Tirso de Molina e Burlador de Sevilla PDF

Title Tirso de Molina e Burlador de Sevilla
Course Letteratura Spagnola I
Institution Università degli Studi della Tuscia
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Summary

Tirso de Molina e analisi "El Burlador de Sevilla y Convidado de Piedra"...


Description

Tirso de Molina (1579-1648) Gabriel Téllez nasce a Madrid nel 1579. La sua è una personalità molto discussa dalla critica, poiché ci sono molti testi che, pur essendo associati alla sua figura, sappiamo non essere stati composti da lui. Gabriel Téllez è un frate della merced, e inoltre una figura molto importante all’intero della sua congregazione. Egli era infatti un frate che veniva inviato per l’impero spagnolo a cristianizzare i nuovi territori, missione che poteva essere ricoperta solo da personaggi importanti. Oltre a girare per la Spagna (va in Galizia, a Siviglia etc.), Gabriel Téllez viene mandato a Santo Domingo nel 1606, luogo in cui passerà vari anni e che lascerà una forte impronta nelle sue opere. Torna in Spagna nel 1618, e partecipa alla vita letteraria di Madrid, poiché, essendo un frate, può partecipare alle feste per le commemorazioni dei santi, durante le quali venivano messe in scena delle piccole opere teatrali. Ecco quindi che in virtù del suo ruolo, Gabriel Téllez riesce ad unire il suo lavoro di frate alla sua passione per la letteratura e per il teatro. Nonostante la sua figura, Tirso de Molina viene comunque accusato dalla Junta de Reformación di aver scritto opere profane: ci sono tentativi di imporgli l’esilio, ma viene salvato da alcune figure importanti e quindi semplicemente allontanato da Madrid. Si reca quindi a Siviglia, dove continuerà a scrivere seppur in modo più sporadico. Tirso de Molina si dedica a tutti i generi letterari (scrive opere in poesia, prosa, trattati didattici, novelle etc.), ma il suo maggiore contributo riguarda il teatro. Tirso de Molina à infatti un allievo di Lope de Vega, quindi segue il suo modello pur rielaborandolo a modo suo. È con Tirso de Molina che infatti abbiamo l’introduzione di tutta una componente filosoficoreligiosa, che si vede soprattutto nell’approfondimento psicologico dei personaggi, capacità che deriva dalla pratica della confessione, con la quale aveva imparato a comprendere l’anima delle persone. Per il resto, sposa molte delle caratteristiche del teatro di Lope de Vega, tra cui la corrispondenza tra temi e forme metriche, la divisione in tre atti, il solo rispetto dell’unità d’azione, i ricorsi all’agnizione e alle peripezie, l’introduzione di personaggi tipici del tempo etc. Le sue opere sono comunque opere fortemente sperimentali, sia per quanto riguarda il linguaggio (Tirso è un autore sia cultista che concettista, anzi studia tutte le possibilità date dalla relazione tra cultismo e concettismo), sia per la struttura (rompe con le unità aristoteliche di tempo e spazio). Tra i temi trattati si trovano il tema dell’apparenza, dell’onore, delle passioni umane (amore, vendetta, gelosia etc.), ma anche di tematiche esistenziali come la vita, la morte, e il motivo del chi sono io?. Si concentra molto anche sul contrasto tra città e campagna, due immagini che si caricano anche di un forte contenuto simbolico: la città come luogo dell’apparire, della menzogna, dell’ipocrisia, la campagna come luogo della spontaneità, dell’essere genuino.

Le opere Come tanti autori del periodo, anche Tirso de Molina scrive opere di vario genere. Tra le varie opere, troviamo: • El burlador de Sevilla y convidado de piedra, opera teatrale a cui si deve la creazione di un mito letterario, quello del Don Juan • El condenado por desconfiado: titolo considerato dalla critica come il • Deleitar aprovechando: una miscellanea (raccolta di testi di vario genere) sul modello del Decameron di Boccaccio. L’opera risale al 1632, quindi possiamo considerarla come un’opera matura sia della produzione di Tirso, sia della letteratura barocca in generale. L’opera raccoglie testi di vario genere (es. brevi testi teatrali, novelle alla maniera italiana, novelle sulla vita dei santi, brevi trattati etc.) che, come il Decameron, sono inseriti in una cornice narrativa: durante il carnevale, alcune persone si riuniscono per narrare delle storie. Il titolo deleitar aprovechando riassume una delle caratteristiche della letteratura barocca basata sul deleite e sul provecho . Tirso afferma quindi che l’obiettivo della letteratura e dell’opera è quella di educare moralmente il pubblico pur facendolo divertire.

El burlador de Sevilla y convidado de piedra (1630) El burlador de Sevilla y convidado de piedra è un dramma teologico diviso in tre atti. Dal punto di vista filologico, gli studiosi sostengono che l’opera è stata composta nel 1616 (quindi qualche anno dopo rispetto a El arte nuevo de hacer comedias en este tiempo con cui Lope de Vega aveva stabilito i nuovi canoni della drammaturgia), ma sappiamo che la prima versione a stampa risale solo al 1630 (come era solito in questo periodo, l’opera circolava in forma manoscritta tra

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le compagnie teatrali). Tuttavia, l’opera non appare in una raccolta di opere di Tirso de Molina, bensì in Doce comedias nuevas de Lope de Vega y otros autores. Ecco quindi che il nome di Tirso de Molina appare tra gli otros autores nella raccolta di Lope de Vega, nonostante al tempo fosse già celebre. L’opera è quindi importante perché ci permette di attribuire a Tirso de Molina la paternità dell’opera. Oltre a El burlador de Sevilla y convidado de piedra viene attribuita a Tirso de Molina un’altra opera, intitolata Tan largo me lo fiáis: testo che circolava in edizione suelta, più breve ma con tantissimi aspetti in comune col burlador, sia per quando riguarda la caratterizzazione dei personaggi sia per lo sviluppo della storia. Riguardo Tan largo me lo fiáis, esistono tre scuole di pensiero: - La teoria meno accreditata è quella secondo la quale le caratteristiche comuni tra i due testi siano dovute ad un testo antecedente ad entrambi, dal quale sono derivati sia il burlador che tan largo me lo fiáis. Tuttavia, non esistono prove dell’esistenza di un testo antecedente. - Alcuni studiosi negano la paternità di Tirso de Molina del burlador e di tan largo me lo fiáis, sostenendo che le due opere siano state scritte da Andrés de Claramonte. Questi studiosi sostengono che Andrés de Claramonte abbia composto prima Tan largo me lo fiáis, per poi arrivare ad una rielaborazione più lunga ed ampliata con il Burlador de Sevilla y convidado de piedra. - La teoria più accreditata è quella che sostiene che Tan largo me lo fiáis è un testo che deriva dal Burlador de Sevilla, probabilmente scritto da uno dei seguaci di Tirso de Molina. L’autore avrebbe infatti scelto di intitolare il testo con un verso celebre pronunciato da Don Juan, proprio a sottolineare il legame della sua opera con il burlador di Tirso de Molina. La prima rappresentazione di cui abbiamo attestazioni risale al 1623 (o 1625) nei corrales di Madrid, per poi ottenere successo ed essere rappresentata in tutta la Spagna.

Trama Il burlador è un giovane dell’aristocrazia sevillana, chiamato Don Juan Tenorio. L’opera inizia in medias res nel palazzo reale di Napoli dove Don Juan Tenorio passa la notte con Isabela, ingannandola facendole credere di essere il suo fidanzato sfruttando il buio della stanza. Il fatto che l’opera inizi in medias res ci fa capire che Isabela non è la prima vittima di Don Juan. Nel momento in cui Isabela accende la luce e riconosce Don Juan inizia a gridare: Don Juan fugge per nascondersi, ed incontra suo zio Don Pedro Tenorio, ambasciatore di Spagna. Al sentire le avventure del nipote, Don Pedro è rassegnato per il fatto che nonostante sia stato allontanato dalla Spagna per questi suoi inganni, si ostini ancora a farlo. Tuttavia, Don Pedro lo lascia scappare, incolpando dell’accaduto il Duca Octavio, fidanzato di Isabela, che viene arrestato. La scena si sposta poi in Spagna, sulla costa nei pressi di Terragona, dove Don Juan e il suo gracioso Catalinón sono naufragati a seguito della fuga da Napoli. Sulla cosa si trova Tisbea, donna consapevole della sua bellezza ed orgogliosa del fatto di non essere mai ceduta alle tentazioni amorose. Don Juan, naufrago, finisce però tra le braccia di Tisbea, che si innamora di lui (ecco quindi che Tisbea è la prossima vittima). Se prima Don Juan aveva sfruttato l’oscurità per ingannare Isabela, ora che è giorno non può celare la sua identità. Ecco quindi che sfrutta le sue nobili origini per ingannare Tisbea, promettendole dei favori: Tisbea ospita Don Juan nella sua casa e i due consumano l’atto d’amore (vediamo quindi la corruzione della classe nobiliare) La scena si sposta poi al palazzo reale a Siviglia, dove avviene l’incontro tra il Re Alfonso XIV* e Don Gonzalo de Ulloa. Don Gonzalo è di ritorno da una missione diplomatica a Lisbona e, dopo aver fatto tutto un monologo con cui elogia Lisbona e il Portogallo, come ringraziamento per il suo operato il Re Alfonso XIV promette alla figlia di Gonzalo, Doña Ana, la mano di Don Juan (per le sue origini nobili). [*La presenza di Alfonso XIV costituisce un anacronismo nell’opera, poiché fu un re che regnò durante il XIV secolo. Esso è un elemento anacronistico perché l’opera non è ambientata nel XIV secolo, bensì rappresenta la Spagna del Seicento, con i suoi problemi e personaggi tipici (es. gli ambasciatori, figure tipicamente seicentesche)] Il primo atto termina con Don Juan che fugge dal villaggio di pescatori in cui aveva passato la notte con Tisbea che, disperata ed arrabbiata, decide di suicidarsi. 18

Il secondo atto inizia nel palazzo reale a Siviglia, dove Don Diego Tenorio (padre di Don Juan) racconta al re le malefatte del figlio. Il re decide così di esiliare Don Juan per farlo riflettere sui propri errori (anche se sappiamo già che non lo farà, perché non lo ha mai fatto), e che non sarà più Don Juan a sposare Doña Ana, bensì il Duca Octavio, per poter rimediare all’ingiusta accusa subita. Sempre a Siviglia abbiamo l’incontro tra Don Juan e il Marqués de la Mota, amico di Don Juan e anch’esso solito ad ingannare le donne, che gli confida di essere innamorato della cugina Doña Ana de Ulloa, e che sta aspettando un suo messaggio per potersi vedere di nascosto nella sua stanza (il tema dell’incontro di nascosto durante la notte è un tema tipico della novela bizantina, della novela cortesana e della novellistica italiana). Tuttavia, il biglietto viene rintracciato da Don Juan: Doña Ana dava appuntamento al Marqués de la Mota alle undici nella sua stanza, e gli comunicava di farsi riconoscere indossando un mantello rosso. Don Juan così approfitta della situazione e dice al Marqués di andare a mezzanotte, così da poterlo anticipare. La notte, Doña Ana capisce che non si tratta del Marqués de la Mota ed inizia a gridare, facendo intervenire sulla scena suo padre Don Gonzalo: durante uno scontro, Don Juan uccide Don Gonzalo. Nel terzo atto appare l’altro elemento che compone il titolo dell’opera: il convidado de piedra. Abbiamo infatti Don Juan e il suo gracioso Catalinón che, nella fuga, si rifugiano in una chiesa per poter usufruire del diritto d’asilo e salvarsi dalla legge. All’interno della chiesa si trova una tomba, e Don Juan riconosce che sopra ad essa è presente una statua raffigurante Don Gonzalo. Al vederla, Don Juan si avvicina e compie una sorta di sbeffeggiamento: tira la barba della statua. A questo punto, la statua si anima e dice a Don Juan di aspettarlo perché un giorno sarebbe andata a cena da lui. Don Juan accetta, non credendo sarebbe stato possibile, ma effettivamente la statua si reca a cena da Don Juan. Durante la cena, la statua invita a sua volta Don Juan a cena da lei, e Don Juan accetta. Don Juan va alla cena (unica occasione in cui il giovane rispetta la parola data), ma la cena gli risulterà fatale: nel momento in cui Don Gonzalo prende la mano di Don Juan, il giovane muore e viene condannato agli inferi sotto gli occhi di Catalinón. L’opera si conclude con tutti i personaggi che si recano presso il re, per chiedere giustizia di tutti gli inganni subiti. A questo punto arriva Catalinón, che racconta la morte di Don Juan. A questo punto tutti si sposeranno con dei matrimoni più o meno riparatori, che andranno a risolvere la situazione facendo tornare tutto come prima. Ecco quindi che l’ordine viene ristabilito con i matrimoni che ricostituiscono la situazione iniziale. Vediamo nella conclusione l’innovazione di Tirso de Molina e la critica all’immobilismo sociale, poiché la situazione non si risolve grazie all’intervento della giustizia terrena (che è complice delle malefatte di Don Juan), bensì grazie all’intervento divino. Vediamo come l’opera è basata su una forte componente filosofico-religiosa, che invita i lettori a compiere una riflessione sulle proprie azioni e sul peccato. Ciò che Tirso de Molina critica è proprio il tan largo me lo fiáis, ossia l fatto che per Don Juan c’è tempo, c’è sempre tempo per pentirsi e tornare sulla retta via. Tuttavia, Don Juan chiede di potersi pentire e confessare solo quando sta per morire, ma per lui è troppo tardi, è ormai destinato al dolore eterno.

Analisi Dal punto di vista strutturale, il testo è suddiviso in tre jornadas, ed è evidente che non vengono rispettate le unità di luogo e tempo. Riguardo l’unità di azione invece, esistono due correnti di pensiero: • L’unità d’azione è rispettata, poiché nonostante i cambi di tempo e luogo la storia principale resta sempre quella del personaggio di Don Juan • L’unità d’azione NON è rispettata poiché la seconda parte del testo non è più incentrata su Don Juan, bensì sul convidado de piedra. Le tre giornate sono internamente divise in scene, a loro volta numerate in versi. Tuttavia, vediamo che le scene non sono numerate e a distinguerle vi sono le didascalie che descrivono il luogo, il tempo e il movimento dei personaggi (la numerazione delle scene verrà introdotta nel Settecento circa).

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L’opera inizia in medias res, e infatti quelle che vengono descritte sono le ultime quattro burle della vita di Don Juan, prima di essere condannato.

I Jornada Dal punto di vista stilistico, i primi 120 versi sono in forma di redondilla, ossia quartine di ottonari con rima consonante, che conferiscono un ritmo piuttosto elevato. Infatti, l’opera inizia con l’inganno di Isabela, per il quale Don Juan si presenta come Don Octavio, di notte, nella sua stanza per giacere con lei. Vediamo subito che l’inganno si sviluppa durante la notte, che nell’arco della storia si presenterà come il momento della giornata per amare o per ingannare. La maggior parte delle volte la notte era infatti il momento in cui il re e le classi nobiliari organizzavano i loro piani, i matrimoni etc. Oltre ad essere un inganno alla ragazza, l’inganno di Isabela coinvolge anche tutta la corte, come vediamo dal fatto che ad intervenire nella stanza della donna è il re in persona. Oltre ad aver goduto della donna, Don Juan era infatti riuscito ad intrufolarsi nel castello aggirando le guardie, la servitù e tutte le eventuali protezioni. La gravità dell’evento non è tanto dovuta al fatto che Isabela è stata violata, ma che era stata violata la norma di corte secondo cui consumare rapporti sessuali non era permesso. Tuttavia, la norma esisteva solo formalmente, poiché in realtà tutti erano consapevoli di ciò che succedeva a palazzo, ma finché tutto restava segreto non rappresentava nessun problema (altro fatto che sottolinea l’ipocrisia delle classi nobiliari). Il fatto che il vero problema fosse solo una questione di apparenza è ravvisabile in due momenti: - Dalle parole di Isabela, che si preoccupa più del fatto di essere stata vista dal re piuttosto che del fatto di essere stata ingannata e violata (El rey! Ay, triste! […] Ay, perdido honor!) - Dalle parole del re, che è quasi rasserenato dal fatto che Don Juan non rivela la sua identità (Don Juan dice ad Isabela di essere un hombre sin hombre, fatto riguardo cui il re afferma Esto en prudencia consiste). In quel caso, il re sarebbe dovuto intervenire ed arrestare il ragazzo, evento che avrebbe anche fatto cronaca. Alfonso XIII preferisce invece non intromettersi, e lasciare alle guardie il proprio lavoro “sporco” che, inoltre, chiede venga fatto nel minor tempo possibile per non destare sospetti (Alfonso dice a Don Pedro: Siendo corto, andad vos largo). Dopo l’inganno abbiamo Don Juan che si presenta a Don Pedro come suo nipote. Abbiamo quindi la confessione della verità allo zio, una confessione che Don Juan compie perché sicuro che lo zio lo avrebbe protetto. Infatti, Don Pedro era l’ambasciatore di Spagna inviato a Napoli per controllare il nipote Don Juan, quindi se si fosse saputo che l’artefice dell’inganno era stato Don Juan, lo stesso Don Pedro avrebbe dovuto dichiarare il fallimento della sua missione. Per questo motivo Don Pedro rimprovera Don Juan, ma lo lascia scappare. Ecco quindi che tutto è mosso dal gioco della convenienza: al re conviene affidare i propri problemi a Don Pedro, e a Don Pedro conviene non fare il nome del nipote al re. Ecco quindi che viene messa in risalto l’intelligenza di Don Juan, che sa quali sono le persone di cui potersi approfittare. Particolare nelle parole di Don Pedro è una sorta di prolessi, di anticipazione della sorte di Don Juan. Infatti, riferendosi a Don Juan, Don Pedro afferma castiguete el cielo!. In questa frase vediamo quindi il desiderio di Don Pedro che, non potendo punire il nipote per proteggere la propria reputazione, chiede che sia il cielo a punirlo. In questa frase possiamo quindi vedere un’anticipazione della fine di Don Juan, che sarà punito con la dannazione eterna. Segue poi il dialogo tra Don Pedro e il re, in cui Don Pedro riferisce solo in parte le informazioni ottenute dal nipote e mente sulle parole di Isabela. Afferma infatti che Isabela sostiene di aver avuto rapporti col Duque Octavio, facendo così cadere la colpa su di lui per salvare il nipote e di conseguenza anche la sua reputazione. Anche nel dialogo seguente tra il re ed Isabela è possibile vedere tutta l’ipocrisia della classe nobiliare. Infatti, nonostante il re non abbia creduto alla verità di Don Pedro, rimprovera Isabela e non le permette di dire neanche una parola riguardo l’accaduto. In questo modo, il re non è obbligato ad intervenire ulteriormente: preferisce far finta di credere alle menzogne di Don Pedro pur di far cadere l’accaduto. L’ipocrisia non caratterizza soltanto il re, ma anche Isabela: preferisce non rispondere perché anche a lei fa comodo la versione di Don Pedro, poiché oltre ad aver accolto qualcuno in camera, se l’uomo fosse stato uno sconosciuto la faccenda sarebbe stata ancora più grave. Anche Isabela trae vantaggio da questa falsa verità, e confida nell’amore del Duca Octavio. Segue poi il dialogo in cui Don Pedro riferisce l’accaduto e la volontà del re al Duque Octavio. Anche qui Don Pedro dice una mezza verità, poiché racconta che Isabela è stata trovata tra le braccia di un uomo di cui non si conosce identità. Don Pedro 20

descrive l’uomo come una figura demoniaca, avvolta nel fumo, che ha assunto forma umana. Importante è questa descrizione di Don Juan, poiché risulterà una sorta di giustificazione della condanna finale negli inferi. Inoltre, possiamo vedere nell’immagine della figura demoniaca anche come Don Juan appare allo zio: un fardello con cui deve convivere e contro il quale non può fare nulla. La risposta del Duque Octavio (v. 315-345) è una delle parti più dibattute dalla critica In questa parte si tocca con mano il concettismo di Tirso de Molina. Dal punto di vista filologico il dibattito si concentra molto sul termine toca: se può essere visto come il semplice verbo tocar (viene infatti tradotto con colpisce, attossica, fa del male), potrebbe anche essere visto come un riferimento alla toca, strumento di tortura medievale. La toca era infatti una tortura con cui si obbligava a confessare una certa verità, e consisteva nell’inserimento nella bocca del prigioniero di un pezzo di stoffa bagnato che quindi non permetteva di respirare. Il passo ¡Dejadme! No me digáis potrebbe essere concepito anche come un veleno che impone tan gran traición de Isabela. ad un cuore sincero di confessare, immagine giustificata (¿Mas si fue su honor cautela?) anche dal paragone con la comadreja. Proseguid; ¿por qué calláis? La comadreja è la donnola, animale che, secondo la tradizione Mas si veneno me dais classica, concepiva dalle orecchie e partoriva dalla bocca. Per que a un firme corazón toca, questa sua reputazione, la donnola era associata y a...


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