Tesina- Storia della Musica Moderna- Bryant PDF

Title Tesina- Storia della Musica Moderna- Bryant
Author Nicole maini
Course Storia Della Musica Moderna
Institution Università Ca' Foscari Venezia
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Esempio di Tesina di Storia della Musica Moderna...


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TESINA STORIA della MUSICA MODERNA _Bryant _Università di Ca’Foscari_

LA MUSICA COME FORMA D’ARTE E/O FORMA DI ARTIGIANATO Vengono qua di seguito riportati i primi due significati del termine arte dal dizionario on-line del Corriere della Sera. «arte [àr-te] s.f. 1 Attività dell'uomo basata sul possesso di una tecnica, su un sapere acquisito sia teoricamente che attraverso l'esperienza; in tal senso, coincide anche con un mestiere che richieda un'abilità specifica: a. del fabbro; a. del ferro. 2 Produzione di opere adeguate ai canoni estetici del bello, prevalenti nei diversi periodi storici; l'opera stessa così prodotta (spec. se di tipo figurativo); l'insieme di tali opere di un autore, di un periodo: l'a. del Rinascimento. » Se con il termine arte intendiamo questo duplice aspetto (e non solo), con il termine “artigiano” invece, intendiamo una specifica figura lavorativa con determinate caratteristiche. Il termine artigianato, deriva dal vocabolo “arte”, indica infatti « la capacità di agire e produrre, in base a un particolare complesso di regole ed esperienze conoscitive e tecniche»tuttavia, a differenza di questa, « designa un'attività economica volta alla produzione di beni e servizi non seriali, realizzati all'interno di un gruppo familiare o con un numero limitato di operai, secondo un ciclo lavorativo del tutto o parzialmente privo di macchinari.» (http://www.treccani.it/enciclopedia/artigianato_(Universo-del-Corpo)/) Se si considera la musica come forma d’arte, senza analizzarne prima, gli aspetti tecnici riguardanti la composizione, l’esecuzione e la fruizione, si rischia di incappare in un grossolano errore. La musica, infatti, non viene prodotta se alle spalle non c’è un processo economico di venditaguadagno. Il musicista, (sia esso esecutore e/o compositore) è l’anello di una catena economicoproduttiva, che coinvolge il pubblico destinatario e il mecenate di turno. Un esempio di questo sistema alla base del mercato musicale è fornito dalla figura di Vivaldi. Per il dramma musicale, Giustino, eseguito a Roma al teatro Capranica, durante il carnevale del 1724, Vivaldi non compone un’opera ex novo, non è interessato a offrire un lavoro pregiato e dal carattere unico, per l’occasione ricicla massicciamente da opere precedenti, come La Primavera e la Allegra sinfonia, solo per citarne alcuni dei ventotto brani presi in prestito. Vivaldi pesca dal suo repertorio, le musiche migliori nel tentativo di ingraziarsi il pubblico (e quindi l’impresario) romano. Quest’ultimo, non conoscendo il compositore veneziano, ascolta il Giustino come fosse un’autentica novità musicale. Vivaldi invece, risparmia tempo ed energia e si garantisce un doppio guadagno per una composizione già affrontata. I pezzi da lui ripescati sono riproposti in maniera diversa date le circostanze funzionali. Un chiaro esempio sono le varianti nell’Allegra sinfonia rispetto al concerto, dovute con ogni probabilità alla mancanza di solisti di qualità necessari per eseguire le parti assolo nel concerto e per la lunghezza eccessiva del primo tempo del concerto, rispetto all’azione scenica descritta nel libretto; aggiustamenti e sistemazioni in base ad un criterio logico-pratico piuttosto che per motivi di estetica. La partitura diventa quindi un attrezzo di lavoro

TESINA STORIA della MUSICA MODERNA _Bryant _Università di Ca’Foscari_ nelle sapienti e astute mani del musicista-artigiano. Artigiano perché, è, di fatto, l'operatore economico che, nella fase creativa di un oggetto e in quella successiva dello scambio, s’impegna in modo diretto con strumenti propri, (le proprie abilità armonico-compositive) ricorrendo in prevalenza alla manualità. Tuttavia, Vivaldi non è il solo interessato a rientrare dentro i complessi meccanismi del mercato musicale. Come lui, anche Verdi, a distanza di quasi due secoli, è costretto a produrre ciò che il pubblico richiede, per garantirsi il lavoro, lo dimostrano la collaborazione stretta con la casa editrice Ricordi e le numerose produzioni di carattere commerciale. La musica è quindi un vero e proprio mestiere alla pari del gondoliere, del fabbro o del falegname. I compositori non producono un materiale culturale da trasmettere alle generazioni posteriori, stanno producendo un prodotto da immettere nel mercato. Paolo Zasa, parrocchiano di Schio, compone musiche per diversi cori, in modo che queste possano essere spendibili il più possibile nel mercato musicale. Stesse dinamiche possono valersi per le Messe concertate di Stefano Pasino, delle quali, caratteristica principale era la generalità, per essere così vendute ad un pubblico più ampio. Avendo scadenze sempre frequenti e a breve termine, è necessario per i musicisti produrre per formule e ritornelli come nel caso del concerto in La minore per violino, dove il tema si sviluppa per nuclei simili o nel caso della cantata Nun komm, der Heiden Heiland BWV 62 di Bach dalla struttura musicalmente ripetuta o come nel caso della Messa in Do minore di Mozart. Nel caso di quest’ultima, il compositore d’oltralpe, non riuscendo a completarla in visione dell’occasione, (arriva a circa metà del Credo), con ogni probabilità fruga nelle partiture di altre messe da lui già composte e ne inserisce le parti mancanti. Le dinamiche di produzione e consumo sono quindi da considerarsi parti determinanti ed estremamente correlate tra di loro secondo una vera e propria equazione (maggiore è il consumo, maggiore è la produzione; scarso è il consumo, scarsa è la produzione). Appare chiaro come la musica non si possa intendere come materia da mitizzare, da ascrivere a criteri estetici dell’arte, ma come un vero e proprio strumento di lavoro. I sistemi di consumo dovevano essere standardizzati, in modo da dare luogo ad un repertorio musicale a stampa, prodotto per essere comprato da musicisti che se ne servivano come attrezzi del loro mestiere, o da istituzioni che se ne servivano come fornitura di brani musicali utilizzabili dalla propria cappella musicale. Ragionamento analogo si potrebbe fare per le arti visive. Quando la committenza religiosa richiedeva ad un artista sempre più pale d’altare, queste, esattamente come per il repertorio musicale, cominciano ad essere riciclate e riutilizzate dalle confraternite con piccoli accorgimenti e/o variazioni: l’apposizione di un panneggio, il cambiamento della posa di una mano o di un braccio. Rimaneggiamenti, copiature o addirittura riciclaggi fanno parte di questo gande sistema di mercato in cui il compositore deve riuscire a vendere il suo prodotto cercando di garantirsi un buon guadagno.

TESINA STORIA della MUSICA MODERNA _Bryant _Università di Ca’Foscari_

IL RAPPORTO TRA L’ATTO COMPOSITIVO E L’ATTO ESECUTIVO Oggi giorno il diritto d’autore preserva l’unicità di un pezzo, ne sottoscrive il vincolo di appartenenza tra compositore e partitura: la partitura appartiene al compositore ma allo stesso modo, quest’ultima vincola il musicista a non apporre modifiche al pezzo originale. L’importanza del processo compositivo oggi supera quello esecutivo, vi è una sorta di sfrenata corsa alla singolarità, all’unicità, per distinguersi ed essere riconoscibili in un mercato fin troppo affollato. È difficile oggi pensare di eseguire in un concerto live una variazione ad un proprio pezzo, ad una propria canzone, il pubblico si aspetta ciò che ascolta nel disco e nel disco si aspetta ciò che avviene nel live. Si può riscontrare quindi che l’atto compositivo oggi, tende a coincidere con il fine ultimo, ovvero l’atto esecutivo. A tal proposito, si può invece riscontrare un’ enorme e radicale differenza fino agli inizi dell’Ottocento, momento in cui il compositore diventa artista autonomo, capace di mantenere una sua vita privata e di comporre lontano dal mondo del teatro. Fu Verdi in primis, a poter esigere che le sue opere venissero eseguite com’erano state scritte, senza le trasposizioni e aggiunte che s’erano sempre usate; questo avvenne grazie alla casa editrice Ricordi che per la prima volta fu in grado di far valere il diritto d’autore. Tuttavia, prima di questo evento era pratica normale e diffusa pressoché ovunque, quella di creare pezzi i quali avrebbero sicuramente subito variazioni. Le partiture dovevano addirittura sottoscrivere a tre prerogative: il rispetto per la gerarchia dei cantanti, la varietà e la rimovibilità. Il librettista doveva garantire delle parti cospicue o tecnicamente più complesse per le prime voci, ovvero i cantanti di spicco, a questi si dovevano assicurare diverse tipologie di musica (esempio un’aria, un recitativo, un minuetto etc.), le quali dovevano a sua volta, poter eventualmente essere rimosse o sostituite. La composizione dunque, non ha una forma compiuta e finita, deve anzi, adattarsi a diversi acquirenti, diversi ambienti e diverse tradizioni locali. Per quanto riguarda la produzione di musica sacra nel Cinquecento, emergono dati essenziali a testimonianza di questa incongruenza tra la composizione della partitura e la sua realizzazione. Dal raffronto tra i brani polifonici eseguiti nelle feste principali e quelli destinati a usi più ordinari, in termini compositivi emerge una maggiore lunghezza di alcune composizioni (l’Offertorio per esempio, in una grande festa doveva necessariamente durare di più), ma “è soprattutto in termini di prassi esecutiva che si differenzia”, per esempio, “il mottetto della festa da quello degli altri giorni: attraverso il potenziamento dell’organico, l’aggiunta di suonatori ai più normali gruppi di cantori con organo e forse, mediante l’uso di voci soliste”¹, spiegano i docenti D. Bryant e E. Quaranta coadiuvati dal gruppo di lavoro “Treviso” dell’università Ca’Foscari di Venezia. “Un documento del 1548, che si riferisce alla musica del secondo vespro della festa del santo titolare presso la chiesa veneziana di San Giobbe, testimonia dell’usualità di eseguire mottetti polifonici

¹ D. Bryant, E. Quaranta e gruppo di lavoro “Treviso” dell’Università Ca’Foscari di Venezia, Come si consuma (e perché si produce) la musica sacra da chiesa? Sondaggi sulle città della Repubblica Veneta e qualche appunto storiografico, Bologna, Il Mulino, 2006

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anche con un solo cantore accompagnato da suonatori”² La partitura è un vero e proprio attrezzo di lavoro, sul quale poter apporre modifiche per soddisfare meglio l’esigenza della committenza e per aderire appieno alle circostanze economiche. Nell’atto performativo avviene il punto d’incontro tra tutti i soggetti della catena produttiva: compositori, esecutori, committenti e pubblico. Solamente a performance finita avveniva il pagamento e quindi la chiusura dell’affare. Era il momento in cui il compositore vendeva il proprio servizio. Il buon esito della prestazione garantiva quindi il guadagno o meno. Ludovico Grossi da Viadana concepiva le sue composizioni come pezzi di lavoro flessibili da modificare con successivi sviluppi sonori. Si potevano ridurre o raddoppiare i cori a seconda dei mezzi economici a disposizione. Questa sua pratica gli permise di vendere il suo materiale in tutta la penisola italiana, garantendogli sempre una grande produzione, quindi altrettanto guadagno. Anche per Mozart era lecito cambiare la partitura, era più che giustificato se lo scopo era ornare e migliorare l’atto esecutivo; tutto finalizzato alla performatività. Nel terzo atto del libretto dell’Orfeo di Monteverdi (1607), si possono invece riscontrare due facciate completamente identiche. Si tratta di una melodia di base che testimonia l’arte dell’ornamentazione vocale: si variava la melodia attenti, però, a mantenere intatta l’armonia. Il libretto, pervenuto a noi grazie alla sua distribuzione come souvenir dell’evento, permette di scorgere alcuni eventuali cambiamenti che potevano sussistere nelle successive rappresentazioni. Le conseguenze della circolazione dei libretti nelle valigie dei cantanti e degli architetti teatrali girovaghi sono notevoli. “È nell’uso e riuso corrente, nel confronto con la polvere dei palcoscenici e con gli umori delle platee, che l’opera in musica, con tutte le sue convenzioni rappresentative, cresce e si perfeziona”³; basti citare il caso dell’Incoronazione di Poppea (C. Monteverdi, Venezia, 1643). “Di quest’opera sopravvivono due partiture: esse si discostano però dal testo della rappresentazione originale. […] Uno dei due manoscritti proviene dalla biblioteca Cavalli* e porta i segni palesi dei suoi interventi: è ipotizzabile un suo ruolo di rimaneggiamento della musica originale per conto dell’una o dell’altra compagnia di girovaghi. Ma questo non basta a spiegare i problemi attributivi che pone la scena forse più singolare dell’opera: il duetto d’amore di Nerone e Poppea che conclude le due partiture. Esso duetto mancava nella rappresentazione veneziana del 1643.” Ma, se quel duetto non figurava nella rappresentazione veneziana, esso era però già stato cantato prima d’allora. Gli storiografi ancora si interrogano sul possibile autore ma convengono nel fatto che averlo collocato lì, in quel punto del dramma, fu un colpo di teatro geniale.

*uno dei principali compositori d’opera veneziani della prima metà del Seicento ² vedi: ¹ ³ Bianconi Lorenzo, Il teatro d'opera in Italia. Geografia, caratteri, storia, Il Mulino, 1993

TESINA STORIA della MUSICA MODERNA _Bryant _Università di Ca’Foscari_ Collocare un duetto d’amore in una storia tutta intessuta sull’adulterio, l’infedeltà, il suicidio comminato, il travestimento, il tentato omicidio e il ripudio, significa farne un’apoteosi canora. Ecco allora che cambiamenti e travolgimenti all’interno della partitura, in questo caso, hanno fatto sì di restituire ai posteri uno dei capolavori del melodramma italiano.

LA COMPOSIZIONE MUSICALE E IL SUONO DELLA MUSICA COME SIMBOLO SOCIO -ECONOMICO

Durante il corso dei secoli, la musica svolge da sempre un’importante funzione mediatrice, spesso come strumento di persuasione, di mobilitazione ideologica, pubblica dimostrazione di un’autorità sovrana, divertimento collettivo, comunitaria celebrazione della vita civile o come rappresentante di una certa società, di certi stili di vita, di una certa cultura. Questo discorso è valido oggi se decidiamo di riguardare uno dei live dei Pink Floyd, dove cogliamo l’espressione di quella nuova generazione post-Woodstock, ma valido anche per il teatro d’opera italiano a partire dal ‘600, in cui, sebbene con due modi radicalmente diversi di fare e percepire il teatro -quello di corte e quello impresariale-, esso rappresenta un simbolo della società e dell’economia musicale del tempo. Una stessa opera il Giustino (1683, N.Bettegan-G.Legrenzi), la storia del contadino diventato guerriero e infine imperatore di Bisanzio, rappresentata senza cambiare una nota e una virgola prima a Venezia e poi a Napoli, poteva assumere significati assai diversi: l’esaltazione degli ideali eroici della difesa della patria, per la repubblica veneziana, o un modo per glorificare l’istituto della monarchia spagnola, per il regnante Carlo II di Napoli. Si sceglievano inoltre, tematiche che alimentavano scenografie sorprendenti, pescate dalla materia romanzesca, cavalleresca e mitologica. I librettisti incaricati di scrivere per la Serenissima per esempio, prestavano particolare interesse per le vicende troiane, mettendo in risalto l’ideologia repubblicana, secondo cui Venezia avrebbe dovuto essere la reincarnazione moderna della repubblica a sua volta discendente da Troia. Temi eroici ed imperiali per i drammi musicali hanno preso piede verso la metà del Seicento, quando Venezia si trovò a guerreggiare contro il nemico turco. Alessandro vincitor di se stesso (1651, F.Sbarra – A.Cesti), Gli amori di Alessandro Magno e Rossane (1651, G.A. Cigognini – F. Lucio), Scipione Africano (1664) sono solo alcuni esempi di un filone di storie antiche, di eroi bellicosi sotto l’aura della romanità augustea, della gloria militare persiana e babilonese, della nobiltà d’animo dei condottieri barbarici e della ferocia dei tiranni, che di riflesso esaltavano il prestigio e il valore dei veneziani combattenti. L’Orfeo di Monteverdi messo in scena a Mantova nel 1607, in occasione del matrimonio tra Eleonora De Medici e il duca Vincenzo Gonzaga, era stato già rappresentato per la prima volta a Firenze nell’Ottobre del 1600 (Euridice, J.Peri – O.Rinuccini) . Fu un evento unico e sorprendente quello presso la corte medicea, e Vincenzo si rese subito conto dell'originalità di questa nuova forma di intrattenimento drammatico e del prestigio che avrebbe conferito a chi l'avesse patrocinata. Scelse quindi per l’occasione Monteverdi, già esperto compositore di madrigali e

TESINA STORIA della MUSICA MODERNA _Bryant _Università di Ca’Foscari_ musica sacra, il quale arricchì il dramma mediante una tavolozza estremamente ricca di risorse vocali e strumentali. Tratto comune a tutti i compositori di questo periodo è lo sforzo di trovare mezzi adeguati per esprimere affetti o stati d’animo, quali l’ira, l’eccitazione, la grandezza d’animo, l’eroismo, la contemplazione elevata, lo stupore o l’esaltazione mistica e d’intensificare questi effetti musicali mediante contrasti violenti. Nell’architettura, scultura e pittura del Barocco, le forme normali degli oggetti venivano a volte alterate quasi per superare i limiti naturali del mezzo e riflettervi l’intensità passionale del pensiero dell’artista (si pensi per esempio all’Estasi di Ludovica o il David, entrambe del Bernini, opere di grande carica patetica); allo stesso modo nella musica si superano i limiti dell’antico ordine, delle consonanze e dissonanze, e dell’andamento ritmico regolare e uniforme. Nell’Orfeo di Monteverdi viene introdotto per la prima volta la forma del recitativo, molto lontano dai melismi di matrice gregoriana, per restituire all’ascoltatore una più naturale imitazione della voce. Ecco allora che il poeta Orfeo ci viene presentato in tutta la sua sensibilità e fragilità quando riceve la notizia da parte della messaggera sulla morte della sua sposa Euridice, attraverso pause che sembrano singhiozzi, frasi melodiche in crescendo, ad accompagnare l’intensificazione del dramma. Io parto e non più dissi di Carlo Gesualdo (1611) offre un altro esempio di quella ricerca e veemenza emotiva. Proprio durante un soggiorno alla corte di Ferrara, il compositore viene a contatto con le sperimentazioni d’avanguardia della così detta “musica reservata”. Questa maniera di fare musica per un pubblico elitario, prevedeva un uso sistematico del madrigalismo, vale a dire di figure musicali particolari e riconoscibili per dare risalto a parole specifiche del testo e ciò, grazie a giustapposizioni di contrasti (per esempio, dissonante/consonante, passi veloci/passi lenti). Improvvisi cambiamenti di tono sottolineano parole come “pianto” (bb.13-15), “ai dolori io resto” (bb.20-30) o “morto fui”. Altro forte contrasto è dato dalle tre voci acute che rappresentano la donna, intrecciate con una voce più grave, a rappresentare l’elemento maschile; un accostamento di contrasti, capace di immortalare e di fissare l’emozione del dolore e dello strazio. Completamente diverso per composizione e destinazione è invece Il bianco e dolce cigno di Jacques Arcadelt (1539). Armonie semplici e “naturali” con poche dissonanze ci fanno percepire un motivetto molto semplice ed orecchiabile. A primo impatto potrebbe ricordare una dolce canzonetta popolare dal suono rotondo e melodioso. A livello tecnico le quattro voci si amalgamano in forma omoritmica l’una con l’altra, tranne a bb. da 34 a 43 in cui proprio nello stile del madrigalismo le voci entrano in maniera sequenziale. La sua semplicità è caratterizzata anche dalla presenza di note ribattute e da un moto per gradi congiunti, ovvero da una melodia che segue l’andamento della scala e, pertanto, privo di grandi salti (l’ambitus è infatti molto stretto, non supera l’ottava). Il brano in questione, fu appunto scritto per l’esecuzione in ambiente domestico, la cui semplicità doveva essere tale per permettere a chiunque, anche ai meno esperti, di poterlo cantare. Cambiando completamente genere, ovvero passando alla musica sacra, le funzioni svolte dalla musica, sono analoghe: ogni cappella esige l’unicità attraverso l’intervento di musicisti d’éli...


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