Tamisari - Riassunto La danza dello squalo PDF

Title Tamisari - Riassunto La danza dello squalo
Course Antropologia Culturale, Introduzione
Institution Università Ca' Foscari Venezia
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Antropologia culturale...


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Indice

Prefazione La responsabilità della performance

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1. Introduzione: la saggezza del dreamtime e la visione dei tempi moderni

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1.1 Il grande silenzio australiano 1.2 La politica coloniale australiana 1.2.1 Il periodo di segregazione 1.2.2 La politica dell’assimilazione 1.2.3 La politica dell’auto-determinazione 1.2.4 La politica della riconciliazione e il riconoscimento del titolo nativo 1.2.5 La politica dell’intervento 1.3 Storia locale: la missione metodista e le politiche governative 1.3.1 Le politiche governative nella Terra di Arnhem Nordorientale 1.4 La comunità di Milingimbi 1.4.1 Le lingue principali 1.4.2 Popolazione e gruppi residenziali 1.5 Cercare la via per un’educazione yolngu 1.6 Come imparare la “legge yolngu” 1.7 “Entrare” nella legge yolngu: gli studi etnografici 1.8 Visione e conoscenza

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1.9 La ricerca sul campo 1.10 I capitoli

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2. La realtà personale dell’incontro antropologico

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2.1 Una nuova antropologia? 77 2.2 Dalla filosofia all’antropologia attraverso una sala da tè 82 2.2.1 Difendere la mia decisione: un’etnografia della danza 86 2.3 Diventare parenti 89 2.3.1 La straniera “che arriva oggi e rimane domani” 91 2.4 Arrivo e partenza dal campo: incontrare e incontrarsi 98 2.5 Una nostalgia del personale? 100 2.6 “Sto nelle ceneri del focolare” 104 111

3. Il corpo e il mondo 3.1 Corpo, territorio e parentela 3.1.1 Lo spazio e il tempo del corpo 3.1.2 Il corpo come mappa di parentela 3.1.3 Il corpo e il paesaggio 3.2 Corpi, luoghi e nomi 3.3 I segni di concepimento e di morte 3.3.1 Segni premonitori di morte 3.4 Il corpo e l’immagine dell’anima 3.4.1 L’anima-carne 3.4.2 L’anima-ossa 3.5. Scarificare il corpo 3.6. I disegni sul corpo 3.7. Il corpo delle canzoni, degli oggetti e degli animali 3.8. Visione e conoscenza 3.8.1 Non vedere come ignoranza, invisibilità e segretezza 3.8.2 Conoscenza e genere 3.8.3 La creatività della conoscenza segreta: gli oggetti sacri

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4. Nomi e l’atto di nominare

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4.1 Nomi: “stemmi poetici” 4.2 Nominare luoghi e localizzare nomi 4.3 Nome come evento

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4.4 L’atto di guykthun: spruzzare nomi 4.5 Una persona molti nomi 4.5.1 Nomi di gruppo o collettivi 4.6 “I nomi-ossa”: i “nomi gomito” e i “nomi ginocchio” 4.7 I prenomi 4.7.1 Da dove viene il tuo nome? 4.7.2 Nomi che derivano dall’evento di concepimento 4.8 Conferire nomi 4.9 Nomi e conoscenza 4.10 Evitare i nomi 4.11 La terminologia di parentela 4.11.1 I nomi pelle: le sottosezioni 4.12 Altri nomi propri 4.13 Nomi e orme

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5. Immagini di connessione e di identità

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5.1 5.2 5.3 5.4 5.5

Organizzazione sociale e identità di gruppo La definizione ambigua di gruppo Metà come nido La nozione di rinngitj La connessione attraverso il movimento ancestrale 5.5.1 Barramundi e altre storie 5.6 La dimensione temporale del movimento e la dimensione spaziale della lingua 5.6.1 Localizzazione dei nomi 5.7 Tracciare connessioni inesauribili

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6. La morte dello squalo

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6.1 La storia dello squalo 6.1.1 L’aggregato djambarrpuyngu 6.2 “È uno solo ma ha molti nomi” 6.2.1 Rita spiega il testo della canzone 6.3 Commenti e analisi 6.4 Il corpo dell’essere ancestrale e l’identità

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7. La legge dei morti

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7.1 7.2 7.3 7.4 7.5 7.6 7.7 7.8

Uscire dall’essere Prepararsi a morire L’annuncio Il corpo Proibizioni e tabu Il corpo del deceduto e il corpo dell’essere ancestrale Il trasporto e l’arrivo del corpo Il riparo 7.8.1 La costruzione del riparo 7.9 La sepoltura del corpo 7.9.1 La funzione in chiesa e la sepoltura cristiana 7.10 Il rito di purificazione e la scultura di sabbia 7.11 Temi e immagini della cerimonia funebre

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8. La legge delle canzoni

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8.1 Il “corpo” delle canzoni: terminologia e tipologie 8.2 Tracciare connessioni 8.2.1 “È una grade strada anche se canto sottovoce. Seguo la legge” 8.3 Lungo la via delle canzoni 8.3.1 La canzone djambarrpuyngu lungo la costa delle Wessel Islands 8.4 Immagini in movimento: connessioni e sentimento 8.5 Sentire la legge 8.6 Il lamento delle donne 8.7 Nuove canzoni: innovazione e creatività individuale 8.8 Festival musicali: condividere la cultura con i balanda 8.8.1 Dagli inizi al Gattjirrk Cultural Festival di Milingimbi 8.8.2 “Condividere la cultura” 8.8.3 L’organizzazione del Festival 8.8.4 I discorsi di apertura: la diversità nell’unità 8.8.5 Il logo del Festival: “Segui le orme che portano alle ceneri del focolare”

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9. Danza e intercorporalità

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9.1 La danza negli studi indigeni australiani 9.2 Danzare con gli altri e per gli altri 9.3 La danza come legge 9.3.1 L’incorporazione del potere ancestrale 9.3.2 La politica della danza 9.4 Danza come conoscenza, lavoro, gioco e amore 9.5 Rappresentazione e categorie di movimento 9.6 Uomini e donne: “grandi” e “piccole” danze 9.7 Lo spazio della danza 9.7.1 Lo spazio del corpo: celare e fondere identità 9.8 La maledizione dei complimenti 9.9 La danza e la divisione del lavoro emotivo 9.9.1 Gli uomini “bruciano dentro di rabbia” 9.9.2 Il lamento delle donne: “correre con i pensieri” 9.10 Esporre il sé: attenzione e sentimento 9.11 La danza in contesti cross culturali 9.11.1 La “danza azione”: una forma liturgica 9.11.2 La danza comica e hip-hop 9.12 Una tattica di remix culturale: “Zorba il greco in stile yolngu” 9.13 Essere con gli altri

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10. Conclusione: il corpo, la visione e il movimento

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10.1 L’immagine dell’orma 10.2 Il totemismo come “buono da sentire” 10.3 La visione del tempo moderno 10.3.1 La riunione presso la chiesa

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Illustrazioni

447

Riferimenti bibliografici

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Indice delle illustrazioni

483

Ringraziamenti

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Prefazione

La responsabilità della performance

Verso la fine della mia prima ricerca sul campo tra la gente yolngu della comunità di Milingimbi nella Terra di Arnhem Nordorientale, Territorio del Nord, dal 1990 al 1992, fui chiamata da mio zio materno adottivo e leader del gruppo Liwagawumirr, Charles Manydjari che, sin dal mio arrivo, aveva ricoperto il ruolo di mio insegnate e mentore. Come sempre, mi invitò a sedere sul lenzuolo steso a terra e a bere un po’ di tè con lui. Tuttavia, in questa occasione, la nostra conversazione si concentrò sulla lettera appena ricevuta dall’Inghilterra, con cui il mio primo marito mi comunicava la fine del nostro matrimonio durato dieci anni. Inoltre mi chiese notizie sulla mia prossima partenza da Milingimbi per ritornare definitivamente a Londra. Come al solito, le sue parole di incoraggiamento e i suoi suggerimenti furono saggi e aiutarono a calmare il mio stato emotivo. Alla fine del nostro incontro Charles tirò fuori un pezzo di spago e, cingendomi la testa, ne misurò la circonferenza. Non domandai la ragione di questa richiesta molto inusuale poiché, come mi aveva insegnato, non era appropriato chiedere spiegazioni al proprio zio materno (MB, ngapipi)1. I giovani devono ascoltare e ricordare, guardare e ripetere quello che fanno gli anziani, anche se non ne capiscono il motivo o il significato.

1 Nel testo si usano le abbreviazioni inglesi per tutti i termini di parentela: M: Mother; F: Father; D: Daughter; S: Son; C: Children; Z: Sister; B: Brother; MM: Mother’s mother; FF: Father’s father; W: Wife; H: Husband.

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Alcuni giorni dopo, in prossimità della mia partenza per Londra, Charles mi convocò di nuovo, questa volta, però, non a casa sua, ma in un altro accampamento occupato da alcuni parenti. Era tardo pomeriggio, alla fine della stagione secca, quando il fresco della sera porta un po’ di refrigerio dal caldo e tutti cominciano a muoversi più agevolmente. Una piccola folla si era radunata a poca distanza dalla zona principale dell’accampamento, sotto i rami di un tamarindo monumentale che dà il nome a questa area (Djambangur, letteralmente “presso l’albero di tamarindo”). Charles mi fece sedere vicino a sé, davanti a una zona ricoperta di sabbia. Di fronte a noi, a pochi metri di distanza, sette giovani uomini erano schierati in modo da delimitare un piccolo spazio. Nessuno era dipinto con i disegni del proprio clan, ma ognuno indossava i vestiti di tutti i giorni: pantaloncini corti e canottiera. Nonostante l’atmosfera rilassata, era chiaro che avevano preparato qualcosa per me. Mi stavano aspettando e, sin dall’inizio, mi resi conto che ero io l’ospite d’onore dell’evento che stava per cominciare. Il mio ruolo era quello di presenziare e di ricevere, di aspettare e accettare. Charles cominciò a suonare e a cantare battendo le bacchette e il gruppo di giovani, principalmente i miei figli adottivi (S, waku) e i miei mariti (H, dhuway) del gruppo djambarrpuyngu, sotto la guida di un altro parente cominciarono a eseguire la danza di Squalo, avvicinandosi e allontanandosi da noi seduti per terra. Squalo è l’essere ancestrale principale del clan djambarrpuyngu, il gruppo dei miei figli adottivi e il gruppo dei nipoti materni di Charles (ZDC, gutharra). La storia raccontata nella canzone e nella danza (capitolo 6) descrive, in ogni dettaglio, la sua agonia e la sua frustrazione dopo essere stato trafitto e ucciso da un altro essere ancestrale. Ho riconosciuto la canzone sin dalle prime note della musica e dalla postura che i danzatori hanno assunto prima di avanzare: con il corpo rigido, le gambe flesse e le braccia tese dietro il torso, i palmi delle mani verso terra, i danzatori hanno cominciato ad avanzare girando la testa di scatto da una parte all’altra, mentre gli occhi si bloccavano in uno sguardo fisso e minaccioso. I piedi trascinati nella sabbia lasciavano delle tracce curvilinee e intermittenti, riproducendo il caratteristico movimento ondulatorio di questo pesce. Con la tensione del corpo, lo scatto della testa e lo sguardo fisso, i danzatori catturavano la rabbia e la frustrazione dell’essere ancestrale Squalo contro il suo assassino, mentre giaceva immobile prima di morire. Questo evento fu molto

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contenuto per la sua brevità, poco più di una decina di minuti, e per il piccolo numero di persone coinvolte. Tuttavia la danza fu solenne, creando quella potente atmosfera e intensità propria delle fasi più importanti di ogni cerimonia che richiede un’attenzione totale. Come per tutte le cerimonie, l’elemento cruciale non erano i passi, ma la tensione dei movimenti, la contrazione dei muscoli, l’immobilità e l’intensità della postura. Inoltre, il significato e l’efficacia di questa danza non era solo nel “cosa” veniva rappresentato: cioè le emozioni che la morte di Squalo evocava in tutti i partecipanti. L’intensità con cui la canzone e la danza vennero eseguite esigevano un’attenzione totale da parte di tutti coloro che erano coinvolti. Fui scossa, commossa e sopraffatta dalla danza poiché potevo capire che ero proprio io al centro dell’esecuzione di quella performance. Stavo già piangendo, quando uno dei danzatori che stava eseguendo i movimenti di Squalo si avvicinò e, sull’ultima battuta della canzone, mi cinse la testa con una corona dalle piume arancio brillante. Come Squalo colpito e morente, che il testo della canzone e gli intensi movimenti della danza descrivevano triste ma rabbioso, mi sentivo abbandonata e furiosa per la perdita di mio marito e triste per dover presto partire, lasciando la mia famiglia adottiva con la quale avevo vissuto durante i due anni di permanenza a Milingimbi. Tuttavia, il mio pianto era fuori luogo e con un secco “adesso basta” (bilin) Charles mi richiamò al mio ruolo che in questa, come in tutte le altre cerimonie, deve essere rispettato. Cominciò poi a spiegarmi il significato dell’oggetto sacro che mi aveva appena regalato. L’interno della corona, composto da uno spesso cordone di capelli infeltriti provenienti dai parenti deceduti della sua linea di discendenza patrilineare, era ricoperto da uno strato di cera d’api in cui erano fissate le piume arancioni del loricheto arcobaleno (red-collared lorikeet, trichoglossus rubritorquis). La corona, appartenente al gruppo di Charles e conosciuta con il termine di “nido” (yalu), è uno dei tanti oggetti sacri che adornavano i corpi delle sorelle Djang’kawu. Emersi dal mare a est di Arnhem Land e diretti verso ovest lungo la costa, questi esseri ancestrali furono i primi a plasmare e nominare ogni forma del paesaggio all’inizio del tempo e dello spazio.

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Charles concluse la sua spiegazione con le seguenti parole: Questo nido è tua madre, è privato, è per te da portare via. Te lo do da portare a Londra dove tu non devi dimenticare che puoi sempre indossare il tuo ‘cappello yolngu’. Tuttavia devi solo indossarlo in occasioni importanti.

Nella letteratura antropologica le storie di “uscita dal campo” dove si svolge la ricerca etnografica non sono così diffuse come quelle di “entrata”. La differenza culturale e il disorientamento dell’etnografo che arriva in una comunità sono senz’altro percepiti, da lui stesso e dal suo pubblico, come più appropriati alla ricerca antropologica. Si tende invece a trascurare le similitudini che, all’inizio della ricerca, ci permettono di rapportarci alle persone che incontriamo (LiPuma 1998:55) e che, alla fine della ricerca, diamo ormai per scontate2. Mentre l’evento che ho raccontato sopra potrebbe sembrare inusuale ed esotico, all’epoca, anche se inaspettato, mi parve per molti versi naturale. La danza in mio onore voleva infatti riconoscere la mia permanenza nella comunità segnando la mia partenza, e forse fu anche una maniera di apprezzare il mio interesse e la mia partecipazione assidua alle cerimonie come danzatrice e come membro del pubblico. Tuttavia, come avevo imparato negli anni che ho vissuto a Milingimbi, questo evento metteva in rilievo le nostre responsabilità reciproche di parenti: era un modo di dire addio che riconosceva e consolidava l’affetto della nostra relazione (Samson 1995:308). La dimensione morale del dono, l’obbligo di dare, ricevere e ricambiare (Mauss 2000b) ci vincolava a una promessa e a un impegno: “il dovere di restituire, di sostenersi e di prendersi cura [l’uno dell’altro]” (Michaels 1994a:140)3.

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“[T]his defence of the otherness of the Others led ethnographers to ignore precisely those conditions of encompassment that made their own enterprise possible. Within the academic field of anthropology, a much more positive political value was placed on an ethnography of difference than on sameness” (LiPuma 1998:55). 3 Il termine inglese “to hold” (stringere, afferrare, abbracciare, custodire, tenere a) utilizzato da Michaels nell’espressione “an obligation to return, to hold and to care è un termine culturalmente denso in molte lingue indigene australiane. Nella lingua yolngu il termine ‘tenere’ (ngayatham) ha anche il significato di ‘tenere a’ poiché si riferisce alla maniera corretta di agire, pensare e sentire nelle relazioni con gli altri e

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Oggi non ho dubbi che questo evento servì a segnare un nuovo inizio e non una fine, non era un addio ma un benvenuto, era un atto di appropriazione e di integrazione. Il dono presentato attraverso la musica e la danza non si limitava a riconoscere il legame che mi univa ai miei parenti adottivi che presto avrei lasciato, ma anche a consolidarlo in maniera indissolubile. Oltre ai significati simbolici e religiosi, la corona unisce i vivi con le generazioni passate dei morti di uno stesso gruppo di residenza (nido), i cui capelli ne incorporano la presenza fisica, mentre la danza visualizza e attiva la connessione con l’essere ancestrale quale antenato eponimo del gruppo dal quale tutti discendono4. Nel legarmi ai morti non potevo più andarmene, poiché i morti non se ne vanno mai5. In quel momento non ero semplicemente l’antropologa bianca (balanda), ma venivo considerata nella mia totalità di persona, la persona che ero diventata attraverso il mio coinvolgimento nelle relazioni quotidiane come “nipote” di Charles (figlia di sua sorella), come “madre” (M, ngandi), “moglie” (W, galey), “sorella” (Z, yapa), “nonna materna e paterna” (MM, ma:ri; FM momo) e in tutte le altre relazioni di parentela con gli altri membri della mia famiglia estesa a Milingimbi. Solo adesso, dopo molti anni da quel giorno, e dopo molti ritorni a Milingimbi, comincio veramente a capire il significato di quel dono consegnato con quella danza in mio onore. Il valore di tale dono non consisteva solamente nel collocarmi nella fitta rete di connessioni ancestrali che, attraverso la performance, articolano il complesso sistema politico yolngu, ma anche e soprattutto nell’invitarmi a iniziare una relazione attenta e rispettosa con Charles, con gli altri membri della mia famiglia adottiva e con tutti i membri dell’intera comunità yolngu della Terra di Arnehm Nordorientale. Seguendo le istruzioni di Charles portai la coroncina di piume con me a Londra, ma invece di tenerla avvolta in un pezzo di stoffa in un

con il territorio per rispettare la Legge stabilita e tramandata dagli esseri ancestrali (si veda paragrafo 1.6; Myers 1986, 1989). 4 La nozione di “nido” (yalu) suggerisce che le persone e i gruppi siano contemporaneamente contenuti in un insieme (metà patrilineare, gruppo residenziale) e relazionati tra loro sia attraverso relazioni di parentela (discendenza patrilineare e matrilineare) sia attraverso le connessioni stabilite dai viaggi degli esseri ancestrali (si veda paragrafo 5.3). 5 Comunicazione personale di John von Sturmer, marzo 2005.

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cassetto, la maniera in cui gli oggetti sacri sono di solito custoditi, l’ho riposta in una bacheca a vetri che da allora è sempre stata appesa nella mia camera da letto. Come mi disse Charles, questo è un oggetto privato che deve essere mostrato solo in occasioni speciali. La prima opportunità di indossarlo si presentò dopo la discussione del mio dottorato di ricerca che avvenne alla London School of Economics nel 1994. Alla fine del colloquio, estrassi la coroncina dalla mia borsa e dopo averla indossata mi misi in posa per essere così immortalata, fiera ed orgogliosa, in mezzo ai miei due esaminatori, Bruce Kapferer e Howard Morphy. Il mio tutor, Alfred Gell, scattò la fotografia. Verso la fine dello stesso anno, insieme a una copia di tutte le registrazioni che avevo fatto sul campo, portai questa fotografia a Milingimbi per farla vedere a tutti. La seconda occasione si presentò nel 1999, quando ricevetti il mio certificato di cittadinanza australiana in una cerimonia presso municipio di Leichhardt, un sobborgo di Sydney, dove vivevo all’epoca. Dopo aver indossato un vestito scuro che facesse risaltare ancora più l’arancione vivace delle piume, misi la corona a casa e la tenni per tutta la durata della cerimonia, fino al momento della fotografia ufficiale, quando ogni nuovo cittadino, con il certificato in mano, è ritratto vicino al sindaco. Devo notare che l’onore e il privilegio che ostentavo nell’indossare questa corona, quale segno della mia cittadinanza yolngu, non trovò alcun riscontro poiché nessuno dei presenti guardò, né fece alcun commento, su questo bell’oggetto fuori dal comune. Come il sorrisetto di scherno di uno dei miei amici australiani presenti, molto probabilmente anche gli altri devono aver considerato questo mio comportamento stravagante, se no...


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