Tesina Sociologia dei Consumi PDF

Title Tesina Sociologia dei Consumi
Author Margherita Avagnina
Course Sociologia dei consumi
Institution Università degli Studi di Torino
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Summary

Tesina per l'esame di sociologia dei consumi. I consumi legati al tipo di dieta....


Description

ALIMENTAZIONE ECO-SOSTENIBILE: LA SCELTA DI UNA DIETA VEGETARIANA Negli ultimi anni si è acceso il dibatto tra diverse opposizioni: sostenitori di un’alimentazione onnivora che comprenda anche il consumo di carne, vegetariani, vegani. Non si vuole, qui, entrare nel merito delle questioni etiche e morali che possono spingere verso una direzione piuttosto che un’altra: l’intento di questa trattazione è presentare i dati forniti dalla letteratura di ricerca sociale per sfatare alcuni falsi miti riguardo al consumo di alimenti di origine animale. Si vuole, cioè, capire in che senso l’essere vegetariani possa essere ‘”una conquista di civiltà” (per usare le parole di Umberto Veronesi che ha così definito il vegetarianesimo in un articolo del 2015).

1.1 ALLEVAMENTI ED EMISSIONE DI GAS SERRA L’uomo moderno deve ormai rendersi conto che quella di cambiare regime alimentare sta diventando sempre di più una necessità piuttosto che una scelta: il dossier diffuso dall’ Oxfam nel 2016 rivela come il sistema alimentare globale sia responsabile di circa il 25% delle emissioni di gas serra; in pratica, se le materie prime alimentari fossero un Paese, sarebbero al terzo posto al mondo per emissioni di gas serra superate solo da Stati Uniti e Cina. Se vogliamo concentrarci sul settore degli allevamenti e quindi del consumo di cibo di provenienza animale, dobbiamo considerare che il rapporto FAO del 2006 ha stimato che i processi coinvolti nell’allevamento di animali generano una produzione di gas serra equivalente al 18 % delle emissioni globali prodotte dalle attività umane. Per ridurre il problema del surriscaldamento globale, causato appunto dall’emissione di gas serra, è dunque necessario ridimensionare i nostri consumi, specie quelli carnivori. In questo senso il vegetarianesimo è una scelta civica: il consumo di materie prime vegetali ridurrebbe l’impatto dell’inquinamento.

Per comprendere l’importanza dell’impatto ambientale del consumo di carne, basti pensare che una riduzione del consumo di carne del 15% equivarrebbe alla scomparsa di 240 milioni di veicoli dalle nostre strade: il senso comune ci spinge spesso a considerare come inquinanti solo gli oggetti prodotti dalla tecnica dell’uomo, facendoci tragicamente trascurare l’incisività della semplice esistenza di miliardi di animali fatti riprodurre a dismisura per poterne consumare le carni.

Ma nella vita individuale del singolo cosa significa ridurre del 15% il consumo di carne? Significa eliminarla dalla propria dieta per un solo giorno su sette. L’impegno per migliorare il mondo in cui viviamo e preservare l’ecosistema sarebbe davvero irrisorio se ciascuna persona facesse attenzione, nel suo piccolo, a seguire semplici accorgimenti. Per questo motivo sono inaccettabili, oggi, ragionamenti che non assecondino il buon senso: per dare il nostro contributo non è per forza necessario rinunciare totalmente al consumo di carne, basterebbe ridurlo.

1.2 ALLEVAMENTI E CONSUMO D’ACQUA Attualmente ventisei Paesi, per un totale di 232 milioni di abitanti, possono essere considerati con scarse risorse idriche. Questo perché le attività umane più invasive e svolte nei Paesi sviluppati del mondo stanno rendendo l’acqua rara e/o inquinata. Tra tutti gli impieghi dell’acqua, quello a più alto impatto di utilizzo è proprio l’allevamento: il 70% dell’acqua usata sul pianeta è consumata dalla zootecnica e dall’agricoltura, i cui prodotti servono per la maggior parte a nutrire il bestiame. Quando parliamo di consumo d’acqua associata all’allevamento di animali dobbiamo tenere in considerazione che l’utilizzo idrico è ripartito e coinvolto in diverse fasi dell’attività: il bestiame deve essere abbeverato (una vacca da latte beve circa 200 litri d’acqua al giorno, un bovino 50 litri, un suino 20 litri ed una pecora 10); deve inoltre essere nutrito (e quindi il discorso sopracitato dell’acqua utilizzata per irrigare le coltivazioni di foraggio per uso animale); l’animale deve poi essere lavorato in fase di macellazione (altra attività ad elevato consumo idrico). Inoltre l’allevamento intensivo oltre a consumare acqua inquina quella che non usa: dobbiamo tenere infatti conto dell’inquinamento idrico causato dai liquami sversati nei bacini idrografici. Questi liquami a loro volta, dopo aver inquinato i bacini, liberano ammoniaca nell’atmosfera causando piogge acide. Il fenomeno delle piogge acide attacca sia il suolo, rendendolo impoverito ed arido, sia l’ecosistema marino, favorendo lo sviluppo sregolato delle alghe a causa dell’azoto: secondo stime della FAO, a livello globale, gli allevamenti intensivi sono responsabili di 135 milioni di tonnellate di azoto e 58 milioni di tonnellate di fosforo depositate nell'ambiente ogni anno. Si entra così in una spirale di inquinamento ed impoverimento del suolo da cui è impossibile liberarsi e di cui è difficile sospettare la portata catastrofica.

Risulta palese ed incontestabile il fatto che la carne non sia affatto un alimento sostenibile: i quattro miliardi di capi di bestiame allevati sulla Terra non sono una necessità, ma l’illusione di un’esigenza fomentata da chi vuole lucrare nutrendo una minoranza della popolazione. Quella, peraltro, già sovralimentata.

La difficoltà nell’approdare a certi ragionamenti di tipo vegano e vegetariano risiede nel fatto che la disinformazione è tanta e pilotata: l’industria legata agli allevamenti intensivi ha conosciuto una crescita esponenziale dagli anni Cinquanta ad oggi e l’interesse degli investitori è quello di mantenerla a pieno regime per continuare a trarne profitti. Si alimentano così falsi miti e credenze nei confronti di un’alimentazione di tipo vegetale che spaventa gli stakeholders implicati nei processi dell’industria dei cibi animali. Questa pericolosa disinformazione va combattuta cercando di indurre la popolazione a ragionare con sguardo critico sulle sue basilari attività primarie quotidiane, come può essere quella di mangiare la nostra bistecca a cena. E’ utile a tale scopo far circolare esempi che fungano da parametri per riuscire a misurare l’impatto del singolo sul mondo e rapportarlo a livello macro.

Quale migliore esempio di questo? Ognuno di noi si fa la doccia, ma quasi nessuno di noi è informato del fatto che 500 grammi di carne bovina (una porzione di bistecca alla Fiorentina, per intenderci) per arrivare nel nostro piatto hanno implicato il consumo di 7700 litri d’acqua (l’equivalente che consumiamo per farci 100 docce).

Ecco come potremmo “cambiare il mondo” nel nostro piccolo e garantire la sopravvivenza del pianeta:

1.3 ALLEVAMENTI E DEFORESTAZIONE Gli allevamenti intensivi sono enormi strutture che occupano molto spazio. Secondo un rapporto FAO, “il settore dell'allevamento rappresenta, a livello mondiale, il maggiore fattore d'uso antropico delle terre” : direttamente ed indirettamente (pascoli o campi per la produzione di mangime), la moderna zootecnica utilizza complessivamente il 30% dell'intera superficie terrestre non ricoperta dai ghiacci e il 70% di tutte le terre agricole. Siamo provvisti di dati impressionanti: negli Stati Uniti il 29% del territorio è occupato da pascoli; addirittura il 40% in Cina e più del 50% in Africa Orientale. Milioni di chilometri quadrati necessari per nutrire gli animali che andranno poi a nutrire l’uomo. Spazio che sulla Terra non abbiamo più: diventa necessario disboscare intere foreste per piazzare il numero crescente di animali da allevamento. Il più massiccio intervento di deforestazione della storia dell’uomo ebbe luogo in America centrale tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, quando il boom economico e la globalizzazione resero appetibile il mercato dell’esportazione di carne: in quel periodo la produzione di carne bovina vide un incremento del 170%, ed intere foreste vennero disboscate per lasciare spazio ai pascoli. Ma ancora, è bene fornire esempi concreti per rendersi conto della portata del fenomeno. Allora proviamo ad immaginare un ettaro di Foresta Amazzonica volatilizzarsi ogni otto secondi: è questo ciò che accade ogni giorno a causa dell’allevamento di bestiame in quell’area del mondo. Si è calcolato che dal 1996 al 2009 (tredici anni) siano andati persi 100 000 chilometri quadrati di foresta, trasformati in pascoli; nel frattempo, un’area grande quanto la Francia (circa 550 000 chilometri quadrati) era già occupata da mandrie di bestie da allevamento. Sembra scontato elencare le implicazioni e le conseguenze catastrofiche della deforestazione, ma dal momento che esse vengono così trascurate e sottovalutate le ripeteremo. La distruzione di foreste implica variazioni sul clima, perché il disboscamento modifica la mappa dei venti dell’area; la deforestazione causa anche minore biodiversità, andando ad intaccare e distruggere l’habitat di centinaia di specie animali; in ultimo, l’abbattimento di alberi ed intere foreste contribuisce ad aumentare i livelli di anidride carbonica nell’aria, che non può più essere “depurata” dal processo di fotosintesi delle piante, e ne consegue un aumento dell’effetto serra (dunque un fenomeno causato dall’allevamento viene peggiorato da un provvedimento preso per intensificare la medesima attività).

In sintesi, ecco l’impatto su tutti e tre i fattori (inquinamento, spreco d’acqua e deforestazione) della produzione di carne riferito al singolo ogni giorno.

1.4 I FALSI MITI SUL CONSUMO DI CARNE Può capitare che si sia scettici su un’ideologia od una scelta perché influenzati da falsi miti e credenze. Questo fatto riguarda anche il consumo di carne. In primis, è da sfatare il mito che non consumare carne crei disturbi nell’alimentazione e malessere fisico (per esempio, la carenza di ferro): è ormai scientificamente dimostrato che, al contrario, i valori nutrizionali dei prodotti vegetali surclassano quelli dei prodotti di origine animale.

E’ inoltre necessario sfatare quello che ritengo il più ipocrita di tutti i miti legati al consumo di carne: l’idea che solo tramite la sua produzione e lavorazione si possa raggiungere l’obiettivo di alleviare il problema della fame del mondo. Abbiamo infatti visto come la carne sia comunque un bene di lusso, non certo riservato alle popolazioni povere e senza potere d’acquisto e di mercato dei Paesi più sottosviluppati; abbiamo inoltre analizzato tutto il discorso relativo all’inquinamento ed al consumo d’acqua da parte degli allevamenti intensivi ed al conseguente impoverimento dei terreni, resi sterili e quindi inutilizzabili proprio in quelle parti del mondo dove l’agricoltura è il solo mezzo di sussistenza di chi le popola. In conclusione possiamo affermare che la scelta di una dieta a base vegetale non implica solo banalmente questioni di tipo etico e morale, condivisibili o meno (la sofferenza degli animali, la crudeltà…); questo tipo di direzione riguarda soprattutto la dimensione del buon senso: se, a seconda della nostra individuale sensibilità, può non importarci che il bovino venga tenuto in box minuscoli ad ingrassare e poi sgozzato brutalmente, appare invece inconfutabile il fatto che a ciascuno di noi dovrebbe importare il fatto che il pianeta su cui viviamo sopravviva (e ci permetta di fare altrettanto). Per questo il vegetarianesimo è una scelta di civiltà: messi di fronte al bivio tra preservazione della Terra e sua distruzione, dobbiamo scegliere se contribuire spingendola verso l’una o l’altra direzione....


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