cui diventa il nodo di quei flussi economici, disuguaglianze sociali e organizzazione del lavoro, di conseguenza le politiche che lo organizzano, all’interno di un processo di territorializzazione. Questo in risposta a un ultimo cambiamento sociale: il passaggio dalla fabbrica alla metropoli, in cui l’organizzazione 8-9centesca del lavoro era sviluppata tutt’intorno alla fabbrica. Ciò voleva dire che c’era anche una divisione urbana degli spazi della produzione economica rispetto a quelli della vita. Una persona andava in fabbrica e tornava poi a casa sua. La presa di forza dell’economia immateriale, quindi anche dell’economia di piattaforma/comunicazione/messa a valore della comunicazione e quindi del fatto che sia una costruzione di valore intorno a quanto viene fatto nel tempo libero, questo fa sì che sia la metropoli stessa il luogo stesso della stratificazione sociale. Al tempo stesso, così come prima le forme di conflitto avvenivano intorno ai luoghi di lavoro, ora con il passaggio da fabbrica a metropoli è quest’ultima che diventa spazio del conflitto, ripensamento e della reinvenzione dei sistemi economici e sociali.

Pratiche urbane. Un importante studioso della città definisce le caratteristiche fondamentali della città da leggere nelle loro relazioni a livello di strada come in continuo cambiamento. Questi aspetti di diversificazione, incompletezza, spazio di improvvisazione aprono a possibilità di leggere come soggetti e le persone possono all’interno della città creare degli spazi propri. La città diventa spesso, anche nel senso comune, il luogo anche di fuga rispetto a determinate restrizioni, tanto che si parla di provincialismo. Le persone in città possono sentirsi più libere di comportarsi in base a quello che sentono di essere; sentirsi meno giudicate rispetto a spazi provinciali. Questa possibilità di agency va letta all’interno dell’idea che la città è un progetto aperto in cui ci sono l’agire delle persone, con quell’ottica dell’interazione nella costruzione di un ordine sociale e nel suo cambiamento e rottura, fa sì che la città stessa possa essere cambiata dall’insieme di queste relazioni quotidiane all’interno di pratiche di rapporto di vicinati/di quartiere/etc. La città è diventata punto di espressione delle forme più organizzate politiche. Diritto alla città: è un termine introdotto da Lefebvre, ripreso da Harvey ed è incluso in libri che trattano l’argomento recentemente. Si evidenzia come la città diventa spazio politico stesso e in cui vengono a intersecarsi i diritti urbani (abitare, spazi pubblici, vivibilità della città, etc), le forme di conflitto e quindi di cambiamento rispetto al reale, e le forme di sperimentazione (la città è anche aperto al fatto di avere dei terreni non solo di conflitto e contrapposizione ma anche forme di sperimentazione di altri modi di vivere le relazioni o di fare un quartiere, una società).

Comunicare la città. La città non è semplicemente un qualcosa di concreto ma è anche un racconto, istituzionale, storicamente situato. È un racconto nella sua stessa forma perché ciò che tiene insieme il fatto che situazioni molto diverse vengano rappresentate dalla società e ci sia un senso di unità all’interno della città, nonostante quelli che possono essere le differenze sociali tra, ad esempio, Villanova o Santa Teresa, e anche le discontinuità spaziali e il fatto che noi continuiamo a vedere tutto questo

come parte della città. La comunicazione nella città è parte attività dell’economia immateriale e si può far riferimento al concetto di branding urbano: esistono diverse forme di branding di città o di quartieri e che diventa un’opera comunicativa nel costruire identità, immagini e rappresentazioni con diversi scopi di una città/di una sua parte. In particolare, questo aspetto di branding urbano è fortemente legato, prima agli inizi del ‘900 e soprattutto dal secondo dopoguerra, con la nascita del turismo come lo si conosce oggi. Esistono diversi modi per costruire questo racconto della città attraverso un brand, alcuni più consolidati, altri emergenti, altri che stanno anche nell’immaginario globale e non solo cittadino: si pensa ad esempio a Venezia come città romantica e questo non riguarda solo i veneziani, ma è uno status riconosciuto globalmente e i flussi turistici della città lo dimostrano; Berlino diventata, dopo la caduta del muro e il conseguente reinventarsi, dagli inizi degli anni ‘90 la città dei club, della techno, della vita notturna, ed è un fascino che ricopre a livello globale. Spesso il branding passa anche attraverso la costruzione di un brand commerciale, ad esempio “I love New York”. Alcuni di questi casi sono ben consolidati e altri sono tentativi, che agiscono attraverso forme culturali specifiche. Un esempio di branding classico è la riproposizione nei quartieri popolari più degradati della street art, in cui la prima cosa che viene fatta da un’istituzione che cerca di dare al quartiere in questione un’altra immagine è quella di richiamare l’artista di grido che faccia la parete sua sul palazzo più brutto e cambiandone l’estetica, ridando un’altra immagine al quartiere. La questione di comunicare la città diventa una lettura delle disuguaglianze urbane e spassa attraverso il “chi racconta cosa”. Da un lato non tutti i racconti della città sono fatti dall’alto, e anzi a volte i raccont...


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