Tesina (analisi + commento) sul romanzo Althenopis di F. Ramondino (Prof. Pomilio) PDF

Title Tesina (analisi + commento) sul romanzo Althenopis di F. Ramondino (Prof. Pomilio)
Course Letteratura italiana moderna e contemporanea
Institution Sapienza - Università di Roma
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Paper richiesto ai frequentanti su autore e romanzo a scelta....


Description

Althénopis di Fabrizia Ramondino La storia di Fabrizia Ramondino inizia nel 1936 a Napoli. Anche solo approfondendo questa prima informazione troviamo un dato importante: il suo luogo di nascita. Il titolo stesso dell’opera presa in considerazione, Althénopis, libro pubblicato nel 1981 da Einaudi, è, come spiegato dall’autrice, quasi una sentenza con la quale i tedeschi sancirono Napoli: quella città prima descritta come grandiosa, da Goethe tra gli altri, che veniva chiamata Partenope, ‘occhio di vergine’, era oramai irrimediabilmente incappata negli imbruttimenti che la guerra porta con sé. Le truppe germaniche rimanendo, perciò, deluse davanti alla dissonanza tra aspettative e realtà, ridefinirono la città ‘occhio di vecchia’: Althénopis, appunto. Sembrerebbe scontato, quindi, rielaborare un famoso detto popolare e affermare che per Fabrizia Ramondino “vedi Napoli e poi scrivi”. Già questa prima e più immediata scelta stilistica, il libro infatti non si chiama semplicemente ‘Napoli’, pone però un distacco, seppure minimo, tra l’autrice e il luogo dei suoi natali. Questo nonriferimento alla città avviene non tanto perché Napoli in sé abbia un ruolo fondamentale, più che un punto focale risulta essere un punto di partenza, ma perché aiuta a delineare spazi, personaggi, distanze e misure. L’opera è suddivisa in tre parti, tutte ambientate in località vicine al capoluogo campano, ognuna delle quali è a sua volta composta di più capitoli con nomi estremamente allusivi e rappresentativi del tema che andranno ad affrontare (es. La nonna, I lastrici, La casa di zia Cleope, Gli svaghi, ecc.), le scelte stilistiche, poi, non fanno altro che impreziosire, arricchire di mistero l’opera: la parte iniziale e la centrale (Santa Maria del Mare e Le case degli zii) sono narrate in prima persona mentre l’ultima, la prima però ad essere stata composta, - in cui ci commisuriamo con una Fabrizia non più bambina o giovane donna ma ormai adulta che si confronta con l’avvento della morta di sua madre- è in terza persona: quasi come a richiamare la Napoli storpiata del titolo, prima giovane donna, occhio di vergine, e poi martoriata e sfigurata dalle vicissitudini della vita e quindi, occhio di vecchia. La particolarità maggiore, come si è potuto intuire in quanto detto finora, è che Althénopis è un’autobiografia che è simultaneamente, come lo è sempre quella femminile, rammemorazione e interrogazione, scrittura di sé e scrittura di finzione, pratica testuale e riflessione teorica.1

1

M. Farnetti, Per un’eretica della storia. L’opera autobiografica di F. Ramondino in “L’Illuminista”, vol. 43-45 (a cura di Beatrice Alfonzetti e Siriana Sgavicchia), Roma, Ponte Sisto, 2018, pag.320

Non è quindi una sorpresa che lo scorrere dell’opera ricordi un lavoro di patchwork in cui ogni segmento, ogni capitolo, potrebbe quasi essere considerato un racconto breve, fatto di immagini vivide, di colori, olezzi, aromi, descrizioni schiette di umani e luoghi, osservati dagli occhi di una bambina prima e adolescente poi, fino allo scontrarsi con un cambio repentino, nello stile di scrittura innanzitutto -il già citato passaggio dalla prima alla terza persona- e in secondo luogo nel contenuto, poiché i capitoli che formano la terza parte non sono più arricchiti da infiniti paesaggi, avventure e individui tra loro assolutamente diversi quanto più da una mappa della casa in cui la madre della protagonista si sta spegnendo. È nel relazionarsi a queste ultime pagine che si capisce che è proprio lei, Madre, così chiamata nella terza parte, la vera protagonista di questa opera, nonostante sia uno dei pochi personaggi presenti durante tutta la narrazione a non avere un capitolo a lei interamente dedicato, è proprio lei che muove “fili allo stesso tempo visibili e invisibili”2: protagonista nel suo rapporto con la figlia, nel suo rapporto con la madre, nella sua esistenza di donna. Nelle prime due parti, però, a sottolineare ulteriormente le differenze tra la Fabrizia bambina e quella adulta, ogni persona nominata appare come essenziale: non c’è infatti nessun soggetto principale ma risultano essere tutti fondamentali, anche quelli menzionati una sola volta lasciano una traccia nel lettore, informazioni in più sulla vita della scrittrice e quindi sulle sue scelte stilistiche, ed è lei stessa a mostrarci nel corso della narrazione come qualcosa o qualcuno che viene raccontato anche solo per poche righe lasci in lei un segno indelebile, profondo, talvolta portandola a ricordare da giovane donna che si sta formando immagini viste o vissute da fanciulla. Dà grande forza ad Althénopis, inoltre, la potenza evocativa dell’autrice che riesce a descrivere figure popolane, borghesi o nobili con invariata destrezza, raccontando di ognuno di loro – che siano sole o in gruppo, come i vecchi dell’ospizio o le vecchie vestite a festa- comportamenti, manie, vizi, disgrazie e caratteristiche fisiche. Allo stesso modo la Ramondino è in grado confrontarsi con i luoghi, legati a doppio filo a eventi che hanno plasmato il suo sguardo, il suo agire e il suo modo di raccontare: tutti questi elementi ci vengono mostrati con dovizia di particolari, descrivendo ogni componente che rende una persona o un ambiente quelli che sono agli occhi di una giovanissima Fabrizia, alle volte facendo ricorso a veri e propri elenchi di fattori che contribuiscono a una lettura concitata, quasi ‘a scatti’. Questo però non priva il lettore di una scorrevolezza che permette di entrare negli spazi, di vedere gli esseri umani che pian piano si affacciano sulle pagine, di recepire ogni singolo stimolo e provare ogni impulso che la narratrice-protagonista ci pone dinanzi, talvolta con brutale autenticità, utilizzando un linguaggio crudo, e talvolta portando davanti agli occhi di chi sta leggendo delle immagini di tale eleganza, ricchezza e magnificenza da rimanere 2

Silvio Perella, Prefazione di Althénopis, Einaudi, 2016, pag. 6

sorpresi che ciò sia stato possibile solo grazie all’utilizzo dei vocaboli più adatti. Althénopis riesce, inoltre, a essere minuzioso nella sua evocazione di immagini, tanto quanto riesce a presentare l’evoluzione di un individuo in poche pagine di un capitolo: una scelta che apparentemente potrebbe risultare troppo frettolosa consegue invece l’obiettivo di mostrare un cambiamento organico, coerente, che il lettore vive e comprende senza problemi perché riesce a coglierne la verità che c’è dietro. Il mondo narrato dalla Ramondino è abbondante, straripante. Inizialmente nell’incontro con la flora, la fauna, gli altri bambini e la loro povertà, osservati da Fabrizia che vive un’infanzia “dura e severa nella sua ingenuità, persino crudele”3 ma che possiede “uno sguardo caldo, che vestiva le cose di colori decisi e squillanti”4. Nell’avvicinamento, poi, ad un cambio fisico collima anche un cambiamento di ambienti: si arriva, infatti, all’adolescenza proprio nel momento in cui si incontra l’opulenza e il fasto che alcuni membri della famiglia cercano a tutti i costi di mantenere vivi, seppure persi quasi del tutto nel corso del succedersi delle generazioni e nello svolgimento della guerra. Lo sguardo di Fabrizia diventa perciò riottoso e sbarrato, quasi allucinato. Una luce iperrealistica cade […] su queste figure illuminandole in modo spettrale: è una luce che vorrebbe denudare tutto quanto i soldi e l’educazione s’incaricano di nascondere5

ma che al contempo palesa “una timidezza inspiegabile, […] un sussulto di riserbo”6. Il linguaggio è altrettanto ricco di sfumature: si passa dall’italiano più corretto, come richiesto dalla posizione sociale della famiglia di Fabrizia, a intercalari napoletani, tollerati solo in alcune occasioni, fino all’uso del castigliano, lingua di infanzia della Ramondino, del latino, del francese e del tedesco. A tutto ciò, va poi aggiunta una rivoluzione stilistica adoperata da Fabrizia Ramondino, una scelta che pochi prima di lei avevano compiuto e raramente in maniera così efficace e cospicua: l’utilizzo delle note a piè di pagina. Succede, infatti, che alcune note divaghino partendo da un argomento affrontato nell’opera principale e finiscano 3

D. Scarpa, La pietà e la storia. Althénopis in “L’Illuminista”, vol. 43-45 (a cura di Beatrice Alfonzetti e Siriana Sgavicchia), Roma, Ponte Sisto, 2018, pag. 354 4

D. Scarpa, La pietà e la storia. Althénopis in “L’Illuminista”, vol. 43-45 (a cura di Beatrice Alfonzetti e Siriana Sgavicchia), Roma, Ponte Sisto, 2018, pag. 354 5

D. Scarpa, La pietà e la storia. Althénopis in “L’Illuminista”, vol. 43-45 (a cura di Beatrice Alfonzetti e Siriana Sgavicchia), Roma, Ponte Sisto, 2018, pag. 356 6

D. Scarpa, La pietà e la storia. Althénopis in “L’Illuminista”, vol. 43-45 (a cura di Beatrice Alfonzetti e Siriana Sgavicchia), Roma, Ponte Sisto, 2018, pag. 356

per dipingere un quadro ancora più delineato, più chiaro, di abitudini, comportamenti e usanze del periodo affrontato. Così come ogni capitolo può, come già detto, essere considerato alla stregua di un racconto breve, così l’unione delle note crea un’opera parallela che funziona da sola ma che allo stesso tempo decanta il libro e il suo svolgimento cardinale. Proprio per tornare alla suddivisione in capitoli tematici, discorso accennato genericamente in precedenza, si incontrato alcune pagine pregne di particolari significati e contenuti: in tal senso è imprescindibile citare il capitolo intitolato ‘Lo zio Alceste’. Incontriamo, difatti, una figura differente da tutte quelle descritte in precedenza e, ancor di più, radicalmente diversa dalle figure maschili, poche, che fino a quel momento erano state mostrate ai lettori. Un uomo complesso, impossibile da decrittare fino in fondo, modello intellettuale da cui però bisognava rimanere a debita distanza: non è un caso se è riservato a lui il capitolo più consistente, per lunghezza e probabilmente anche per sostanza, del libro; a questa vita ricca di energie, cultura, interessi, che evolve e muta in una casa-museo si aggiunge, nello stesso capitolo, una descrizione allo stesso tempo arguta e ingenua della famiglia: di impronta fortemente matriarcale e stranamente poggiata sulle sventure, che possono essere considerate realmente tali soltanto quando riguardano il denaro. L’autrice descrive in questo modo la prassi che permetteva a un familiare di considerarsi effettivamente tale: Se un membro della famiglia faceva soldi [...] nei discorsi delle zie un leggero disprezzo accompagnava il suo nome. [...] Ma se la disgrazia colpiva uno di questi intraprendenti, la nobiltà, conferitagli dalla disgrazia, lo faceva entrare a pieno diritto nella famiglia, e nei suoi confronti, al celato disprezzo e alla condiscendenza subentrava una stima crescente per come riusciva a vincere le difficoltà; perché far fronte al destino avverso con dignità [...] veniva considerato titolo di merito.7

A contrastare una visione così pulita e incorrotta della propria famiglia, si pongono dei capitoli più intimistici, meditativi in cui Fabrizia, con occhi nivei di bambina dapprima e sguardo di adolescente che ancora non vuole diventare adulta poi, si guarda dentro. Tra tutti spicca ‘I lastrici’: struggente, tenero, umano, libero. Descrive l’amicizia con il candore di un’anima pura: Ognuno di noi offriva all’altro un pezzetto di quello che si era portato da mangiare, e ogni boccone pareva di un sapore raro, squisito. Dalle tasche estraevamo piccoli doni da scambiarci. [...] Ci legavamo attorno ai polsi del filo dello stesso colore a rappresentare vincoli indissolubili.8

7 8

Fabrizia Ramondino, Althénopis, Einaudi, 1981, pag. 108-109 Fabrizia Ramondino, Althénopis, Einaudi, 1981, pag. 126-127

e allo stesso tempo riesce a trattare della figura materna con affettuosa e gentile maturità, propria di una figlia che riconosce i limiti di una madre ma che sa anche carpirne dolori e difficoltà: Altre volte vi andava nostra madre con un libro, al tramonto, ma presto lasciava il libro sul muretto; il vento futilmente apriva le pagine, le scomponeva i capelli carezzevole, come a consolarla, mentre con gli occhi diventati decisamente celesti guardava nel vuoto. Siccome mi aveva detto [...] che lo zio Alceste non voleva prestarle libri, [...] mi pareva che smettesse di leggere per risparmiare il libro e farlo durare più a lungo; allora [...] mi avvicinavo, e avrei voluto farmi libro perché mi leggesse, e mi mettevo a chiacchierare intensamente al suo fianco per distrarla.9

Per concludere, credo sia doveroso fare qualche accenno alla vita personale di questa autrice: nonostante l’esordio quasi tardivo della sua prima opera letteraria (nel ’77 pubblicò un saggio sui disoccupati organizzati di Napoli), Fabrizia Ramondino fu sempre dedita alla scrittura, l’ultima parte del libro vanta difatti quasi 20 anni di vantaggio sull’effettiva pubblicazione. L’autrice la redige nel ’66, anno in cui -a detta della Ramondino stessa- partorisce due volte: nascono infatti sua figlia e le prime tracce di quello che poi sarà Althénopis. Negli anni che passano tra la stesura e la pubblicazione, si dedica all’insegnamento lavorando in un asilo sperimentale ma anche all’impegno sociale conducendo reportage sulle problematiche, come la disoccupazione, che gravavano su un territorio per lei così importante. Come affermato da Silvio Perrella nell’introduzione all’ultima edizione pubblicata di Althénopis (Einaudi, 2016), la sua esistenza la farà stare sempre nello spazio sintattico del «tra»: tra le lingue, tra le città, tra le scritture, tra le persone, tra le tensioni politiche e sociali, tra le generazioni, tra le classi sociali.

Mi viene, allora, da pensare ad una delle parti più intense del libro, tratta dal capitolo ‘L’arrivo dalla zia Callista’ in cui Fabrizia, ormai giovane donna, racconta: A volte mi osservavo la schiena nel tentativo vano di sorprendermi com’ero veramente e di carpire, da dietro, l’indecifrabile enigma che mi stava davanti sotto le sembianze del mio volto. [...] la forza delle convenzioni mi spingeva a chiedermi se ero bella, mentre la vera non formulata domanda era «Chi, che cosa sono?» [...] a questa domanda a volte parevano rispondere gli specchi della zia, quando involontariamente mi ci sorprendevo riflessa di spalle, perché allora non ero un’immota immagine leziosa e scimmiesca, ma un gesto, un fare qualcosa: [...] sicché potevo dirmi sorpresa: «Quel muoversi nel mondo sono io»10

9

Fabrizia Ramondino, Althénopis, Einaudi, 1981, pag. 128

10

Fabrizia Ramondino, Althénopis, Einaudi, 1981, pag. 180

E, forse, Althénopis è stato per Fabrizia Ramondino come il vedersi accidentalmente di spalle, in uno specchio, e rendersi conto che scrivere era il suo personale modo di interiorizzare l’idea che ‘quel muoversi nel mondo sono io’.

Bibliografia Ramondino F., Althénopis, Torino, Einaudi, 1981 Perrella S., Prefazione, Althénopis, Torino, Einaudi, 2016 Bellucci N., Althénopis o della “dismisura” in “L’Illuminista”, vol. 43-45 (a cura di Beatrice Alfonzetti e Siriana Sgavicchia), Roma, Ponte Sisto, 2018, pp 125-142 Farnetti M., Per un’eretica della storia. L’opera autobiografica di F. Ramondino in “L’Illuminista”, vol. 43-45 (a cura di Beatrice Alfonzetti e Siriana Sgavicchia), Roma, Ponte Sisto, 2018, pp 319-329 Scarpa D., La pietà e la storia. Althénopis in “L’Illuminista”, vol. 43-45 (a cura di Beatrice Alfonzetti e Siriana Sgavicchia), Roma, Ponte Sisto, 2018, pp 349-364

Sitografia https://it.wikipedia.org/wiki/Fabrizia_Ramondino...


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