Tesi Sacra Corona Unita PDF

Title Tesi Sacra Corona Unita
Author Michele Carta
Course Sociologia della criminalità organizzata
Institution Università degli Studi di Milano
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Tesi: Storia della Sacra Corona Unita nella regione puglia Indice Capitolo 1: Nascita e sviluppo della "quarta mafia" 1.1 Storia della puglia e origini malavitose 1.2 Influenze mafiose esterne 1.3 Territorio e altre mafie 1.4 Anni 80': crescita e rinnovamento 1.5 Anni 90': una mafia differente 1.6 I maxi-processi e il dilagante fenomeno del pentitismo

Capitolo 2: Ultimi anni e caratteristiche della Sacra corona unita 2.1 Risposta allo Stato: lo stragismo “personale” e la conseguente rottura con la società civile 2.2 La scissione dei Mesagnesi e il declino della Sacra Corona Unita 2.3 Lecce: la fine dell’ultima roccaforte sacrista. Reazione dello Stato: operazioni “Mediana” e “Primavera” 2.4 La mafia è veramente scomparsa o ha solo cambiato aspetto? 2.5 Simbolismo e caratteristiche della “mafia anomala” 2.6 Gerarchie e ruoli

Capitolo 3: Rapporto e confronto con altre mafie 3.1 Analisi del modello mafioso 3.2 Confronto con la mafia calabrese: l’Ndrangheta

3.3 Confronto fra le due mafie “anomale”: Sacra Corona Unita e Camorra 3.4 Confronto con Cosa Nostra: la mafia siciliana

Introduzione Questa tesi tratta di un argomento che spesso è stato sottovalutato e poco considerato: la storia della Sacra Corona Unita e il suo presente, per poi capire le differenze fra questa “mafia anomala” e le mafie tradizionali. La mafia salentina è stata spesso messa in secondo piano rispetto alle altre cosche e a volte non è stata neanche riconosciuta come tale, perché diversa da quelle tradizionali sotto molti aspetti. Non per questo, però, possiamo considerarla meno pericolosa. Nel primo capitolo verrà analizzato il contesto pugliese a partire dal 1800, condizione indispensabile per capire l’ambiente in cui si è sviluppata. Altrettanto importante è considerare attentamente le influenze che le altre

associazioni mafiose hanno avuto sulla “quarta mafia”. In seguito, è descritta la storia vera e propria della SCU, a partire dal 1983, anno in cui è nata ufficialmente, e modalità e tempi in cui si è sviluppata. Nel medesimo capitolo sono trattate le prime risposte dello Stato e della società civile al fenomeno mafioso, sempre più dilagante, e i conseguenti maxi-processi. Nel secondo capitolo mi sono soffermato sugli ultimi anni della mafia salentina, sulla fase dello “Stragismo personale”, sul fenomeno del pentitismo e le sue conseguenze. Inoltre, è analizzata la risposta dello Stato che ha portato ad un cambio di assetto talmente forte della nuova mafia che si è creduto fosse scomparsa. In realtà da recenti analisi è evidente di come essa si sia solo trasformata in modo drastico, diventando “quasi” invisibile se non prestando attenzione ad alcuni importanti dettagli. L’ultima parte del capitolo è dedicata alle peculiarità di questa “mafia anomala”, dai suoi complessi riti alla sua incompleta struttura gerarchica, caratteristica che contraddistingue questa cosca. Il terzo e ultimo capitolo si concentra sulle differenze fra le varie mafie partendo da un’analisi generale del modello mafioso, esaminando le proprietà necessarie per definire un‘associazione mafiosa. I paragrafi successivi analizzano nel concreto le tre mafie “tradizionali”: Ndrangheta, Camorra e “Cosa Nostra” esponendo sinteticamente la loro storia e analizzando le differenze o le somiglianze con la Sacra Corona Unita.

Capitolo 1 •

Storia della Puglia e origini malavitose

La nascita ufficiale della Sacra Corona Unita avvenne nel 1983 in un carcere di Bari, fondata da Pino Rogoli e altri detenuti. Questa nascita non fu frutto del caso, ma dovuta a una serie di fenomeni e caratteristiche che erano presenti in puglia da più di un secolo. Per capire meglio la nascita della Sacra Corona Unita è necessario analizzare la storia della Puglia degli ultimi due secoli, partendo dall’unione dell’Italia che portò nel meridione un diffuso malessere sociale. In questa regione e in particolare nel Salento, la situazione era anche più particolare. Qui la caduta dello Stato borbonico condusse verso una situazione caotica dove bande di insorti di bassa estrazione sociale, soprattutto nella

zona di Otranto, saccheggiavano e depredavano vaste zone, generando spesso scontri con il neo-esercito italiano. La crisi agricola del 1887, dovuta al nuovo indirizzo economico protezionistico del neo-Stato, e la conseguente guerra doganale con la Francia, causarono il crollo del mercato vinicolo pugliese che era la base dell’economia regionale. Questo provocò il fallimento di numerosi istituti bancari che avevano concesso molti crediti alle aziende del territorio: la regione era al collasso. La situazione drammatica portò lo Stato a intervenire direttamente, con finanziamenti e sovvenzioni nelle attività finanziarie del secondo e del terzo settore. Bari emerse come polo economico e politico della Puglia al contrario della zona di Otranto in cui vi fu un progressivo sfaldamento. Sia negli anni post-unitari che nei successivi vi sono motivi che fanno sospettare la presenza di consorterie criminali di stampo mafioso. Vi sono infatti numerose fonti anche negli ultimi anni del secolo: ad esempio un processo a Taranto nel 1893 in cui più di cento persone sono imputate come "Larga associazione di malfattori". Fonti simili a questa sono presenti in tutte le città più importanti della Puglia. Le conseguenze della crisi di fine secolo furono più evidenti negli strati sociali più poveri, i contadini, che assistono inermi alla proletarizzazione forzata e a una crescente miseria, costretti a migrare verso le città. Il caotico rinnovamento statale e privato sarà stabile finché reggerà l’economia italiana: con la crisi del 1907 e poi con la Prima Guerra Mondiale (1914-1918) gli equilibri crolleranno con conseguenti proteste sociali che scatenarono una nuova ondata del fenomeno del banditismo. La guerra e l’elezione a suffragio universale del 1913 contribuirono fortemente alla maturazione politico della borghesia e delle masse di contadine pugliesi, che chiedevano maggior potere politico fino a quel punto in mano a pochi uomini. Il partito Socialista assunse in questa regione le dimensioni di un partito di massa evidenziando però una drammatica carenza di capacità direttiva. Con la salita al potere di Mussolini i latifondisti cercarono di sfruttare i fascisti per ripristinare i “sacri” diritti della proprietà privata e rafforzare l’autorità dello Stato borghese, senza però capire che la proposta fascista era ben più avanzata di quella liberale. Per risolvere i conflitti con i socialisti le “camice nere” fecero ampio uso della violenza fino all’omicidio di vari deputati socialisti. Nel 1922 le roccaforti “rosse” caddero definitivamente e anche la borghesia optò per le nuove soluzioni proposte dal fascismo. Nonostante il consenso delle masse il regime non riuscì a porre rimedio ai problemi dell’agricoltura che si aggravarono ulteriormente con la crisi del 1929. La macchina fascista fallì completamente in questa regione, né la propaganda né la visita dello stesso

duce nel 1934 portarono favori nelle masse: quando nel 1943 Mussolini sarà deposto quasi nessuno si ribellerà per lui. Dopo la seconda guerra mondiale la puglia sarà roccaforte dei partiti conservatori, in particolare della Democrazia Cristiana. Questo aggravò lo scontento degli strati più poveri della popolazione: si registrano rivolte causate dall' arretratezza sociale ed economica che persiste nel meridione e genera odio e diffidenza nei confronti dello Stato. Le insurrezioni furono represse con forza, portando sempre più miseria e sfiducia. Non si può pero paragonare la situazione pugliese a quella siciliana o calabrese, qui il potere statale non fu sostituito dal potere criminale, ma non si può che evidenziare come il "controllo sociale" fosse irreversibilmente indebolito. Gli interventi statali nel settore agricolo furono inizialmente positivi, ma già a fine degli anni 50’ emerse l’inefficienza delle soluzioni adottate portando molti contadini a emigrare nel Nord Italia, mentre lo sviluppo industriale fino agli anni 70’ fu impetuoso nei centri di Bari, Taranto e Brindisi. È in questo contesto che nasce la “quarta mafia”: una regione priva di una guida e senza un valido sostegno statale, dove circa 1.300000 di persone sono praticamente analfabete, dove poche sono le alternative lavorative e anche emigrare è spesso inutile e infruttuoso. La crescente povertà porta a un incremento della malavita locale che inoltre è influenzata dal legame sempre più stretto con l‘ndrangheta: iniziano sul finire degli anni 70’ i primi grandi sequestri nella regione pugliese soprattutto a spese dei grandi industriali. Inoltre, in varie zone vi furono casi di associazione di bande comuni con “Cosa Nostra”, che in quel periodo era nel pieno della sua potenza.

1.2 Influenze mafiose esterne Fu però con Raffaele Cutolo, capo della "Nuova camorra organizzata", che si saldò ancora di più il legame fra criminali locali e le “antiche” mafie; egli infatti voleva sfruttare la regione pugliese per la sua posizione geografica nel contrabbando delle sigarette, creando delle vere e proprie strutture operative e affiliando alla camorra molti pugliesi. Nel 1979 ci fu un summit mafioso molto importante a Galatina, tenuto da Cutolo con 90 iniziati e con rappresentanti di' Ndrangheta e Cosa nostra. Questo accordo portò la delinquenza locale a essere legittimata dalle antiche "mafie" a prendere il controllo del territorio, naturalmente sotto la loro supervisione. In quel

periodo Cutolo vedeva nella Puglia e nell'Adriatico un nuovo mercato fondamentale per lo spaccio di stupefacenti e di sigarette; questo lo portò ad inserire nel territorio numerosi membri importanti per la gestione degli affari. Inoltre, nelle carceri pugliesi erano già presenti numerosi affiliati della Camorra Cutoliana a causa della guerra (197879) fra "la nuova camorra organizzata" (di Cutolo) e la "Nuova Famiglia" (guidata dai boss Zaza, Bardellino e i fratelli Nuvoletta) che aveva portato le istituzioni a trasferire i cutoliani per evitare che la faida si estendesse anche nei penitenziari. Questa doppia stretta limitava notevolmente l'autonomia dei criminali calabresi, che in seguito ne risentiranno molto. Cutolo cercava in Puglia di creare la vecchia camorra napoletana e faceva una vera e propria propaganda perché necessitava di numerosa manovalanza. Anche questo aspetto si rivelerà una spinta per la creazione della SCU. La pressione esercitata dai camorristi avrà forti influenze anche sull'assetto e le caratteristiche della nuova organizzazione, ma per quanto simili la cosiddetta "quarta mafia" sarà autonoma e staccata da quella campana. Fra il 1983-84 il potere di Cutolo era in costante declino a causa sia dell'esilio del boss nel carcere di massima sicurezza dell'Asinara sia del maxi-processo che colpì a fondo la Nuova Camorra Organizzata. Questa debolezza porta una maggiore indipendenza ai criminali pugliesi, che si rivolsero all'Ndrangheta per ottenere un'investitura e poter operare così in modo autonomo. Come si vede anche nel testo del capo fondatore Rogoli che sancisce la creazione della SCU, sono presenti i "compari diritti”, i calabresi, che autorizzano il neo-boss alla creazione di questa consorteria. A conferma di queste affermazioni si ha la confessione di Salvatore Annacondia, un esponente della criminalità pugliese che dichiarerà alla Commissione Antimafia “Il padre della Sacra Corona Unita era Umberto Bellocco, grande ‘ndranghetista, uno dei capi decimi della ‘ndrangheta. […] Bellocco dette le regole della Sacra Corona Unita”. Bisogna fare una premessa per capire a fondo la "mafia" pugliese: al contrario delle altre istituzioni mafiose, solo con uno sguardo distante si può pensare ad una struttura unita e solida; se si guarda più in profondità ci si confronta con una realtà frammentata e con una serie di organizzazioni autonome che a volte sono più riferibili ad espressioni di delinquenza locale.

1.3 Territorio e altre mafie

Nel 1984 venne alla luce, nella cella del boss Pino Rogoli, lo Statuto della SCU: questo insieme ad altre accuse portò al processo di Bari con più di 100 imputati, accusati, per la prima volta in Puglia, di associazione mafiosa. I risultati, nonostante le accuse si basassero su prove dettagliate, risultarono scarsi; assolti tutti dal reato di associazione mafiosa e accusati solo di associazione a delinquere, tranne due, che furono giudicati colpevoli del reato di associazione mafiosa (calcolando che quasi tutti gli imputati si trovavano già in carcere). La legge anti mafiosa "Rognoni-La Torre" del 1982 avendo solo pochi anni di vita, si è rivelata inefficace perché improntata su mafie consolidate e differenti dalla SCU. In un secondo tempo i giudici, sia per inesperienza sia per superficialità nell'analizzare le prove, ritennero che vi era stato un tentativo di costruire un’associazione criminale ma che ben presto il progetto era naufragato, con l'assoluzione forniscono all'organizzazione un'occasione fondamentale per emergere e che inizierà a trovare impedimenti solo negli anni '90. Un altro processo celebrato un anno prima a Lecce aveva prodotto gli stessi risultati: La "famiglia salentina libera” un'altra organizzazione mafiosa, di cui era stato ritrovato il codice costitutivo, non portò a nulla di concreto. La SCU si sviluppò soprattutto nella zona del Salento, mentre nel resto della Puglia vi erano altri gruppi più o meno vicini a essa. Questa "mafia anomala" ha vissuto due differenti periodi: il primo che va dalla fondazione al 1987, mentre il secondo si conclude con la fine degli anni' 90. Una delle problematiche più complesse nello studio di questo fenomeno è la varietà di "associazioni" che nel tempo si creano, scindono e lottano per il potere all'interno della quarta mafia. Le più importanti sono: la "La famiglia salentina libera", "la rosa", "la rosa dei venti", "Remo Lecce libera". Quindi a dispetto delle altre mafie che si possono definire "regionali", qui non ha un controllo di gran parte della regione; basti pensare che il nord era sotto il controllo della Camorra di Cutolo, la zona di Foggia si era resa indipendente creando un’associazione criminale durevole nel tempo, e anche se non definibile mafiosa, particolarmente violenta. Qui si registrò l'esecuzione più spettacolare e violenta nella storia della Puglia, "la strage del Bacardi" nel maggio del 1986. Anche nella zona del Gargano vi era un mondo criminale completamente fuori dall'influenza della mafia salentina, un contesto di guerra perenne fra clan rurali. A supporto di questa teoria vi è anche la questione di Bari: il capoluogo era in mano a boss locali come Savino Parisi, gelosi della propria autonomia ma non isolati, simbolo di una mafia "minore" cittadina. La stessa realtà si trova nella città di Taranto. La vera zona in "possesso" della SCU era quella compresa fra Lecce e Brindisi, con le città

di Manduria e Fasano come confini estremi. Quest'ultima era una cittadina di grande importanza sia per la permanenza forzata di un boss corleonese sia perché centro di raffinamento e di spaccio della droga. Analizzando il territorio di questa "mafia anomala" non possiamo trascurare lo Stato albanese: questo infatti è separato dall'Italia solo da una striscia di mare Adriatico e negli anni '80-'90 con la caduta del comunismo era diventato una nazione completamente priva di istituzioni. Questa situazione ha permesso il proliferare di diverse attività criminali, definendo l'Albania un vero e proprio "Stato mafia". Ne approfittarono i membri della SCU: qui potevano trovare rifugio i latitanti rimanendo vicini ai propri territori e potevano essere assicurati rifornimenti di armi, stupefacenti, manovalanza: un vero paradiso per i mafiosi. Stessi vantaggi venivano tratti anche in Montenegro dove le autorità vedevano addirittura in modo positivo il contrabbando di sigarette; negli anni il piccolo Stato diventerà una potente fortezza sacrista.

1.4 Gli anni '80: crescita e rinnovamento Durante la prima stagione di processi falliti si ebbe il periodo di maggiore coesione della cosca. Fra il 1986-87 Rogoli, definito anche "il vecchio", controllando dal carcere dà l'autorizzazione a eliminare chiunque si opponga alla sua organizzazione: i suoi uomini più fidati Giovanni Donatiello, Salvatore Buccarella, Vincenzo Striani e Antonio Dodaro diventano i vari capi delle zone e le "ripuliscono" da chi si oppone. In particolare, due omicidi di vecchi boss della malavita salentina danno una chiara visione della situazione. Il primo grande problema venne proprio dal carismatico capo che durante un interrogatorio ammise l'esistenza dell'associazione e di esserne il capo; questa avventatezza non piacque ai vertici che portarono alla scissione del gruppo di Foggia. Ulteriori problemi si manifestarono nel 1986 con il suo braccio destro Antonio Antonica, che di fatto era l'esecutore degli ordini di Rogoli all'esterno del carcere. Iniziarono dissidi e problemi che portarono ad una rottura e ad una sanguinosa guerra che terminerà solo nel 1989 con la morte del vice. La situazione precaria della mafia salentina a causa dei suoi enormi problemi di gestione autonoma delle famiglie, della scelta senza criteri degli affiliati, dell’inosservanza delle regole fondamentali portò Rogoli a una riformazione e rifondazione della sua "mafia". La SCU era ormai finita, anche prima della fine del maxi-processo di Bari, mentre all'interno

di una cella del carcere di Trani nasceva la "NSCU"(Nuova Sacra Corona Unita). Vennero introdotte nuove e più vincolanti regole, più tutela verso la segretezza, insieme a un nuovo modello per evitare traditori e spie: venne creata “la squadra della morte” detta anche “gruppo di fuoco” che selezionata di volta in volta avrebbe punito gli “infami” e risolto le “questioni più delicate”. Il nuovo statuto venne firmato dal vecchio boss "il saggio" e dai due suoi più fidi affiliati, Vincenzo Stranieri e Mario Papalia. Le faide interne aumentarono con l'omicidio di Daniele Perrone, esponente della SCU giustiziato da altri membri sotto l'ordine di Dodaro; la soluzione di Rogoli non aveva funzionato, ogni clan aveva creato la propria “squadra della morte”, gli affiliati vivevano in una situazione di perenne insicurezza; le uccisioni crebbero anche tra i "cutoliani", ora deboli avendo perso la guerra contro la "Nuova famiglia", portando a compimento così una sanguinosa vendetta. Il crescendo di violenza continuò, e nonostante Rogoli fosse contrario la SCU prese il controllo del mercato degli stupefacenti. I componenti inoltre non si limitavano allo spaccio, ma fra di loro crebbe un notevole consumo che contribuì a creare ulteriori complicazioni. Alcuni denunciarono e notarono il cambiamento, come il giornalista Marcello Orlandini, che avanzò un'ipotesi molto vicina alla realtà: "In questa fase a Brindisi quasi tutto è sotto il controllo di un'unica organizzazione, che domina anche in provincia. Deve essere accaduto qualcosa all'interno." (Quotidiano di Lecce 1.12.1988); nessuno però immaginava che dietro vi sia la stessa organizzazione processata e assolta nel 1984. Nel dicembre del 1988 qualcosa si mosse: 22 malavitosi furono arrestati, ma le indagini rimasero superficiali e l'assenza di prove non portò a capire la forza e la presenza della SCU sul territorio. Pochi giorni dopo venne ritrovato trucidato nel suo bunker proprio Antonio Dodaro: ucciso su ordine dai Boss Padovano, Tornese e De tommasi, giovani ambiziosi che volevano scalare le gerarchie del potere mafioso a Lecce. Rogoli tentò di mantenere unita la giovane mafia, ponendo Padovano come responsabile; ma era troppo tardi, e scoppiò una guerra intestina. Infatti, De Tommasi, nonostante fosse a conoscenza dei piani, non fu coinvolto da Padovano nell'omicidio e ciò scatenò una guerra violenta per il controllo del territorio salentino, con periodi di terrore e morti quotidiane. Tutti questi omicidi iniziarono ad attirare l'attenzione sia dell'opinione pubblica sia della magistratura e delle forze di polizia: nel giugno del 1989 vennero emanati più di 100 mandati di cattura e 300 di comparizione. Questa volta si parlò di SCU in modo più consapevole, una mafia orizzontale e radicata guidata da Rogoli nonostante sia sempre

stato i...


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